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domenica 7 dicembre 2014

2014 L51: Il sentiero dei nidi di ragno - Italo Calvino

Mondadori 1993

La storia di Pin, bambino sbandato, passato, come per caso, dai giochi violenti dell'infanzia alla dura realtà della guerra partigiana. 

Per finire l'anno in bellezza, un paio di libri di Calvino. Sempre un gran piacere anche a distanza di parecchi decenni.

martedì 2 dicembre 2014

La ricreazione sta per finire




Pensavo alla sottile linea rossa che Mauro Martoriati dipinse oltre vent’anni fa. Linea del potere, linea da (non) sorpassare per non entrare nella zona proibita. Era abbastanza facile all’epoca definire chi stava da una parte e chi dall’altra, o almeno così sembrava. Come quando giocavamo a carte in treno andando all’università, e su un pezzo di carta, per segnare i punti e le squadre, bastava scrivere N.V., noialtri, voialtri, noi-voi. Era dialettica la separazione, il noi dipendeva da chi in quel momento scriveva, e l’anonimato del N-V dava un’idea della flessibilità delle posizioni. Ovviamente cerano le separazioni di livello superiore, chi stava per un campo politico e chi per l’altro, tutti nel nome della libertà, chiaramente.

Poi un campo politico scomparve, e questo, invece di celebrare il trionfo del campo restante, fu il segnale, lo specchio, delle cose che non andavano anche da quella parte. Dovette venire prima un Papa poco compreso, Giovanni XXIII, a ricordare che il male era rappresentato dall’ex Unione Sovietica, anche il Capitalismo aveva i suoi torti. Nessuno volle ascoltarlo.

Oggi un altro Papa è venuto a ricordarci le stesse cose, ma forse oramai è troppo tardi. La Storia è partita, per un altro giro di guerre e violenze.

La linea rossa non è più fra due mondi, ma fra un mondo che sta andando alla distruzione e pochi isolati e disorganizzati individui che pensano e sperano, a volte anche operano, per un futuro diverso.

Ci siamo lasciati dietro un mondo bipolare, con la vittoria di un modo di produzione, il capitalismo, che si è oramai trasformato in qualcos’altro, finanza e interessi individuali all’estremo. Il capitalismo era una religione di stato nell’occidente, con regole da rispettare; ma oggi gli Stati occidentali non ce la fanno più a contenere il loro frutto, un turbocapitalismo finanziario che, novello Kronos, pian piano si disfa del genitore da cui discende. Oramai è un interesse, fatto suo da compagnie private che non rispondono più a nessuno, e che vanno oltre gli obblighi volontariamente contratti dagli Stati. Un turbocapitalismo che, per vendersi all’estero senza far troppa paura, si è mascherato con i desideri (indotti) dei giovani, la parola libertà, e l’invito a chi corre più forte. Pian piano poi è venuto fuori che erano tutte balle, l’impotante era guadagnare spazi e mercati, distruggere gli avversari ed imporsi in nome e per conto di quei soci che hanno in mano lo zero virgola zero delle azioni. Pochi ma superpotenti. La World Company, così venne chiamata da un manipolo di comici francesi.

Gli altri però non sono stati distrutti, anzi, si sono ritirati, hanno subito l’assalto, e pian piano si sono organizzati. Questi altri non sono quei pochi individui che cercano di lottare contro le derive di questo modello che rende schiavi e morti di fame miliardi di persone. Gli altri sono veramente altri. Sono a casa nostra, come stiamo scoprendo, e sono anche altrove. Si sono riuniti sotto un denominatore comune, quello del rifiuto di tutto quel mondo incarnato sotto la parola Occidente. Occidente che ai loro occhi vuol significare quel modello di turbocapitalismo, ma anche tutte quelle fobie che non sono mai riusciti a dominare, prima di tutto la liberazione della donna.

Lenin ce l’aveva insegnato cent’anni fa di come sia importante avere un nemico chiaro per mettere assieme le forze. L’Occidente è diventato questo, nella percezione di tutti quelli che si ribellano a partire da una interpretazione personale della religione. Si ribellano a partire dal momento in cui hanno capito che per loro non c’era posto, non potevano sedersi e giocare allo stesso gioco, loro erano quei bambini che devono stare sempre sotto, e i più grandi gli danno le sberle. Un giorno quei bambini si stancano e, senza dir nulla, se ne vanno. In questo caso, se ne sono andati, ma per prepararsi alla riscossa. Le Torri del 2001 erano solo l’antipasto. Ben peggio ci aspetterà nel futuro. E questo perché i ragazzi più grandi non hanno capito perché i più piccoli se ne sono andati e continuano a giocare allo stesso gioco. I bambini piccoli sono andati a cercare altri bambini e, la cosa può sorprendere, li stanno trovando a casa nostra. Ne hanno fatto uno Stato, che nessuno riconosce, ma che continua ad avanzare, come un’ idra. Un califfato si è già creato davanti le nostre coste, le primavere arabe sono finite, e la linea rossa diventa ogni giorno più visibile.

Bisogna tirarsi fuori da questo gioco a due. Non potremo mai accettare di essere sottomessi a questi rozzi e violenti che non riconoscono i più elementari diritti alle loro donne, che sgozzano i prigionieri e che hanno una concezione della società come sottomessa all’ordine divino. Mai e poi mai. Ma nemmeno potremo mai accettare l’imposizione sotto le sue svariate forme di questo impero turbocapitalistico, un mostro che usa gli Stati, oramai ridotti a fantocci, e questo per aumentare i benefici privati di una casta ridottissima.

Sono due entità da combattere, con ugual forza. La parola diritti non viene accettata nè dagli uni nè dagli altri. La centralità della persona umana, il rispetto per l’altro, per il diverso, sia esso Rom o Pariolino, sono elementi costituenti che mancano ad entrambi. Due forze che vanno verso lo scontro. Ai barbuti perché cercano nel martirio di ripagarsi per tutte le sofferenze di cui si sentono preda, e i turbocapitalisti semplicemente perché non sono loro a morire, ma dei poveracci vestiti da soldati mandati a combattere perché il turbocapitalismo ha eliminato qualsiasi altra forma di lavoro vero.

Dobbiamo tirarci fuori da questa dicotomia, ed aprire uno spazio diverso, di pensiero e di azione. Dobbiamo dare un senso diverso alla linea rossa di Martoriati, a quell’esercito dei poveri che aumenta ogni giorno di più, renderlo una forza non di disperazione, perché dalla disperazione nasce l’odio. Dobbiamo aiutarli ed aiutarci a diventare una forza di cambiamento, partendo da dentro di noi.

Martoriati un giorno fece un Angel@

Forte, d’acciaio, asessuato per ricordare che è un essere umano, non un uomo. Il viso rivolto in alto, così come le braccia. Un segnale, un invito a guardare avanti, positivamente. Ecco, compiuti i miei 54 e sulla strada dei prossimi compleanni, volevo ringraziarvi con queste parole, per ricordarvi e ricordarci che la lotta non finirà mai, ma almeno l’obiettivo è chiaro: riportare l’essere umano al centro dell’interlocuzione con Madre Natura. L’ essere umano nella sua diversità, di interessi, voleri e quant’altro. Un essere umano che è multitudine ma nello stesso che si declina nel rispetto degli altri. Abbiamo una stella polare verso cui dobbiamo voler andare, quella di un equilibrio ecologico senza il quale saremo finiti noi e questa Terra dove viviamo.
Un messaggio di speranza, ma soprattutto un incitamento a tutti noi ad uscire da casa, ad andare verso gli altri e a fare uno sforzo per accettare anche il diverso, sessuale, politico, di genere e di interessi. Rimpariamo ad accettarci per quello che siamo, poca cosa di fronte a questa Pacha Mama che ci accoglie.   

lunedì 1 dicembre 2014

Cumpleaño Feliz



(traducción al español abajo)

E sono 54 – NON ARRENDERSI MAI     

Intanto un grazie di cuore a chi si sarà ricordato e eventualmente manifestato per i tradizionali auguri. E’ una buona occasione per ricordare l’ABC delle cose in cui credo e per cui lotto.

Dedico questo compleanno a Carlos Mejia Godoy, un musicista nicaraguense, in particolare per alcune canzoni che hanno legato molto la mia prima visita a quel paese, nel 1983, al lavoro che avrei svolto da quella volta. Una è diventata quasi uno slogan, AQUI NO SE RINDE NADIE – non arrendersi mai, un inno alla rivoluzione intelligente, all’amore per il prossimo che ci porta a dover compatire con gli altri, condividere le sofferenze per poi lottare contro di esse. Il compatire senza agire è come un applauso con una mano sola, non si può fare.

Compatire vuol dire innanzitutto capire, comprendere a cosa stiamo giocando, con nostra Madre Terra, con lo sfruttamento cercato e voluto di milioni, anzi miliardi di persone, per far sentire meglio un pugno sempre più ridotto di ricconi e riccastri.

Studiarne i meccanismi, freddamente e cinicamente, per trovare delle strade possibili per mettersi a lottare con la speranza che un giorno ce la faremo a cambiare le cose. Non basta avere storicamente ragione, bisogna anche far sì che questa storia non sia nell’eternità, ma adesso.

Ai giovani che negli anni sono venuti a lavorare con me, davo tre parole semplici come messaggio per il proprio futuro professionale: Rabbia, Libertà e Fantasia. Non certo granché, un titolo di una canzone presa lì, quasi per caso… ma proprio quello volevo e voglio testimoniar loro. A volte ci si avvicina a queste realtà per caso, come è successo a me, ma poi mi è esplosa la rabbia al vedere con i miei occhi queste sofferenze, e mi è stata compagna fedele la libertà di pensare senza condizionamenti ideologici anche se, per molti amici e conoscenti, il solo fatto di essere attivamente contro chi produce questa miseria faceva di me un pericoloso estremista. A mano a mano che entravo a capire i meccanismi del potere, soprattutto nelle questioni agrarie che hanno occupato, e continuano ad occupare i miei giorni, la libertà di pensiero, a cui aveva dato una forte strutturazione il passaggio alla scuola di Marcel Mazoyer, non era più sufficiente. Per questo la parola fantasia si è aggiunta, come una necessità di pensare strade nuove, sentieri poco battuti.

Dal 1983 ad oggi di strada ne ho fatta, con la volontà di continuare finché avrò fiato. Poi arriva uno che di mestiere fa il Presidente della Repubblica, di un paese che avremmo voluto nell’Unione Europea, è comincia a dire, nel 2014, che uomini e donne non sono uguali, le donne stanno sotto, è geneticamente provato. Allora uno legge ed ascolta, manda giù la rabbia, ma anche la sorpresa che nel 2014 siamo ancora a questo punto. La rivoluzione francese e quella americana non sono andate abbastanza lontane. Dobbiamo ricominciare ogni giorno a ripetere e lottare per i diritti di base, l’uguaglianza fra gli esseri umani.

In trent’anni forse siamo andati indietro. Abbiamo fatto guerre in nome della democrazia con l’unico risultato che a morire sono sempre gli stessi poveracci, da una parte e dall’altra. La democrazia non interessa più nessuno, salvo quando un popolo, i burkinabè, cacciano via il loro dittatore di turno che tutte le potenze occidentali omaggiavano da oltre vent’anni. Allora la democrazia torna di moda, cinque minuti e via. Ma per il resto ci stiamo chiudendo in casa, dentro di noi, abbiamo sempre più paura dell’altro, insomma un gran passo indietro per tornare ad essere quelle bestie da cui discendiamo.
Buon compleanno lo stesso, e ricordiamoci che, a luta continua, ma la vittoria non è certa, … forse nemmeno il pareggio.



Y son 54 – Aquí no se rinde nadie
Primero,, un gran agradecimiento a los que se han recordado y, eventualmente, manifestados para las felicitaciones tradicionales. Es una buena oportunidad para recordar el ABC de las cosas en que creo y para las que lucho.
Dedico este cumpleaños Carlos Mejía Godoy, un músico nicaragüense, especialmente para algunas de las canciones que han atado mi primera visita a ese país, en 1983, a la labor que habría empezado a realizar desde esa época. Una de ellas casi se ha convertido en un lema, AQUI NO SE RINDE NADIE - nunca darse por vencidos, un himno a la revolución inteligente, el amor al prójimo que nos lleva a simpatizar con los demás, compadecer el sufrimiento y luego luchar contra ello. Compadecer sin actuar es como una palmada con una mano, no se puede hacer. Compadecer significa entender primero, entender a lo que estamos jugando con nuestra Madre Tierra, con la explotación de miles de millones de personas, para que un puñado de ricos se sientan cada vez más ricos.

Estudiar los mecanismos, con frialdad y cinismo, para encontrar posibles maneras de llegar a luchar, con la esperanza de que algún día vamos a tener éxito en cambiar las cosas. No basta con tener razón históricamente, debemos asegurarnos también de que esta historia no sea la eternidad, sino ahora.

A los jóvenes que en los últimos años han estado trabajando conmigo, les dejé tres simples palabras como mensaje para su futuro profesional: La Rabia/Ira, la Libertad y la Fantasía. Ciertamente, no mucho, un título de una canción llevado allí, casi por accidente ... pero justo lo que quería y quiero dar testimonio para ellos. A veces uno se acerca a estas realidades por accidente, como me pasó a mí, pero luego me explotó la ira de ver con mis propios ojos esos sufrimientos, y me fue fiel compañera la libertad de pensar sin condicionamiento ideológico, sin embargo, para muchos amigos y conocidos, el mero hecho de ser activamente contra los que producen esta miseria me hizo considerar un extremista peligroso. A medida que iba entendiendo los mecanismos de poder, sobre todo en las cuestiones agrarias, que han ocupado y siguen ocupando mis días, la libertad de pensamiento, a la que había dado una fuerte estructuración el pasaje por la escuela de Marcel Mazoyer, no alcanzaba más. A esto vine sumándose la palabra fantasía/imaginación, como una necesidad de nuevas formas de pensar, caminos inusuales.

Desde 1983 he hecho bastante camino, con el deseo de continuar hasta cuando tenga aliento. Un día llega un tipo que es el Presidente de la República de un país que queríamos en la Unión Europea y comienza a decir, en 2014, que los hombres y mujeres no son iguales, las mujeres están por debajo, está comprobado genéticamente. Entonces uno lee y escucha, hace bajar la ira, pero también la sorpresa de que en 2014 todavía estemos en este punto. La Revolución francesa y la americana no fueron lo suficientemente lejos. Tenemos que empezar de nuevo cada día para repetir y luchar por los derechos fundamentales, la igualdad entre los seres humanos.
En treinta años probablemente hemos retrocedido. Hemos hechos guerras en nombre de la democracia, con el único resultado que mueren son siempre las mismas personas pobres, de ambos lados. La democracia no le importa a nadie más, excepto cuando un pueblo, el de Burkina Faso, echan a su dictador de turno que todas las potencias occidentales respectaban durante más de veinte años. Entonces la democracia vuelve a ponerse de moda, por unos cinco minutos no más. Fuera de eso nos estamos encerrando en casa, dentro de nosotros, tenemos más y más miedo de los demás, en fin, un gran paso hacia atrás para volver a ser las bestias de la que venimos.
Feliz cumpleaños igualmente, y recordemos que, la lucha continúa, pero la victoria no es cierto, ... tal vez ni siquiera el empate.