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mercoledì 30 giugno 2010

Famiglia Cristiana: "Brancher, ministro del nulla"


certo che se lo dice anche Famiglia Cristiana.. come dicono dalle mie paerti.. ma non c'é piú religione... :-))


Roma, 29-06-2010
Nell'editoriale di questa settimana, firmato da Beppe Del Colle, Famiglia Cristiana interviene sul caso sollevato dalla nomina a ministro di Aldo Brancher.
"Siamo arrivati al colmo della nomina di un 'ministro del nulla', in funzione dell'ennesima legge 'ad personam' per sottrarre i politici alla giustizia, mentre si tradisce la Costituzione sui temi della legge uguale per tutti, della libertà di stampa e dei fini sociali in tema di economia di mercato", scrive Del Colle.
E continua: "Al Parlamento non si chiede di discutere, ma solo di approvare le decisioni del governo; la maggioranza è divisa su tutto, tranne che sull'ossequio devoto (almeno a parole) al capo del governo". Che differenza con la politica di alcuni anni fa, rimarca il settimanale.

Ventinovesimo libro 2010: Da zero a infinito - John Barrow

Da zero a infinito.La grande storia del nulla
editore Mondadori collana Oscar Quark

Che cos'è il nulla? La risposta è tutt'altro che univoca. La storia del nulla è un seguito di metamorfosi che lo vedono stretto in una rete da cui ha cercato di liberarsi per diventare entità autonoma e incidere sul sistema logico di volta in volta dominante. Ogni tentativo di espellerlo è valso soltanto a creare ostacoli allo sviluppo del pensiero. Ci sono voluti millenni, ma una volta aperta, la strada si è rivelata ricca di scoperte. I primi a dichiarare l'esistenza dello zero sono stati gli indiani, nel Il secolo a.C., che hanno potuto farlo in quanto il concetto di «non essere» rientrava nella loro filosofia mistica. Escluso dalla filosofia greca e dalla tradizione giudaico-cristiana, perché considerato una mina vagante capace di scompaginare la logica e l'intera visione del mondo, il nulla come zero fu introdotto in Europa soltanto nel X secolo a opera di Gerberto d'Aurillac, eletto papa nel 999 col nome di Silvestro II. Poi ci vollero ancora seicento anni perché il sistema posizionale indo-arabo completo di zero si imponesse in tutto l'Occidente. Ma l'ostilità continuò, senza peraltro impedire che l'insieme vuoto e il vuoto quantistico facessero la loro comparsa, sia pure mille anni dopo la svolta di Gerberto. Dalla nascita delle geometrie non euclidee a oggi il valore zero si è rivelato sempre più fertile, con le straordinarie implicazioni che in queste pagine John D. Barrow descrive magistralmente e che le recenti osservazioni astronomiche di oggetti come le supernovae e i buchi neri ci confermano. "Da zero a infinito, la grande storia del nulla" è un libro affascinante, in cui, protagonista il nulla, si ripercorre la vicenda molteplice delle scienze e delle filosofie. Una vicenda alla quale, come vedremo, hanno contribuito filosofi, commercianti, mistici, agnostici, poeti e popoli dell'est e dell'ovest, e che produce sempre nuovi scenari per la comprensione del mondo.

dire che l'ho letto é corretto.. dire che sono arrivato a capire il senso compelto.. onestamente no. Ci vogliono piú delle mie limitate capacitá matematiche e filosofiche per arrivare in fondo a questo libro. Peró vale la pena provarci, arrivare fin dove si puó e poi riprenderlo in mano anni doo.... quindi intanto lo metto qui.. poi vedremo.

Ventottesimo libro 2010: Chi ha paura muore ogni giorno. I miei anni con Falcone e Borsellino - Giuseppe Ayala

Mondadori (collana Ingrandimenti)

da leggere, assolutamente


Sono passati quindici anni dalla terribile estate che, con i due attentati di Punta Raisi e di via d'Amelio, segnò forse il momento più drammatico della lotta contro la mafia in Sicilia. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino restano due simboli, non solo dell'antimafia, ma anche di uno Stato italiano che, grazie a loro, seppe ritrovare una serietà e un'onestà senza compromessi. Ma per Giuseppe Ayala, che di entrambi fu grande amico, oltre che collega, i due magistrati siciliani sono anche il ricordo commosso di dieci anni di vita professionale e privata, e un rabbioso e mai sopito rimpianto. Ayala rappresentò in aula la pubblica accusa nel primo maxi-processo, sostenendo le tesi di Falcone e del pool antimafia di fronte ai boss e ai loro avvocati, interrogando i primi pentiti (tra cui Tommaso Buscetta), ottenendo una strepitosa serie di condanne che fecero epoca. E fu vicino ai due magistrati in prima linea quando, dopo questi primi, grandi successi, la reazione degli ambienti politico-mediatici vicini a Cosa Nostra, la diffidenza del Csm e l'indifferenza di molti iniziarono a danneggiarli, isolarli. Per la prima volta, Ayala racconta la sua verità, non solo su Falcone e Borsellino, che in queste pagine ci vengono restituiti alla loro appassionata e ironica umanità, ma anche su quegli anni, sulle vittorie e i fallimenti della lotta alla mafia, sui ritardi e le complicità dello Stato, sulle colpe e i silenzi di una Sicilia che, forse, non è molto cambiata da allora.

El disidente Fariñas, en estado crítico


da El Pais di ieri 29 giugno


El disidente cubano Guillermo Fariñas se encuentra en estado crítico después de 126 días en huelga de hambre. En las últimas horas, su estado de salud se agravó seriamente debido a una infección hospitalaria y a complicaciones hepáticas, a lo que se añade que acaban de descubrirle un coágulo en la yugular, algo que pudiera ser fatal por el riesgo de trombosis, según Ismeli Iglesias, su médico de cabecera. "Su estado es grave, crítico, pero hay que esperar", ha dicho a este diario la madre de Fariñas, Alicia Hernández, desde la sala de cuidados intensivos del hospital de Santa Clara donde está ingresado su hijo desde el 11 de marzo.


Fariñas, de 48 años, comenzó su protesta el 24 de febrero, un día después de la muerte del preso político Orlando Zapata Tamayo, fallecido tras realizar una huelga de hambre de 85 días. Desde entonces, no come ni bebe, si bien permite que le alimenten e hidraten por vía parenteral y también recibe tratamiento médico sistemático. Ya ha superado otras crisis e infecciones en las últimas semanas, pero cada vez la situación es más delicada, indica su madre, que es enfermera de profesión.

Fariñas demanda la excarcelación de 26 presos políticos enfermos, aunque ha dicho que estaría dispuesto a abandonar su ayuno si son liberados los 10 o 12 más graves, con la condición de que el Gobierno y la Iglesia católica se comprometan a un elaborar un calendario para excarcelar al resto con posterioridad. Hasta el momento, la mediación de la jerarquía católica ante el Gobierno de Raúl Castro ha logrado la excarcelación del preso de conciencia parapléjico Ariel Sigler Amaya, así como el trasladado de otros 12 opositores a cárceles cercanas a sus lugares de residencia. La Iglesia afirma que más presos pueden será liberados en breve gracias al diálogo abierto con el régimen, pero para Fariñas hasta ahora esto no ha sido garantía suficiente. "Si los presos enfermos no son liberados, continuaré hasta el final", dijo en su última conversación con este diario, hace una semana.

Según Iglesias, en los últimos tres días el estado del disidente se "ha ido complicando cada vez más" y en cualquier momento puede llegarse a una situación de no retorno. Fariñas ha adelgazado más 20 kilos, tiene constantes dolores de cabeza y en las articulaciones, está muy hinchado y se le ha descubierto una infección por estafilococos, adquirida a través de un catéter, motivo por el que ya esta siendo tratado con antibióticos. Desde hace cuatro días no esta recibiendo alimentación parenteral, y los médicos le prohibieron hablar por teléfono y moverse para evitar que el coagulo en el cuello produzca un trombo, eventualidad que podría ser fatal. "Ha pasado de un estado grave-estable a un estado grave-crítico", ha dicho Alicia Hernández, que pese a todo trata de mantener la calma.

Otros médicos consultados por este diario aseguran que la vida de Fariñas corre peligro aunque empiece a comer, pues el daño a su organismo es tal -en los últimos 15 años el opositor ha realizado más de 20 huelgas de hambre, una de ellas de siete meses- que su metabolismo puede colapsar en cualquier momento.

El agravamiento de la salud de Fariñas se produce en un momento muy especial, cuando la inédita mediación de la Iglesia católica cubana ante Raúl Castro parece avanzar y hay grandes expectativas de que el "proceso" abierto conduzca a la excarcelación de un importante número de presos políticos. Sin duda, un desenlace trágico del caso Fariñas sería un duro golpe a estos propósitos; el Gobierno ha dicho que no acepta "chantajes", y varios opositores ya han anunciado su voluntad de "tomar el relevo" de Fariñas si este muere. Ante el dilema, muchos se inclinan por esperar y rezar.

martedì 29 giugno 2010

continuando quello del 18 giugno: ma in che pease viviamo?

Credo non valga nemmeno la pena fermarsi sulla Federica Gagliardi, l'ultima (per il momento) di una lunga lista di ragazze che scortano il nostro amato premier dovunque egli vada. Nemmeno sul Brancher di turno (Brancher è stato il primo dirigente berlusconiano a finire in prigione durante quel buio periodo della storia italiana che fu tangentopoli. Era il giugno del 1993 e i magistrati del pool di Milano lo arrestarono per aver portato – in occasioni diverse – due valigette con dentro 150 milioni l’una al segretario dell’allora ministro della Sanità De Lorenzo: il ministero aveva infatti stanziato circa 40 miliardi per una campagna di spot sulla lotta all’Aids. ma una buona parte di quei soldi era andata alla Fininvest, sempre in prima fila nella pubblicità progresso. Nel buio della cella, Brancher fu illuminato dalla visita di Cesare Previti, che non era il suo avvocato, ma si fece passare come “assistente processuale” – una specie d’apprendista – del vero legale di Brancher, Daria Pesce. Interrogato dai magistrati, Brancher ammise di aver portato 300 milioni a De Lorenzo, ma rifiutò di applicare all’elargizione la fastidiosa definizione di “tangente”. Il suo stoico silenzio su presunte attività illegali del gruppo Berlusconi gli meritò il soprannome di “Greganti della Fininvest”, in ossequio ad un altro celebre imputato. Al processo, Brancher fu condannato a 2 anni e 8 mesi di carcere per violazione della legge sul finanziamento ai partiti e falso in bilancio. Rimesso in libertà, mise a frutto le sue doti di uomo che sa soffrire in silenzio, offrendosi come trait d’union tra Forza Italia e Umberto Bossi). Nemmeno sulla Scajola che i suoi mesi di prigione se li é fatti tutti.

Insomma, un titolo di merito per andare a lavorare con questo governo e questa gentaglia sembra essere quello di esser passati per le prigioni.

Quindi la notizia appena arrivata, condanna anche in appello di Marcello dell'Utri a 7 anni di galera (dopo i 9 presi in primo grado), di fatto fanno di lui un supercandidato, non solo a carichi mibnisteriali ma, se tanto mi da tanto, a un Superminisaterio o addirittura alla Presidenza del Consiglio non appena SuperSilvio lascerá il posto per qualche altra carica piú alta (o, a sua volta, per visitare Regina Coeli).

Facciamo i nostri migliori auguri al Sr. dell'Utri per la brillante carriera che lo aspetta, tanto siamo sicuri che in galera non ci passerá nemmeno un giorno.

venerdì 25 giugno 2010

Italia Slovacchia 2-3: aveva ragione Fantozzi

Questa squadra è una Merdaccia. Metafora dell’Italia berlusconiana: vecchia, chiusa in se stessa, senza idee e paurosa. Forse pensavano che continuando a guardare al passato (Lippi, Cannavaro e co.) si potesse imbrogliare come fanno con il paese: solo che non si possono manipolare le immagini della partita e nemmeno il risultato finale. Non è stato possibile mandare un Comunicato della Presidenza del Consiglio per cancellare il risultato e il mesto ritorno a cassa. Non è possibile stavolta dare la colpa agli arbitri politicizzati e comunisti, che appoggerebbero un paese ex-socialista come la Slovacchia.

Abbiamo perso perché fuori dai confini non si puó applicare la regola dell’imbroglio permanente, cosí cara al Cavaliere. La palla è rotonda ed anche ste nazionali cosí male in arnese come la Nuova Zelanda e la Slovacchia hanno il diritto di provarci; se poi trovano davanti un’armata brancaleone che non sa da che parte mettersi in campo, vuol dire che il re è nudo. Siamo alla frutta, anche se pervicacemente si cerca di nasconderlo in tutti i modi.

Apri il giornale oggi e ti trovi tute le conferme. Baste vedere il trucco del come affrontare la crisi (che prima il ministro Tre Carte ha negato per anni), con il mantra “non aumenteremo le tasse”: facile, basta ridurre i trasferimenti alle regioni e comuni che si trovano in braghe di tela e quindi il risultato è lo stesso: toccherá a loro, regioni e comuni aumentare le tasse, ma non sará stata colpa di TreCarte e Berlusca. Tanto quelli della Casta non gliene frega nulla di quello che succede sotto: Brancher, quello che portava le mazzette ai socialisti e liberali (300 milioni a testa, mica noccioline, vedete l’articolo in prima pagina di Repubblica di oggi a firma di Giuseppe d’Avanzo), e per questo indagato all’epoca di mani pulite, la prima cosa che fa appena riesce a farsi nominare ministro è di togliersi di torno i giudici che ronzavano troppo vicini a lui.

Leggete poi di quell’altro, presidente della Authority per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), Giancarlo Innocenzi, che si fa beccare al telefono con quello di Arcore che gli ordina di chiudere “Annozero’ perché trasmissione che gli sta sui cosiddetti… e quello ci prova… Leggete dell’Expo di Milano, incubo fallimento; e questo doveva essere il fiore all’occhiello della Moratti e dei padani… ma andate a cagher, balabiott….

E per chiudere andate a fare un bagno nel Polo natatorio di Valco San Paolo (zona viale Marconi a Roma): Claudio Rinaldi, commissario delegato ai mondiali di nuoto, definisce il nuovo impianto “di assoluto prestigio. Tra i punti di forza del polo natatorio, l’impiego di tecnologie bio-climatiche come il tetto-giardino, che crea negli interni un clima “primaverile” e fa risparmiare energia. Ottimo, quasi quasi ci andrei anch’io se non fosse che Corrado Zumino (un comunista scuramente) ha appena pubblicato un libro “Sciacalli” (Editori Riuniti) dove viene citato il responsabile della sicurezza del cantiere, Giampaolo Gandola, terrorizzato: “Non c’è un ponteggio a norma, non c’è proprio un c… Io non bloccheró mai quel cantiere, ma a Rinaldi (quello di sopra) ho detto: “Figlio mio, qui non andiamo in Procura, andiamo a Regina Coeli”.

Con sta gentagli qua che ci governo non abbiamo nemmeno il diritto ad avere una squadra migliore. Sará giá qualcosa se l’aereo con cui torneranno non avrá perso i pezzi per strada che magari bisognava accontentare qualche ditta dell’amico degli amici….

Per fortuna che esiste ancora la giustizia e quindi oggi o nei prossimi giorni sapremo in via definitiva che Marcello dell’Utri era troppo amico dei mafiosi e che i suoi 9 o piú anni di galera dovrá farseli. O avrá ragione Attilio Bolzoni a diré che a Palermo i muri annunciano che sará liberato anche lui?

Italia Slovacchia 3-3: nel prossimo turno affrontiamo la Francia

Un comunicato della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha informato dell’impossibilitá di accettare il risultato di 3-2 a favore della Slovacchia, per cui si deve considerare valido ai fini di legge il gol su tiro di di Natale respinto sulla linea da un giocatore straniero, (forse con il permesso di soggiorno non in regola) e non convalidato dall’arbitro, tipico esempio della sudditanza ai comunisti (la Slovacchia è o non è un ex paese comunista?). Questi arbitri si devono cambiare, sono troppo politicizzati e bisogna quindi separare le carriere di arbitro da quelle di guardialinee.

Dato che la sicurezza non è garantita da questi arbitri (e poi da tutti quei stranieri – non in regola con la Bossi Fini), conclude il Comunicato, la partita degli ottavi di finale, Italia-Francia, si giocherá in luogo neutro da stabilirsi previa negoziazione fra il Cavaliere e Sarkó.

I giornali e telegiornali italiani schierati all’unisono in favore del Popolo della Libertá, sono pregati di rettificare il risultato e le immagini che danneggiano l’immagine dell’Italia e quindi il nostro export.

Un intervento a reti unificate è previsto in giornata non appena rientreranno gli eroi del safari africano.

giovedì 24 giugno 2010

Chile: PNUD y Gobierno contra Relator Especial y Pueblos Indígenas

Chile: PNUD y Gobierno contra Relator Especial y Pueblos Indígenas
Publicado el 19 Febrero, 2010

desde el blog de Bartolomé Clavero Miembro del Foro Permanente Para las Cuestiones Indigenas de Naciones Unidas.-Catedrático de la Universidad de Sevilla.
http://clavero.derechosindigenas.org/?p=5322

La noticia podría ser que Chile está cumpliendo con la obligación de consulta contraída mediante la ratificación del Convenio de la Organización Internacional del Trabajo sobre Pueblos Indígenas y Tribales en Países Independientes (Convenio 169) y que, naturalmente, las agencias internacionales, encabezadas por el Programa de las Naciones Unidas para el Desarrollo (PNUD), están alentando y colaborando a fondo. Mas la realidad es otra. Colaboración hay. Sigue habiendo. Se ha pisado el acelerador en la dirección de desvirtuar radicalmente el derecho de consulta del que son titulares los pueblos indígenas en virtud esto no sólo del Convenio 169, sino también de la Declaración sobre los Derechos de los Pueblos Indígenas.
Chile: PNUD y Gobierno contra Relator Especial y Pueblos Indígenas
Bartolomé ClaveroMiembro del Foro Permanente de Naciones Unidas para las Cuestiones Indígenas
La noticia podría ser que Chile está cumpliendo con la obligación de consulta contraída mediante la ratificación del Convenio de la Organización Internacional del Trabajo sobre Pueblos Indígenas y Tribales en Países Independientes (Convenio 169) y que, naturalmente, las agencias internacionales, encabezadas por el Programa de las Naciones Unidas para el Desarrollo (PNUD), están alentando y colaborando a fondo. Mas la realidad es otra. Colaboración hay. Sigue habiendo. Se ha pisado el acelerador en la dirección de desvirtuar radicalmente el derecho de consulta del que son titulares los pueblos indígenas en virtud esto no sólo del Convenio 169, sino también de la Declaración sobre los Derechos de los Pueblos Indígenas.
Hoy día 19 de diciembre concluye el plazo de una peculiar convocatoria del PNUD. Como actividad de puesta en práctica de un Proyecto de Apoyo al Desarrollo de la Política Indígena en Chile, esto es de apoyo a política del Gobierno y no a derechos de los pueblos indígenas, el PNUD procede a convocar concurso a una consultoría “para elaboración (de una) propuesta metodológica preliminar del proceso de seguimiento participativo de las Recomendaciones de los Relatores Especiales sobre la situación de los derechos humanos y libertades fundamentales de los indígenas en Chile”. El objetivo es ambicioso: “Se espera aprovechar la experiencia para proponer un modelo institucionalizable de Ronda de Consulta que sirva para el monitoreo regular de los derechos y la situación de bienestar de los pueblos indígenas de Chile”. Se quiere así nada menos que prefigurar por esta vía la institucionalización del ejercicio de los derechos de los pueblos indígenas en Chile. Se pretende incluso determinar su representación. Entre los objetivos también se incluye el de “identificar una lista mínima de las organizaciones de los pueblos indígenas, de la sociedad civil y del gobierno a convocar en el proceso”, a cuyo efecto se elaborará una base de datos.
Ni siquiera se toma en cuenta la posibilidad de que organizaciones indígenas concurran para hacerse cargo de la consultoría. Las “habilidades requeridas” esencialmente miran a la experiencia de trabajo en programas o proyectos “orientados a pueblos indígenas”, “con población indígena” o “con comunidades y organizaciones de los pueblos indígenas tanto en el ámbito rural como urbano”, o a otras formas de adquisición de conocimientos sobre los unos o las otras. Se añade un ítem de “habilidades comunicacionales” sin más especificación. El idioma requerido es el español sin referencia alguna a la capacidad de comunicación en lenguas indígenas, como tampoco a la misma condición indígena que pudiera primar en la selección. Indígenas se supone que son objeto, no sujetos, de la comunicación. Dada esta posición, resulta una tanto inquietante otra habilidad que se contempla: “Comprensión de la situación política relacionada al tema”. En resumidas cuentas, para la convocatoria del PNUD los pueblos, las comunidades y las organizaciones indígenas son destinatarios de comprensiones y de políticas, no agentes de las mismas. No se les toma en cuenta ni siquiera cuando se está tratando de sus derechos y de la forma como puedan ejercitarlos. Aquí creo que está la clave, nada disimulada al cabo, de la operación montada por el PNUD. Se trata de neutralizar a los pueblos, las comunidades y las organizaciones.
La convocatoria comienza declarando que se sitúa “dentro de los antecedentes específicos” del “proceso desarrollado durante 2007 y 2008 por el Grupo Interagencial sobre Pueblos Indígenas y Derechos Humanos (de Naciones Unidas), consistente en la ejecución de acciones para obtener información acerca del Seguimiento de las Recomendaciones a Chile del Relator Especial sobre la Situación de los Derechos Humanos y Libertades Fundamentales de los Indígenas”. Si el principal término de referencia es, apropiadamente desde luego, el de las recomendaciones del Relator Especial, ya comienzan a acusarse problemas. Si el objetivo es el de dicha prefiguración del ejercicio de los derechos de los pueblos indígenas, ¿cómo puede montarse la operación sin contar con ellos o sin ni siquiera consultarles, esto que precisamente es lo primero que requiere el derecho internacional de los derechos de los pueblos indígenas?
En el último informe sobre Chile presentado por el Relator ante el Consejo de Derechos Humanos, en septiembre de 2009, se contiene un apéndice sobre Principios internacionales aplicables a la consulta en relación con la reforma constitucional en materia de derechos de los pueblos indígenas en Chile cuyo alcance va más allá de las circunstancias de la reforma constitucional chilena. Es un informe sobre el derecho a la consulta originalmente dirigido a Chile, pero cuyo contenido resulta de carácter perfectamente general. En todo caso, donde indudablemente una agencia de Naciones Unidas no puede, si se ocupa del asunto, ignorar que tal informe existe, esto es en Chile. Pues bien, la convocatoria del PNUD de una consultoría para el seguimiento de recomendaciones del Relator Especial en materia indígena comienza ignorando olímpicamente el informe del mismo sobre el derecho de consulta. Es una ignorancia tan de fondo que sólo puede ser deliberada. El informe deja en evidencia.
El Gobierno chileno ha convocado una consulta entre el pueblo rapanui en la Isla de Pascua. Con aspitaciones de autonomía urgente por el grado de expoliación que se está alcanzando y por el deterioro en curso con la colonización y el turismo, lo que Chile consulta es la “expatriación” temporal de un Moai, pieza inequívoca del patrimonio indígena. Así se dice, expatriación, porque va salir a de Chile, no porque vaya a sacársele de la Isla. Previamente a la consulta, Chile ha negociado y acordado la salida del Moai como símbolo de una embajada cultural chilena. A continuación es cuando pide la venia del pueblo indígena. Dicho de otro modo, Chile considera que el Moai no es monumento de patrimonio pascuense, sino chileno, y que por tanto le corresponde al Gobierno chileno la disposición sobre el mismo con el trámite ulterior y no previo de la consulta indígena. También así se está prefigurando lo que quiere Chile que sea la aplicación del Convenio 169 en el extremo decisivo de la consulta. Igual que ocurre con un Maoi, los territorios y los recursos indígenas Chile se niega a reconocerlos como tales, como indígenas.
El pueblo rapanui se prepara por su parte seriamente para el ejercicio del derecho a la consulta como procedimiento en defensa de sus derechos todos. Frente a los intentos del Gobierno por imponer un llamado Estatuto Especial del Territorio de Isla de Pascua que no responde mínimamente a los estándares internacionales, ni a los del Convenio 169 ni, aún menos, a los de la Declaración de Naciones Unidas sobre los Derechos de los Pueblos Indígenas, no sólo hay resistencia, sino también iniciativas. Como base para las justas aspiraciones de autonomía, la asociación Makenu Re o Rapa Nui ha emprendido el proyecto Apapa ‘i te mana’u, un proyecto de investigación del estado de la situación del propio pueblo rapanui. Ahí puede verse que habría una buena candidata para la consultoría si la posición del PNUD en Chile no fuera de fondo tan racista.

La Quebrada, el derecho a la tierra

La Quebrada, el derecho a la tierra (Argentina)
http://www.sosperiodista.com.ar/El-Pais/La-Quebrada,-el-derecho-a-la-tierra-y-el-email

Interesante artículo porque se trata del mismo tipo de problemas que nosotros tratamos a partir de los principios de Legalidad y Legitimidad. Val la pena leerlo (PG)

Pocos correos electrónicos han sido tan difundidos como el que refiere al despojo de tierras en La Quebrada de Humahuaca y que lleva circulando al menos dos años. El autor de este artículo reflexiona sobre la compleja situación en la región respecto a quién le corresponden las tierras y por qué. Y dispara: "Un caso es el reclamo de aquellos que están en un terreno fiscal y otra es la postura de todos aquellos que, invocando esa condición “originaria”, se creen con el derecho de que les den un pedazo de tierra que ni siquiera han pisado". El periodista ciudadano grafica un complejo cuadro donde la justicia, la legalidad, la legitimidad y la cultura están en juego.

Oscar Branchesi (Tilcara, Jujuy)
info@cerromorado.com.ar

De los derechos a las tierras. Jujuy, igual que el resto de la región andina, se caracterizó por un sistema de propiedad comunal de las tierras, como pequeños poblados autónomos primero e integrados al Imperio Inca a partir del siglo XV. Efectivizada la conquista española a partir de 1594, pasan a ser “tierras de encomienda” y “mercedes de tierra” (según hayan estado pobladas o no), pero siempre manteniendo la estructura de comunidad, bajo el mando de un “curaca” (denominación local de los caciques).
En la Quebrada de Humahuaca, con la llegada de la independencia, estas tierras comunales pasaron a ser “propiedad pública” y concedidas en enfiteusis (sistema de cesión de bienes raíces a largo plazo o en forma permanente mediante el pago de un canon anual), pero con la especificación de que: “Gozan de preferencia los indíjenas originarios de los terrenos que fueron de comunidad” (Art. 5 del Reglamento Enfitéutico – 16/04/1839). Estas disposiciones posibilitaron que -a diferencia de otras regiones de Argentina- se formara una estructura de pequeñas parcelas que fueron adquiridas por sus ocupantes: en 1883, en el Departamento Tilcara, de 148 propietarios sólo 4 tenían más de tres propiedades (información tomada de “Introducción a la Geografía Histórica de la Quebrada de Humahuaca” – Mirta Ana Seca – U.B.A./F.F.L./Instituto Interdisciplinario Tilcara).
En la Puna Jujeña, en cambio, el dominio de la familia Campero (descendientes del Marques de Yavi) se extendía por una enorme región desde Salinas Grandes de Jujuy hacia el Norte, hasta La Quiaca, Yavi, Santa Victoria Oeste (provincia de Salta) y parte del Sur de Bolivia hasta las cercanías de Tarija.

La Asamblea de 1813 hace caducar el sistema de encomiendas, lo que da lugar a reclamos de las comunidades de Casabindo y Cochinoca que estaban bajo este sistema. La familia Campero argumenta que son tierras en propiedad y continúan con su tenencia. Resumiendo en extremo el problema: los reclamos y las fricciones se van incrementando, hasta que en 1874 se genera un gran alzamiento armado de los aborígenes puneños, que derrotan a las tropas provinciales en la Batalla del Abra de la Cruz, pero que son derrotados en enero de 1875 en la Batalla de Quera (conocida como “la hecatombe de Quera”, por los fusilamientos y persecuciones que se desarrollaron después de la misma).

La repercusión de este alzamiento es tan grande en los medios de comunicación de la época que, a pesar de la derrota (pero acorde con los vaivenes políticos del momento), la Provincia de Jujuy inicia un juicio contra estos terratenientes. Como resultado de esto, las tierras de Casabindo y Cochinoca (Puna Oeste de Jujuy) pasan a manos de la Provincia, la que efectúa algunos loteos en la zona cercana a Laguna de Pozuelos (en una primera etapa, algunos lugareños alcanzan a comprar lotes, gracias a un préstamo del Banco de la Nación, pero luego las adquisiciones son de grandes inversores externos), quedando el resto como tierras fiscales.

La continuidad de los reclamos da origen, en 1946 al llamado “Malón de la Paz” (marcha a pie de más de un centenar de aborígenes puneños y de la zona de Santa Victoria-Iruya a Buenos Aires para entregar un petitorio al presidente Perón). Como consecuencia, en 1949 se expropian las tierras jujeñas de la familia Campero (región de Yavi), las que nuevamente quedan en manos de la Provincia y no son devueltas a los pobladores locales (Ver: “Hacienda y encomienda en los Andes” de Guillermo B. Madrazo , “Rebeliones indígenas en la Puna” de Irma Bernal – Editorial Búsqueda-Yuchan o “Batalla de Quera” del Ing. Esteban Cardozo – Abra Pampa/Jujuy/2000, “¿De quién es la Puna?” de Andres Hidalgo – UNJU/1996)

Esta situación se mantiene hasta el presente, donde encontramos que buena parte de las tierras de la Puna son consideradas tierras fiscales provinciales.

Como consecuencia de estos procesos, en esta zona se dan varias situaciones relacionadas con las tierras:
a) los que tienen sus papeles en condiciones (los menos)
b) otros que tienen papeles a nombre de algún antepasado y nunca pudieron actualizarlos por falta de dinero.
c) gente asentada en terrenos fiscales, a veces por propia iniciativa u otras con papeles dados por algún político (incorrectamente en muchos casos, como cuando los intendentes regalan tierras provinciales), pero que no pueden legalizar porque no responden a loteos oficializados, por lo que no tienen números de padrón, mensuras, etc.
d) aquellos que están asentados en tierras privadas, ya sea como “caseros” (cuidan casas o terrenos, recibiendo como compensación el uso de los mismos, sin relación de dependencia o sueldo) o como “arrenderos” (alquilan, pagando un “arriendo”, terrenos para la explotación agrícola o ganadera, que, en casi todos los casos, incluye una casa para vivienda). En estos casos, generalmente, se dan relaciones de décadas entre el propietario y sus “caseros” o “arrenderos”
e) los que no tienen tierras

En medio de este caos legal, últimamente se dan muchos reclamos de tierras, especialmente basados en la condición de “aborigen” u “originario” de los reclamantes.

Frente a estos reclamos, hay dos opiniones totalmente encontradas: los que están a favor de los mismos -como una reparación histórica- y los que argumentan que no son válidos, ya que esta situación es producto de una guerra que los aborígenes perdieron hace 500 años y que es absurdo tratar de volver la historia atrás. No sin cierta lógica, ya que si yo voy a Italia a reclamar tierras que le quitaron a mi familia hace cinco siglos, lo mas probable es que, en el mejor de los casos, me saquen a patadas en el culo.

Aquí tenemos que tener en cuenta dos situaciones: una es el reclamo (legítimo, a mi modo de ver) de aquellos que están en un terreno fiscal -ya sea porque su familia lo tiene “desde siempre” o porque se ubicaron allí en épocas más recientes-, lo mejoraron y construyeron en él y otra -muy distinta- es la postura de todos aquellos que, invocando esa condición “originaria”, se creen con el derecho (y la consiguiente obligación estatal) de que les den un pedazo de tierra que ni siquiera han pisado.

Algo que tenemos que pensar es que, a diferencia de lo que pasó con los mapuches en el Sur, los habitantes originarios de la Quebrada (los omaguacas) fueron desapareciendo a lo largo del tiempo (aunque en la zona se conservan algunos apellidos de ese origen: Toconás, Quipildor, Cata Cata, Vilte) y fueron reemplazados por otros aborígenes provenientes de Bolivia o de la Puna (al comienzo traídos por los españoles, llegados por su propia voluntad a partir del siglo XX). La pregunta (que me hago especialmente como defensor de los derechos aborígenes) es: ¿Hasta qué punto tienen derecho estos “originarios” venidos de Bolivia o la Puna (donde los españoles SÍ pueden haberle quitado tierras de las que después se apropiaron otros) a reclamar tierras en la Quebrada (de donde no son “originarios” y donde, como “originarios” nadie les quitó nada)?
¿Tiene derecho, por ejemplo, un matrimonio de recién casados, sólo por tener un apellido andino, a exigir que les den un lote? ¿Tiene derecho (si queremos ser más extremistas y rebuscados con los razonamientos) un guaraní (que también es de un pueblo originario no quebradeño, como en el hipotético caso anterior) a pedir tierra en esta zona únicamente por ser “originario”?

La justicia indica que TODOS tenemos derecho a la tierra (originarios y descendientes de inmigrantes, aquí o en Buenos Aires, jóvenes o mayores…), pero: ¿Qué parámetros usamos para adjudicarla? Si todos somos iguales ante la ley y tenemos los mismos derechos: ¿no sería discriminación regalar tierras a ciertas personas solamente por ser “originarias” y no hacerlo con otros de distinta ascendencia? Desde un punto de vista de argentinos: ¿qué priorizamos: 80 años de permanencia en el país de una familia “originaria” que vino desde Bolivia (por usar el ejemplo más frecuente) o 120 años de permanencia de inmigrantes italianos (por usar, también, el ejemplo más frecuente)?

Otra cosa que hay que tener en cuenta es que hay distintas situaciones: una es la de la Puna, donde las tierras -que estaban en poder de los descendientes del Marques de Yavi- fueron expropiadas por el estado y NUNCA se devolvieron a las comunidades y otra (también muy distinta) es la situación de la Quebrada, donde las tierras fiscales (resto de las antiguas tierras comunales) son totalmente marginales e improductivas y las mejores tienen dueños (en su mayoría aborígenes y como consecuencia de la política de enfiteusis del siglo XIX) dueños que están vendiendo (a muy buen precio y de muy buena gana) esas tierras a los “gringos con plata” que vienen a construir hospedajes (¡que lejos están las épocas en que los quebradeños no vendían las tierras porque habían sido abonadas por el sudor de sus abuelos!).

Además de estos reclamos, aparecen los de aquellos que, en las situaciones que habíamos visto antes, ocupan tierras privadas. En la actualidad, muchos de esos propietarios, que durante décadas no habían prestado atención a su propiedad, tratan de sacar un mayor rendimiento económico de las mismas; en la mayoría de los casos, con proyectos asociados con el turismo, lo que genera una reubicación o expulsión de sus “caseros” o “arrenderos”, los que protestan y se quejan, argumentando su prolongada presencia en las tierras y el trabajo realizado en las mismas.

En este caso, se enfrentan LO JUSTO (el derecho a la tierra de quienes las han trabajado o cuidado durante décadas) y LO LEGAL (los títulos de propiedad). ¿Debemos apoyar “lo justo”, con lo que estamos despreciando la base de nuestro sistema democrático y justificando toda acción de “justicia por sus propias manos” o debemos apoyar “lo legal”, porque es lo correcto aunque nuestro corazón esté del otro lado?

Esto puede parecer una teorización digna de una mesa de café, pero muestra lo complejo desde lo legal y, sobre todo, desde la ética, de la situación.

Es muy fácil engancharse de una cadena de mails y decir “¡pobres los coyitas que tiene problema con las tierras!”. Lo difícil (tremendamente difícil) es poder distinguir entre los que realmente TIENEN GANADO el derecho a la tierra y aquellos que se enganchan a la regalaría fácil de los políticos y (amparados en una condición de aborigen que ostentan de la boca para afuera) exigen que les den lotes, casas (que rara vez pagan) y un montón de etcéteras más, no dando ni siquiera el esfuerzo mínimo del trabajo a cambio.

Aquí se conjugan dos situaciones bastante particulares: la existencia de tierras fiscales y la presencia de gente que viene habitando la zona desde hace años (o que descienden de ellos), lo que hace presuponer un derecho sobre las mismas, pero como se desprende de lo escrito mas arriba, mi postura (que coincide con la de los abuelos quebradeños que conocí hace veinte años) es muy simple: LA TIERRA NO SE REGALA, SE LA GANA CON EL ESFUERZO DEL TRABAJO.

Soy conciente de que esta postura genera cuestionamientos difíciles o imposibles de responder, pero me gustaría que la tierra vuelva a tener el valor sagrado que siempre tuvo para los andinos y no que se la prostituya utilizándola para comprar votos.

Lógicamente, hay quienes están en la vereda de enfrente y son fanáticos partidarios de reintegrar a rajatabla las tierras a sus dueños “originales”, como una reparación de un despojo cinco veces centenario. Para ellos, que desde la distancia ven un usurpador en cada persona de piel un poco más clara que habita la Quebrada, les dejo (para el final, así lo consultan con la almohada) la “pregunta del millón”: pensando que TODAS las tierras del país pertenecieron a pueblos aborígenes: ¿por qué no regalan su casa a un “originario”así son coherentes con sus ideales?

mercoledì 23 giugno 2010

Declaración de los campesinos haitianos y aliadas contra el gobierno y las transnacionales

Declaración de los campesinos haitianos y aliadas contra el gobierno y las transnacionales
22-06-10
http://www.ecoportal.net/content/view/full/93826

Nosotros y nosotras de las organizaciones que firman esa declaración, declaramos la guerra a Monsanto y sus cómplices, declaramos la guerra a las multinacionales agro-venenosas porque son enemigos de los campesinos y campesinas, enemigos de la vida y del planeta.

Nosotros y nosotras las organizaciones campesinas miembros de la Vía campesina, plataformas como: 4G kontre, FONDAMA, RENASSHA, PLANOPA, KABA GRANGOU, KONAFAP y todas las organizaciones populares, políticas que apoyan esa manifestación histórica o que están de acuerdo con la lucha de los campesinos y campesinas, nos reunimos en la plaza Charlemagne Peralte en Hinche, uno de los Héroes que lucho contra la ocupación de los Norte Americanos en Haití, para decir con todas nuestras fuerzas delante de Charlemange Peralte, bajo el espíritu de Dessalines junto con todos los combatientes que se cayeron:
“Defendemos la agricultura campesina, defendemos la soberanía alimentaria, defendemos el medio ambiente de Haití hasta nuestra última gota de sangre”.

En la reflexión que hicimos en el centro de formación “LAKAY” en Papaye, en el día de 3 del junio del 2010, en las reflexiones que hicimos dentro de cada de nuestra organización en el país en general

1 – Constatamos:

* El gobierno de Preval que nunca ha trabajado para reforzar la producción nacional ahora toma la decisión de acabar totalmente con la agricultura campesina, de acabar con la clase del campesinado el mayor grupo social del país.
* El Presidente Preval negoció con el gobierno Bush para abrir el país a las multinacionales de agro combustibles para sembrar Jatrofa. Desde este momento hay complot que está haciendo secretamente para cubrir el país con la plantación de jatrofa para producir petróleo para los carros en el extranjero mientras que la agricultura del país cubre nada más que 40% de la necesidad alimenticia de la población.
* El gobierno Preval jamás tuvo una política de producción agrícola nacional. Es por eso que en el presupuesto estatal solamente 4% se dedica a la agricultura y ese dinero se usa nada más para los gastos administrativos del Ministerio de la agricultura mientras que el último congreso de MPP en el año 2008 reclamó 30% para la agricultura y el medio ambiente. Miles de dólares del Petro-Caribe se dedicaron a la compra de tractor y agro-química para asegurar campaña electoral, para nombrar a los senadores que votaron la ley de traición al servicio de Preval y sus partidarios.
* El seísmo sirve como pretexto para el gobierno de Preval en el reforzamiento de la aplicación de la política Neoliberal que él lleva a cabo desde hace tiempo. Con la liquidación de las empresas estatales más importantes que nos quedaban como comunicación (TELECO). Él lo realizo mientras que la población está llorando por las pérdidas de sus hijos/hijas), bajo casas de campaña con hambre, con cadáveres bajo de los escombros.
* El gobierno de Preval tomó la decisión de acabar con la agricultura campesina aceptando una donación de Monsanto de 475 toneladas de maíz envenenado, una empresa de muerte que está matando las personas en el mundo entero con la distribución de productos venenosos para desaparecer la agricultura de los campesinos, desaparecer al medio ambiente y la biodiversidad del planeta, envenenando la tierra, el agua, el aire que respiramos.
* Preval hablo siempre de la producción agrícola pero en la práctica actúa para eliminar una institución como INARA (Institución Nacional de Reforma Agraria) del país. Nunca hace nada para una reforma agraria verdadera en el país. No se pueden creer en las palabras de Preval, pues son palabras falsas.
* El gobierno de Preval aprovechó el seísmo del 12 de enero para penetrar mas el país bajo la ocupación militar extranjera. Los parlamentarios que salieron en las elecciones fraudulentas organizadas por el gobierno de Preval, votaron unas leyes inaceptables que violan la independencia del país conservando un poder personal a su favor después de su mandato. En esas leyes Preval regaló o vendio la soberanía del País ¡!.
* El país ahora esta gobernando por un comité llamado comité intermediario encabezado por Bill Clinton. Existe un plan que está ejecutando en el nombre del pueblo haitiano dejándolo afuera de todas las informaciones al respecto. Excluyendo todos los sectores en el plan de reconstrucción del país. ¡Este plan es anti-nacional!
* Ya, este proyecto anti-nacional, anti-campesinado se pone en práctica con el apoyo de los países imperialistas que están usando a Preval para controlar el país. Las multinacionales están aprovechando la situación del país para eliminar a la agricultura, acaparar las tierras para producir agro combustibles que es una solución falsa a la crisis energética.

2 - Denunciamos:

* La presencia de Monsanto en el territorio del país, una empresa criminal que mató muchas personas en Vietnam, en Estados Unidos. Sabemos que el producto que se llama naranja mató a más de 400.000 personas, con el nacimiento de más de 500.000 personas con deformación corporal, fue fabricado por MONSANTO para la fuerza armada americana. Dejaron con cáncer a mas de 40.000 personas que participaron en la guerra entre otras cosas. Donde Monsanto tuvo que pagar más que 180 millones de dólares después de un proceso judicial.
* La presencia de Monsanto trae a Haití productos químicos venenosos como Thiram. La Agencia Americana para la protección del medio ambiente prohíbe el uso de los insecticidas en Estados Unidos por ser demasiado peligrosos para los agricultores que no tienen vestidos para protegerlos. ¿Quién está protegiendo a los agricultores haitianos?
* Es cierto que las semillas híbridas son menos mortales que los OGM pero la presencia de semillas de maíz de Monsanto en el territorio haitiano, que sea semillas OGM o híbridas son lo mismo contra la agricultura de los campesinos.
Lo más grave es la abertura del país a una multinacional tan peligrosa que va a destruir pronto la semillas locales del país que hoy en día los científicos no tienen control sobre ellas. Nadie sabe hasta ahora las consecuencias de las semillas transgénicas con pesticida químicos sobre la vida humana. Hasta ahora los más conocidod son cáncer, diabetis, alergia, resistencia a productos antibióticos, deformación congenital entre otros.
* El gobierno de Preval, especialmente el Ministerio de la Agricultura, no explica el peligro de las semillas de Monsanto sobre la vida de los campesinos y las campesinas que los usan. Eso no es un acto criminal?
* El gobierno de Preval no tiene ningún laboratorio para controlar los productos que entran al país. ¿Cómo Joanas Gue Ministro de la agricultura que decía no podría recibir semillas OGM sabe que las recibidas no son OGM?. En que laboratorio hizo el análisis de las semillas recibidas?
* La ley de emergencia permite a Preval vender el país. La modificación de la ley electoral le permite prolongar su mandato y abre la puerta para mantenerse en el poder y luego pasarlo a uno de sus amigos en las elecciones falsificadas como costumbre.
* La política de la USAID está apoyando con mucho dinero a Winner que se encarga de la distribución de las semillas envenenadas como las de Monsanto en Haiti.
* La política de USAID con Winner para sembrar Jatrofa en las montañas del país. El proyecto de Winner es peligroso para la agricultura de los campesinos y las campesinas, para las semillas locales. ¿Es eso, la mejor ayuda que ofrecia el presidente Obama al sector campesinado del país?
* A todas las multinacionales venenosas que tienen la idea de invadir nuestras tierras para sus plantaciones les queremos decir que se pongan lejos de nuestro país pues nuestra tierra es para producir alimentos para alimentar a la población. Las multinacionales son enemigos de los campesinos y las campesinas, enemigos de la vida del planeta.

3 – Exigimos:

* Ministerio de la agricultura de renunciar a las otras partes de las semillas que todavía faltan por entrar al país. A las que entran regresarlas a Monsanto o destruirlas como drogas públicamente.
* Ministerio de la agricultura dar la explicación sobre la cantidad de semillas recibidas, de dónde vienen y dónde están sembrando ya, con qué tipo de insecticida químicos se tratan, que peligro representan para los y las usadores.
* Creación de un laboratorio que tenga la capacidad y la responsabilidad de analizar todos los productos agrícolas, todos los pesticidas y herbicidas químicos que entren al país.
* Apoyar a los campesinos y las campesinas para desarrollar sus propios medios de producir y de almacenar semillas locales para producir productos agrícolas nacionales para garantizar la soberanía alimentaria del país.
* No firmar ningún contrato con las multinacionales agro venenosas o multinacionales que necesitan árboles para biochar con el pretexto de combatir el cambio climático. Las tierras del país son para las personas que las trabajan para la alimentación.

4 - Pedimos a los campesinos y las campesinas para:

* Luchar contra Monsanto. Luchar contra todas las semillas de maíz extranjero que sea híbridas o que sean OGM. Eliminar las plantaciones de maíz que ya teníamos para salvar a las semillas criollas. Debemos empezar una movilización contra Preval y las multinacionales precisamente contra Monsanto.
* Seguir con la conservación de las semillas nacionales como lo hacemos desde varios siglos. Compartir a las que no tienen. Semilla no es mercancía para enriquecerse. Semilla es la vida, es una necesidad común, es un patrimonio de la humanidad.
* Crear banco de semillas criollas en todo el país para que todos los campesinos y todas las campesinas tengan acceso cuando se necesitan. Intercambiar semillas entre zonas, entre países, entre campesinos así los campesinos y campesinas pueden ser vanguardias de las semillas de la biodiversidad en el planeta.
* Trabajar sin descansar para producir alimentos nacionales, intercambiar diversas formas de todo tipo de plato con el maíz que dejaron nuestro antepasados como: maiz boukannen, tchaka, tchaka pelaw, chanmchanm, doukounou, bougonnen, pen mayi elatriye.
* Boycotear todos los productos de las multinacionales como coca-cola que es un veneno para la salud.
* Organizarnos, unir nuestras fuerzas, para luchar contra las multinacionales, todos los grupos que quieren acaparar nuestras tierras para producir agro combustibles entre otras cosas.
* Defender la tierra haitiana, defender el medio ambiente, defender la soberanía alimentaria.

5 – Nos comprometemos.

Nosotros y nosotras de las organizaciones que firman esa declaración, declaramos la guerra a Monsanto y sus cómplices, declaramos la guerra a las multinacionales agro-venenosas porque son enemigos de los campesinos y campesinas, enemigos de la vida y del planeta.
Seguiremos luchando para defender nuestra semilla de maíz criollo, semilla de frijoles de todos tipos, semillas de sorgo, arroz que nos dejaron los antepasados.
Juramos producir y conservar las semillas criollas. Empezaremos a poner bancos de semillas en el país entero desde el mes de julio que viene para conservar las semillas de maíz entre otras.
Nos comprometemos a unir nuestras fuerzas para cambiar este estado anti-campesinado, anti-nacional. Queremos construir otro tipo de estado, un estado que defienda la agricultura campesina, un estado que acompañe los campesinos y campesinas en la protección del medio ambiente, la conservación del suelo y forestación. Queremos plantar 50.000 árboles en cada sección comunal del país cada año como lo reclamaba el congreso del MPP del año 2008.
Nos comprometemos a colaborar con las organizaciones campesinas en el mundo miembro de la Vía campesina y los aliados en el planeta para defender la soberanía alimentaria, defender el medio ambiente, defender los recursos naturales, defender el derecho de nuestra madre tierra, defender los derechos de los campesinos y campesinas, defender la vida sobre el planeta.
Nos comprometemos con la Vía Campesina y los aliados/las aliadas de llevar a cabo juntos y juntas una campaña total contra las multinacionales, contra todas las fuerzas que están destruyendo el planeta, contra todas las fuerzas de muerte.

6 – Para terminar.

Saludamos a todas las organizaciones de América Latina, los redes de solidaridad en Estados Unidos, Canadá, Europa que nos apoyan en la lucha contra MONSANTO. Muchas de ellas que están manifestando hoy junto con nosotros y nosotras o también que nos apoyan a través de una carta de solidaridad contra este plan de la muerte.
Mandamos nuestro saludo a todos los periodistas en el mundo que nos apoyen una forma u otra con la difusión del noticiero de este nuevo terremoto del Ministerio Agricultura y Monsanto sobre Haití.
Agradecemos a todos y todas los militantes de la Republica Dominicana, Brasil, Estados unidos, Canadá, Francia, Italia por estar presentes con nosotros y nosotras en esa marcha de hoy.
Agradecemos a todas las organizaciones del movimiento social en el país, a los estudiantes, a todas las organizaciones políticas que estén presentes acá en la marcha para apoyar al sector campesinado en esa movilización que está empezando.
Felicidades! a todos los campesinos, todas las campesinas, los jóvenes campesinos que vienen de todo el país para defender la agricultura, defender las semillas criollas, defender el medio ambiente haitiano.
¡Abajo Monsanto y sus cómplices, abajo las multinacionales, abajo la ocupación!
¡Viva la agricultura campesina, viva la soberanía!
¡Abajo el gobierno de Preval y sus cómplices, abajo a los parlamentarios somiso!
¡Abajo el concenso electoral fraudulento!
Declaración de los campesinos haitianos y campesinas haitianas con los aliados y aliadas contra el gobierno René García Preval y las multinacionales que están destruyendo la vida en el planeta.
¡Viva la lucha del pueblo haitiano y la lucha de los pueblos del mundo!
¡Organización o muerte!
¡Globalicemos la lucha, globalicemos la esperanza! www.ecoportal.net

Lista de las organizaciones y plataforma de organizaciones en la batalla:
- La Vía Campesina- 4G Kontre (MPP, TET KOLE, MPNKP, CROSE)- FONDAMA- RENAHSSA (RESEAU NACIONAL HAITIEN POUR LA SECURITE ET LA SOUVERAINETE ALIMENTAIRE)- PLANOPA (PLATEFORME NACIONAL DES ORGANISATIONS PAYSANNES…….- KABA GRANGOU(CAMPANA POR LA SOBERANIA ALIMENTARIA E HAITI)- PAPDA (PLATE FORME DE PLAYDOYER POUR UN DEVELOPPEMENT ALTERNATIF)- MOREPLA (MOUVEMENT REVENDICATIF DES PAYSANS DE L’ARTIBONIT).- KONAFAP (CONFEDERACION NACIONAL DES FEMMES PAYSANNES)- VEDEK
Papaye, Haiti, en el día de 3 del junio del 2010
(Título completo: DECLARACION DE LOS CAMPESINOS HAITIANOS Y CAMPESINAS HAITIANAS CON LOS ALIADOS Y ALIADAS CONTRA EL GOBIERNO RENE GARCIA PREVAL Y LAS MULTINACIONALES QUE ESTAN DESTRUYENDO LA VIDA EN EL PLANETA)

Report: Haiti Recovery Efforts Stalled

Report: Haiti Recovery Efforts Stalled

A report released today by the US Senate Foreign Relations Committee has found that, five months after a devastating earthquake struck Haiti, the effectiveness of the relief and recovery effort has stalled, and lack of donor coordination remains a stumbling block to the rebuilding efforts.

Entitled, “Haiti at a Crossroads”, the Report identifies 10 critical issues for rebuilding Haiti that require urgent attention by the Government and the Obama Administration. These are:
...
..
..

Land tenure and re-settlement issues
...

Quote from the original document:

Address the resettlement issue. Addressing the hundreds of thousands of Haitians trapped in temporary or informal settle-ments is the major recovery issue. This already is an emer-gency situation, and it threatens to get much worse. Everyone recognizes that the status quo is unacceptable and unsustainable, yet key land-policy decisions have been inexplicably delayed. Solutions need to be offered for moving displaced people out of the dozens of tent cities that have cropped up. There is land available, but land tenure issues must be resolved. The longer Haitians continue to live in makeshift camps, the harder it will be to reintegrate them into communities and take down the camps. Security challenges in the camps have been manageable because people have hope for a better future, but risks will increase if a sense of desperation sets in.

Haitian Farmers Leery of Monsanto’s Largesse

http://theglobalrealm.com/2010/06/22/haitian-farmers-leery-of-monsantos-largesse/

Haitian Farmers Leery of Monsanto’s Largesse
By Peter CostantiniIPS – Inter Press ServiceJune 21, 2010

PÉTIONVILLE, Jun 21, 2010 (IPS) – Haitian farmers are worried that giant transnational corporations like Monsanto are attempting to gain a larger foothold in the local economy under the guise of earthquake relief and rebuilding.
“Seeds represent a kind of right to life,” peasant leader Chavannes Jean-Baptiste told IPS. “That’s why we have a problem today with Monsanto and all the multinationals who sell seeds. Seeds and water are the common patrimony of humanity.”
Earlier this month, in the central square of Hinche, an agricultural town in Haiti’s Plateau Central region, a mass of small farmers wearing red shirts and straw hats burned a symbolic quantity of hybrid corn seed donated to Haiti by the U.S. agricultural-technology giant.
They called on farmers to burn any Monsanto seeds already distributed, and demanded that the government reject further shipments.
The actions in Hinche (pronounced “ansh”) were spearheaded by the Mouvman Peyizan Papay, a regional peasant movement that claims 50,000 members, and the national coalition of some 200,000 members to which it belongs. Despite divisions among Haitian peasant organisations, several of the most important groups joined together to participate.
Jean-Baptiste has led the MPP since 1973 and plays a major role in the international peasant movement.
“Our primary goal is to defend peasant agriculture,” he said, “an organic agriculture that respects the environment and fights against its degradation. We defend native seeds and the rights of peasants on their land.”
The international peasant movement advocates for “food sovereignty”, Jean-Baptiste emphasised, the right of each country to define its agricultural policy, of communities to decide what to produce, and of consumers to know that the products they consume are healthy.
“We work with indigenous groups as well, and with them we believe that the earth has rights that we must respect, just as people have rights,” he said.
The actions against Monsanto also were targeted “against the policies of the government that don’t help peasants, but rather accept products that poison the environment, kill biodiversity and destroy family, peasant agriculture,” he contended.
According to Monsanto, 130 tonnes of hybrid corn and vegetable seed out of a promised 475 tonnes have been sent so far, with the first shipment arriving in Haiti during the first week of May. The remaining 345 tonnes, which will be hybrid corn seed, are to be delivered over the coming 12 months.
The company stressed in a news release that the seeds are not genetically modified, as some early reports stated, but acknowledged that some seeds are coated with fungicides and pesticides.
Monsanto consulted with the Haitian Ministry of Agriculture on what seeds would be acceptable to Haitian farmers and well-suited for Haitian conditions, Darren Wallis, a spokesman for the firm, told IPS in an e-mail.
A programme of the U.S. government’s Agency for International Development, the Watershed Initiative for National Natural Environmental Resources, and the non-profit Earth Institute will distribute the seeds along with inputs such as fertilisers and provide technical support, Monsanto said.
WINNER describes itself as “a 127-million-dollar project … which aims to improve the living conditions of the rural populations in Haïti”.
But speakers at the Jun. 4 rally saw the project in a different light, accusing President René Préval of “collusion with imperialism” and “selling off the national patrimony”.
Although Jean-Baptiste was a key architect of the election of Préval to his first term in 1995, the peasant leader now says bitterly of the politician: “He has simply betrayed the ideas that we stood for.”
Jean-Baptiste sees the seed donation by Monsanto as a beachhead in a battle between Haitian popular organisations and the U.S. and European transnational corporations who, he says, dominate the Haitian government and the reconstruction effort.
“The government is selling off the country or giving it away as a gift. Not only is Monsanto trying to get in, but they’re talking about Coca Cola coming in to plant mangoes. The Haitian people are fighting to make sure that all the generous international aid will be channeled into genuine programmes of sustainable development.”
Mistrust of the intentions of transnational corporations and the United States government is strong among many Haitians and based on a long history. The square in Hinche where the demonstration took place is named after Charlemagne Péralte, the leader of a peasant uprising against the occupation of Haiti by the U.S. Marines, which lasted from 1915 until 1934.
The history of damage to Haitian farmers by foreign aid is also long and painful.
In the 1980s, Creole pigs were almost completely eradicated under heavy pressure from the Ronald Reagan administration. The animals were once known as “the savings bank of the Haitian peasant”, and were bred over centuries to thrive in the Haitian environment.
An epidemic of African Swine Flu that began in the neighbouring Dominican Republic was killing pigs, and U.S. authorities feared that it could spread to North America. Although some Haitian organisations proposed alternatives for controlling the disease, the Duvalier dictatorship violently imposed the will of the U.S. in the face of resistance by many Haitian farmers.
The variety of pig sent from the U.S. as a replacement was much less hardy and required expensive inputs and facilities. Virtually none survived. Many Haitian families were never compensated and suffered a crippling blow to their livelihood, in some cases having to pull their children out of school, according to Grassroots International, a U.S. non-governmental organisation.
The group has been working with Haitian peasant groups since 1997 to repopulate Creole pigs across Haiti.
Testifying before the U.S. Senate in March, former President Bill Clinton offered a notable apology for the policies of his administration towards Haitian agriculture. He lamented that forcing Haiti to lower tariffs on subsidised U.S. rice may have helped rice farmers in his home state of Arkansas, but destroyed the capacity of Haitian rice farmers to feed their country.
Calling his policy a “devil’s bargain,” he said: “We should have continued to work to help them [Haitian rice farmers] be self-sufficient in agriculture.”
Chavannes Jean-Baptiste traveled to the U.S. and the United Nations from Jun. 11 to 14 for meetings to discuss the Monsanto donation and alternatives for Haitian agriculture proposed by Haitian peasants.

Peter Costantini blogs at http://www.huffingtonpost.com/crossover-dreams. He spent the month of May in Haiti.

Sowing hybrid seeds, reaping a controversy
Some Haitian agricultural leaders and experts question the economic and social appropriateness of the industrial-agriculture model, including imported hybrid seeds, for Haitian small farmers.
Haiti is the poorest country in the Western Hemisphere, with three- quarters of its population surviving on US$ 2 a day or less and 58 percent malnourished. Its economy remains heavily agricultural, with about two- thirds of Haitians dependent on agriculture for their living. But only 28 percent of the gross domestic product is generated by farming.
According to Volny Paultre, chief agronomist in Haiti for the Food and Agriculture Organization of the United Nations, most of the million-odd farms in Haiti are tiny. “Most farming here is done with hardly any money or access to credit,” Paultre told IPS in a recent interview, and most small farmers function with very low levels of technology.
Among the country’s greatest needs are reform of land tenure and agrarian finance, he said, along with better infrastructure to support agricultural development.
Hybrid seeds are not widely used today in Haiti, Monsanto recognised in a blog post. But company spokesman Darren Wallis said in an e-mail to IPS that the hybrid seeds produced a higher yield per plant, and had been used for decades in the neighbouring Dominican Republic as well as in the past in Haiti.
Haitian agronomist Bazelais Jean-Baptiste sees the issue differently: “The foundation for Haiti’s food sovereignty is the ability of peasants to save seeds from one growing season to the next. The hybrid crops that Monsanto is introducing do not produce seeds that can be saved for the next season, therefore peasants who use them would be forced to somehow buy more seeds each season.”
Some of the seeds are also treated with chemical pesticides and fungicides that are considered highly toxic by the U.S. Environmental Protection Agency. Given the lack of experience with agricultural chemicals and low level of literacy, critics say, these seeds could pose risks for the farm families who use them.

Haïti : relancer l'agriculture en passant par une réforme agraire ?

Dans le passé, plusieurs gouvernements ont déjà essayé de lancer une réforme agraire pour régler une bonne fois pour toute la question de la propriété de la terre en Haïti.
S.Schüller/RFI
(http://www.rfi.fr/contenu/20100512-reforme-agraire-agriculture-haiti-tremblement-de-terre-quatre-mois-apres)

Quatre mois après le tremblement de terre du 12 janvier 2010 en Haïti, l'agriculture est devenue l'un des axes prioritaires du gouvernement pour la reconstruction du pays. Il s'agit de relancer la production agricole afin de nourrir la population et de créer des emplois, car 60 % de la population haïtienne vit en milieu rural. Mais pour remettre en marche d'une manière durable le secteur agricole, il faut s'attaquer à un problème majeur: le système foncier qui prévaut en Haïti.

Depuis le tremblement de terre, Haïti bénéficie d’un élan sans précédent de la communauté internationale. Au ministère de l’agriculture à Port-au-Prince, on compte bien profiter des circonstances pour attirer des investisseurs, et notamment des étrangers, dans le secteur agricole. Mais un vieux fantôme hante les esprits : la problématique du système foncier. Il est en effet difficile de savoir avec exactitude qui possède les terres arables dans le pays.

« L'agriculture haïtienne n'est que paysanne, mais la paysannerie ne possède pas nécessairement la terre », explique Gérald Mathurin, ancien ministre de l'Agriculture et aujourd’hui coordinateur du CROS, un mouvement social et régional du sud-est d'Haïti. « Dans la plupart du temps, la terre appartient aux grandes familles et à la classe historique de pouvoir d’Etat. Les paysans travaillent une terre qui n’est pas la leur. Ils sont par conséquence dans l’incapacité de projeter une production sur le moyen et le long terme ».

L’insécurité foncière : un mal chronique d’Haïti

En Haïti, le système foncier est régulé par des lois, mais celles-ci ne sont pas respectées. Souvent des transactions ou les héritages ne sont pas enregistrées. Il existe des reçus d'acquisition du terrain pour 19 % seulement des parcelles rurales, sans parler des documents qui ont été détruits lors du tremblement de terre du 12 janvier dernier. La même anarchie règne sur le marché de la location. Les contrats sont la plupart du temps informels. Beaucoup de paysans concluent des accords de métayage. C'est-à-dire qu'ils doivent céder la moitié de leur récolte au propriétaire terrien.

Ari Toubi Ibrahim
Représentant de la FAO en Haïti
Les paysans se trouvent souvent dans une situation de métayage. Le gouvernement doit enclencher un processus afin de sortir de cette situation.


« Haïti compte de très grandes plaines qui ne sont malheureusement pas bien exploitées, parce que les gens ne veulent pas investir », constate Ari Toubo Ibrahim, le représentant de la FAO en Haïti. « Des paysans avec leur petits moyens se trouvent souvent dans une situation de métayage. Tout cela ne permet pas une agriculture durable. Pour les Nations Unis c’est une réelle préoccupation. Dans une nouvelle politique agricole, le gouvernement doit s’attaquer sérieusement à ce chantier de la question foncière. En tant que partenaires techniques et financiers, nous avons besoin de voir ce pays enclencher un processus pour sortir définitivement de cette situation »

Des tentatives de réformes agraires avortées

Dans le passé, plusieurs gouvernements ont déjà essayé de lancer une réforme agraire pour régler une bonne fois pour toute la question de la propriété de la terre en Haïti. La dernière tentative en date était celle dans les années 1990 du premier gouvernement de René Préval, dont Gérald Mathurin était le ministre de l’Agriculture. Mais toutes ces tentatives sont restées vaines pour l'instant.

Gérald Mathurin
Ancien ministre de l’agriculture, coordinateur du CROS
A l’époque, nous avions fait des choix : confiscation de la terre et résolution des conflits en faveur des familles paysannes. Mais les vieux fantômes politique ont ressurgi et cassé le processus.

Conscient du caractère plus que sensible de la question foncière, où s'affrontent depuis des siècles les intérêts des paysans d'un côté et des grands propriétaires terriens de l'autre, le gouvernement actuel a décidé d'avancer avec prudence. « Il n’est aujourd’hui pas question de rentrer dans une dynamique de réforme agraire fondamentale liée à un système de distribution de terre », affirme le ministre haïtien de l'Agriculture, Joanas Gué. « Nous avons plutôt opté pour une politique qui vise à sécuriser les espaces cultivables ».

La nécessité d’une garantie pour les investisseurs

Le gouvernement haïtien a tout d'abord identifié trois zones géographiques avec un fort potentiel de production agraire : une région au Nord d'Haïti, une au Centre et une qui concerne la presqu'île du Sud. « La majeure partie de ces terres sont des terres du domaine privé », explique Joanas Gué. « Pour ces terrains-là, nous voulons élaborer une loi cadre qui devrait garantir aux exploitants de pouvoir jouir de ces espaces pour pouvoir faire des investissements sur le long terme ».
Au lieu de prendre possession des terres arables pour les redistribuer ensuite, tel que cela a été fait lors des tentatives de réformes agraires avortées, l'Etat veut cette fois fixer un cadre légal qui devrait permettre aux exploitants de conclure des accords durables avec les propriétaires. Et pour le gouvernement, ces exploitants ne sont plus seulement les paysans haïtiens.

Joanas Gué
Ministre haïtien de l’Agriculture
La question de la sécurité agro-foncière est fondamentale. Sans cette sécurité on ne peut pas prétendre attirer des investissements privés dans le secteur agricole.

« Il faut que l'agriculture haïtienne soit productive et compétitive. Il faut passer d'une agriculture familiale de subsistance à une agriculture entrepreneuriale », estime le ministre de l’Agriculture. « Donc notre gouvernement doit agir sur les deux leviers: d’un côté, il faut renforcer et encadrer l'agriculture familiale pour la production alimentaire des ménages. D’ l’autre il faut qu'il y ait aussi de grands investisseurs qui puissent exploiter des grandes espaces afin de dégager de volumes de production qui puissent adresser des marchés de proximité, des marchés nationaux et des marchés d'exportation ».
L’enjeu est de taille. Si les paysans ne trouvent pas leur place dans cette nouvelle politique agraire du gouvernement, le résultat est connu d'avance: il y aura alors un nouvel exode rural vers Port-au-Prince et sa région, qui reste très exposée aux tremblements de terre.

La governance della responsabilità e il diritto alla Terra

La governance della responsabilità e il diritto alla Terra “Nuovi obiettivi per la PAC del dopo 2013: assicurare un equo accesso alla terra per le nuove generazioni e promuovere l’occupazione attraverso un’attività agricola sostenibile!” Questo uno dei messaggi che i rappresentanti della società civile (Via Campesina, FIAN, IPC) sono riusciti a far passare nel resoconto finale del meeting europeo di Bucarest del 10 e 11 marzo scorsi, organizzato e promosso dalla FAO con l’obiettivo principale di supportare la definizione delle “Linee guida volontarie per una governance responsabile dei diritti di accesso alla terra e ad altre risorse naturali”.

di L. Coq
La situazione nei Paesi dell'Europa dell'Est

Per gli oltre 100 partecipanti all’incontro, provenienti soprattutto dai paesi dell’Est Europa, sono stati tre giorni di intensi dibattiti e confronto sullo stato di avanzamento dei processi di riforma fondiaria in atto nei paesi ex-socialisti. Spesso il passaggio da un’economia pianificata, ad una di mercato, è stato molto rapido e dove il quadro legale (riconoscimento della proprietà privata) e formale (istituti del catasto efficienti) è stato consolidato, sono stati poco chiari i vantaggi per la popolazione visti gli episodi di fenomeni speculativi. Resta soprattutto il pericolo per uno sviluppo del territorio incontrollato, dove vincoli burocratici troppo formali hanno favorito una gestione “anarchica” che si basa su l’iniziativa individuale, non adeguatamente supportata da un attivo ruolo dello Stato. A venti anni dalla caduta del muro, possiamo constatare, che i processi di privatizzazione e restituzione (agli antichi proprietari) stanno limitando le possibilità di accesso e controllo sulle risorse naturali, invece che aumentarle; è il caso del Montenegro, dove i cittadini oggi non hanno più possibilità di frequentare le spiagge, visto che questi suoli sono stati venduti dallo Stato ad imprenditori privati spesso stranieri.

Ma queste difficoltà di accesso e gestione delle risorse naturali, come la terra, sono comuni anche ai paesi della vecchia Europa, in una risoluzione del Parlamento Europeo2 del giugno 2008 si constata che “principale elemento condizionante per il ringiovanimento dell'imprenditoria agricola è l'accesso alla terra, visto il suo costo elevato si invita la Commissione a sostenere gli Stati membri nella creazione di una “banca delle terre”.

La situazione in Italia
Più in particolare, nella conferenza di Bucarest, è stato riportato il caso dell’Italia dove esiste un consolidato sistema di “mercato della terra” che tuttavia, negli ultimi 30 anni, ha portato ad una drammatica perdita di superficie agricola utile con un meno 27%. Questa drastica riduzione della SAU ha colpito soprattutto le aziende sotto i 20 ettari (meno 40% di superficie) mentre le aziende con oltre 50 ettari hanno incrementato la loro quota di superficie (più 10%). Inoltre l’aumento dei valori fondiari, e dei processi speculativi hanno fortemente limitato l’avvio di nuove imprese nel settore, favorendo la concentrazione della proprietà fondiaria, e un aumento dell’età media degli imprenditori agricoli. Il mercato della terra in Italia è statico, e ogni anno solo il 2% della superficie è interessata da attività di compravendita. Lo stesso ministro Zaia nel luglio 2009 aveva lanciato3 la proposta di utilizzo delle terre demaniali (circa 1 milione di ettari) per “favorire il ricambio generazionale e lo sviluppo dell'imprenditorialità agricola giovanile” tuttavia senza specificare le modalità di attuazione del progetto.

I prezzi della terra
Una differenza evidente che è emersa nell’incontro di Bucarest, è l’esistenza di un divario tra paesi dell’est e dell’ovest europeo inerenti i valori del bene fondiario. Se nella vecchia Europa, ed in particolare in Italia e nei paesi nordici, i prezzi medi per terreni in zone di pianura a vocazione agricola sono intorno ai 30.000 €/ha, nei paesi dell’est questi si attestano intorno ai 200 €/ha. Questo divario tra pressi ha favorito una “corsa all’oro” nel profondo est, dove il processo di smantellamento delle antiche cooperative statali è stato uno dei primi passi dei meccanismi di riforma verso un’economia di mercato. Paesi come la Polonia, per difendersi da questo nuovo fenomeno di land grabbing, hanno imposto vincoli alla proprietà, non più di 300 ettari per un privato e 500 ettari per società di capitali. Altri paesi, è il caso della Georgia o della Moldavia, per promuovere il settore privato, hanno semplificato i processi per il riconoscimento della proprietà privata; oggi per ottenere un titolo di proprietà nei rispettivi uffici del catasto bastano 2 giorni, 50 euro e una semplice autocertificazione.

La semplificazione delle procedure ha tuttavia eliminato la verifica di legalità a carico degli organi preposti: lo Stato, le amministrazioni locali, il sistema notarile. Dal lato delle proposte, molteplici sono state le suggestioni avute: una in particolare ha destato interesse, ovvero favorire la creazione di una riserva di terra da parte degli stati, che si possa attestare intorno al 20% del capitale fondiario nazionale, così come avviene in Francia, tale da poter calmierare il mercato, e garantire un accesso costante ai terreni anche a soggetti esterni al settore agricolo ma volenterosi di intraprendere iniziative economiche nel settore. Inoltre, si è posta l’attenzione sulla necessità di avviare processi di pianificazione territoriale partecipativi che coinvolgano le popolazioni locali, i gruppi vulnerabili i soggetti svantaggiati; queste iniziative serviranno per canalizzare i vari interessi in gioco nello sviluppo del territorio. È stato riportato che troppo spesso un approccio topdown alla pianificazione ha favorito fenomeni di corruzione danneggiando i portatori di interessi locali. Dal confronto tra i vari modelli di produzione agricola, attuati oggi in Europa, si è convenuto che vi è la necessità per una profonda riforma della PAC che, a partire dal 2013, possa favorire la nascita e il sostegno di imprese agricole per giovani agricoltori uniti in cooperative utilizzando lo strumento dell’affitto di terreni di proprietà statale; solo tali misure potranno limitare i fenomeni speculativi sulle risorse naturali, ormai per altro già in atto. Una riforma della PAC, sarà necessaria per indirizzare al cambiamento mutando gli obiettivi posti fino ad ora (mantenimento della rendita fondiaria attraverso il pagamento unico), promuovendo invece quei modelli di agricoltura che siano rispettosi dell’ambiente ad alto capitale umano (intensità lavorativa) e volti all’inclusione sociale. Questo è il modello di attività agricola che aziende come Agricoltura Nuova4, nel Comune di Roma, o GAIA5, nei dintorni di Budapest, rappresentano ed hanno avviato con successo ormai da oltre 30 anni, e sono questi i modelli imprenditoriali che le nuove politiche comunitarie debbono promuovere.

1 Cfr. il documento “European assessment” al seguente link http://www.fao.org/nr/tenure/voluntaryguidelines/events/en
2 Cfr Risoluzione del Parlamento europeo del 5 giugno 2008 sul futuro dei giovani agricoltori nel quadro dell'attuale riforma della PAC 3 Legge 3 agosto 2009, n. 102 “Decreto Anticrisi” - Art. 4-quinquies
4 http://www.agricolturanuova.it/
5 http://www.gaiaalapitvany.hu/

tratto da: Rivista BioAgricultura n. 120 marzo/aprile 2010

martedì 22 giugno 2010

Perché scrivere (e cosa scrivere) su un blog

Forse è per combattere la memoria che se ne va. Tante, troppe cose succedono tutti i giorni, in tutti i minuti, e non abbiamo piú la forza di star dietro a tutto, a volte nemmeno alle nostre cose, figurarsi quello che succede in giro per il mondo.

Da noi solo a star dietro all’interminabile lista di procacciatori, affaristi, escort, mafiosi, preti pedofili e compagnia fa venire il mal di testa. Allargando l’orizzonte trovi morti nel Darfour (dove dovrei andare in Agosto), undici soldati e poliziotti uccisi in Colombia (prevista per settembre) durante le elezioni presidenziali; a Caracas, capitale del Venezuela (prima di fine anno dovrei tornare anche li) si registrano 198 morti violente per il solo mese di maggio, piú che a Ciudad Juarez, Messico, molto piú gettonata nei notiziari televisivi.

Cerco allora qualcosa di bello sul web.. ma trovo l’eliminazione della Schiavone al primo turno di Winbledon e poco altro. Sará forse perché ognuno se lo tiene per sé quello che di bello si trova in una giornata, in un fiore che sboccia, in un sorriso, e invece risulta piú facile esternare il “brutto”. Chiaro che se poi pensiamo al ruolo che occupa il calcio in questi giorni, ed alla qualitá media delle partite, è ovvio che cercando “qualcosa di brutto” si trovino subito centinaia di pagine riferite al Mondiale.

Ma torniamo a bomba. Perché scrivere e cosa scrivere. Essendo il mio primo blog, ed anche i miei primi mesi, devo ammettere che la domanda mi è venuta solo dopo la cena dell’altra sera a Vicenza e la discussione con Barba. Il desiderio di cominciare a scrivere è arrivato quasi per caso l’anno scorso. Inizialmente casuale ma poi pian piano ha preso il sopravvento e sotto le feste ho cominciato a butta giú pagine. Pensate all’inizio come messaggi futuri per mia figlia, pian piano ho allargato anch’io l’orizzonte, pensando agli amici a cui uno non riesce sempre a scrivere e che magari sono interessati a sapere dove sei, cosa fai (o magari no, ovviamente).

All’inizio nasce cosí per raccontare i posti dove mi tocca di andare, per farli sentire un po’ piú vicini, piú veri attraverso piccole immagini di cose viste per strada, lette nei giornali o raccolte nelle discussioni con i locali, o mangiate e bevute lí. Ti viene poi la voglia di andare piú in lá, e non obbedire al consiglio che qui a Roma ti danno spesso: “Nun t’allargá!!”. Ti allarghi, e inizi a raccontare altre preoccupazioni, cose piú serie ed altre meno cosí che piú tardi potrai rimetterle in ordine. Dato che non usi filtri particolari, diventa anche un modo per vedere cosa ti ha colpito di piú, quel giorno, quella settimana o in questo specifico momento quando scrivo.

Rileggendo cose scritte in questi mesi mi rendo conto di star cercando di inviare un messaggio chiaro e forte: dobbiamo imparare di nuovo a parlarci, a conoscerci, a stare assieme. Girando il mondo questo punto torna sempre, da qualsiasi angolo lo si guardi. Quindi parlar di se non è necessariamente uno sfogo del proprio ego, ma diventa una possibilitá per raccontarsi ed invitare a raccontarsi, con la modestia necessaria per dire ecco, io sono cosí, e voi come siete? Il titolo dell’ultimo video: Un viaggio verso gli altri, di fatto racchiude il senso di questo blog: facciamo uno sforzo per guardarci dentro, perché cosí riusciremo a trovare la forza per iniziare il viaggio.

lunedì 21 giugno 2010

Ojos de pescado - desde Cuba blog de Generación Y

Ojos de pescado

Están ahí para mirarnos y grabarnos. Decenas, cientos de cámaras regadas por toda la ciudad como si ya no fueran suficientes los camiones cargados de policías, los CDR en cada cuadra y los segurosos con camisas a cuadros. Han sido instaladas con una eficiencia que rara vez se ve en la ejecución de algún proyecto de beneficio popular. Su sofisticada estructura asoma lo mismo en una calle donde la mitad de las casas están a punto de derrumbarse que en los modernos enclaves turísticos o en la suntuosa 5ta Avenida. Captan al que trafica con carne de res, vende drogas o arrebata una cadena de oro; pero también vigilan a quienes no guardan armas bajo la cama, sino opiniones en sus cabezas.
Cuando esos “ojos de pescado” empezaron a ser instalados por todas partes, generaron entre los habaneros una sensación de parálisis. Me recuerdo buscando los puntos ciegos donde sus globos de cristal no pudieran captarme. Después me relajé un poco y aprendí a vivir con ellos, sin dejar de sentir esa comezón en la nuca que da el saberse observado. Entre las especulaciones alrededor de estas máquinas filmadoras está la de que tienen programas para detectar rostros -ya incluidos en una base de datos- a partir de medidas antropométricas. Pero los comentarios de ese tipo bien pudieran pertenecer al catálogo fantasioso que genera todo lo nuevo.
Estas cámaras públicas –materialización de la telepantalla orwelliana– han dado inicio a una nueva cinematografía. Aunque funcionan básicamente de forma automatizada, algunas manos han filtrado su contenido hacia las redes alternativas de información. Decenas de imágenes salen de los archivos policiales y circulan ahora mismo a través de las memorias USB. Videos donde se nos ve delinquir y sobrevivir, hurtar y rebelarnos. Minutos de golpizas policiales, choques de autos y vistas de prostitución entre muchachos muy jóvenes y turistas que le duplican la edad. Una completa muestra de un impactante snuff movie que desde hace semanas va de una pantalla a otra, brinca de los teléfonos móviles a los reproductores de DVD.
Sin pretenderlo, la policía nos ha dado el más crudo testimonio que se puede tener sobre nuestro presente. Una sucesión de escenas que –no hay dudas– quedarán almacenadas en la memoria visual de este país.

Leia prefácio do livro "Terra" escrito por José Saramago

É difícil defender só com palavras a vida (ainda mais quando ela é esta que vê, severina).
João Cabral de Melo Neto

Oxalá não venha nunca à sublime cabeça de Deus a idéia de viajar um dia a estas paragens para certificar-se de que as pessoas que por aqui mal vivem, e pior vão morrendo, estão a cumprir de modo satisfatório o castigo que por ele foi aplicado, no começo do mundo, ao nosso primeiro pai e à nossa primeira mãe, os quais, pela simples e honesta curiosidade de quererem saber a razão por que tinham sido feitos, foram sentenciados, ela, a parir com esforço e dor, ele, a ganhar o pão da família com o suor do seu rosto, tendo como destino final a mesma terra donde, por um capricho divino, haviam sido tirados, pó que foi pó, e pó tornará a ser. Dos dois criminosos, digamo-lo já, quem veio a suportar a carga pior foi ela e as que depois dela vieram, pois tendo de sofrer e suar tanto para parir, conforme havia sido determinado pela sempre misericordiosa vontade de Deus, tiveram também de suar e sofrer trabalhando ao lado dos seus homens, tiveram também de esforçar-se o mesmo ou mais do que eles, que a vida, durante muitos milénios, não estava para a senhora ficar em casa, de perna estendida, qual rainha das abelhas, sem outra obrigação que a de desovar de tempos a tempos, não fosse ficar o mundo deserto e depois não ter Deus em quem mandar.
Se, porém, o dito Deus, não fazendo caso de recomendações e conselhos, persistisse no propósito de vir até aqui, sem dúvida acabaria por reconhecer como, afinal, é tão pouca coisa ser-se um Deus, quando, apesar dos famosos atributos de omnisciência e omnipotência, mil vezes exaltados em todas as línguas e dialectos, foram cometidos, no projecto da criação da humanidade, tantos e tão grosseiros erros de previsão, como foi aquele, a todas as luzes imperdoável, de apetrechar as pessoas com glândulas sudoríparas, para depois lhes recusar o trabalho que as faria funcionar - as glândulas e as pessoas. Ao pé disto, cabe perguntar se não teria merecido mais prémio que castigo a puríssima inocência que levou a nossa primeira mãe e o nosso primeiro pai a provarem do fruto da árvore do conhecimento do bem e do mal. A verdade, digam o que disserem autoridades, tanto as teológicas como as outras, civis e militares, é que, propriamente falando, não o chegaram a comer, só o morderam, por isso estamos nós como estamos, sabendo tanto do mal, e do bem tão pouco.
Envergonhar-se e arrepender-se dos erros cometidos é o que se espera de qualquer pessoa bem nascida e de sólida formação moral, e Deus, tendo indiscutivelmente nascido de Si mesmo, está claro que nasceu do melhor que havia no seu tempo. Por estas razões, as de origem e as adquiridas, após ter visto e percebido o que aqui se passa, não teve mais remédio que clamar mea culpa, mea maxima culpa, e reconhecer a excessiva dimensão dos enganos em que tinha caído. É certo que, a seu crédito, e para que isto não seja só um contínuo dizer mal do Criador, subsiste o facto irrespondível de que, quando Deus se decidiu a expulsar do paraíso terreal, por desobediência, o nosso primeiro pai e a nossa primeira mãe, eles, apesar da imprudente falta, iriam ter ao seu dispor a terra toda, para nela suarem e trabalharem à vontade. Contudo, e por desgraça, um outro erro nas previsões divinas não demoraria a manifestar-se, e esse muito mais grave do que tudo quanto até aí havia acontecido.
Foi o caso que estando já a terra assaz povoada de filhos, filhos de filhos e filhos de netos da nossa primeira mãe e do nosso primeiro pai, uns quantos desses, esquecidos de que sendo a morte de todos, a vida também o deveria ser, puseram-se a traçar uns riscos no chão, a espetar umas estacas, a levantar uns muros de pedra, depois do que anunciaram que, a partir desse momento, estava proibida (palavra nova) a entrada nos terrenos que assim ficavam delimitados, sob pena de um castigo, que segundo os tempos e os costumes, poderia vir a ser de morte, ou de prisão, ou de multa, ou novamente de morte. Sem que até hoje se tivesse sabido porquê, e não falta quem afirme que disto não poderão ser atiradas as responsabilidades para as costas de Deus, aqueles nossos antigos parentes que por ali andavam, tendo presenciado a espoliação e escutado o inaudito aviso, não só não protestaram contra o abuso com que fora tornado particular o que até então havia sido de todos, como acreditaram que era essa a irrefragável ordem natural das coisas de que se tinha começado a falar por aquelas alturas. Diziam eles que se o cordeiro veio ao mundo para ser comido pelo lobo, conforme se podia concluir da simples verificação dos factos da vida pastoril, então é porque a natureza quer que haja servos e haja senhores, que estes mandem e aqueles obedeçam, e que tudo quanto assim não for será chamado subversão.
Posto diante de todos estes homens reunidos, de todas estas mulheres, de todas estas crianças (sede fecundos, multiplicai-vos e enchei a terra, assim lhes fora mandado), cujo suor não nascia do trabalho que não tinham, mas da agonia insuportável de não o ter, Deus arrependeu-se dos males que havia feito e permitido, a um ponto tal que, num arrebato de contrição, quis mudar o seu nome para um outro mais humano. Falando à multidão, anunciou: “A partir de hoje chamar-me-eis Justiça.” E a multidão respondeu-lhe: “Justiça, já nós a temos, e não nos atende. Disse Deus: “Sendo assim, tomarei o nome de Direito.” E a multidão tornou a responder-lhe: “Direito, já nós o temos, e não nos conhece." E Deus: "Nesse caso, ficarei com o nome de Caridade, que é um nome bonito.” Disse a multidão: “Não necessitamos caridade, o que queremos é uma Justiça que se cumpra e um Direito que nos respeite.” Então, Deus compreendeu que nunca tivera, verdadeiramente, no mundo que julgara ser seu, o lugar de majestade que havia imaginado, que tudo fora, afinal, uma ilusão, que também ele tinha sido vítima de enganos, como aqueles de que se estavam queixando as mulheres, os homens e as crianças, e, humilhado, retirou-se para a eternidade. A penúltima imagem que ainda viu foi a de espingardas apontadas à multidão, o penúltimo som que ainda ouviu foi o dos disparos, mas na última imagem já havia corpos caídos sangrando, e o último som estava cheio de gritos e de lágrimas. No dia 17 de Abril de 1996, no estado brasileiro do Pará, perto de uma povoação chamada Eldorado dos Carajás (Eldorado: como pode ser sarcástico o destino de certas palavras...), 155 soldados da polícia militarizada, armados de espingardas e metralhadoras, abriram fogo contra uma manifestação de camponeses que bloqueavam a estrada em acção de protesto pelo atraso dos procedimentos legais de expropriação de terras, como parte do esboço ou simulacro de uma suposta reforma agrária na qual, entre avanços mínimos e dramáticos recuos, se gastaram já cinqüenta anos, sem que alguma vez tivesse sido dada suficiente satisfação aos gravíssimos problemas de subsistência (seria mais rigoroso dizer sobrevivência) dos trabalhadores do campo. Naquele dia, no chão de Eldorado dos Carajás ficaram 19 mortos, além de umas quantas dezenas de pessoas feridas. Passados três meses sobre este sangrento acontecimento, a polícia do estado do Pará, arvorando-se a si mesma em juiz numa causa em que, obviamente, só poderia ser a parte acusada, veio a público declarar inocentes de qualquer culpa os seus 155 soldados, alegando que tinham agido em legítima defesa, e, como se isto lhe parecesse pouco, reclamou processamento judicial contra três dos camponeses, por desacato, lesões e detenção ilegal de armas. O arsenal bélico dos manifestantes era constituído por três pistolas, pedras e instrumentos de lavoura mais ou menos manejáveis. Demasiado sabemos que, muito antes da invenção das primeiras armas de fogo, já as pedras, as foices e os chuços haviam sido considerados ilegais nas mãos daqueles que, obrigados pela necessidade a reclamar pão para comer e terra para trabalhar, encontraram pela frente a polícia militarizada do tempo, armada de espadas, lanças e alabardas. Ao contrário do que geralmente se pretende fazer acreditar, não há nada mais fácil de compreender que a história do mundo, que muita gente ilustrada ainda teima em afirmar ser complicada demais para o entendimento rude do povo.
Pelas três horas da madrugada do dia 9 de Agosto de 1995, em Corumbiara, no estado de Rondônia, 600 famílias de camponeses sem terra, que se encontravam acampadas na Fazenda Santa Elina, foram atacadas por tropas da polícia militarizada. Durante o cerco, que durou todo o resto da noite, os camponeses resistiram com espingardas de caça. Quando amanheceu, a polícia, fardada e encapuçada, de cara pintada de preto, e com o apoio de grupos de assassinos profissionais a soldo de um latifundiário da região, invadiu o acampamento. varrendo-o a tiro, derrubando e incendiando as barracas onde os sem-terra viviam. Foram mortos 10 camponeses, entre eles uma menina de 7 anos, atingida pelas costas quando fugia. Dois polícias morreram também na luta.
A superfície do Brasil, incluindo lagos, rios e montanhas, é de 850 milhões de hectares. Mais ou menos metade desta superfície, uns 400 milhões de hectares, é geralmente considerada apropriada ao uso e ao desenvolvimento agrícolas. Ora, actualmente, apenas 60 milhões desses hectares estão a ser utilizados na cultura regular de grãos. O restante, salvo as áreas que têm vindo a ser ocupadas por explorações de pecuária extensiva (que, ao contrário do que um primeiro e apressado exame possa levar a pensar, significam, na realidade, um aproveitamento insuficiente da terra), encontra-se em estado de improdutividade, de abandono. sem fruto.
Povoando dramaticamente esta paisagem e esta realidade social e económica, vagando entre o sonho e o desespero, existem 4 800 000 famílias de rurais sem terras. A terra está ali, diante dos olhos e dos braços, uma imensa metade de um país imenso, mas aquela gente (quantas pessoas ao todo? 15 milhões? mais ainda?) não pode lá entrar para trabalhar, para viver com a dignidade simples que só o trabalho pode conferir, porque os voracíssimos descendentes daqueles homens que primeiro haviam dito: “Esta terra é minha”, e encontraram semelhantes seus bastante ingénuos para acreditar que era suficiente tê-lo dito, esses rodearam a terra de leis que os protegem, de polícias que os guardam, de governos que os representam e defendem, de pistoleiros pagos para matar. Os 19 mortos de Eldorado dos Carajás e os 10 de Corumbiara foram apenas a última gota de sangue do longo calvário que tem sido a perseguição sofrida pelos trabalhadores do campo, uma perseguição contínua, sistemática, desapiedada, que, só entre 1964 e 1995, causou 1 635 vítimas mortais, cobrindo de luto a miséria dos camponeses de todos os estados do Brasil. com mais evidência para Bahia, Maranhão. Mato Grosso, Pará e Pernambuco, que contam, só eles, mais de mil assassinados.
E a Reforma Agrária, a reforma da terra brasileira aproveitável, em laboriosa e acidentada gestação, alternando as esperanças e os desânimos, desde que a Constituição de 1946, na seqüência do movimento de redemocratização que varreu o Brasil depois da Segunda Guerra Mundial, acolheu o preceito do interesse social como fundamento para a desapropriação de terras? Em que ponto se encontra hoje essa maravilha humanitária que haveria de assombrar o mundo, essa obra de taumaturgos tantas vezes prometida, essa bandeira de eleições, essa negaça de votos, esse engano de desesperados? Sem ir mais longe que as quatro últimas presidências da República, será suficiente relembrar que o presidente José Sarney prometeu assentar 1.400.000 famílias de trabalhadores rurais e que, decorridos os cinco anos do seu mandato, nem sequer 140.000 tinham sido instaladas; será suficiente recordar que o presidente Fernando Collor de Mello fez a promessa de assentar 500.000 famílias, e nem uma só o foi; será suficiente lembrar que o presidente Itamar Franco garantiu que faria assentar 100.000 famílias, e só ficou por 20.000; será suficiente dizer, enfim, que o actual presidente da República, Fernando Henrique Cardoso, estabeleceu que a Reforma Agrária irá contemplar 280.000 famílias em quatro anos, o que significará, se tão modesto objectivo for cumprido e o mesmo programa se repetir no futuro, que irão ser necessários, segundo uma operação aritmética elementar, setenta anos para assentar os quase 5.000.000 de famílias de trabalhadores rurais que precisam de terra e não a têm, terra que para eles é condição de vida, vida que já não poderá esperar mais. Entretanto, a polícia absolve-se a si mesma e condena aqueles a quem assassinou. O Cristo do Corcovado desapareceu, levou-o Deus quando se retirou para a eternidade, porque não tinha servido de nada pô-lo ali. Agora, no lugar dele, fala-se em colocar quatro enormes painéis virados às quatro direcções do Brasil e do mundo, e todos, em grandes letras, dizendo o mesmo: UM DIREITO QUE RESPEITE, UMA JUSTIÇA QUE CUMPRA.

JOSÉ SARAMAGO
1997