Visualizzazioni totali

mercoledì 29 novembre 2023

2023 L52: Mario Vargas Llosa - Tours et détours de la vilaine fille



Gallimard, 2008

Que de tours et de malices chez cette « vilaine fille », toujours et tant aimée par son ami Ricardo, le « bon garçon ». Ils se rencontrent pour la première fois au début des années cinquante, en pleine adolescence, dans l'un des quartiers les plus huppés de Lima, Miraflores. Joyeux, inconscients, ils font partie d'une jeunesse dorée qui se passionne pour les rythmes du mambo et ne connaît d'autre souci que les chagrins d'amour. Rien ne laissait alors deviner que celle qu'on appelait à Miraflores « la petite Chilienne » allait devenir, quelques années plus tard, une farouche guérillera dans la Cuba de Castro, puis l'épouse d'un diplomate dans le Paris des existentialistes, ou encore une richissime aristocrate dans le swinging London. D'une époque, d'un pays à l'autre, Ricardo la suit et la poursuit, comme le plus obscur objet de son désir. Et chaque fois, il ne la retrouve que pour la perdre. Et, bien entendu, ne la perd que pour mieux la rechercher. 
Il n'est jamais facile d'écrire l'histoire d'une obsession. Mais la difficulté est encore plus grande quand il s'agit d'une obsession amoureuse et quand l'histoire que l'on raconte est celle d'une passion. Mario Vargas Llosa avait déjà affronté ce défi par le passé dans La tante Julia et le scribouillard (1980), l'un de ses romans les plus populaires. Et voici qu'il le relève encore vingt-cinq ans plus tard et nous offre ce cadeau inattendu : une superbe tragi-comédie où éros et thanatos finissent par dessiner une autre Carte de Tendre entre Lima, Paris, Londres et Madrid. Car Tours et détours de la vilaine fille est bien cela : la géographie moderne d'un amour fou. 

==

Il mio autore preferito. Gran bel libro, candidato alla Top

venerdì 24 novembre 2023

Letture in tempo di guerra: il libro del secolo - LES BIENVEILLANTES di Jonathan Littell

 


In questa epoca di guerra, sto guardando un documentario sulla rete franco-tedesca ARTE, su questo libro e il suo autore. Uno dei commenti che sottoscrivo in pieno è: QUESTO E' IL LIBRO DEL SECOLO!

Io l'ho letto due volte, l'ultima a fine 2015 e presto lo riprenderò in mano anche se, leggerlo, è una sofferenza tremenda. Ma va fatto.

martedì 21 novembre 2023

2023 L51: Christian Frascella - L'assassino ci vede benissimo

 


Einaudi, 2020

Ci vuole il fiuto infallibile per le storie destinate a finire male, o forse solo una certa dose di fortuna, per trovarsi sul luogo di un brutale delitto e riuscire a salvare la pelle. È quello che capita all'investigatore privato piú sfacciato che c'è in circolazione, Contrera, nella sua Barriera di Milano, il quartiere torinese che ha perso l'innocenza e si prepara a una notte di vendetta. Una notte in cui la città è un lenzuolo di nebbia spugnosa e tenace. Una nebbia da maledire, se devi correre contro il tempo per scovare il colpevole e scagionare un amico. O da benedire, se nasconde dai tanti, troppi, occhi indiscreti della città.

Anfibi scalcagnati e giacca militare d'ordinanza, Contrera cercherà di dipanare questa nuova indagine mentre la sua vita sentimentale s'ingarbuglia forse definitivamente.

=
Piaciuto molto. Uno di quei "noir" da ricordare. Candidato alla Top.

domenica 19 novembre 2023

Ennesimo femminicidio: una proposta per andare oltre la solita retorica: Brevetto per la lotta contro i comportamenti sessisti e la violenza

Un'altra ragazza/donna uccisa dal compagno/marito o semplicemente un uomo. Oggi sono tutte e tutti lì a gridare, protestare, chiedere che si faccia qualcosa, e l'accordo generale sembra sia sulla questione dell'educazione e del ruolo della scuola.


Prima che l'interesse ricada, come sempre è stato, ripropongo qui sotto un'idea che avevo già pubblicato vari mesi fa. Per fare semplice pubblico quella parte, concreta, che è attualmente in fase di test in un Dipartimento (Regione) francese. Mia figlia, quando lavorava con la ministra della parità di genere Elisabeth Moreno, mi dice che ne avevano parlato di questo problema e di cosa si potesse fare. I francesi, più concreti di noi italiani, dalla discussione sono passati alla proposta e adesso la stanno provando concretamente. 


Loro lo chiamano così:


BREVETTO PER LA LOTTA CONTRO I COMPORTAMENTI SESSISTI E LA VIOLENZA

(per ottenerlo bisogna ottenere un minimo di 15 punti su 20)

 

4 tipi di domande

 

1.     Gli elementi essenziali (3 domande = 3 punti)

2.     Stereotipi e comportamenti sessisti e violenti nelle relazioni ragazze/ragazzi (5 domande = 5 punti)

3.     Violenza contro le ragazze e le donne (6 domande = 6 punti)

4.     Competenze trasversali (3 domande = 6 punti)

 

1.     Gli elementi essenziali:

 

In Francia... Le donne hanno acquisito il diritto di voto in:

1936

1944

1968

 

Le donne sposate potevano lavorare, aprire un conto bancario e gestire i propri beni, senza bisogno del permesso dei mariti:

1789

1945

1965

 

La legge che autorizza l’interruzione volontaria della gravidanza (aborto) risale a:

1945

1967

1975

 

2.     Stereotipi e comportamenti sessisti e violenti nelle relazioni tra ragazze e ragazzi:

VERO O FALSO

 

Pensi che le donne siano naturalmente dotate nella comunicazione e gli uomini nella scienza?

•             Vero

•             Falso

 

Pensi che alcune professioni dovrebbero essere riservate alle donne e altre agli uomini?

•             SÌ

•             NO

 

Sono una coppia, uno di loro ridicolizza o insulta l'altro davanti ai loro amici. Trovi questo:

• Accettabile

•Non accettabile

 

Sono una coppia, uno esce senza l'altro. Trovi questo:

• Normale, ha fiducia nell'altro.

• Non normale. Lui/lei deve prima chiedere il permesso all'altra persona.

 

Sono una coppia, uno di loro dice di amare l'altro ma lo chiama in continuazione, controlla le sue uscite, i suoi viaggi, le sue relazioni... Per te è:

 

• Normale, così avviene nel rapporto di coppia.

• Normale, è geloso perché la ama.

• Non normale, è controllo, violenza.

 

Da qui a volte sono possibili diverse risposte

 

3.     Violenza contro ragazze e donne

 

Lei ha detto di no, lui l'ha baciata comunque. Secondo te:

• Lui non ne aveva il diritto, lei non voleva.

• È un atto banale, far ridere gli amici.

• Questa è una violenza sessuale ed è punibile dalla legge.

 

Sei d'accordo con la seguente affermazione: "La voce mette in pericolo la sua vittima".

• No, è solo un gioco tra amici.

• Sì, perché è una forma di molestia ed è punibile dalla legge.

• No, spesso è colpa della ragazza. Si veste troppo corta, troppo scollata...

• Sì, perché annuncia il passaggio alla violenza sessuale.

 

Stanno insieme da due anni e stasera lui l'ha costretta a fare sesso. Per te :

• È stupro. E lo stupro è un reato punibile dalla legge.

• Non è stupro, è la sua ragazza e hanno già fatto sesso.

• È stupro, anche la sua ragazza può dire di no. E quella sera non voleva.

 

Cos’è un matrimonio forzato?

• Significa essere costretti a sposare una persona che non hai scelto.

• Non esiste più da molto tempo.

• Significa essere vittima di rapporti sessuali forzati, cioè di stupro.

 

Per te, escort-girl, sugar baby, è:

• Prostituzione!

• Offrire servizi sessuali in cambio di denaro, regali, ecc.

• È pericoloso per la persona.

 

Per te, la pornografia:

• È un'immagine degradante della donna.

• Blocca i ragazzi nel mito della virilità, del dominio del proprio partner e della prestazione.

 

4.     Competenze trasversali

 

Sono vittima di un atto di violenza, cosa posso fare?

• Soprattutto non dirlo a nessuno e tenere tutto per me.

• Chiedere aiuto a un adulto di cui mi fido.

 

Il/La mio/mia migliore amico/a ha trovato sui social la foto spogliata di una ragazza della mia classe e vuole che la condivida con i miei amici a scuola, cosa devo fare?

·      Mando la foto a tutti i miei amici del college. 

·      Non invio la foto ma non dico nulla al mio amico.

·      Mi rifiuto di distribuire la foto e lo dico al mio amico.

·      Cancello immediatamente la foto.

·      Ne parlo con un adulto

 

Il/La mio/a compagno/a di classe non sta bene da qualche tempo. Quando gli chiedo cosa c'è, lui/lei risponde che suo padre grida molto alla madre, che lancia i piatti... Ha molta paura per sua madre e pensa solo a quello... tutto il tempo. Come potevo aiutarlo?

• Gli dico che non posso fare niente per lui/lei.

• Se è d'accordo, vorrei accompagnarlo da un adulto di fiducia del collegio (infermiera scolastica, assistente sociale, assistente sociale, CPE, insegnante, ecc.)

• Se lui/lei è d'accordo, posso chiedere consiglio ai miei genitori,

• Se non è pronto a parlarne, gli dico che può cambiare idea e che io sono sempre lì per lui/lei.


Non dovrebbe essere difficile adattare questa idea (e le relative domande) al contesto italiano. I francesi l'hanno pensata per le scuole superiori e io sono d'accordo con questa impostazione.


Ho provato a proporre l'idea al gruppo Ecofemminista al quale appartengo, ma senza un gran successo. Metto qui la proposta, sperando che per sbaglio qualcuno vicino a Elly (o ai 5S) la legga e magari decida di lavorarci un po'.


Se qualcuna/o di chi legge avesse contatti in alto, vi chiedo di mandare avanti l'idea, in attesa che magari i/le capoccioni dei partiti "progressisti" propongano qualcosa di meglio.

giovedì 16 novembre 2023

2023 L50: Antonio Manzini - Riusciranno i nostri eroi ...

 



Sellerio, 2023

Dopo Vecchie conoscenze e Le ossa parlano, il vicequestore Rocco Schiavone è in missione non ufficiale a migliaia di chilometri dalla sua odiata Aosta, con il vecchio amico Brizio. Vogliono ritrovare Furio, l’altro compagno di una vita, scomparso tra Buenos Aires, Messico e Costa Rica. Furio, da parte sua, si è lanciato a rotta di collo sulle tracce di Sebastiano, il quarto del gruppo, scappato in Sud America per sfuggire ad una colpa tremenda e alla conseguente punizione. L’antefatto è lontano nel tempo e ha squassato le vite di tutti loro. E adesso Rocco e Brizio devono impedire «la pazzia» di Furio, ma vogliono anche capire i perché di Seba, quali sono stati i motivi profondi di quel tradimento orribile con cui Rocco ha già provato a fare i conti, in modo da poter dare l’addio come si deve a un’amicizia vecchia quanto loro. La ricerca appare vana, perché il continente è immenso e chi scappa lascia solo labili indizi, sospeso in realtà tra scomparire e voglia di spiegarsi o di espiare. Il vicequestore, da fine investigatore, sa bene come armare una caccia spericolata, e Brizio è abbastanza svelto di mano da spalleggiarlo adeguatamente.
In questo miscuglio di thriller e psicologia, è inevitabile che nella mente di Rocco si affollino i tanti ricordi di un’infanzia con la banda a Trastevere, quel piccolo mondo dove solo un fortunato caso ha deciso che Schiavone sia diventato un poliziotto e non un «bandito», una guardia e non un ladro, al pari dei suoi inseparabili compari, uniti in un’amicizia che non c’è più, distrutta dal tempo, dal destino o forse solo da appetiti personali. Ritrovare Sebastiano misteriosamente scomparso in Sud America sarà forse possibile. Impossibile ritrovare l’amico. Antonio Manzini torna a raccontare i fantasmi del suo vicequestore, ma questa volta lo fa per chiudere un cerchio, uno dei più dolorosi della sua vita.

=

Adoro Rocco Schiavone e le sue storie. Premessa obbligatoria per dire che questo libro, secondo me, non è affatto all'altezza dei precedenti. Si legge, ma si resta con un sentimento che sia stato fatto in quattro e quattr'otto per necessità editoriali (o televisive). Può fare di meglio.

2023 L49: Leonardo Padura - Électre à La Havane



Points, 2023

Alexis Arayan, fils d'un diplomate, est retrouvé étranglé par un ruban de soie, vêtu d'une longue robe rouge, dans le Bois de La Havane. Il est maquillé en femme. L'enquête conduit Mario Conde sur les trace d'Alberto Marqués, un dramaturge homosexuel exilé dans son propre pays. Vivant au milieu de livres volés dans une maison en ruine, Marqués va lui faire découvrir un monde inconnu où chacun détient une vérité sur le mort et sur un passé que la Révolution veut effacer.

=

Ne soletti di migliori di Padura. La storia è un po' telefonata alla quale si è aggiunta tanta chiacchiera che poteva tranquillamente essere ridotta per rendere la lettura più agevole.

lunedì 13 novembre 2023

Agricoltura familiare: la base patriarcale sulla quale si fonda

Scrive Jules Falquet, giovane e molto attiva ricercatrice femminista francese, parlando dei movimenti sociali (MST in particolare) e sfruttamento della donna nella sfera domestica:


"La piccola produzione familiare, una per l'autoconsumo e l'altra per il mercato locale, è un modello che si è rivelato efficace. Corrisponde alle abitudini della maggioranza dei contadini (anche con modelli familiari diversificati e nonostante alcune forme di lavoro comunitario). Questo sistema produttivo si basa però, come nessuno ignora, sullo sfruttamento del lavoro “gratuito” e invisibile delle mogli, dei figli e degli altri parenti dei “capi famiglia”. Ora, nel suo sostegno oggettivo alla piccola produzione familiare, il MST tace sull’implicita divisione sessuale del lavoro. È sorprendente che un movimento che cerca una trasformazione sociale radicale sia cieco di fronte allo sfruttamento delle donne e si schieri in difesa di un modello di famiglia patriarcale."


Jules Falquet: Três questões aos movimentos sociais “progressistas”: contribuições da teoria feminista à análise dos movimentos sociais in Lutas & Resistências, Londrina, n.1, set., 2006 (https://www.uel.br/grupo-pesquisa/gepal/revista1aedicao/lr.pdf)


Di questo silenzio pesante dei dirigenti del MST (e, più in là, de La Via Campesina), ne abbiamo parlato estensivamente anche noi nel nostro libro Quando Eva bussa alla porta – Donne, terre e diritti, Ombre Corte 2023.


Malgrado io continui a cercare evidenze che provino come, finalmente, si sia iniziata una lettura critica all’interno dei movimenti, non riesco a trovare nulla. Solo alcune contadine, appartenenti al MST – ma non a livello dirigenziale, osano parlarne. Con maggior forza lo fanno le donne della Unión de Trabajadores Agrícolas dell’Argentina. Vogliamo appoggiarci su queste piccole ma coriacee forze per spingere ad aprire pubblicamente questo dibattito così necessario.

Marea - articolo pubblicato n° 4 - 2023

Paolo Groppo

Nato e cresciuto nel profondo Veneto democristiano, il mio percorso di avvicinamento alle tematiche femministe è stato casuale, graduale e non ancora terminato. Volendo fissare un punto di inizio, mi vien da pensare a quando, a metà anni 80, giovane consulente al Centro di Sviluppo dell’OCSE a Parigi, incontrai una sociologa americana originaria dei Caraibi, quindi di colore, sposata e separata da un italiano di cui però conservava il cognome. Winifred Weekes Vagliani, Winnie per gli amici; sembrava un po’ un pesce fuor d’acqua in quel mondo di economisti (principalmente) neoliberali, maschilisti e bianchi. Uno solo di loro aveva una visione più aperta, ed è grazie a lui se ho conosciuto la sua amica e collega Winnie. Lei lavorava alla questione dei diritti delle donne, salute, educazione e agricoltura, nei paesi in via di sviluppo, sull’onda dell’approccio Women In Development che era in voga all’epoca.

Per me era una novità assoluta. La mia formazione universitaria si era svolta tra la facoltà di Agraria di Padova e l’Istituto Nazionale di Agronomia di Parigi. Se la prima forniva un insegnamento molto tradizionale, centrato sulle tecnologie e la chimica per un’agricoltura “moderna”, con un implicito pregiudizio a favore della nostra superiorità occidentale, alla scuola francese scoprii l’importanza della storia agraria nonché dell’analisi comparata dei sistemi agrari. Molto più interessante la seconda, costruita passo a passo dal mio mentore e amico Marcel Mazoyer, sulle tracce dell’École des Annales di Marc Bloch, tanto da darmi un inquadramento metodologico che mi ha seguito tutta la vita. Malgrado il fatto che Mazoyer ci insegnasse il rispetto e la curiosità per capire le logiche contadine nel tempo e nello spazio, distruggendo sistematicamente i nostri pregiudizi occidentali sulla superiorità delle nostre agricolture moderne, anche lì, così come a Padova, mancava completamente l’attenzione alle persone che facevano l’agricoltura, sia uomini che donne. I loro ruoli erano talmente dati per presupposto che non c’era bisogno di approfondire: l’uomo era il capo, la donna no. Si studiavano “les paysans” (i contadini), ma era chiaro che erano gli uomini e le loro scelte tecniche e produttive che volevamo capire.  

In questo contesto, l’irruzione delle riflessioni di Winnie ebbe un effetto sconvolgente per me. Non solo perché cominciai a pormi le domande che a scuola nessuno faceva, ma anche perché mi resi conto che i miei professori maschi, passati e presenti, conservatori o progressisti, non erano assolutamente interessati al tema. Direi di più, la maggiore disillusione mi venne da un professore considerato ancora oggi come una bandiera degli ecologisti progressisti francesi, che considerava che il mio interessarmi al ruolo delle donne in agricoltura fosse connaturato al mio essere italiano.

Da quel momento in poi decisi di approfondire un tema nuovo per me, e ciò mi fece cercare continuamente delle persone che ne sapessero di più e con le quali poter crescere. Entrato alla FAO nel lontano 1989, malgrado alcuni sforzi individuali di un paio di colleghe che lavoravano nella divisione dedicata ai temi di “genere”, era molto difficile tradurre queste conoscenze iniziali nei progetti che stavamo formulando. La resistenza istituzionale e personale dei tanti colleghi maschi, non facilitava il lavoro. 

Ci vollero parecchi anni per riuscire a elaborare una proposta metodologica che considerasse la questione di genere come una variabile strutturale nell’approccio di sviluppo territoriale (basato sul trittico dialogo-negoziazione-concertazione) che stavamo portando avanti. Dal 2012, anno di prima pubblicazione del nostro testo (IGETI – Improving Gender Equality in Territorial Issues) a fine 2017, quando mi  sono dimesso dalla FAO, siamo riusciti a realizzare qualche progetto interessante, in particolare in Mozambico dove, al di là del riconoscimento legale dei diritti consuetudinari delle donne alla terra, abbiamo realizzato una serie di formazioni dirette non solo ai leader delle comunità, ma anche ai funzionari di polizia e del catasto locali, nonché ai giudici che venivano formati nel Centro di Formazione Giuridica e Giudiziaria. Usando approcci (e linguaggi) diversi: dal teatro a lezioni di diritto approfondito, inventando una figura di possibile intermediario/a tra le comunità e chi volesse “investire” nelle loro terre, la questione di genere ricevette una importanza rilevante nell’agenda di una parte della FAO. Si trattava di programmi che portavamo avanti con varie altre unità, dall’ufficio Legale alla Divisione di Genere, nonché le Divisioni della Terra e Acqua e il gruppo dei regimi fondiari al quale appartenevo. Anche a livello corporativo qualche passo avanti venne compiuto, ma avremmo dovuto ancora aspettare molti anni prima che la FAO adottasse una posizione istituzionale chiara su questi temi (il documento a cui mi riferisco, FAO Policy on Gender Equality, è uscito solo nel 2020).

Con gli occhi di oggi, posso dire che eravamo tutti concentrati sull’ambito produttivo: come far riconoscere diritti consuetudinari (e poi diritti ancestrali per i popoli e le donne indigene), sia nel lavoro di lobbying con i governi sia con i movimenti contadini (La Via Campesina in particolare) con i quali collaboravamo. In particolare, nel 2006, riuscimmo a riportare il tema della riforma agraria al centro del dibattito mondiale con la Conferenza (ICARRD) che realizzammo a Porto Alegre. Una sessione intera fu dedicata alla questione dei diritti delle donne, con una partecipazione attiva dei movimenti contadini, il che già era una novità per la nostra organizzazione.

Quando me ne andai dalla FAO, con l’amaro in bocca per questa tematica che non progrediva come avrei desiderato, decisi di continuare a mantenere dei canali di discussione con colleghe FAO specializzate nel tema, nonché con altre specialiste di un’associazione francese della quale facevo parte. Al suo interno si trovava anche una ex-guerrigliera guatemalteca, Patricia, che, dopo l’addio alle armi, si era concentrata sullo studio e insegnamento della questione di genere in America Centrale e Guatemala in particolare. Grazie a lei ho potuto capire ancora meglio l’importanza di valutare i rapporti di forza, e di costruire alleanze, per poter portare avanti temi come l’uguaglianza di genere.

Da questo insieme di contatti, letture e discussioni, è nata l’idea di scrivere un libro per mettere in chiaro le mie (e di altre amiche e colleghe) riflessioni personali, discuterne e vedere come condividerle pubblicamente (Quando Eva bussa alla porta – Donne, terre e diritti, Ombre Corte, 2023, con prefazione di Laura Cima). Questi anni di lavoro mi hanno portato ad allargare l’orizzonte e, pian piano, mi è tornato in mente il nome di una specialista di cui avevo sentito parlare da mio fratello e i suoi amici, negli anni 70: Mariarosa Dalla Costa.

Erano gli anni delle analisi infinite sulla questione del lavoro, con la centralità, assunta a dogma, della classe operaia. Mariarosa lavorava alla Facoltà di Scienze Politiche di Padova, guidata da Antonio (“Toni”) Negri, con un seguito di specialisti dell’operaismo tra i quali c’era anche mio fratello, che successivamente prese altre strade che lo portarono ad interessarsi alla questione della Memoria, dalla Shoah ai desaparecidos delle dittature militari latinoamericane.

Io ero piccolo, 14-15 anni, e ogni tanto li sentivo parlare, mio fratello e gli altri prof e amici quando passavano a casa, ed è lì che il nome di Mariarosa Dalla Costa mi entrò in testa, senza sapere bene il perché. Quello che ricordo era che, globalmente, la consideravano un po’ una rompiscatole, dato il suo interesse per quello che, anni dopo, avrei sentito definire come una “contraddizione secondaria del capitalismo”.

La lettura dei testi di Mariarosa, nonché una bella discussione a casa sua a Padova, mi hanno fatto fare un progresso ulteriore nella comprensione sia del tema “genere” in senso lato, sia dell’interesse, tuttora limitato, che il mondo cosiddetto progressista, manifesta nei riguardi della questione centrale dell’analisi di Mariarosa, e cioè la sfera domestica.

Ancora oggi, femministe italiane e francesi preferiscono parlare, per tutti i compiti necessari per tener in piedi e mandare avanti una coppia, di lavoro non retribuito oppure di lavoro riproduttivo. Non voglio entrare in polemica con queste posizioni, ma solamente esprimere l’opinione personale alla luce delle mie esperienze, letture e discussioni. 

Che negli anni 70 fosse coerente analizzare la sfera domestica a partire dal prisma lavoro, era abbastanza ovvio. Il problema, secondo me, era (ed è) che inevitabilmente parlare di lavoro significa parlare di retribuzione (e difatti spesso si parla di lavoro non retribuito). La soluzione adottata dalle classi medie ed alte è stata quella di terziarizzare i compiti, invece di affrontare il problema. Affittare il lavoro di altre persone, quasi sempre donne, spesso immigrate, con contratti regolari o meno, per eseguire quei compiti ripetitivi e quotidiani, dalla cura delle persone alla cura della casa, è sembrata la soluzione che mettesse d’accordo uomini e donne (di quelle classi che potevano permettersi di pagare, e delle famiglie povere che così trovavano lavoro).

Oggigiorno la rivisitazione della questione “lavoro” si va pian piano imponendo, ripensando in maniera diversa tutto il tema della cura, non più vista solo dall’angolo economico. Ed è in questo contesto che considero l’insegnamento di Mariarosa più centrale di prima. La sovversione sociale della quale parlavano lei e Selma James era ed è legata alla liberazione della donna, non al fatto di retribuire monetariamente il lavoro domestico. 

Partendo da queste riflessioni, la mia posizione attuale è che, se vogliamo cominciare a cambiare questo mondo, a partire da qualcosa che sia alla nostra portata, dobbiamo iniziare dalla sfera domestica. Come ben scriveva Elizabeth Cady Stanton, figura leader del primo femminismo statunitense nell'Ottocento, “la vera ragione dell'opposizione all'uguaglianza delle donne nello stato è che gli uomini non sono disposti a riconoscerla nelle loro case”.

Il dominio patriarcale sulle donne si è costruito storicamente da ben prima dell’arrivo del capitalismo, per cui credo che cercare di attaccare le basi di questa costruzione non solo possa essere alla nostra portata, ma possa avere effetti dirompenti sulla costruzione della società futura come la vogliamo. 

Voglio chiarire che partire dalla sfera domestica non significa dimenticare le battaglie per quanto riguarda la sfera pubblica. Come ricorda una conosciuta femminista cilena, Pamela Caro: “è necessario un doppio movimento: l’ingresso massiccio delle donne nella sfera pubblica e quello degli uomini nella sfera privata”. Cambiare i rapporti di potere domestici vuol dire costruire un rapporto diverso uomo-donna che possa poi trasferirsi alle attività fuori da quella sfera. Ecco perché dico grazie a Mariarosa, per avermi indicato la strada della lotta da intraprendere. Nella sfera domestica si inglobano una serie quasi infinita di compiti, come ha brillantemente ricordato Eve Rodsky nel suo libro “Come ho convinto mio marito a lavare i piatti”. L’idea della condivisione piano piano avanza nelle nuove generazioni, per cui dovrebbe essere possibile proporre di trasformare questa necessaria condivisione di tempo (più che di denaro) in un indicatore che mostri l’avanzamento o meno sulla difficile strada dell’uguaglianza di genere da parte di associazioni, movimenti e/o partiti che si professano progressisti. 

Assieme ad alcuni/e amici/che stiamo lavorando a un indicatore di parità domestica (IPAD nel suo acronimo) che parta dalla costatazione della ripartizione temporale (femmine-maschi) attuale di una lista di compiti da concordare (un indicatore dello stato iniziale) e permetta di monitorare l’impegno di quanti maschi vogliano procedere nel percorso verso l’uguaglianza. Sarebbero le compagne o spose di questi maschi a “certificare” le risposte indicate dai maschi, così da evitare manipolazioni ma nello stesso promuovere un dialogo interno che permetta di rendere espliciti i tanti compiti poco visibili ma fondamentali per fare andare avanti un rapporto di coppia.

Il tempo, al giorno d’oggi, è più importante del denaro. Quindi è fondamentale che anche i maschi mettano del loro tempo nei compiti domestici. Tempo, e non denaro. Mettere tempo maschile è fondamentale per liberare tempo femminile. Lo richiedono già da qualche anno anche le donne della Unión de Trabajadores de la Tierra argentine, e cioè “che l’uomo prenda la sua parte di responsabilità nella sfera riproduttiva e della cura, liberando tempo ed energie per le donne”. L’uso che poi ne farà il soggetto femminile di questo tempo “liberato”, non ci riguarda, è e deve restare una scelta personale.

In una società che si dice (a parole) sempre più sensibile alle problematiche di genere (con una Prima ministra  appartenente a un partito di destra che afferma di considerare questo tema come molto rilevante), con una proliferazione di dichiarazioni e promesse di tutti i tipi, poter mettere nero su bianco un indicatore che permetta di seguire i passi in avanti (sperati) verso un equilibrio di potere nella sfera domestica, potrebbe essere realmente un passo “sovversivo” come scriveva Mariarosa e di questo la ringrazio di cuore.

giovedì 9 novembre 2023

2023 L48: Sophie Hénaff - Drame de pique



Albin Michel 2023

Juin 2022. 
Le phénomène dit des « piqûres en soirée » prend de l’ampleur sur le territoire. Alors que l’ensemble des polices s’active sur l’affaire, l’hétéroclite brigade des « Poulets grillés » poursuit ses parties de cartes dans son appartement-commissariat des Halles. Jusqu’à ce que deux femmes meurent soudainement près de l’Opéra. La brigade criminelle lie immédiatement les homicides à la piste des piqûres, mais les Poulets, eux, pensent qu’un ancien serial killer, nommé La Main de Dieu, utilise la psychose à ses fins. Il vient justement de sortir de prison…
La commissaire Anne Capestan et ses poulets sont mis au premier plan de l’affaire, mais s’ils parviennent à la résoudre ils devront quitter leur cocon des Halles et intégrer le Bastion, le nouveau siège de la PJ, dans le quartier des Batignolles. Ce qui leur pose un grand dilemme : arrêter un meurtrier ou poursuivre leur paisible retraite…?

=

I "polli arrosto" (poulets grillés) tornano in azione. Forse un po' meno brillante dei precedenti, ma sempre un piacere.

lunedì 6 novembre 2023

2023 L47: Laura Cima - Il complesso di Penelope


Il Poligrafo, 2012

Nella storia individuale e collettiva, come nel mito per Penelope, può essere necessario fare e disfare la propria tela, tessere e ritessere continuamente, per giungere alla comprensione dei problemi e, soprattutto, immaginare una realtà diversa. Oggi la crisi economica mondiale sembra rimettere in discussione, ovunque, strutture di potere e paradigmi consolidati. Modelli di pensiero e di azione che hanno contribuito a perpetuare l’esclusione o a segnare la marginalità della presenza femminile nei luoghi decisionali. Come poter evitare allora il declino politico ed economico dell’Italia? Come riavvicinare le giovani generazioni e, in particolare, le giovani donne italiane alla partecipazione civile? Come recuperare al dibattito attuale la lezione altissima di “madri costituenti” di diverso orientamento come Nilde Iotti e Angela Cingolani e di parlamentari come Tina Anselmi e Marisa Rodano? Un nuovo protagonismo femminile, diffuso e trasversale, capace di valorizzare reti e relazioni nella società, di stringere nuove alleanze e rompere vecchi tabù, può essere una risposta all’altezza della sfida.
In queste pagine, Laura Cima, donna impegnata nei movimenti e nelle istituzioni, deputata al Parlamento con i Verdi, protagonista delle lotte femministe e dell’ambientalismo politico nel nostro Paese dagli anni Settanta ad oggi, ripercorre con sguardo critico e appassionato una lunga storia di lotte per l’emancipazione, intrecciando un abbozzo di autobiografia generazionale e accorato pamphlet, lucida analisi dei meccanismi della politica e riflessione più ampia sulle possibili vie d’uscita.

=

Un libro da leggere!

mercoledì 1 novembre 2023

Il futuro (nero) che si prepara – gli Organismi Gene Drive (GDO)

 


Così scrive l’Accademia svizzera di scienze naturali: i gene drive sono elementi genetici che aumentano il tasso di ereditarietà di una determinata proprietà in organismi che si riproducono sessualmente. Possono essere utilizzati per diffondere una determinata proprietà in popolazioni che vivono allo stato selvatico, al fine di modificarle o ridurle (https://scnat.ch/it/uuid/i/045a3073-e301-5215-a0a0-3ca3d5b85a78-Gene_Drive_vantaggi_rischi_e_possibili_applicazioni).

 

Meno diplomatico, ma più chiaro, questo rapporto (https://www.etcgroup.org/sites/www.etcgroup.org/files/files/etc_gene_drive_organisms-web_fr.pdf ) del gruppo ETC ci mette in guardia contro questa nuova frontiera del profitto basata sull’ingegneria genetica.

 

“Gli organismi Gene Drive (GDO) sono progettati per diffondere intenzionalmente i loro tratti impiantati attraverso un’intera popolazione e potrebbero facilmente essere progettati per causare l’estinzione o la sostituzione di un’intera specie.

 

La GDO è stata definita dai critici una “tecnologia sterminatrice”. Ciò può essere spiegato da due ragioni. In primo luogo, sembra che gli sviluppatori della tecnologia stiano attivamente considerando l’uso della GDO per eliminare le specie considerate indesiderabili. In secondo luogo, poiché alcune specie apparentemente distinte si incrociano in natura, provocando il trasferimento di geni tra di loro, è possibile che anche le cosiddette specie non bersaglio (specie diverse da quelle previste) possano essere minacciate di estinzione. Se tale trasferimento genico avesse luogo, i cambiamenti genetici potrebbero diffondersi rapidamente tra specie di insetti simili. Seguendo la logica dei loro inventori, le GDO sono potenzialmente una tecnologia di estinzione di massa per insetti e altri organismi.”

 

L’applicazione iniziale (di cui sembra andar fiera anche l’università di Padova) di cui si va parlando da alcuni anni è quella della lotta alla malaria. Invece di continuare le ricerche sull’Artemisia, la “soluzione” a cui si sta pensando (e lavorando) prevede controllare le popolazioni di insetti vettori attraverso la modificazione del loro genoma” (https://ilbolive.unipd.it/it/news/gene-drive-biotecnologia-estinguere-malaria). In parole più semplici, di sterminarle geneticamente. Qualche dubbio è venuto anche allo stesore dell’articolo, quando si chiede: “Una volta inserite in natura le zanzare geneticamente modificate, chi ci dice che mutazioni casuali non altereranno la sequenza genica dove è inserito il gene drive, rendendolo così inefficace? In altri termini, come possiamo essere sicuri che questo sistema davvero funzioni e non si perda per strada?”

 

Renzo Arbore, in una vecchia pubblicità per una birra di cui non ricordo il nome, ci diceva: Meditate, gente, meditate!

Sfortunatamente, ogni giorno che passa avvicina Hamas alla vittoria


 L’attacco terroristico di Hamas, preparato con cura non solo militare ma anche politica, sembra dare i suoi frutti.

 

Basta guardare in giro per il mondo, in particolare (ma non solo) quello arabo, per rendersene conto. La firma degli accordi detti di Abraham, davanti a un Trump gongolante, con la progressiva normalizzazione dei rapporti tra alcuni stati arabi e Israele, mettendo una pietra sopra il destino dei palestinesi, sembrava dare inizio a un nuovo periodo. Bahrein, Emirati Arabi seguiti da Marocco e Sudan e, ciliegina sulla torta, a fine settembre l’annuncio che anche l’Arabia Saudita era oramai vicina a un accordo storico con Israele (https://www.rainews.it/articoli/2023/09/iran-legami-arabia-saudita-israele-tradirebbero-palestinesi-raisi-una-pugnalata-alle-spalle-a4cf7572-d31e-493a-9a82-b6c4b04354cd.html). Il vecchio Biden, male informato come i suoi omologhi francesi e israeliani, annunciava: “La pace è vicina”. Solo l’Iran ricordava che questi accordi erano una “pugnalata alle spalle dei palestinesi”.

 

Son bastati pochi giorni e il colpo inferto dai terroristi è andato a segno. Le folle arabe manifestano ovunque, costringendo uno dopo l’altro i vari governi dittatoriali o simili a mettere in sordina (cioè nella spazzatura) quegli accordi, per paura di essere rovesciati dalla folla inferocita (il che non sarebbe male, detto fra noi). 

 

Aver fatto di tutto per rendere invisibile l’Autorità Nazionale Palestine (che, come ho già avuto modo di scrivere, ci ha messo molto del suo con pratiche di corruzione e nepotismo degne dei nostri anni passati), hanno reso Hamas, una banda estremista islamica, come l’unico oppositore visibile di Israele. Ricordiamo che da oltre quindici anni Abu Mazen, il presidente dell’ANP, ha impedito qualsiasi elezione nella Cisgiordania per paura che il voto popolare andasse ad Hamas.

 

Chi semina vento raccoglie tempesta, si vedeva scritto sui muri di casa nostra all’epoca del rapimento Moro. Bene, rieccoci qua. L’ANP, l’unica “entità” teoricamente democratica, non ha nessuna credibilità agli occhi della popolazione di Gaza per cui, anche se per sbaglio Israele riuscisse ad ammazzarne quasi tutti i soldati attuali (ricordiamo che i mandanti vivono a Doha, perciò fuori pericolo), con i bombardamenti attuali una nuova generazione di combattenti sta crescendo. 

 

Il problema chiave è evidentemente quello del dopo. A Bibi non gliene frega nulla, per lui più forte sarà la vendetta militare israeliana maggiori le possibilità di giocarsela ancora con i giudici che lo vogliono in galera. Quindi lui è chiaramente parte del problema e, con lui, tutti quei partiti di destra ed estrema destra che lo appoggiano. L’unica notizia positiva che sembrerebbe (il condizionale è d’obbligo) arrivare da Israele è un sondaggio di cui parlavano ieri nel programma C dans l’air in Francia, secondo cui la contrarietà all’azione militare da parte delle persone intervistate sarebbe al 49%, mentre solo un 22% sarebbe ancora a favore. Gocce nel deserto, ma siccome senza un cambio radicale della governance israeliana non si va da nessuna parte, ci tocca restare aggrappati a questa tenue speranza.

 

Dall’altro lato non c’è nulla di positivo. Per rimettere al centro l’ANP bisognerebbe cacciare via il presidente e tutta la classe politica attuale. Ho già scritto che secondo me dovrebbero fare spazio alle donne e a una particolare, Hanan Ashrawi, ma una rivoluzione del genere, onestamente, mi sembra ancora del tutto fuori portata. Significherebbe dare voce alle donne, far tacere gli uomini e le loro armi, e presentare una proposta credibile per molti (ovviamente non per i vari estremismi islamici).

 

Ma senza una nuova leadership credibile, l’ANP non potrà giocare nessun ruolo reale, quindi lo spazio politico di Hamas resterà dominante. E per togliere l’acqua dove nuota Hamas, le bombe non servono a nulla. Pare incredibile che per anni si sia elogiato il sistema militar-difensivo israeliano che, in questi pochi giorni, ha dimostrato di non valere una cicca. Non solo non hanno visto i preparativi, ma soprattutto non sono capaci di pensare ad altro che a bombardare, cioè uccidere e, per chi resta, prepararsi a diventare futuri combattenti di Hamas. Piaccia o non piaccia, è a Teheran che questa partita si gioca. Se non si trova un modus vivendi con gli ayatollah, non ci sarà pace nella regione, dato che i soldi, equipaggiamenti, formazione e tutto il resto arrivano da lì, per Hamas, Hezbollah in Libano e gli Huthi nello Yemen.  

 

Una possibilità, ovviamente, sarebbe quella di attaccare militarmente l’Iran prima che arrivi ad avere la bomba atomica. Mancano due anni secondo gli esperti, per cui non resta molto tempo. Certo, i rischi sarebbero enormi, perché questo porterebbe in guerra anche la Russia e allora buonanotte.

 

Quindi, se non puoi batterli militarmente, bisogna negoziare. Certo che se le posizioni iniziali sono: Israele non vuol nemmeno sentir parlare dell’Iran; gli USA considerano gli ayatollah come dei terroristi, allora difficile intavolare delle trattative.

 

Ripeto quanto già scritto: gli unici ad aver raggiunto dei risultati concreti con l’Iran sono stati i cinesi (ricordare la storica stretta di mano con l’Arabia Saudita il 10 marzo scorso). Quindi, se Biden e soci riuscissero a mandar via Bibi e imporre nuove elezioni subito, con una lunga “pausa umanitaria”, allora toccherebbe al popolo israeliano se vogliono sperare in un futuro di pace o no, portando al potere una nuova classe dirigente che osi cacciare via i coloni e mettere sul tavolo la restituzione delle terre rubate e la proposta dei due stati con i confini del 1967 e capitale palestinese a Gerusalemme Est. 

 

Se si andasse su questa strada, probabilmente anche i Cinesi metterebbero il loro peso sia per calmare Putin, ma soprattutto per far capire agli ayatollah che devono cambiare profondamente: mettere sul tavolo il riconoscimento di Israele, togliere finanziamenti ai gruppi terroristici e questo in cambio della normalizzazione dei rapporti con l’Occidente e togliere le sanzioni.

 

Siamo nel mondo dei sogni, ma questo è quello che ci resta.

 

Ogni giorno che passa porta acqua al mulino di Hamas, e questo non è buon segno, perché è una strada senza ritorno.