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domenica 28 febbraio 2010

Nepal, due immagini della catena dell'Himalaya


solo per mostrare la grandezza della natura...

TARTE FEUILLETEE AU LIVAROT ET AUX POMMES

Ingredients :

· 1 livarot (tipo di camembert)
· 1 rouleau de pâte feuilletée
· 2 pommes de terre
· 2 pommes fruit
· 3 échalottes

Eplucher et émincer les échalottes. Les faire suer à la poêle doucement. Saler poivrer.
Eplucher les pommes de terre . Les faire cuire 15 minutes à l'eau.
Les couper en fines rondelles.Eplucher les pommes , couper des quartiers et les poêler jusqu'à coloration.
Dérouler la pâte, étaler les échalottes, les 2 sortes de pomme et le Livarot coupé en lamelle.
Cuire au four 15 minutes à 180°C.
Servir cette tarte avec une salade assaisonnée d'un vinaigre de cidre et buvez une bière normande!

QUICHE NORMANDE

Ingredients :

· 1 camembert à point
· 3 oeufs
· 100g de lardons
· 200 cl de crème fraîche au lait cru
· 1 pincée de sel, povre, noix muscade

Battre les oeufs et la crème fraîche. Sel, poivre, noix muscade.Faire rissoler les lardons.Enlever la croûte du camembert et le couper en morceaux. Mélanger le tout et mettre dans un plat au four 180°C 20 minutes.

Servir chaud ou froid accompagné d'une salade verte et d'un cidre brut.

sabato 27 febbraio 2010

Dodicesimo libro 2010: Il bosco degli Urogalli – Mario Rigoni Stern

magari uno non sa cosa siano questi urogalli, per cui ne metto uno in foto.

Uscito per la prima volta presso Einaudi nel 1962.


Rileggere Rigoni Stern così, dopo tanti anni, resta sempre un gran piacere. Un po’ come tornare a casa, anche se l’Altopiano, pur essendo sempre provincia di Vicenza, è sempre stato un mondo a parte, dei cimbri, popolazioni celtiche simili a quelli del Morvan, altro altopiano, in Francia, vicino al quale sono andato a trovar moglie.
Il bosco degli urogalli, uno dei tanti bei libri che ha scritto racconta storie di cacciatori, di animali selvatici, di cani e di montagne. Spazi aperti e fiducia nella vita. Solo per questo bisognerebbe fargli un monumento. Le piccole cose di un mondo, di un sistema di valori che si vuol far sparire. L’andar per boschi, in pace con se stessi e con gli altri, il partire in America, al di là della Gran Pozza, o l’Australia di Nino, il cacciatore, che torna solo per una partita di caccia… un gran libro.
Da sempre nella top ten.

Io che uribista non sono

Tornato a casa, aprire un telegiornale e sentire Alvaro Uribe, presidente della Colombia, eletto nel 2002 su un programma di guerra alle guerriglie, troppo militarista per i miei gusti, che non so quanto sia riuscito a migliorare le condizioni reali del colombiano medio, rieletto grazie a una "trucchetto" nel 2006 e che stava coltivando da un anno e più l'idea di ripresentarsi per un terzo mandato quest'anno... ecco sentire uno così, che di fronte al dettato NEGATIVO dei giudici della Corte Costituzionali ai quali era stato posto il quesito dell'eventuale possibilità di un referendum popolare per garantirgli la terza candidatura, dice, banalmente: COSI COME RISPETTIAMO IL GIUDIZIO POPOLARE, DOBBIAMO RISPETTARE ANCHE IL GIUDIZIO DEI GIUDICI... non ci ho creduto, ho pensato di essermelo sognato, e sono andato a vedermelo sui telegiornali francesi e spagnoli.. ed ogni volta ripeteva quella stessa frase... e quindi mi viene a pensare di quell'altro, il Nostro.. solo a noi doveva toccare un personaggio del genere.. FORZA COLOMBIA

venerdì 26 febbraio 2010

Undicesimo libro 2010: Marco e Mattio – Sebastiano Vassalli


Einaudi, collana ET, 1992 e 1994.
Finisco di leggerlo volando a fianco della catena dell’Himalaya, di ritorno dal Nepal. Lo stesso senso di leggerezza, fuori dal finestrino e dentro. Il libro poteva anche intitolarsi La storia )o la lunga passione) di Mattio Lovat, da Zoldo. La mano leggera di Vassalli ti porta dentro queste “storie minori”, a farti conoscere dettagli della vita di allora, la campana che suonava al tocco tedesco, dall’imbrunire in poi e che nella notte dell’arrivo del 1800, con una “rivoluzione”, passa al tocco che conosciamo noi, da mezzanotte a mezzogiorno e da mezzogiorno a mezzanotte. Il povero don Tommaso vedrà anche in questo l’arrivo dell’Anticristo e ne morirà pochi giorni dopo. La lunga scia della rivoluzione francese, come vennero accese, pian piano, le speranze e i sogni di rivolta di popoli contadini ridotti alla fame dall’insieme di tasse “sulla miseria”. Bel libro, consigliato.

Addio o semplice arrivederci Katmandu?

Nel mese di Falgun 2066, abbiamo passato tre intensi giorni a discutere di politiche fondiarie, di processi, di priorità, del come e del quando. Non c’è stato tempo per andar a visitare il palazzo reale (di quella monarchia che sulla fine del regno dette segni di pazzia con quel massacro rimasto incompreso di vari membri della famiglia da parte di uno dei figli). Discussioni intense, con i nepalesi con i loro berretti neri o colorati intesta, quasi simili (alcuni) ai berretti dei puffi. Ambiente calmo, anche se uno si chiede come facciano con quell’aria irrespirabile che hanno in città. Traffico terribile, come ogni capitale asiatica insegna, con il solito mix di moto, tricicli, bici-taxi, macchine, camion tutto uno sopra l’altro ma che, miracolosamente riescono a non toccarsi mai.
Dibattiti lunghi, ma si sente che il tema gli appartiene. Lo hanno detto e lo ripetono: la questione delle terre è stata una delle cause scatenanti il conflitto armato, e il rischio è ancora lì ad incombere sulle loro teste. Nulla assicura che riusciranno a venirne fuori, sono storie e strutture prodottesi nei secoli, con rapporti di forza consolidati in favore dei più ricchi. In più qui non siamo in presenza di una di quelle situazioni tipiche, con pochi latifondisti che controllano gran parte della terra. Esiste si una gran massa di senza terra, dovuta anche alla inesistenza di fonti alternative d lavoro per cui tutti cercano quel pezzetto di terra per loro. Anche chi va all’estero a lavorare, ci dicono, quando torna con un po’ di soldi, non ha molte alternative di investimento per cui cerca di comprarsi un po’ di terra. Siamo riusciti a far si che vedano in noi dei partners che possono aiutarli. Gli ho raccontato alcune delle esperienze fatte altrove, dalla Bosnia al Mozambico, dalle Filippine al Paraguay, dal Sudan all’Angola, perché capiscano quanto tempo ci vorrà, la pazienza e perseveranza necessarie, ma anche il bisogno di avere una visione e capire che questo problema è nazionale, non del governo, che fra l’altro sembra molto fragile. Sul giornale di ieri un rappresentante di uno dei partiti forti della coalizione al potere diceva che, visti i tempi stretti per arrivare a finire il testo sulla nuova Costituzione e la necessità di lavorare assieme (la Costituzione ha bisogno dei due terzi dei voti per essere approvata e i maoisti controllano, da soli, il 40% dei voti nel Parlamento pur essendo partito di opposizione), tanto valeva fare un governo di unità nazionale e eventualmente dare la carica di primo ministro ai maoisti se la vogliono. Devo dire che questa non l’aveva mai sentita, forse sono proprio allo sbando.
Alcune linee di lavoro sono state tracciate, anche se non sono del tutto sicuro che riescano a vedere al di là dell’immediato. Forse la paura del ritorno del conflitto, che è stato molto violento, li attanaglia per cui pensano all’adesso. Ma quando ti dicono che fra 25 anni la popolazione sarà raddoppiata, si capisce subito, secondo me, che bisogna cominciare ad associare, immediatamente, la questione demografica all’agenda Terra. Già adesso, che piaccia o meno, non c’è terra per tutti, salvo pensare a una microstruttura agraria polverizzata che non avrà nessuna viabilità economica (ricordo che hanno una media di 0.6 Ha a famiglia). Bisognerà anche associare altri ministeri, del lavoro, del turismo a questa agenda perché bisogna offrire altre opportunità di lavoro, sia nelle zone rurali che nelle città. Continuando così i nepalesi stanno segando il ramo su cui sono seduti: pian piano distruggono l’ambiente, foreste, acqua (un gran problema in Nepal), hanno una capitale invivibile che non invoglia certo i turisti a venirci. Per cui invece di far soldi con l’industria del turismo, anche ecologico, come fanno quelli del Costa Rica, qui danno l’impressione che non gliene importi molto. Non siamo usciti molto da Ktm, ma ci dicono che la plastica regna sovrana lungo le piste di trekking, così come la fogna a cielo aperto che rappresenta il fiume che attraversa Ktm sono emblematici del problema.
Alla fine siamo tutti contenti, stanchi ma con l’impressione che ci sia una “window of opportunity”. Che la paura di tornare indietro sia il miglior stimolo per andare avanti è molto utile in questo momento. Anche i donanti, al sentire il coordinatore delle nazioni unite, sentono che il rischio esiste e che le questioni legate alle terre sono strategiche e che per questo c’è il bisogno che qualcuno, da parte nazioni unite, prenda in mano il tema, per accompagnare il cammino delle forze nazionali, chè devono essere loro a guidarlo. Forse per questo siamo piaciuti: siamo venuti portando esperienza, non soluzioni, possiamo facilitare il lavoro, dando consigli, ma a tirare la carretta devono esser loro. E’ finito col ministro che ci da una “prova d’amore” come hanno detto, ed io vestito alla nepalese, (non sarò mica diventato il Ganesh di Formelluzzo?) e poi le tradizionali corone di fiori alla partenza (che però non abbiamo potuto portare in aereo). Sto volando fuori dal Nepal, sensazione di un lavoro di squadra ben fatto, con F. e L. c’è stata una buona intesa e credo che, in questa Playstation infinita dei problemi fondiari, nel capitolo Nepal siamo riusciti a passare il Level 0: da qui in poi sarà solo più difficile, ma ci proveremo.

giovedì 25 febbraio 2010

Nepal: parliamo di terra

Avevo promesso di spiegare velocemente il perché siamo qui a Ktm a parlare di terra, ed eccoci qui. Dati recenti danno una disponibilità di terra di poco più di mezzo ettaro per famiglia. Considerando che, ai ritmi attuali, la popolazione raddoppierà fra 25 anni, si capisce quanto grave sia oggi, ma quanto esplosivo sarà domani.
Grosso modo il 60% della popolazione è considerata strutturalmente senza terra (cioè hanno o nulla o fico a mezz’ettaro). La frontiera agricola, cioè la possibilità di espansione delle terre coltivabili sembra sia finita, per cui si giocherà con queste terre o eventualmente meno, dato che esiste un problema di degradazione delle terre causa pratiche non sostenibili. Si aggiunga poi che le città, Ktm in particolare, si espandono e mangiano terra, e come sempre succede sono le migliori terre, quelle pianeggianti che piacciono di più ai promotori immobiliari.
In campagna esistono ancora forme di servitù, come il Kamaiya, che da decenni i vari governi dicono di voler abolire senza mai riuscire a farcela.
La guerra civile fra la monarchia e la guerriglia maoista che ha insanguinato il paese dalla metà degli anni novanta ha avuto nella questione terra un propulsore importante. Di questo tutti sembrano coscienti. Così come del rischio che il conflitto ricominci se non si riesce ad intaccare i problemi strutturali di questo paese in materia di struttura agraria.
I maoisti hanno vinto la guerra, ma rischiano, così come gli altri partiti, di perdere la pace. Il loro primo governo non è riuscito nemmeno a mettere le basi per iniziare. Sostituiti da una coalizione di altri partiti, un po’ stile il Prodi di due anni fa, le difficoltà restano uguali e quindi aldilà di continuare a far lavorare una Commissione di alto livello (soluzione che mi sembra aver già visto anche dalle nostre parti o sbaglio? Quando un governo non sa che fare, crea una Commissione J) non si è risolto molto.
Ecco, noi arriviamo in questa situazione, con uno sforzo interno per cercare di avvicinare vari dipartimenti dell’organizzazione, cosa che si fa raramente, in assenza di progetti da spartire, cosa che ci ha permesso di mettere assieme quelli delle foreste, dell’ufficio legale, delle politiche e noi delle terre, in collaborazione con l’unità responsabile per le questioni di genere. Cosa proponiamo noi? Indovinate un po’… lo saprete nei prossimi giorni

Pashupatinath, dove si scopre che i cinesi non sono turisti graditi

La giornata nasce con programmi diversi. Mentre io vado a discutere Terre (ne parlerò con calma nei prossimi giorni, promesso), Christiane se ne va alla ricerca di spezie e the.
L’uscita non è delle migliori dato che l’inquinamento la rimanda a casa mezza morta un’ora dopo. Capiamo quindi che quando la guida indica Ktm fra le città più inquinate, in effetti non sbaglia di molto.
A sto punto, rimessa un po’ in sesto, ed io sempre col mio seminario, si prepara un programma per il pomeriggio: dopo negoziazioni degne di Totò riesce a farsi portare dal tassista al tempio induista di Pashupatinath. L’ effetto è subito molto forte perché si trova nel mezzo di una cerimonia di incinerazione: la guida spiega gentilmente che ci sono posti per mettere i corpi per tutte le caste, una in fila all’altra, in modo che non si tocchino (per l’amor di Dio, toccarsi è il peccato più grave sembrerebbe), nemmeno dopo morti. Tecnicamente esiste una uguaglianza, e tutti passano per il camino in un tempo stabilito di 4 ore e mezza. Tronchi grossi, impilati con estrema precisione, chissà se di essenze diverse per le diverse caste, e poi si accende il fuoco: per il padre tocca al figlio più vecchio, mentre per la madre tocca al più giovane. Le donne non possono partecipare, perché quando lo facevano avevano una strana tendenza a buttarsi sul fuoco per morire assieme al marito.
Ceneri, escono da questo fuoco, e sono buttate al fiume. E ci si bagna, il giorno dopo, a mo’ di purificazione.
Poi la visita alle grotte dove vivono i Santi (da verificare): vecchietti centenari, arzilli con i loro capelli lunghi da far invidia a Bob Marley (metteremo le foto..).
Essendo la guida una persona che parla un inglese piano, di facile comprensione, il dialogo si stabilisce. E quindi, una volta attorniata da venditori ambulanti, ed essendo in giro una comitiva di cinesi (stanno finendo le celebrazioni per l’anno nuovo) che, stranamente, nessun venditore assale, sorge spontanea la domanda del perché io sì e loro no: e la risposta è che non sono graditi i cinesi, sono chiusi, non comprano niente e nemmeno ascoltano.
Il ritorno dal tempio permette una sosta al supermercato dove ci si riempie di spezie, dal cardamomo, al coriandolo, al mix di un tipo e poi dell’altro, per non parlare dei the…
Intanto è finita la sessione nostra, col mio interlocutore nazionale molto contento per come è andata (in effetti sono molto felice anch’io), per cui partiamo alla ricerca del mio regalo per questa missione: un vestito tradizionale nepalese che, quando lo vedranno a Roma, mi spareranno due occhi grandi così. Raja ci porta quindi nel cuore di Ktm, forse dalle parti di Kilagal Tole. Di sicuro siamo in una zona dove di turisti non ne vedi nessuno, zero, nada, nisba. La stessa sensazione delle calli di Venezia, però senza moto.. oppure i quartieri spagnoli di Napoli (in questo caso senza la paura). Non ci si tocca, già detto, per cui le acrobazie sono degne di Valentino Rossi. Si gira per stradine sempre più strette, piene di negozietti incredibili, di colori, luci, gente tranquilla, che sputa per terra così come noi veneti imploriamo la madonna (ed il resto). Ma insomma basta star attenti. Templi dappertutto, uno più incredibile dell’altro e ovviamente di religioni diverse.
La piazzetta centrale, la più vecchia, piccola con tre templi ed edifici vecchi di vari secoli, con almeno cinque strade che ci si affacciano, è piena di vita come al San Paolo di Napoli quando giocava Maradona. Una sensazione di vita vera, finchè arriviamo quindi dal mio sarto. Negoziazione incredibile, soprattutto perché il mio amico vuole farmi avere il vestito in tempo per la cerimonia finale di venerdi. Scegli il tessuto, i colori, prendi le misure, discuti la lunghezza, il gilet, si o no, a due colori o uno, con o senza cappello… insomma un’avventura… andateci….
PS di Christiane: Il regalo per me è il cappello tradizionale.. non vi dico quando mi ha misurato la testa… mon dieu, ma questo è Ganesh, il dio elefante… non aveva mai misurato una testa di questa dimensione…. Paolo è diventato quindi un semi dio.. ricordarsi che Ganesh porta la fortuna.. good luck

martedì 23 febbraio 2010

Secondo giorno a Katmandu

La cena è stata molto simpatica. Sia per i cibi, nepalesi, meno piccanti degli indiani, molte verdure, innaffiate all’inizio da un alcol di riso benaugurante, che per le musiche e danze tradizionali. Ci dicono siano ancora molto vive queste tradizioni e chi va a fare trekking e passa nei villaggi le può vedere dal vivo.
Nepal, un paese dalle cento e più culture, lingue ed abitudini. La fine della guerra ha portato anche la discussione sul federalismo, e i vari gruppi che stanno preparando la nuova costituzione, che ha bisogno dei 2/3 dei voti per essere approvata, si sta incagliando proprio sulla questione delle culture e delle lingue. Quanti gruppi etnici principali riconoscere, essendo questa la base per decidere la spartizione del paese in sotto-stati, e quante lingue ufficiali dovrà avere il futuro paese: una, cinque o quattordici? Rischio che si b blocchi tutto.
Ed effettivamente ci alziamo lunedi con la città bloccata, causa sciopero imposto da un micro partitino monarchico che, oltre a richiedere l’accelerazione della discussione sulla costituzione, vorrebbe imporre più lingue e più stati, insomma un casino. Siccome le auto private e quelle del governo sono le prime ad essere assaltate, il risultato è che da stamattina non si è vista una macchina in giro, salve quelle delle nazioni unite.
Adesso la giornata sta per finire e si ricominciano a sentire i clacson dalle finestre.
Non è che ci sia un sentimento di paura, ma andando in giro stamattina (per presentarci al nostro ufficio),si vedeva una quantità non indifferente di poliziotti in assetto antisommossa.
Quindi seconda giornata a discutere il workshop sulle politiche fondiarie che apriremo domani: tre giorni di discussioni, col governo, le ONG, le opposizioni e chi più ne ha più ne metta.
Tema scottante questo, tanto che l’accordo di pace traballa proprio a causa della questione della riforma agraria che nessuno sa da che parte prendere. Domani darò qualche ragguaglio su questo.
Dimenticavo di dire che abbiamo trovato anche della musica interessante ieri a Bahtkapur. Vedremo l’effetto di riascoltarla una volta a casa. Ripenso per un attimo alle montagne che si stagliavano nette all’orizzonte arrivando con l’aereo questo sabato: un cielo limpidissimo e una muraglia immensa, da far venire i brividi, peccato non aver avuto la macchinetta. A domani.

lunedì 22 febbraio 2010

Katmandu e Bhaktapur

Arrivati ieri pomeriggio, ben accolti e portati ad un bel hotel (Yak and Yeti, consigliato). Fatto un primo giro verso Durbar square, subito sommersi da una folla di questuanti. Ti venderebbero anche la loro madre e, ovviamente, a un buon prezzo. Stancano molto perché sono un po’ asfissianti, anche se, onestamente, non rompono le scatole (almeno non troppo). Il problema è che fra lo smog (e questo è ancora un buon mese), loro ed un traffico caotico, con clacson da tutti i lati e di tutti i tipi, dopo un’ora non se ne può più per cui si torna all’albergo a respirare. Da notare che parlano tutti (tanti) un po’ di rudimenti di italiano, prezzi ecc. cosa che ti fa pensare che ne devono essere passati di italiani da ste parti.
Cena, presto, al ristorante dell’hotel, accompagnata da un buon vino. Molta verdura, in mille forme diverse, dato che i nepalesi mangiano poca (pochissima carne). Bella serata, che ha permesso di cominciare a conoscerci meglio sia con Francesca, anche se sono oramai molti anni che ci si conosce, e Lidija, nuova consulente del gruppo giuridico, che sostituisce Margret causa maternity leave.
Bilancio primo pomeriggio positivo, anche se la stanchezza del viaggio si fa sentire per cui a nanna presto.
Una nota sul viaggio: la Qatar (prima volta che la prendevamo) ha guadagnato punti. Chiaro che farla in business o in economy non è la stessa cosa (e la schiena di Christiane glielo ha ricordato bene), ma comunque rispetto ad altre compagnie, la qualità è tale da metterla nella top 5.
Domenica, giornata lavorativa qui. Siamo partiti con l’autista a visitare Bhaktapur, consigliataci da tutti quanti. Fu città reale, rivaleggiando con Patan e Katmandu, fino al XVII secolo (fonte il Routard J). Fondata nel IX secolo sarebbe stata fondata a forma di conca o, come vuole la tradizione, di mandala. Bella da vedere e da girare. Moltissimi l’hanno vista senza saperlo dato che alcune scene del Piccolo Budda di Bertolucci sono state girate qui.
Secondo il Routard di 5 anni fa, era allo studio la soppressione totale del traffico automobilistico; devono avere tempi come i nostri perché fra macchine, moto, camion e carretti devi proprio stare attento a dove metti i piedi. Si paga per entrare, ma pare che almeno qui i soldi siano usati per il benessere locale (la nostra simpatica guida ci dice che li usano per mantenere una specie di ospizio dove i vecchi del posto possono andare a riposare quando stanchi. Vogliamo crederci.
Pavimentazione rifatta quasi interamente, si cammina con piacere, i venditori ambulanti sono molto meno asfissianti che a Katmandu, forse anche perché hanno capito che il turista torna più facilmente (e spende più facilmente) quando viene messo a suo agio. Ci sono poveri in giro, e quindi le richieste di qualcosa (sempre di più in italiano) si fanno continuamente, ma non si ha l’impressione della capitale.
Ci siamo presi una guida, anche per la sua faccia simpatica, un giovane del posto che parla 5-6 lingue col quale abbiamo passato una mezza giornata simpatica. Visti molti dei luoghi da vedere (e prossimamente metteremo anche un reportage fotografico grazie alla nikon di Lidija), girate le piazze e i cortili. In particolare ricordiamo la piscina del re e della regina, all’aria aperta. La questione dell’acqua, per bere, lavarsi e viverci è il cuore del problema. Anticamente pescavano da pozzi, ancora disponibili nella parte vecchia dove ci ha portati, oppure da pompare con le vecchie pompe che si usavano ai tempi di mio nonno. Era acqua buona da bere, una volta, adesso solo per lavare. Ci dice che grazie all’acquedotto hanno acqua in casa, ma non abbiamo la possibilità di vedere. Comunque lui stesso ci dice che acqua vuol dire soldi.
I colori ricordano Bologna, il suo mattone rosso anche se l’atmosfera di templi, induisti, buddisti e nepalesi, uno accanto all’altro, ti ricorda di essere in un altro posto. Gli odori sono pochi,rispetto a quelli che mi aspettavo. Ogni tanto, verso mezzogiorno, senti del curry, ma poco. Rumori un po’, ovviamente, molta musica, soprattutto indiana (anche se per noi non credo sarebbe facile scoprire la differenza).
Le negoziazioni per comprare le pashmina sono un classico di ogni turista, e noi non sfuggiamo al rito. Siamo ovviamente contenti degli acquisti, prezzo e qualità. Loro anche. Girata in lungo e in largo, ci siamo bevuti un the in un baretto simpatico, e poi camminare e camminare. Tante facce, tanti sorrisi, nessuna sensazione di pericolo, in nessun momento. Aria più respirabile di Katmandu. Mangiato un boccone e si ritorna nella capitale (una decina di Km di distanza) il cui traffico, smog, rumori e brutta architettura periferica si riconoscono subito.
In albergo a prendere una doccia, scrivere due righe e poi andiamo a cena con le autorità, per iniziare ufficialmente la missione.

venerdì 19 febbraio 2010

Rumbo a Katmandu

ed eccoci in partenza, domani saremo in Nepal, paese a cui verrebbe da associare le parole: pace, tranquillità, meditazione... ma ci tocca ricordare anche un paese che esce da una lunghissima guerriglia che ha insanguinato il paese per decenni. Il cambio politico ha portato la repubblica e le difficoltà politiche inerenti: un primo governo che non è riuscito a realizzare le attese di una popolazione maggioritariamente povera, per cui un nuovo governo di coalizione ha preso il posto, dovendo però fare i conti, nel Parlamento, con un partito maoista ancora maggioritario.

In tutto questo una distribuzione delle terre tremendamente iniqua, si parla di servi/schiavi in campagna e, da quanto ci dicono, il rischio che l'intero processo di pace sia a rischio proprio a causa del tema terra/risorse naturali.

andiamo a vedere se riusciamo a iniziare a parlarne, raccontando le nostre esperienze in altri paesi usciti da esperienze del genere e che stanno faticosamente iniziando a fare i conti con strutture agrarie ingiuste, che producono solo povertà...

cercheremo di raccontare dal di dentro questa settimana che ci attende. partiamo speranzosi, anche se realisticamente non ci attendiamo miracoli....

martedì 16 febbraio 2010

Decimo libro 2010: Non so che viso avesse - Francesco Guccini

Sottotitolato "la storia della mia vita", questo libro in realtá sono due libri, uno di Guccini e l'altra metá scritta da Alberto Bertoni (Vita e opere di Francesco). L'impressione che la seconda parte sia meglio riuscita della prima anche se su alcuni giudizi musicali si potrebbe discutere, in particolare penso alle Cinque anatre, considerata come una canzone minore. Comunque resta una lettura piacevole del Bertoni. Diverso il caso della sua biografia, fatta per capitoli, molto brevi e, spero non me ne vogliano altri gucciniani convinti, un po' approssimativi. (questo mi varrá di bruciare nel fuoco eterno, ma avendo deciso dis crivere qui le mie prime impressioni.. queste sono e queste metto).
Molto centrata sul passato, quasi remoto, ovviando la sua vita recente, direi ultimi 20-25 anni, se non per pennellate un po' superficiali come il capitolo sul cinema. Si resta un po'con l'amaro in bocca, anche se, legegre Guccini é semrpe un piacere. Il problema é che ci ha abituato cosí bene che, insomma, quando invece di fare un pezzo da dieci e lode lo fa solo da otto.. diciamo: poteva fare meglio.

lunedì 15 febbraio 2010

Mangiar m...a? E' questo il nostro futuro?

Credo sia corretto far girare un po' di informazione (o controinformazione?) su cosa sta combinando la Cargill con un suo nuovo prodotto che pretende sostituire il formaggio con una miscela chimica: ecco il testo dell'annuncio apparso sulla pagina web della stessa:

Cargill innove dans la production de fromages analogues, grâce au système fonctionnel Lygomme™ACH Optimum
MALINES, Belgique, le 17 septembre 2009. Cargill lance une vraie innovation, qui permet de fabriquer un fromage analogue très économique et sans aucun ingrédient laitier, destiné au marché des pizzas et divers plats préparés.
Le système fonctionnel Lygomme™ACH Optimum (en attente de brevet) reproduit la fonctionnalité des protéines du lait et les remplace totalement, offrant ainsi au producteur un avantage sans précédent en termes de coût.


Ed ecco anche il testo di una interrogazione alla Commissione a Bruxelles da parte della deputata Christa Klass, con relativa risposta:

I consumatori europei devono essere informati oggettivamente in merito ai prodotti alimentari, per poter decidere autonomamente che cosa comprare e come alimentarsi. Il formaggio suggerisce il piacere del latte e la salute. Attualmente, un formaggio artificiale sta invadendo il mercato alimentare. Questo formaggio sintetico viene utilizzato sempre più frequentemente in prodotti pronti quali la pizza o le lasagne ed è prodotto a base di olio di palma, amidi, proteine del latte, sale ed esaltatori di sapore. L’immagine usata sulle confezioni mira a dare al consumatore l’impressione che si tratti di formaggio. Mentre le vendite di buoni prodotti lattieri ristagnano o sono in declino, viene fatta una concorrenza predatoria con prodotti di sostituzione.
La Commissione è a conoscenza di questo prodotto sostituto del formaggio? Dispone di cifre sulle quote di mercato di questi prodotti?
La Commissione può quantificare i danni economici o la perdita in termini di vendite per il settore lattiero-caseario?
La Commissione condivide la valutazione secondo cui è ingannevole nei confronti dei consumatori veicolare l’immagine di “formaggio” nella pubblicità quando il formaggio non viene utilizzato, e non si dovrebbe quindi introdurre un’etichettatura obbligatoria per l’uso di formaggio sintetico?



(Risposta) La Commissione è a conoscenza del fatto che alcune misture di prodotti lattieri e grassi o proteine di origine diversa sono commercializzate come prodotti analoghi al formaggio.
La legislazione comunitaria restringe l’uso del termine “formaggio” a prodotti realizzati con latte e derivati e in cui gli ingredienti lattieri non sono sostituiti da componenti di origine diversa e generalmente più economici. In tal caso il prodotto non può essere denominato “formaggio” o prodotto analogo e si tratterebbe di un abuso della denominazione protetta.
La legislazione comunitaria stabilisce chiaramente che i prodotti lattiero-caseari che non rientrano nell’elenco specifico di denominazioni protette non possono affermare o suggerire in alcun modo nell’etichetta, nei documenti commerciali, nel materiale pubblicitario o in qualunque forma di pubblicizzazione o presentazione che si tratti di un prodotto lattiero.
Gli Stati membri devono far rispettare la legislazione europea e sono responsabili dei relativi controlli.
La Commissione non è in possesso di dati quantitativi su tali prodotti.

domenica 14 febbraio 2010

Nono libro 2010: Le peintre de batailles - Arturo Pérez-Reverte

Editeur : Seuil
Publication : 15/1/2007

Faulques, célèbre photographe de guerre qui a couvert presque tous les conflits pendant une trentaine d'années et a reçu de nombreux prix internationaux, vit retiré dans une ancienne tour de garde dans le sud de l'Espagne, au bord de la mer. Sa seule activité consiste à peindre sur le mur circulaire intérieur de la tour une grande fresque représentant la guerre de l'antiquité à nos jours. Il cherche à représenter ce qu'aucun appareil photo n'a jamais pu capter, une sorte de vérité ultime sur la guerre et donc la nature humaine. Un jour un homme se présente à la tour. C'est un Croate que Faulques a photographié pendant la guerre en Yougoslavie. La photo a fait la une de tous les magazines et a valu au Croate Ivo Markovic d'être emprisonné pendant trois ans et torturé. Sa femme a été violée et tuée et son fils assassiné. Depuis sa libération, Markovic n'a cessé de traquer Faulques. L'ayant enfin trouvé, il lui déclare qu'il est venu pour le tuer.
Tanto mi erano piaciuti gli altru libri di Pérez-Reverte, quanto questo qui mi ha lasciato perplesso. L'aggettivo in francese sarebbe: glauque. Altri critici l'hanno definito crepusculare, ma direi che glauque rende meglio l'idea. E' anche un racconto lungo, e lento, troppo lento.. diluisce un'idea potenzialmente molto interessante in un melodramma che alla fine stanca. Lettura non consigliata.

sabato 13 febbraio 2010

« Reconstruire Haïti sans les "grands mangeurs’’ ! »

Ricevo da un amico questo interessante articolo su Haiti (pubblicato da LeVif.be) che vi invito a leggere.

Intellectuel de haut vol, tête pensante de l’altermondialisme, globe-trotter infatigable, François Houtart dénonce, depuis plus de cinquante ans, la course au profit, la logique du marché et le productivisme qui épuise les ressources naturelles et les hommes.

Le Vif/L’Express : Un tremblement de terre dévastateur, quatre ouragans tropicaux meurtriers en 2008... Haïti semble maudite. Etes-vous de ceux qui se demandent pourquoi Dieu s’acharne sur les pauvres ?
François Houtart : Je suis un homme de foi, mais je ne crois pas que ce soit Dieu qui commande les événements naturels et qui choisit les pauvres comme premières victimes. On ne peut prévoir de tels désastres. Mais les catastrophes ont un effet de loupe sur l’état de délabrement d’une société comme Haïti.
En effet, il y a moyen de prévoir les conséquences que ces catastrophes peuvent avoir sur un plan collectif et social. D’ailleurs, quand on compare certains pays qui sont eux aussi victimes de tremblements de terre ou d’ouragans, on constate de grandes différences. Il y a beaucoup moins de victimes dans les sociétés bien organisées. Comme au Japon. Ou à Cuba qui a subi les mêmes quatre ouragans en 2008, mais en déplorant 7 morts contre 800 en Haïti.

Haïti est connu pour la corruption de ses dirigeants. Le risque de voir détourner l’aide internationale est grand. Il faudra assurer un suivi de l’aide internationale. Qui peut le faire sans délégitimer les autorités haïtiennes ?
La corruption existe dans toutes les sociétés. D’autant plus, c’est vrai, dans des sociétés qui sont désorganisées, avec une économie très faible, où la seule manière d’avoir certains avantages économiques et sociaux est de détourner des fonds publics. Il faut néanmoins associer la société haïtienne à la reconstruction du pays. Il y a des gens capables. On ne peut pas se substituer au pouvoir haïtien en donnant une image unilatéralement négative. Si on impose un système de développement sans respecter les mentalités et les mécanismes sociaux de l’île, on ne fera qu’ajouter à la désorganisation générale.

Voyez-vous le déploiement de force américain d’un mauvais oeil ?
Comme tous les pays d’Amérique centrale et des Caraïbes, l’histoire d’Haïti est jonchée d’interventions américaines. Il existe donc un soupçon fondé : les Etats-Unis utiliseraient cette catastrophe naturelle pour imposer leur présence. Evidemment, une aide extérieure n’est pas à négliger. Mais un accord, comme celui que les Américains ont obtenu des Nations unies notamment pour contrôler les routes, les ports et l’espace aérien d’Haïti, me paraît, pour le moins, très ambigu. Il est clair que les troupes américaines ne vont pas quitter l’île avant longtemps. Beaucoup de Latino-Américains restent méfiants vis-à-vis de Washington qui possède des bases depuis Guantanamo jusqu’à la Patagonie et qui vient de signer un contrat avec la Colombie pour y établir sept bases militaires. A mon avis, c’est l’ONU qui devrait prendre en main la coordination de l’ensemble des opérations humanitaires et militaires logistiques à Haïti. Mais elle n’en a pas les moyens. Il devient indispensable de doter les Nations unies d’une force qui puisse intervenir en cas de grandes catastrophes naturelles, car celles-ci risquent de se multiplier à l’avenir.

L’ex-Première ministre haïtienne Michelle Pierre-Louis a déclaré : « La mauvaise gestion a préparé le terrain à ce que nous vivons. » Est-il possible d’envisager une reconstruction d’Haïti sans reproduire les structures de pouvoir existantes ?
Ce sera très difficile. Une élite sociale a utilisé l’Etat en fonction de ses intérêts privés. Dans la population haïtienne, on les appelle les « grands mangeurs ». Si l’on confie la reconstruction à cette élite-là, soutenue à l’extérieur notamment par les Etats-Unis, on va reproduire le même système qu’auparavant. L’économie haïtienne a été ruinée, entre autres par une intervention constante des Américains qui ont imposé, par exemple, l’achat de riz alors qu’on pourrait produire le riz localement. Haïti est dans un état de dépendance totale vis-à-vis des Etats-Unis. Je plaide pour une organisation plus démocratique de la société haïtienne et une plus grande implication de mouvements sociaux, comme le Mouvement paysan papaye (MPP), les mouvements de femmes, des groupes d’intellectuels. Une partie de ces derniers se sont exilés, car ils n’avaient plus leur place en Haïti.

Le club de Paris a appelé à l’annulation de la dette d’Haïti. C’est plutôt encourageant....
Certainement. Mais c’est une partie de la solution, parce qu’à côté de la dette publique, vis-à-vis des Etats, il y a aussi la dette privée, vis-à-vis des banques. Or le club de Londres qui regroupe des créanciers bancaires ne s’est pas prononcé.

Le drame d’Haïti révèle la nécessité de lutter contre la pauvreté. Dans le récent documentaire du Français Philippe Diaz La Fin de la pauvreté, un interviewé déclare que « notre système économique repose sur le sacrifice des pauvres ». C’est une thèse que vous défendez. Mais est-ce aussi simple que cela ?
Malheureusement oui. Quand on étudie le système dans sa globalité, on s’aperçoit que la logique du capitalisme, qui domine l’économie du monde, accentue les inégalités. Il est certain que le capitalisme a produit des richesses énormes, surtout au cours des cinquante dernières années, mais sans tenir compte des destructions écologiques et sociales. Et ces richesses sont absorbées par une minorité. Tant que cette logique-là ne sera pas renversée, on ne parviendra pas à créer des conditions de vie minimum pour l’ensemble des êtres humains.

N’est-ce pas une question de temps ? Le niveau de vie moyen dans le monde s’améliore...
Ces améliorations sont dues moins à la générosité du capital qu’aux luttes sociales. Par ailleurs, il y a de plus en plus de gens qui ont faim dans le monde : une augmentation de 100 millions d’individus entre 2007 et 2008, selon la FAO. Les crises alimentaires de ces dernières années ont été causées par la spéculation financière. Nous sommes devant un problème global qui nécessite une solution globale.

Dans vos ouvrages, vous dénoncez les stratégies de réduction de pauvreté de la Banque mondiale, qui ne font que pérenniser un système d’inégalité. Faut-il tout arrêter, pour autant ?
C’est aujourd’hui que les gens meurent de faim. Il ne s’agit donc pas de tout arrêter mais d’évoluer vers une autre philosophie, de cesser d’assister des pays en développement tout en continuant à piller leurs richesses et à y susciter des guerres pour mieux contrôler leurs ressources naturelles surtout énergétiques. Tant que l’on acceptera cette contradiction, on n’arrivera à rien. Pour cette raison, le fameux plan Millenium des Nations unies, qui prévoit de réduire de moitié l’extrême pauvreté d’ici à 2015, est déjà un échec. Je suis persuadé qu’on peut résorber l’extrême pauvreté en moins d’une génération, en quelques années. En Bolivie, au Venezuela, au Brésil, on observe des avancées sérieuses, grâce, entre autres, à l’accès au crédit pour les petits paysans, à des politiques d’aide immédiate pour ceux qui souffrent de malnutrition, à des politiques monétaires régionales comme l’ont décidé les pays de l’Alba (Alternative bolivarienne pour les Amériques) en avril dernier, à des politiques communes de santé comme la Misión Milagro (Mission miracle) qui, depuis 2004, a permis à Cuba et au Venezuela de soigner 2 millions de personnes atteintes de maladies des yeux...

Le Venezuela et Cuba sont-ils des modèles de résistance au capitalisme ? Et des modèles de démocratie ?
Ce sont en tout cas des exemples de recherche d’organisation alternative de la société. Avec la difficulté que leur environnement international est très hostile. Bien sûr, à Cuba, il y a eu, et il y a encore, un problème de démocratie. Cela dit, ce mot doit être interprété en fonction de situations concrètes. Un parti unique est-il forcément anti-démocratique ? Il y a, à Cuba, des formes de participation que nous ne connaissons pas dans nos démocraties occidentales. Vous savez, un ministre libéral luxembourgeois, qui connaît bien Cuba, m’a dit un jour qu’il y avait plus de démocratie à La Havane que dans son propre parti ( rires). Quant au Venezuela, il y a déjà eu dix élections, pour la présidence, le parlement ou des référendums, depuis l’accession d’Hugo Chavez au pouvoir, en février 1999. Il y a là un processus qu’on ne peut qualifier autrement que de démocratique...

Le 11 janvier dernier, le Chili a été le premier pays d’Amérique du Sud à intégrer l’OCDE, soit le cercle des pays industrialisés. Qu’en pensez-vous ?
Le gouvernement dit socialiste de Michelle Bachelet qui a perdu les dernières élections était déjà fort à droite. Le Chili vient de virer encore plus à droite. Cela va modifier le rapport de force et la fracture entre deux Amériques latines, à savoir celle qui poursuit une logique plutôt anticapitaliste et celle du Chili, du Pérou, de la Colombie, du Mexique et du Honduras, qui ont tous noué des relations privilégiées avec les Etats-Unis.

Aujourd’hui, le mouvement altermondialiste semble impuissant, voire déclinant. On parle beaucoup de Davos et presque plus du Forum social mondial dont vous êtes l’un des principaux instigateurs. Y croyez-vous encore ?
Bien sûr, l’altermondialisme n’a plus le caractère nouveau d’il y a dix ans, donc cela intéresse moins la presse. Quant aux organisateurs de Davos, ils disposent d’autres moyens pour avoir accès aux médias. Je crois qu’en dix ans le Forum social a permis d’éveiller et d’animer une conscience nouvelle, auprès de dizaines de milliers d’ONG et de mouvements sociaux. Mais on est encore loin du compte, notamment en Afrique. L’Amérique latine a été beaucoup plus ancrée dans ce processus. Le forum a également permis de constituer de nouveaux réseaux dans des domaines spécifiques. Aujourd’hui, nous devons créer des réseaux de réseaux, soit des internationales du monde paysan, des femmes, des indigènes, etc., pour faire pression sur les organisations internationales. C’est l’étape actuelle.

Pourquoi les altermondialistes n’ont-ils pas profité de la crise économique pour occuper l’espace politique ?
Jusqu’ici, le forum social a été davantage un lieu de rencontre que d’action. Aujourd’hui, nous avons besoin d’un think-tank qui offre une réflexion de fond systématique, mais il faut aussi une action politique. La réunion de Porto Alegre, cette année, évoque la nécessité de déléguer certains membres du forum pour prendre des positions publiques sur des thèmes comme le climat ou la dette extérieure. Il y a aussi l’idée de Chavez de lancer une cinquième Internationale pour réunir les forces politiques de gauche. Certains n’aiment pas le mot Internationale parce qu’il est chargé du passé. On verra. Il y a donc des initiatives, mais, c’est vrai, on est encore loin d’une certaine maturité.

A 84 ans, avec l’expérience du monde qui est la vôtre, êtes-vous optimiste ?
Il faut être réaliste. Le rapport de force n’est pas encore en faveur du changement, et ce malgré les crises multiples. Mais je ne suis pas pessimiste, parce que, dans tous les pays que je parcours, je rencontre des gens qui, dans tous les domaines, réfléchissent à de nouveaux paradigmes de développement humain. Ici, en Equateur, j’assiste à une conférence sur le bien vivre, plutôt que le mieux vivre qui implique une notion d’accumulation. L’an dernier, lorsque j’ai participé à la Commission de l’ONU sur la réforme du système financier et monétaire international, présidée par Joseph Stiglitz, nous avons discuté de l’idée de développer une déclaration universelle sur le bien commun de l’humanité. Celle-ci serait basée sur un rapport plus respectueux à la nature, sur la valeur économique d’usage plutôt que d’échange, sur la démocratie généralisée à tous les rapports sociaux et sur la multiculturalité pour que le développement ne soit plus associé seulement à l’Occident. Ce serait une utopie bien sûr, mais une utopie nécessaire pour sauver l’humanité. Je suis frappé de voir que, partout dans le monde, de plus en plus de forces vives partagent cette utopie.

http://www.cetri.be/spip.php?article1535&lang=fr

Haiti: chiudiamo la baracca e passiamo ad altro

E’ passato un mese dal terremoto, tempo sufficiente per capire quale futuro si vuol dare a questo paese. Continuare con lo stesso pastrocchio oppure usare questa immane tragedia per ripensare i problemi di fondo e, per una volta, affrontarli.
Triste dirlo ma non trovo elementi per pensare che la seconda opzione sia quella vera. Cinicamente parlando, provate a chiedervi, quando siete soli, se secondo voi la popolazione di Haiti è composta di 8,5 milioni o di 8,2 milioni? Risponderete che, grosso modo, è la stessa cosa e poi cosa potete saperne se sono 8,5 o 8,2? Ecco, questa sarebbe una risposta onesta. Non lo sappiamo perché, a grandi linee, sappiamo che è un paese povero, anzi poverissimo, ma nessuno si ricorda la sua popolazione. La differenza fra 8,5 e 8,2 sono quelle trecentomila vittime di questo terremoto di cui, alla fin fine, non interessa più nessuno, a parte i diretti interessati e le loro famiglie e amici.
Adesso bisogna preoccuparsi del futuro, ricostruire, in attesa della prossima emergenza. Come vediamo anche noi in questi giorni, l’ Emergenza è un buon business e possiamo solo sperare che le pratiche della “nostra” Protezione Civile e del suo Illuminato benefattore, non siano lo specchio di pratiche diffuse anche altrove (spes ultima dea). Quindi preoccupiamoci di ricostruire Haiti: immaginatevi di ricostruire case e palazzi in un paese dove terra topograficamente facile da usare, cioè con poche pendenze, solida per poterci costruire sopra, ce n’è molto poca. E quella che c’è ha padroni occulti, nessuno o quasi ha titoli sulle proprie terre, non pensiate all’esistenza di un catasto o cose del genere. Risultato facilmente prevedibile: al non voler toccare questa variabile chiave, porterà a litigi e conflitti senza fine, con i più forti che ne approfitteranno per accaparrarsi il grosso degli aiuti per poter sfruttare ancor di più i più poveri.
Ricordatevi che se Haiti è deforestata questo lo si deve in gran parte alle pretese francesi nella prima metà dell’ottocento di farsi pagare dei “debiti-indenizzi” per le terre perdute dai proprietari francesi. Debiti immensi che obbligarono a vendere l’unica cosa possibile, il legname, dato che non potevano vendere se stessi come schiavi, essendo stata questa la ragione della lotta per l’Indipendenza.
Con questo voglio solo ricordare che noi europei abbiamo contribuito, ben prima degli americani, a creare il casino attuale. Adesso si continuerà sulla stessa strada. La reforestazione è una chimera: da sempre priorità di tutti i governi, ma (i) senza un governo che funzioni, (ii) senza un controllo sulle risorse naturali (iii) e senza soldi non si va da nessuna parte. Adesso i ricostruttori pensano di intervenire su (i) e (iii), lasciando fuori il punto (ii). Non funzionerà. Senza un’operazione seria e profonda sulla questione fondiaria, fra pochi anni saremo qui a riparlare di Haiti e del perché la ricostruzione non ha funzionato. E sperando che gli uragani estivi non arrivino puntuali come l’anno scorso, a completare l’opera (da giugno in poi).
Perché non intervengono sulla questione delle terre mi direte voi? Terra è potere e tutti (europei, americani, cinesi, brasiliani...) hanno paura di toccare questo tema perché lì si trovano ancora gli interessi di quelle elite che sostengono i poteri forti di questi paesi. Nessuno dei governi che “aiuta” Haiti, e sfortunatamente non sembra nemmeno le nazioni unite, hanno il coraggio di andare a mettersi su quei temi lì. Sembra che il ministro dell’agricoltura pochi giorni fa abbia ricordato che è questo il problema centrale.. ma non mi pare che ci fossero troppe orecchie ad ascoltare….

venerdì 12 febbraio 2010

Ottavo libro 2010: Vite bruciate - Dominique Manotti



Tropea Editori, serie I Narratori, 2009

Il titolo originale del nuovo romanzo di Dominique Manotti è Lorraine connection, collegandolo inequivocabilmente con un comportamento di tipo mafioso, se interpretiamo la parola mafia con il significato ampio che gli dà il Petrocchi, di “unione di persone di ogni grado e di ogni specie che si danno aiuto nei reciprochi interessi, senza rispetto né a leggi, né a morale”.Perché è di questo che si tratta, anche se l’inizio ci parla di ‘morti bianche’ per incidenti sul lavoro: in una piccola fabbrica, una filiale della Daewoo in Lorena, una giovane incinta muore fulminata da una scarica elettrica. Un’amica, Rolande, pure lei alla catena di montaggio, molla un ceffone al caporeparto che cerca di minimizzare - viene licenziata immediatamente. Da questo momento il ritmo si fa serratissimo: inizia la protesta, anche perché si diffonde la voce che i premi che gli operai aspettano non verranno dati, sciopero, occupazione, sequestro dei dirigenti. Finché un incendio distrugge uno dei capannoni e il capro espiatorio viene individuato ad arte nel capo degli scioperanti. Nessuno sottolinea il fatto che il capannone incendiato è quello in cui si trovavano i computer con la documentazione relativa alla fabbrica. E, guarda caso, la persona che aveva detto di aver visto gli incendiari muore in un ‘incidente’. E si dà pure il caso che siano i giorni risolutivi per l’acquisto della molto ambita Thomson (che traffica in armi e in multimedia) da parte del miglior offerente. Quale? Alcatel o Daewoo-Matra?

Per chi segue l'attualità economica, legge i giornali e si interessa di cose al di là del proprio naso, questo racconto non suona nuovo. Ma ti prende allo stomaco, quasi un pugno, come quel freddo pungente, interno, che senti quando d'inverno giri su nella nostra pianura Padana. I risvolti più neri di un capitalismo di rapaci, banditi e affaristi, la degradazione delle condizioni del lavoro manuale, la bassezza e viltà umana... ecco tutto questo è descritto con mano d'autore.

Alla fine ne esci con un senso di amaro in bocca .. ma con una voglia di dire brava! a Dominique. Gran bel libro.

martedì 9 febbraio 2010

Pourquoi l'Italie est-elle à l'abri du terrorisme islamique

Ben Laden a déclaré : "Il est très difficile de faire un attentat en Italie". En réalité, certains documents des Services Secrets Italiens, dont le contenu a été récemment révélé, ont permis d'affirmer que Ben Laden a déjà essayé, il y a quelque temps, d'organiser un attentat en Italie.
Deux terroristes, en provenance d'un pays du Moyen-Orient, sont arrivés à Naples avec la ferme intention d'exécuter le châtiment d'Allah pour les italiens infidèles. Voici comment cela s'est déroulé...

Dimanche 23'47
Ils arrivent à l'aéroport international de Naples, en provenance d'Istanbul. Ils sortent de l'aéroport après huit heures, car on a égaré leurs valises. La société de gestion de l'aéroport n'assume pas la responsabilité de la perte et un employé conseille alors aux terroristes de repasser le lendemain : "qui sait, avec un peu de chance..."
Ils prennent alors un taxi. Le conducteur (qui travaille au noir, sans licence officielle) les regarde dans le rétroviseur et, voyant qu'ils sont étrangers, les promène dans toute la ville pendant une heure et demi. Voyant qu'ils ne se plaignent pas, juste après que le compteur ait indiqué 200 euros, il décide de leur faire un sale coup. Arrivé au rond-point de Villarica, il s'arrête et fait monter un complice. Après les avoir volés et roués de coups, ils les abandonnent, inanimés, dans le quartier 167.

Lundi 04'30
A leur réveil, après un passage a l'hopital, les deux terroristes réussissent à rejoindre un hôtel dans la zone de Piazza Borsa. Ils décident donc de louer un voiture chez Hertz, à Piazza Municipio. Ils se dirigent alors vers l'aéroport, mais juste avant d'arriver à Piazza Mazzini, ils restent bloqués dans une manifestation d'étudiants, d'anti-mondialistes en blouse blanche et de chômeurs napolitains, qui ne les font pas passer.

Lundi 12'30
Ils parviennent finalement à Piazza Garibaldi. Ils décident de changer leurs devises.... Leurs dollars sont alors changés en faux billets de 100 euros.

Lundi 15'45
Ils arrivent à l'aéroport de Capodichino avec la ferme intention de détourner un avion pour le précipiter sur les tours de l'ENEL du "Centro Direzionale".
Mais les pilotes d'ALITALIA sont en grève car il réclament le quadruplement de leur salaire et de réduire leur temps de travail. Même chose pour les contrôleurs aériens, qui exigent la machine à poinçonner pour tous ("sinon, quels foutus contrôleurs sommes-nous?!" ont-ils déclaré).
Le seul avion disponible sur la piste est un avion de la MARADONA AIRLINES dont la destination est Alghero (en Sardaigne) et il a 18 heures de retard.
Les employés et les passagers campent dans la sale d'attente... et se mettent à brailler des chants populaires... et entonnent des slogans contre le gouvernement et les pilotes! La hommes de la Sécurité Aéroportuaire arrivent et commencent à frapper tout le monde à grands coups de gourdins, à droite et à gauche, et s'acharnent en particulier sur les deux arabes.

Lundi 19'05
Finalement, les choses se tassent. Les deux fils d'Allah, couverts de sang, s'approchent du comptoir de MARADONA AIRLINES pour acheter des billets pour Sassari, s'emparer de l'avion et le précipiter contre les tours de l'ENEL. Le responsable de MARADONA AIRLINES qui leur vend les billets, ne dit pas que le vol, en réalité, a déjà été supprimé.

Lundi 22'07
A ce moment-là, les terroristes discutent pour savoir s'ils doivent poursuivre ou non... Ils ne savent pas si détruire Naples est un acte de guerre ou plutôt de
charité...

Lundi 23'02
Morts de faim, ils décident de manger quelque chose au restaurant de l'aéroport. Ils commandent un sandwich "omelette, moules et pépéronade".

Mardi 04'35
En proie à une salmonellose foudroyante provoquée par l'omelette, ils finissent à l'Hôpital Cardarelli, après avoir attendu toute la nuit dans le couloir des urgences. La chose n'aurait pas duré plus de deux jours, si le choléra provoqué par les moules ne s'était pas déclaré.

Dimanche 17'20
Ils sortent de l'hôpital après douze jours et se retrouvent dans les parages du Stade San Paolo. L'équipe de Naples a perdu à domicile contre le Palermo 3 à 0, grâce à deux penalties accordés à l'équipe sicilienne par l'arbitre Concettino Riina de Corleone. Une bande d'ultras napolitains, voyant les deux à la peau basanées, les prennent pour des supporters du Palermo et leur filent une s rouste. Le chefs des ultras, un certain "Peppo u Ricchione" ("Peppo la Tarlouze"), abuse sexuellement d'eux.

Dimanche 19'45
Finalement les ultras s'en vont. Les deux terroristes décident de se saouler pour la première fois de leur vie (même si c'est pêché!). Dans une gargote de la zone portuaire, on leur refile du vin coupé avec du méthanol et les deux retournent à l'hôpital Cardarelli pour intoxication. On leur découvre aussi la séropositivité au virus HIV (Peppo ne pardonne pas!).

Mardi 23'42
Les deux terroristes fuient l'Italie en radeau, direction la Libye, à moitié aveugles à cause du méthanol ingéré et avec une bonne douzained'infections dues au virus HIV. Ils jurent devant Allah qu'ils ne tenteront jamais plus rien contre notre beau pays chéri. Viva l'Italia !!

lunedì 8 febbraio 2010

Haiti.. basta chieder soldi....

Scusate ma.. alla fine non se ne puó piú... la quantitá di richieste di soldi per Haiti é impressionante... personalmente credo sarebbe piú opportuno andarci con calma e ragionare sulle prioritá.. l'impressione é che tante organizzazioni si buttino alla richiesta immediata di fondi perché i primi giorni sono i migliori.. la gente é piú sensibile... e quindi meglio mettere in cassetta soldi per azioni che, nell'immediato, non sono ancora chiare. La capacitá di assorbimento degli aiuti da parte di Haiti é limitata, non si potrá fare tutto allo stesso tempo, e soprattutto, se non si affrontano alcune questioni centrali, il rischio é di ricostruire sulla sabbia, per cui fra pochi anni ci si ritroverá qui a chiederci il perché di un ripetersi infinito di questi problemi in questo paese.

La deforestazione é un problema fortissimo, che fa sí che non appena arriveranno gli uragani questa estate (ne hanno avuti 4 l'anno scorso, uno peggio dell'altro!) verranno giú le montagne e la poca terra buona. Ma per affrontare la deforestazione bisogna ricordarsi innanzitutto che questa ha origini lontane... bisognerebbe andare a chiederlo a Parigi, quando hanno deciso di chiedere dei rimborsi altissimi al momento di accettare l'indipendenza del paese. Non hanno deforestato per il gusto di farlo, ma per vendere il legnamo per pagare i debiti. Poi, ricordatevi sempre che sotto gli alberi c'é sempre la terra (e i diritti per usarla). Questo tema non si vuol affrontarlo, malgrado le mie insistenze. Dato che non voglio passare per un "fissato", piú di dirlo a chi di dovere non penso fare. Ma se non se ne approfitta adesso, mi chiedo cosa si pensa potranno fare le mighliai di persone che tornano in campagna per fuggire dalla capitale, a che terre potranno aver accesso... e chi beneficierá di questi aiuti in campagna? sempre le solite famiglie o si vuol democratizzare un po' il paese? Dar soldi é la soluzione piú facile.. ma non crediate si risolva cosí facilmente. Bisogna entrare nel gioco politico, e qui tutti i governi che rpetendono aiutare e dare lezioni (pensate al nostro, cosí per fare un esempio) al di lá di mandare i Bertolaso della situazione o le portaerei, dovrebbero consultarsi con gli altri partners e trovare il coraggio di metter sul tavolo le questioni di fondo. E vedrete che la questione fondiaria tornerá a far parlare di sé.. che lo vogliano o meno....

Ricetta di Federica: marmellata di zucca

se volete saperne di piú cercate Federica Riscaldati su facebook.... qui possiamo solo dirvi che l'abbiamo provata sabato ed era ottima... da fare invidia...

1 Kg. di polpa di zucca gialla
800 gr. di zucchero
aroma di vaniglia
succo di limone
cognac o brandy

Preparazione
Tagliate la polpa a pezzetti molto piccoli; portate ad ebollizione ½ litro d’acqua con 800 gr. di zucchero. Fate cuocere il composto a fiamma molto bassa, mescolando continuamente, fino ad ottenere una mistura densa ed omogenea.
Unite la zucca gialla, il succo di limone, 1 cucchiaio di vaniglia e proseguite la cottura a fiamma moderata, premurandovi di mescolare bene per circa 40’. Incorporate alla marmellata 4 cucchiai di cognac, girate ben bene e versatela ancora calda in barattoli di vetro sterilizzato; chiudete ermeticamente e capovolgete.

sabato 6 febbraio 2010

Letture consigliate degli anni scorsi: La nevicata dell'85 - Colaprico -Valpreda


Pietro Valpreda fece in tempo a scrivere tre libri, assieme a Piero Colaprico, col maresciallo Binda come protagonista. Questo è il secondo. Poetico, semplice, ci porta nel quartiere di Baggio, a Milano, con una storia forse non vera, ma molto verosimile. Valpreda morì nel 2002, qui sotto riportiamo un pezzo di un articolo apparso all'epoca.

Milano, inverno 1985. Un'eccezionale nevicata, che sembra non finire mai, seppellisce la città. L'ex maresciallo dei carabinieri Pietro Binda non si accontanta di godersi la pensione e ha deciso di mettere a frutto la sua esperienza alla sezione Omicidi collaborando con uno studio legale. Un giorno una giovane procuratrice gli chiede aiuto: suo nonno è morto per aver fatto abuso di medicinali ma lei non riece a farsene una ragione e sospetta che possa essere stato ucciso. Binda, molto scettico, accetta di indagare, anche per sconfiggere l'apatia in cui è piombato dopo la morte della moglie Rachele e la partenza del figlio per l'Inghilterra. Sistemato un fax in casa, l'ex maresciallo incomincia così la sua attività di investigatore privato.

L'ultimo saluto a Pietro Valpreda, il «ballerino anarchico» ingiustamente accusato della strage di piazza Fontana.
Mettetemi un po' di musica e morta lì». I compagni anarchici del Ponte della Ghisolfa hanno rispettato il desiderio di Pietro Valpreda di non farla tanto lunga, quando il momento sarebbe arrivato.Il momento è arrivato sabato sera, quando il «ballerino anarchico», il capro espiatorio costruito a tavolino e ingiustamente perseguitato per la strage di piazza Fontana, il venditore di libri, l'oste che mesceva vino e storie, lo scrittore a quattro mani di gialli è morto nella sua abitazione in via Paolo Sarpi a 69 anni per un tumore. Un po' di jazz, Addio Lugano bella e altre canzoni anarchiche suonate dal vivo dalla Banda degli ottoni hanno accompagnato l'ultimo saluto a Pietro Valpreda. Condiviso da più di duemila persone, dall'ottantenne diritto come un fuso in completo grigio che conosceva «la Cederna» al punkabestia in canottiera, una dozzina di anellini infilzati nella labbra, casetta per il cane montata sulla bici.

Letture consigliate degli anni scorsi: L'élegance du herisson - Muriel Barbery


Bien que très douée et d'une immense culture générale, acquise en autodidact en fréquentant les bibliothèques, Renée, cinquante-quatre ans, a décidé de vivre cachée sous les dehors de la concierge niaise et inculte que les habitants du 7, rue de Grenelle croient connaître. C'est donc en clandestine qu'elle lit du Proust, que son chat s'appelle Léon en référence à Tolstoi et qu'elle emprunte des livres de philosophie à la bibliothèque universitaire du quartier. Aucun de ces « riches suffisants » ne doit penser que sous ses airs de concierge revêche se cache une intelligence brillante et une personne cultivée.


Alors que la critique s'y intéresse très peu à ses débuts, ce roman fut la surprise éditoriale de l’année 2006 : il a connu en effet plus de 30 réimpressions et s’est vendu à plus d'un million d'exemplaires, occupant la première place des ventes trente semaines de suite et traduit en 34 langues.

Letture consigliate degli anni scorsi: Rio das flores - Migue Sousa Tavares


A história de uma família latifundiária alentejana ao longo de 30 anos, com o Alentejo, Espanha e Brasil como cenário, é contada por Miguel Sousa Tavares em "Rio das Flores", o seu segundo romance, lançado ontem à noite em Lisboa.


Se avete già letto Ecuador, adorete anche questo libro, altrimenti se ci arrivate per altre strade casuali, vi lascerete prendere, dalla prima all'ultima pagina. Meglio leggerlo in portoghese (se potete) perchè se la traduzione italiana è come quella di Ecuador.. buona notte.. cerano tanti di quegli errori da far passar la voglia di leggere. Metto qui sotto una nota di un lettore portoghese...


o Miguel Sousa Tavares escritor parece outra pessoa, quando o ouço mudo de canal, quando o leio espero que o livro nunca acabe, porque é mesmo uma mente brilhante, dentro da literatura portuguesa só o posso comparar a Eça de Queiroz, o único romancista português que eu devorei até à exaustão. Em tudo o que leio, por norma adoro espreitar o fim, este não foi excepção à regra, não percebi nada e ainda bem, porque tal como no Equador o fim é mesmo inesperado. Sosseguem não o vou contar, mas realmente ele consegue prender o leitor mesmo até à ultima linha, à ultima palavra, e quando dei comigo até a bibliografia de consulta do autor estava a ler. Brilhante, volta Miguel, estás perdoado. Rio das Flores é uma narrativa fiel (ou quase) de Portugal, Espanha e Brasil da primeira metade do sec. XX.

Letture consigliate degli anni scorsi: L'amore del bandito - Massimo Carlotto

edizioni E/O
collana Noir mediterraneo


Un grande Carlotto. Adoro i suoi libri per cui vi consiglio di leggerlo.

2004. Dall'Istituto di medicina legale di Padova spariscono 44 chili di droga pesante. Criminalità organizzata da un lato e forze dell'ordine dall'altro si scatenano. L'Alligatore riceve pressioni per indagare e scoprire l'identità dei responsabili del furto. L'investigatore senza licenza non ci sta ma a certa gente non basta dire di no. Due anni più tardi scompare Sylvie, la donna di Beniamino Rossini, la danzatrice del ventre franco-algerina che lui aveva conosciuto anni prima in un night del Nordest. Il vecchio gangster non si dà pace e la cerca ovunque. Ben presto l'Alligatore, Beniamino Rossini e Max la Memoria si ritrovano braccati da un nemico misterioso che li ricatta e li costringe a entrare in un gioco mortale. 2009. La storia non è ancora finita. E l'Alligatore e i suoi amici sono ancora in pericolo e attendono la prossima mossa del loro temibile avversario. Una storia di malavita, un noir in cui si intrecciano i destini dei vecchi e nuovi gangster in un mondo dove le regole di un tempo non esistono più. Solo il passato torna sempre a chiedere il conto.

mercoledì 3 febbraio 2010

Settimo libro 2010: Le Cantique de l'apocalypse joyeuse - Arto Paasilinna

Gallimard, Folio - 2009

Un colpo di follia di Paasilinna. Così diverso dagli altri suoi libri, una testimonianza di un amore fortissimo nella natura e nell'uomo.
Non deve amare troppo l'Unione Europea, date le (continue) critiche (velate e non) che si leggono nel racconto.
Un consiglio: armatevi di un lessico del buon falegname e del buon pescatore, perchè sono moltissimi i termini tecnici. Bello, surreale, da passare un pomeriggio vicini al fuoco con un buon bicchiere di Amarone, come mi è capitato leggendolo in aereo ieri notte.


Au XXIe siècle, la Troisième Guerre mondiale est sur le point d'éclater. Toutefois, dans les forêts du Kainuu, dans l'est de la Finlande, un havre de paix et de prospérité existe. Un vieux militant communiste a chargé son petit-fils Eemeli Toropainen de construire sur ses terres une église en bois copiée sur un modèle du XVIIIe siècle. Aux alentours, la communauté vit selon le bon sens paysan.

lunedì 1 febbraio 2010

l'ultimo dei Mohicani

Sto finendo di scrivere le mie note di questi giorni e i commenti dopo la riunione col governo di questo pomeriggio. Sono contento dentro di me perché credo che il messaggio principale sia passato. Dopo 27 anni di lavoro nella riforma agraria (dal lontano 1983 in Nicaragua) sono ancora qui, resistendo contro venti e maree, a mantenere aperta questa tematica dentro un'organizzazione che ne farebbe volentieri a meno. L'ultimo dei Mohicani, indianiche non piacciono a molti, governi che non mi vogliono, cosa strana anche certi governi di "sinistra", organizzazioni internazionali che, in tutti questi decenni, non hanno mai trovato l'occasione per chiedermi di sedermi con loro per discutere delle nostre visioni diverse. E in tutto questo il riconoscimento che viene dalla gente piú semplice, dai contadini e contadine con cui hai lavorato in tanti anni, colleghi di ufficio che non cercano la ribalta come molti altri, ma che ti appoggiano e chiedono che venga Paolo Groppo quando si tratta di toccare questi temi.

Molti hanno paura di parlare di terra e riforma agraria, ancor meno quando si tratterá di parlare di territori indigeni. Paura di dispisacere a governi che poi sono quelli che hanno il potere, che possono fermare la tua carriera.. e quindi a volte ti chiedi.. ma chi te lo fa fare? Il dialogo con i movimenti sociali, ma anche con gli altri settori é una cosa lunga, complicata, che difficilmente puoi rendere visibile come quando costruisci una strada o una fabbrica.. non ci sono bandiere da piantare.. poca visibilitá.. bisogna metterci poca ideologia, molta pazienza e sentirsi realmente al servizio degli altri. Se cerchi di far carriera non metterti nel tema terra e riforma agraria o anzi magari sí, ma allora mettiti con quelli che contano.. cioé dall´altra parte.

Chisasá se fra i "miei" giovani sta crescendo la stessa miscela di rabbia, libertá e fantasia - le tre parole chiave che ho sempre detto loro, scherzosamente, che definiscono cosa sono. Parole prese da una canzonetta, cosí per non prendersi troppo sul serio. Ma credo che siano quelle che meglio riflettono lo stato d' animo necessario: rabbia, che ti deve venire dalle trippe, dall'aver visto cosa significa la povertá nei campi; libertá per non sentirti ingabbiato dentro visioni ideologiche di una parte o dell'altra, ma avere la tua forza per costruire fra buone letture, discussionie lavoro di terreno, e finalmente fantasia.. la cosa piú importante... da non lasciare mai...

Sesto libro 2010: Il Testamento di Nobel - di Marklund Liza



Marsilio Editore

Un libro che ti prende in modo impalpabile. Entri dentro poco a poco e ti lasci prendere ... magari non ti piace troppo questa Annika, ma pian piano ti rendi conto che é la vita vera quella che viene raccontata, e cosí scopri un altro angolo di questa Scandinavia que questi autori di gialli ci stanno facendo conoscere. Non dico amare, perché forse a noi italiani, in un contesto cosí di freddo e poca luce, poi ci vien la malinconia. Consigliato.



Mancano poche settimane a Natale e al municipio di Stoccolma si festeggiano i premi Nobel. Inviata della Stampa della Sera, anche Annika Bengtzon partecipa al ricevimento, e mentre segue gli ospiti nelle danze, da cronista a caccia di notizie diventa testimone chiave di omicidio: la musica è interrotta da due spari, e il premio per la medicina cade a terra seguito dalla donna che balla con lui, colpita al cuore. Costretta al silenzio stampa, Annika non si lascia intimidire e decide di seguire comunque le indagini e scavare nel mondo della ricerca scientifica, dominato da logiche dettate da gelosia, avidità e sete di potere. La sua inchiesta la porta sulle tracce di un misterioso testamento lasciato da Alfred Nobel, l'uomo che desiderava promuovere la pace e il progresso, e che, per ironia della sorte, con il suo lascito sembra continuare a suscitare rivalità, violenza e morte. Sempre attenta alle dinamiche sociali, Liza Marklund è tra gli autori di genere scandinavi più affermati e di successo, la sua eroina Annika Bengtzon una vera protagonista dei nostri giorni. Professionista ambiziosa che non cede a compromessi, Annika è anche una madre e una donna, che come tutti diventa insicura quando si muove nel territorio confuso dell'amore e dell'amicizia e mostra i suoi lati più teneri e umani nella sua lotta alla ricerca di un equilibrio tra lavoro e famiglia.

Caracas (7) pensando a Chichiriviche

Un giorno forse torneró in Venezuela da turista, ed allora andró a visitare questa spiaggia nello Stato Falcón: Chichiriviche.. bel nome no?

Intanto stiamo tirando le conclusioni, oggi ultimo giorno pieno, scrittura, discussioni e presentazioni. Girando per Caracas in macchina vedo che almeno su un paio di strade ci sono delle grandi pubblicitá. Ma si conferma che ne esistono poche in geenrale, per decisione politica, per evitare la contaminación e ridare alle cittá e paesi la loro vista originaria. A noi fa un po´effetto perché siamo abituati a vedere la pubblicitá dappertutto.. e cosí, senza nulla, ci sembra strano.

Chiudo la missione senza aver mai mesos un piede fuori dall'albergo. E´un paese bello, sicuramente, ma il petrolio lo ha ammazzato. Troppa ricchezza (per pochi) nei decenni scorsi, hanno fatto sí che il miraggio urbano, le luci, le strade, negozi etc. attirassero la gente in cittá. Il resto lo ha fatto una oligarchia agraria che si é presa molte delle terre pubbliche, perlomeno quelle buone perché le terre di cattiva qualitá non le vuole nessuno. Cacciati via dal campo, oggi resta un misero 7% di gente nel campo. Vuol dire che una volta usciti da Caracas, ti restano solo qualche grande cittá, ma per il resto é un grande deserto, verde e non solo.
Ieri é stato annunciato dal Presidente che nel delta dell'Orinoco avrebbero scoperto la piú gran riserva di gas naturale del mondo. Roba da far schizzare il paese al 4.o post mondiale dei paesi produttori. Chissá che ne pensa l'ecosistema locale... e comunque sempre promesse.. in giro si vede gente stanca di promesse... dovrebbero rendersene conto... ascoltare di piú... ma questo é giá un altro discorso.