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giovedì 30 dicembre 2010

Tempo di bilanci (4)

Finimmo l'università e ci buttammo sul lavoro, ognuno cercando la sua strada. Gli anni ottanta sono quelli della gran fame in Etiopia, che resero famoso Bob Geldof e i suoi concerti per l'Africa. Ma più vicino a noi, in Francia, un conosciuto e provocatore attore franco italiano, Coluche, lancia l'dea dei Ristoranti del Cuore (Resto du Coeur), aperti per i periodi invernali, con i resti dei prodotti non consumati dai supermercati, ditte e ristoranti. Voleva essere una provocazione, dopo 4 anni di governo socialista che pretendeva cambiare il mondo e alla fine si era arreso come tanti altri prima di lui. L'anno successivo Coluche moriva in un incidente di moto ed oggi, 25 anni dopo, i Resto du Coeur sono ancora la, indispensabili per migliaia di famiglie ed invididui, per tirare avanti durante i lunghi mesi d'inverno. Segnale inequivocabile: così come la Fame nel mondo non si è ridotta, anzi, oramai la fame si è installata anxche nei nostri paesi del nord.
L'evidenza è la per dirci che non riusciamo a risolvere nessuno dei problemi maggiori del mondo, ne al Sud e ancor meno al Nord. 25 anni fa non pensavamo molto all'ambiente, oggi chi può permettersi di non ricordarselo? Magari non sappiamo cosa fare, ma la rarità dell'acqua, il disboscamento, la cattiva qualità dell'aria che respiriamo sono davanti a noi ogni giorno.
Per alcuni erano gli anni della crescita economica, il liberalismo galoppante col suo corollario (meno conosciuto) di crisi nei paesi del sud: in america latina quegli anni sono rimasti nell'immaginario collettivo come la Decada Perdida, il decennio perso. Per noi, per la nostra generazione erano ancora anni quando implicitamente pensavamo che un lavoro l'avremmo trovato e che il nostro futuro sarebbe stato meglio di quello della generazione precedente.
Cosa abbiamo e cosa siamo oggi, cinquantenni più consapevoli del fatto che di mondo ne abbiamo uno e non possiamo più far finta che quello che succede agli altri non riguardi anche noi?
Abbiamo tutti un lavoro, una casa e dei figli che crescono con gli stessi dubbi nostri e sicuramente meno certezze. Pian piano arriviamo alla consapevolezza che la fuori non si tratta di un altro mondo, ma dello stesso mondo nostro e che, secondo il principio dei vasi comunicanti, se noi stiamo meglio allora altri verranno o cercheranno di venire da noi. Così come quando all'epoca dei nostri bisnonni si stava male da noi e quindi partivano in america, in australia a cercar fortuna, adesso il cammino si è invertito e gli altri vengono qua.
Qualcuno di noi si è dato da fare non solo per la sua famiglia ma anche per la sua comunità, parrocchia, villaggio, piccolo o grande che sia, sempre con quel sentimento che non siamo soli e dobbiamo preoccuparci anche degli altri. Una speranza che le gocce dei nostri sforzi potessero essere d'esempio per i nostri figli ma anche per chi ci stava attorno. Solidarietà con i popoli vicini e lontani, dal Nicaragua all'Etiopia, dalla Polonia di Solidarnosc alla Germania che si riuniva dopo tanti decenni da separati in casa.
Siamo arrivati ai 50 e, fatalmente, facciamo quattro conti: un bilancio nostro, individuale e collettivo che io provo a mettere sul blog per stimolare anche i miei coetanei a trovar la forza di pensar criticamente e condividerlo con gli altri.
Che mondo stiamo lasciando ai nostri figli? Quante volte mi sono sentito chiedere questo alla fine delle conferenze nelle varie università dove sono passato. Mano a mano che accumulavo conoscenze, viaggi, dati e sensazioni sono arrivato alla fredda constatazione che se noi ancora sognavamo un mondo migliore e che la nostra genberazione era ancora nell'inerzia della crescita delle generazioni del boom, dopo di noi il dubbio si è installato. A dire il vero segnali ne sono arrivati anche per noi: trovarsi fuori dal mercato del lavoro a quasi cinquant'anni, cosa impensabile prima, adesso invece una variabile da accettare. Ma peggio va per i giovani; lavoro se ne trova sempre meno, le macchine sostituiscono gli uomini e donne e, come dicevo in altre occasioni, terra e acqua cominciano a diventare fattori limitanti con i quali dover fare i conti.
Ma anche per chi volesse non vedere questo scenario, basta guardarsi attorno, anche con questa informazione manipolata che abbiamo in gran parte de i nostri paesi: prendiamo un periodo recente, gli ultimi 2, 3 o addirittura 5 anni. La domanda che pongo è: quante guerre sono terminate, finite davvero, in questo periodo? Anche una televisione sotto controllo stretto sarebbe contenta, a Natale, di poter dire che le cose vann o meglio, che questa guerra o quest'altra è finita, che i palestinesi ed ebrei hanno fatto la pace o che nel Darfur si rispettano i diritti umani. Ci èpiacerebbe sentire che la guerra civile in Colombia è finita adesso che i vecchi leaders delle FARC sono stati ammazzati. Saremmo tutti contenti se nel Kossovo la gente si sentisse in pace con se stessa e con i vicini. Non parlo nemmeno dei paesi arabi o dell?ran e men che meno nell'Afganistan. Del Pakistan, dopo la serie di attentati di questi giorni, fra cui quello ai collleghi delle nazioni unite con 41 morti, non mi pare il caso di parlare. Quanti ci piacerebbe sentire che nel delta del Niger governo e guerriglia locale hanno fatto la pace. Lo stesso ci piacerebbe sentire dei ribellki dell'isola di Mindanao nelle Filippine. E cosa dire della Somalia e delle sue bande di pirati? Insomma se vi viene in mente un solo conflitto che sia terminato negli ultimi 5 anni per favore scrivetemelo, io non riesco a ricordarne uno.
Questo, al netto di quel che pensiamo della nostra stampa e televisione, italiana, europea e mondiale, è quanto abbiamo davanti. Cercano di distrarci, mettendo in scena mille programmi uno piùinsulso dell'altro, riempendoci di reportages sulle cucine del mondo, sugli incidenti e disastri naturali, canzonette e concorsi di bellezza.. ma tutto ciò non può nascondere che fuori dalla porta, in quello stesso mondo dove abitiamo noi e i nostri figli, si spara e si muorfe più di prima. Le armi costano meno e quindi qualsiasi piccola disputa adesso diventa subito un conflitto armato. Non siamo più sicuri da nessuna parte e sarà ancora peggio per chi verrà dopo di noi.
POossiamo dire, alla differenza dei fratelli più grandi, che noi non avevamo il sogno di fare la rivoluzione e di cambiare il mondo. Questo è vero, ma non toglie che, anche se non ci piace sentircelo dire, abbiamo delle responsabilità verso gli altri perchè l'uomo è un animale sociale, che vive e muore dentro una rete di rapporti sociali. Quindi nasconderci dietro il nostro maggior realismo rispetto ai fratelloni o sorellone non è sufficiente, non ci assolve e non ci darà la pace a noi e la forza a chi verrà dopo di noi.
UIl bilancio è triste: non solo le guerre sono la, e magari i conflitti aumentano, ma anche oramai abbiamo capito che non basta cacciare via gli stranieri per non vedere i problemi. Le crisi, le guerre a casa loro portano inevitabilmente a mettersi in marcia e anche se molti muoino per strada, una volta che sei partito vai avanti e quindi verrano ed entreranno. Non vedere i problemi in casa d'altri, chiudere porte e finestre non risolve nulla: i problermi vengono a noi lo stesso, con la faccia dell'africano, del cinese, del brasiliano e dell'ucraino.
Quindi la vera domanda è sempre la stessa: possiamo far finta di nulla o dobbiamo cominciare a pensare cosa possiamo fare? Per noi, per le nostre famiglie e poi, secondo le volontà di ognuno, anche per gli altri.
Secondo me, fare un bilancio è una cosa seria e ognuno lo farà con se stesso innanzitutto. Guardarsi dentro senza remore e resistenze, tanto il peggior specchio che possiamo avere è quello che ci rimanda la nostra verità che scopriamo ed accettiamo poco a poco. A partire dal momento che ci rendiamo conto dell'unicità del mondi e dei suoi problemi, il tarlo di cosa fare è entrato in noi. Qualcuno riesce ad evitarlo, e continuerà ad accumulare cose per se e per i familiari. Ma sappiamo che questa fuga individuale non è proponibile come solujzione di società, bisogna pensare assieme e, siccome abbiamo idee diverse, torn iamo sempre a quella che sta diventando la mia ossessione professionale: accettare la diversità, reimparare a parlarci, dialogare, negoziare e mettersi d'accordo sul cher fare.
Questo è il mio bilancio dei primi 50anni: ritornare all' ABC del vivere in società, rispettare di più gli altri, rendersi all'evidenza che la soluzione dei miei (miei individuali, famigliari, societali) problemi passa per la soluzione dei tuoi (individuali, familiari, di società). Più tolleranza, più comprensione e maggior forza per andare verso gli altri. Solo assieme riusciremo a venirne fuori, a trovare soluzioni per un mondo che sta andando a rotoli. Il cammino più difficile, perchè siamo tutti convinti di sapere le cose e di aver ragione e che la nostra storia individuale sia la prova che NOI abbiamo ragione e non gli altri. Invertire le priorità, imparare ad ascoltare, cambiare attitudine verso se stgessi e gli altri.. molta energia sarà necessaria, ma francamente non vedo altre soluzioni. Vorrei tanto fra 5 o 10 anni poter fare un bilancio di guerre finite, di maggior comprensione e di un ritorno di felicità negli sguardi dei giovani d'oggi. Io ci provo, e vi aspeto per far un pezzo di strada assieme. Che il 2011 sia l'inizio del cammino.

Il re del Belgio e la teoria del domino

La teoria del domino divenne famosa negli anni 60 grazie agli Stati Uniti quando, applicandola al sud-est asiatico, teorizzarono che la caduta in mano comunista di uno dei paesi della regione, avrebbe inevitabilmente fatto cadere gli altri nella stessa rete, uno dopo l'altro. Da lì la decisione di entrare in guerra contro il Vietnam. Gli esiti sono conosciuti: si trattò di una teoria autorealizzatrice dato che, grazie all'entrata in guerra americana e alla quantità di atrocità commesse da loro e la immensa quantità di bombe sganciate nei paesi vicini, non solo perdettero il Vietnam ma riuscirono a dare una man forte ai movimenti comunisti in Cambogia e Laos che, effettivamente, "caddero" nella rete comunista subito dopo il Vietnam.
Parlo di questa teoria, in questo periodo di crisi mondiale, perchè potremmo pensare di applicarla per una lettura possibile di cosa potrebbe succedere nel futuro prossimo.
Centriamo l'attenzione sull'Europa: bene o male un numero importante (e crescente) di paesi sta capendo che, oltre a mettere assieme la parte economica e finanziaria, bisogna far crescere anche la componente sociale e politicia, cioè fare una vera unione europea, delle genti e dei paesi e non solo dei mercati. Molti si oppongono, per mille ragioni diverse, ma l'inerzia della crisi sembra forzare la mano anche ai governi più restii ad andare in quella direzione. Cosa potrebbe succedere se un giorno arrivassimo ad avere una vera Unione Europea? Beh, potremmo difendere meglio i nostri interessi comuni, un modello di sviluppo dove il mercato non è il solo giudice, dove, per quanto sempre meno, esistono istituzioni per difendere i cittadini, dove si possa ancora parlare di diritti e non solo di doveri. Insomma un modello blandamente conservatore, con poche tinte progressiste ma che, nel consenso mondiale attuale, rischierebbe di dare un cattivo esempio a quei paesi tipo la Cina e gli Stati Uniti, dove il concetto di diritti o non esiste o si sta rapidamente perdendo, in favore di una applicazione selvaggia dell'economia di mercato.
Pensiamo adesso al Re del Belgio. Immaginiamo per un momento che si riesca a toglierlo di torno. All'inizio pensavo all'ipotesi che venisse ucciso, lui, l'unico faro di unità di un paese sull'orlo della divisione totale. Ma poi mi son detto che basterebbe minarne la credibilità, per esempio che apparisse come contagiato dall' AIDS. La sua figura, il suo ruolo super-partes, il suo essere rappresentante di fiamminghi e valloni, riconosciuto e rispettato verrebbe meno. E come corollario le spinte centrifughe, soprattutto fiamminghe, porterebbero al collasso l'identità paese e la separazione molto più vicina se non inevitabile. Dietro loro, il partito di destra olandese, già pericolosamente presente in parlamento, si sentirebbe le ali al vento e la proposta di federare le Fiandre con l'Olanda in nome dei valori della razza fiamminga troverebbe un appoggio e uno spazio politico immenso.
Ricordo anche il sogno della grande Ungheria che i partiti di estrema destra stanno portando avanti, reclamando di ridiscutere le frontiere con la Romania dove vivono importanti gruppi di origine ungherese. A sua volta questo fare deflagrare l'unità romena perchè se da un lato dovrebbero guardarsi dal gruppo ungherese, dall'altro si ritrovano con il problema dei moldavi che vogliono essere riconosciuti come romeni per poter entrare a pieno diritto nell'Unione Europea. Questo porterebbe la febbre ancora più a Est, verso i territori della Ossezia e Abcazia, minoranze più o meno sobillate da Mosca. Sempre in Romania e Ungheria, un rinnovato spirito nazionalista non potrebbe che avere effetti negativi sulle comunità Rom, già tartassate nei decenni precedenti (tanto da far perder loro tutti i possedimenti terrieri che detenevano in Ungheria e spingerli sulle strade per diventare delle "gens de voyage").
Ma anche verso sud si otterrebbero degli effetti quasi immediati: basti pensare alla Lega e al suo disegno di secessione mai sopito. Solo l'ingordigia di voler ampliare la loro Padania fino al centro Italia potrebbe far perder loro tempo, non certo la chiarezza di una visione politica che sda sempre punta a spaccare l'unità d'Italia in nome di provincialismi e localismi. Dato lo stato della politica italiana, un disegno di questo genere potrebbe trovare molti consenzienti nel Nord.
In Francia i separatisti corsi ritroverebbero forza per il loro disegno separatista anche se questo sembra il paese dove meno chances possano avere, data la lunga tradizione centralizzatrice dello stato francese.
Finalmente in Spagna, l' Eta, e in Irlanda, l'IRA, potrebbero ricominciare a mettere bombe ed ammazzare a destra e sinistra.
L'europa intera si troverebbe quindi a non aver più la forza per discutere dei temi urgenti, come venir fuori dalla crisi e come accellerare il processo di integrazione sociale e politica, spinta da queste forze centrifughe a dover cambiare l'ordine dell'agenda. E non lasciamoci incantare dalle frasi ad effetto tipo l'Europa delle Regioni, che viene messa in avanti da tutti i partiti simil-Lega come opzione B (l'opzione A essendo la fuoriuscita dall'Unione) per giustificare tatticamente il loro discorso politico che mira essenzialmente a distruggere qul po' di unità che si è creata in questi anni. La convergenza di fondo fra gli interessi localistici di questi movimenti e gli interessi supranazionali di paesi come la Cina e gli Stati Uniti mi sembra abbastanza evidente. Non dico che gli uni siano manovrati dagli altri, ma non vi è dubbio che le capacità negoziali di una Padania, di una Fiandria allargata, o di una "Grande" Ungheria sembrano ben poca cosa rispetto a una Cina che, giusto per citare un numero, detiene otto dei dieci porti più importanti del mondo. Sul serio pensano di difendere la cultura veneta, o basca, o corsa, emettendo moneta propria, rifacendo il Regno delle Due Sicilie, parlando dialetto, di fronte a un mondo dove le due potenze fanno e dsfanno a loro piacimento tutto quel che gli garba?
L'effetto domino non finirebbe a casa nostra, perchè immediatamente il Kossovo reclamerebbe il suo pieno rinoscimento (che oggi quasi tutti stentanbo a dargli); ma poi la gran tormenta arriverebbe in Africa dove i confini nazionali sono ancora talmente recenti (e talmente artificiali) che potrebbero saltare uno dietro l'altro. Potremmo iniziare fra qualche giorno col Sudan: il referendum dell'11 gennaio potrebbe iniziare la saga della separazione del sud dal nord, con corollario di possibili nuove guerre. La questione sempre irrisolta dei Sarahwi, nel Marocco, diverrebbe un' altra rogna all'ordine del giorno, così come le richieste dei ribelli del Meng in Nigeria. Ma non ci sono dubbi che molti altri casi apparirebbero immediatamente, anche in paesi dove tutto sembra tranquillo, tipo il Mozambico, dove le popolazioni del nord forse stanno solo aspettando un segnale di questo tipo per mettere all'ordine del giorno il fatto che, a parte il portoghese, non hanno nessuna ragione storica per stare assieme ai popli del Sud.
Può succedere tutto questo? Chi potrebbe aver motivo che NON succeda? Faccio questo ragionamento perchè le forze centrifughe sono già all'opera, in particolare i partiti e movimenti xenofobi tipo Lega. Senza che necessariamente si cerchino grandi complotti, sembra legittimo pensare che le grandi scelte che la crisi attuale dovrebbe imporre dovrebbero essere quelle di accellerare l'ntegrazione, mettere più sociale e difendere di più le istituzioni dello stato come rete di protezione sociale e non, al contrario, spingere per aumentare le fratture. Volente o nolente quindi questi movimenti spingono verso una accelerazione della crisi e verso lo scenario di cui sopra. Chi NON lo vuole? La Cina, gli Stati Uniti? Francamente penso che alla Cina farebbe molto comodo una europa miniscuola, ancor più divisa di adesso. Sarebbero una serie di bocconcini facili da mangiare. Forse per gli americani, in questo momento, sarebbe meglio avere una Europa un po' più forte, ma questo richiederebbe una Amministrazione americana forte e chiaroveggente, al di là degli interessi di bottega più immediati, e non sembra sia questo il caso attuale. Dobbiamo quindi ripiegarci sui nostri partitini politici che, in Italia come altrove, sembrano sempre più preda di signorotti locali, di una miopia che li porta tutti a dividersi senza che si veda all'orizzonte una generazione di Hommes d'Etat (o Femmes) capaci di leggere la situazione mondiale e reagire da Uomini di Stato.
Spero di sbagliarmi, e che la salute del Re del Belgio si mantenga per tutto il 2011. Gli mando i miei migliori auguri.

sabato 25 dicembre 2010

La sporca dozzina consigliata da ANDAR GUAIVI

L'idea era di fare una Top Ten, ma é stato impossibile scendere sotto questi dodici
(fra parentesi i mesi dove si troveranno i dettagli di ogni libro)

Meurtre dans un jardin indien - Vikas Swarup TOP (agosto)
Les Orpailleurs - Thierry Jonquet (gennaio)
Il paradiso è altrove - Mario Vargas Llosa (aprile)
Muro di fuoco - Henning Mankell (maggio)
Utu - Caryl Férey (giugno)
L'entreprise des Indes - Erik Orsenna (giugno)
Le maître de fengshui est à l'ouest - Nury Vittachi (agosto)
Questo sangue che impasta la terra - Guccini; Macchiavelli (agosto)
Zuku - Caryl Férey (settembre)
Un homme heureux - Arto Paasilinna (ottobre)
Perdas de Fogu- - Massimo Carlotto e Mama Sabot (novembre)
La forma della paura - Giancarlo De Cataldo e Mimmo Rafele (dicembre)

domenica 19 dicembre 2010

giovedì 16 dicembre 2010

Balance día 3: el futuro de la reforma agraria?




Escribo escuchando Jethro Tull, Aqualong, necesario a esas horas, después de otro intenso día de diálogo nacional con las organizaciones más duras (de verdad que me parecieron poco duras). El grupo parece empezar a funcionar; serán necesarios meses, pero dejo instalado algo que podría funcionar. No son solo un par de nacionales, el camino ha sido largo pero, pasando por varios caseríos hemos encontrados pastores que han respondido al mensaje y se han sumado. Entre nacionales e internacionales hay algo como 5-10 personas. Con paciencia de aquí destilarán el grupo clave que irá aglutinando fuerzas. Necesitarán paciencia, y esto no dependerá de mi, sino de ellos.
Después de dos años y medo creo que nunca como ahora hemos estado finalmente cerca de un verdadero arranque. 20110 será el año clave; se hará poco o mucho? Por el tamaño delos problemas seguramente será poco, pero aquí les recuerdo que se trata de juzgar contra lo nada. El gobierno tiene un deber de empezar a realizar cosas y debe aprender a “vender” lo que hace, porque hechos hay, pero se conocen poco.

El diálogo es algo fácil a escribir, es otra cosa cuando pasas horas y horas sentado allí, con unos y otros, buscando y pesando cada palabra: será la buena o no? Cual sinónimo les será más fácil de entender? Con que ton hablo, que postura tengo, como me visto y como entro en la sala? Por suerte que tengo mi asesor privado que me recuerda que es mejor pasar a saludarlos uno a uno, y así lo hago.
Hablo yo porque no vienen las autoridades: que les digo? Soy naciones unidas, soy un honest bróker, respondo al gobierno, a la ciudadanía o a quien? Una idea la tengo y mismo si no le gusta a mi representante, esta es mi forma de trabajar.
Una tarde de negociaciones: de método, de palabras, de actividades, quien hace que, con que plata, con que alianzas y así ….

Sándwiches para almorzar, ni el tiempo para ir al baño, mucho estrés, la política es sange y mierda decía un político italiano: igual trabajar a apoyar la elaboración de una visión, programa y acciones entorno a temas calientes como la reforma agraria en un gobierno nuevo. Hubo gente llorando hoy… y hemos terminado tarde. Es medianoche, y todavía no termino. Mañana se lo presentamos al Presidente y ministros, casi viejos amigos después de tantos años, ojalá que esta vez sea la buena…

Fuera de la puerta me encuentro con estas palabras: en lugar de Reforma agraria Ya!, dice Pista de skate Ya!: será este el grito de los jóvenes, el futuro de la reforma agraria?

mercoledì 15 dicembre 2010

Paraguay: giorno 2

continuando la gita

siamo partiti ed oggi era un po´ il giorno della VERITA´. Riuscire a quadrare i conti fra un sinnumero di istituzioni e persone che non hanno l'abitudine di lavorare assieme e che, come in molte istituzioni, preferiscono guardarsi in cagnesco, ecco la sfida vera.

Le riunioni con i contadini e loro organizzazioni confermano quello che dicevo da molto tempo: sono troppo appiattiti sul governo e questo non ha fatto del bene né agli uni né agli altri. Il governo non ha avuto nessuno a pungolarli e lolro hanno perso un po' la loro ragione d'essere. Si preannunciano tempi piú duri, e relazioni piú sane penso io, fra governo e organizzazioni contadine.

Qua se non si spinge non si avanza. La strada é in salita, e una variabile nuova di cui non abbiamo parlato kieri, é la mancanza di allenamento: questi vengono da 61 anni di controllo totale, per cui l'idea di avere un'opinione propria, é qualcosa che non li riguarda. Era meglio non averne, punto.

Quindi ci vuo tempo per tirar fuori le idee, allenarsi a sprimerle in pubblico, argomentare, difendere, accettare le posizioni degli altri... tutta roba nuova. Non mi é del tutto chiaro se capiscono l'urgenza: questo governo finirá e ridarrá il potere allo stesso partito Colorado che lo ha te nuto per 61 anni. Devono muoversi subito per limitare i danni, pe nsare di vincere é una chimera. Ma almeno uscire a testa alta. Questo vuol dire accettare di lavorare con poche informazioni, con un po' di pressapochismo.. ma lavorare, far partire sto programma e soprattutto venderlo al pubblico nazionale e internazionale, toccare il tema della comunicazione, imparare ad usare queste armi del secolo attuale: comunicare comunicare comunicare. Ci proviamo.

La giornata é stata produttiva, forse domani entreremo addirittura nel giorno delle POSSIBILITA´.. di andare oltre il minimalismo iniziale.. sarebbe un sogno... per adesso vado a soñar con los angelitos perché é tardi....

martedì 14 dicembre 2010

Paraguay: giorno 1

Come funziona un meccanismo di elaborazione di politiche, quanto si avanza e come ci si sente accompagnandolo dall’interno.

Il primo problema, per misurare di quanto si sia avanzati, debe essere affrontato avendo chiaro i seguenti punti: quanto pesa lo zaino che uno si é messo in spalla? Qual é la pendenza della strada? Che tipo di scarpe ci siamo messi addosso? E finalmente che tempo fa?

Si tratta di variabili che possiano controllare, assieme ad altre che non dipendono da noi. Dopodiché, dovremo misurare il camino fatto rispetto alle aspettative. Sicuramente se mettiamo tutto questo in mano ad un matemático, uno di quelli di “Numbers”, saprá trovare la formula che ci spiega, a priori, se abbiamo fatto abbastanza oppure no.

Questa lunga introduzione per dire che é sempre difficile misurare gli stati di avanzamento; basta vedere come lo fanno gli impresari edili dalle partid ove viviamo noi: a occhio, poi si butta li una cifra e ci si mette a negoziare.

Ecco, quello che vi racconto é una visione molto personale, che non pretende essere la veritá, ma solo una stima fatta da un geometra di campagna con qualche anno sulle spalle e qualche capello in meno.

La strada era molto in salita; per fortuna avevamo cominciato dal’inizio dell’anno a svuotare lo zaino e attaerrare dai sogni della campagna elettorale a qualcosa di piú concreto rappresentato da quello che le istituzioni esistenti dichiarvano essere le loro prioritá. Ovviamente cera ancora molto peso superfluo, e siamo qui non solo per fare la lista dettagliuata di cosa tenerci dentro lo zaino, ma anche per mettere da parte quello che non sia assolutamente necesario nella prima parte della scalata. Il tempo, ve l’ho detto ieri, si era presentato con un calore altissimo, 34-36 all’ombra a mezzogiorno per scendere a 12 gradi la sera. Una montagna russa, come ci diceva il consulente cileno: un caldo freddo continuo, che non facilita le connessioni nervose. Per ultimo, le scarpe. Globalmente penso che le scarpe (la squadra) siano le piú adatte per una impresa di questo tipo, date le caratteristiche del terreno. Suola mista, economista, scienze social, specialisti in monitoring e persone con credibilitá presso i settori social che sono prioritari per il governo.

Come tutte le scampagnate, hai voglia di dire alla truppa di economizzare le energie, ma quando si parte, col sole, un grupo di gente vogliosa di parlare, é ovvio che una parte importante del tempo se n evada via in canzoni, barzellette, tricche e tracche e bombe a mano. Cosí é stato. Ma almeno si é riusciti in un tempo ragionevole di romperé il ghiaccio iniziale: é sempre difficile fare il primo passo, e quindi era importante partire, fosse anche cantando canzoni “paillasses”.

Siamo partiti, le personalitá cominciano a mostrarsi: chin e approfitta per lanciarsi in discuisizioni che non finiscono mai, e che ha tendenza ad andaré fuori percorso, col rischio di portarsi dietro parte della truppa, chi invece ha fatto degli scherzetti agli altri e adesso sta attento a non farsi infilzare da dietro, chi invece respira l’aria aperta e si lancia in filisastrocche che non finiscono mai. Ma siccome tutti sono gentili, nessuno protesta e nesusno gli tira una scarpa in testa.

Ovviamente abiamo dovuto fare il punto della situazione, prima a metá giornata e poi alla fine della prima giornata, per vedere come indirizzare meglio il percorso di domani. Dobbiamo evitare che le prime donne dominino il dibattito e che gli screzi interni impediscano non solo al grupo di avanzare ma anche di continuare a riflettere e portare avanti non solo una gamba dietro l’altra ma anche una idea di cosa faremo oltre raggiungere la meta.

Questi sono i risultati che ci attendiamo: arrivare alla meta vivi, dimostrando che siamo in forma e che ci meritiamo i titoli di onore sui giornali, ma soprattutto avere una strategia per raddoppiare la posta: tutto sommato abbiamo scelto una strada corta, minimalista, in modo che il Gruppo Vacanze Piemonte ci arrivi intero e piú coeso; ma onestamente puntiamo piú in alto e questo ci obbliga a far si che si controlli meglio la strada, il grupo, e le scarpe, in modo da dare pian piano un ritmo che sia fatto meno di canzoni e piú di kilometri.

In montagna si impara pian piano a star zitti ed andare avanti: noi siamo ancora al primo giorno, molti dei partecipant forse non sono del tutto convinti che vogliamo arrivare in cima, molti sono qui perché preferivano venire con noi piuttosto che andare a scuola e obviamente mano a mano che accellererá succederá l’inevitabile sfrondamento del grupo. Dobbiamo arrivare in cima non proprio da soli, ma mantenendo questo spirito di corpo che un pochettino esiste. Cercare di rinsaldarlo durante la salita fa parte dei doveri ma anche delle difficoltá. Ancora non possiamo dire se ci arriveremo, in cima, ma ho piú speranze di questa mattina.

Fernando sembra abbastanza malato, forse é alla fine delle cure e adesso si riprenderá: é sicuro che la situazione é particolare, una occasione storica per dare dei segnali di cambiamento a questo paese: non glielo perdonerebbe nessuno se nemmeno ci provassero. E per questo siamo qua noi. Non vi parlo della mia organizzazione per motivi di caritá di patria. Un giorno ci torneremo.

domenica 12 dicembre 2010

Cinquantaseiesimo libro 2010: Vendetta - Anne Holt


Einaudi Stile Libero

Una primavera così calda in Norvegia non si era mai vista. Mentre l’afa opprime le notti di maggio, il sabato qualcuno organizza la messa in scena di massacri raccapriccianti: stragi sanguinose, apparentemente senza vittime, da considerarsi degli episodi casuali, oppure collegati all’orribile fatto di cronaca che ha sconvolto la città? Le sevizie e la violenza carnale ai danni di una giovane donna segregata per una notte nel suo elegante appartamento del centro di Oslo… Se lo chiedono l'ispettrice di polizia Hanne Wilhelmsen, con i suoi colleghi della centrale di polizia, ma anche il padre della ragazza, determinato a non aspettare l’aiuto di nessuno. Un romanzo perfettamente orchestrato che unisce la capacità di tenere alta la tensione narrativa della trama a una grande sensibilità psicologica nell’analizzare l’impatto emotivo provocato dalla violenza.

il mio secondo Anne Holt (il primo non mi era sembrato un granché), e devo dire che é stata proprio una lettura piacevole volando verso Asunción. Mi ha messo proprio di buon umore.

venerdì 10 dicembre 2010

Partenza per Paraguay

Domattina si riparte, Asunción, 1 settimana di intenso lavoro. Ma almeno stavolta possiamo dire che qualcosa comincia a girare. Il governo ha iniziato a muoversi, un gruppo di lavoro é stato creato, i primi soldi per questa missione trovati.. insomma, le prospettive rispetto a pochi mesi fa sono giá diverse.

Nons ará facile, perché di fatto é come la Playstation, ad ogni livello che passi entri in uno piú difficile.. vedremo cosa succederá... aggiornamenti nei prossimi giorni.

giovedì 9 dicembre 2010

Cinquantacinquesimo libro 2010: Altai - Wu Ming



Einaudi, collana Stile Libero

Ancora una volta i Wu Ming raccontano la parabola di un'utopia sconfitta. Dopo la rivolta contadina di Q e il sogno di una federazione irochese di Manituana, ancora una volta la dimensione mistica della fine della diaspora ebrea viene battuta dalla violenza e dal potere. Il sogno di Manuel Cardoso dovrà fare i conti con la brutalità dello scontro tra civiltà, culminato con la battaglia di Lepanto, ma la sua eredità spirituale verrà comunque raccolta da un nuovo erede. Un'epopea che trascende la dimensione storica per farsi allegoria dei nostri tempi.

Bel libro, un po'meno avvincente di Q.

lunedì 6 dicembre 2010

DEHORS LES IMMIGRES / FUERA LOS INMIGRANTES / FUORI GLI IMMIGRATI

Les mettres dehors ou pas? Essayons d'y regarder de plus près:
Cacciarli via oppure no? Proviamo a guardare le cose piú da vicino:
Hecharlos o no? Probamos a ver las cosas de más de cerca:


Les immigrés sont une très bonne affaire pour l’économie française : ils reçoivent de l’Etat 47,9 milliards d’euros, mais ils reversent 60,3 milliards. Autant dire un solde positif de 12,4 milliards d’euros pour les finances publiques, qui ne représente pourtant que la part monétaire de transferts bien plus importants. Dans ce pays de 64,7 millions d’habitants, 6,5 millions de Français comptent au moins un immigré dans leur famille. Les chiffres de l’immigration légale sont très fluctuants. En France, on recense environ 5,3 millions de résidents étrangers avec leurs familles.

Une équipe de chercheurs de l’université de Lille, sous la direction du Pr Xavier Chojnicki, a réalisé pour le compte du ministère des Affaires sociales une étude sur les coûts de l’immigration pour l’économie nationale. Travaillant sur des chiffres officiels, les chercheurs ont décortiqué tous les grands postes de transfert des immigrés. Il en ressort un solde très positif. Les chercheurs ont remis leur rapport en 2009, au terme de trois ans d’études. Les 47,9 milliards d’euros que coûte l’immigration au budget de l’Etat (2009) sont ventilés comme suit : retraites, 16,3 milliards d’euros ; aides au logement, 2,5 milliards ; RMI, 1,7 milliard ; allocations chômage, 5 milliards ; allocations familiales, 6,7 milliards ; prestations de santé, 11,5 milliards ; éducation, environ 4,2 milliards.

De leur côté, les immigrés reversent au budget de l’Etat, par leur travail, des sommes beaucoup plus importantes : impôt sur le revenu, 3,4 milliards d’euros ; impôt sur le patrimoine, 3,3 milliards ; impôts et taxes à la consommation, 18,4 milliards ; impôts locaux et autres, 2,6 milliards ; contribution au remboursement de la dette sociale (CRDS) et contribution sociale généralisée (CSG), 6,2 milliards ; cotisations sociales, environ 26,4 milliards d’euros.

[...]
Dans un domaine aussi crucial que l’avenir du système des retraites, les immigrés jouent un rôle des plus favorables. Le très officiel Comité d’orientation des retraites est parvenu à cette conclusion : “L’entrée de 50 000 nouveaux immigrés par an permettrait de réduire de 0,5 point de PIB le déficit des retraites.”
http://forum3.usap.fr/viewtopic.php?f=3&p=234216

El Estado recibe de ellos un saldo positivo de unos 12.400 millones de euros; además los inmigrantes, la mayoría jóvenes, son grandes consumidores
Los inmigrantes legales son un negocio muy rentable para la economía francesa: reciben de los presupuestos del Estado unos 47.900 millones de euros, pero pagan de sus bolsillos unos 60.300 millones. Un saldo positivo y favorable para las finanzas públicas de unos 12.400 millones de euros, que solo es la parte monetaria de unas transferencias positivas mucho más altas.
En Francia (64.7 millones de habitantes), unos 6.5 millones de franceses tienen un familiar inmigrante. Las cifras de inmigrantes ilegales son muy aleatorias. Hay contabilizados unos 5.3 millones de residentes extranjeros, con sus familiares.
Un equipo de investigadores de la universidad de Lille, dirigidos por el profesor Xavier Chojnicki, ha realizado por cuenta del ministerio de Asuntos sociales un estudio sobre los costos y beneficios económicos del conjunto de esa inmigración para la economía nacional, llegando a esa conclusión cifrada (2009), tras varios años de estudio.

Manejando cifras oficiales, los investigadores han desmenuzado todas las grandes partidas de transferencias positivas y negativas de los inmigrantes, concluyendo con ese saldo muy positivo para la economía nacional.
Por partidas, la inmigración cuesta a los presupuestos del Estado (2009) unos 47.900 millones de euros, en estos conceptos: pensiones de jubilación, 16.300 millones de euros; ayudas a la vivienda, 2.500 millones; salario mínimo de inserción, 1.700 millones; subsidios de paro, 5.000 millones; ayudas a la familia, 6.700 millones; ayudas sanitarias, 11.500 millones; educación, unos 4.200 millones.

[...]
A ese saldo positivo, de unos 12.400 millones de euros, es necesario añadir otros ingresos no siempre monetarios, pero social y económicamente importantes: los inmigrantes realizan la inmensa mayoría de los trabajos que no quieren realizar los franceses, y un 90 por ciento de las autopistas construidas las últimas décadas se construyeron con mano de obra inmigrante; sin obreros extranjeros, los precios del consumo (productos agrícolas y otros) serían mucho más caros, ya que la mano de obra extranjera es mucho más barata.

http://www.abc.es/hemeroteca/Chojnicki

NON HO TROVATO UNA VERSIONE SCRITTA IN "PADANO" O IN BERGAMASCO... QUALCUNO PUÓ AIUTARE?

Cinquantaquattresimo libro 2010: Quota Albania - Mario Rigoni Stern



Einauditascabili

La breve campagna di Francia, quando già le truppe tedesche stavano x entrare a Parigi; i 6 mesi di guerra di posizione sui monti al confine tra Albania e Grecia. Più che un libro di guerra questo è un racconto sulla naia, frammenti spezzati di ricordi: i muli e la neve, le corse come portaordini sugli impervi sentieri che il montanaro Rigoni aveva imparato presto a conoscere; le sere attorno al fuoco con i commilitoni; le incursioni nelle case abbandonate x procurarsi un po’ di cibo; la pietà uguale x i caduti, italiani e greci, quelli irrigiditi dal gelo sulle montagne e quelli morti in un prato sull’erba di primavera; le lettere d’amore da una ragazza di Venezia, che il padre di lei considerava troppo altolocata x un semplice alpino. Al di là di tutto, l’inutilità di una guerra che i soldati combattevano senza nemmeno realmente sapere dove fossero o chi stesse vincendo, e soprattutto perché, se i paesi e le case dei nemici tanto assomigliavano ai loro

Conferencia de Valencia quarta parte

4. Conclusiones: una llamada en contra de la lobby del hambre

Como lo decía J. de Castro: “Existe una necesidad urgente de proceder a una conversión del hombre, esto es, por una parte, a cambiar la mentalidad de poder y de dominio de algunos y, por otra, a crear una mentalidad henchida del gusto y del deseo del progreso, así como de la voluntad de acceder a los beneficios del verdadero desarrollo. En esta nueva óptica del desarrollo, son la enseñanza, la educación y la formación humana la que deben constituir la inversión previa, que será probablemente la más rentable” .

Es necesario volver a poner hombres y mujeres al centro del debate y de la acción. Al mismo tiempo, urge reafirmar la confianza que debemos conservar en la grandeza de la especie humana y su capacidad de enfrentar los nuevos desafíos y cambiamientos. Creer en nosotros para tener la fuerza de enfrentar estos desafíos. Este es el primer paso.

La necesaria movilización de los actores sociales: es cierto que, si miramos hacia atrás, en los últimos 20 años hemos tenido un aumento considerable del nombre de organizaciones que han entrado en la arena mundial para defender campesinos/as, pastores, comunidades indígenas, productores forestales, pescadores artesanales etc. Se han realizados esfuerzos hacia una mejor coordinación y hay diálogos abiertos sobre como reforzar sus capacidades (tanto organizativas, como operacionales).

Pensar que esto sea suficiente, es probablemente una mentira. El nivel de complejidad de los problemas, junto con el número de actores presentes y los esfuerzos que son colocados por el lado de los defensores del modelo actual, llama a un esfuerzo mucho más fuerte en cuanto se refiera a juntar fuerzas. Es imprescindible que las distintas redes de organizaciones hagan un esfuerzo adicional de modestia y de aceptar las diversidades de opciones que cada uno representa en función de su propia visión y grupos que está defendiendo, de manera a lograr una plataforma de acción mínima que permita tener una capacidad de negociación mucho más fuerte que la actual.

Seguir privilegiando visiones parciales e intereses locales, aún cuando legítimos, solo permitirá de mantener una presencia simbólica que, mismo cuando pueda atraer la atención de la opinión pública por un momento, no será suficiente para mantener la presión necesaria para enfrentar luchas que serán de larga duración.

Dentro de nuestras organizaciones también tenemos que trabajar. Divide et Impera parece ser la palabra de orden: demasiadas instituciones, que operan por su cuenta, rindiéndole cuentas a distintos ministerios. Cuanto más parecería evidente la necesidad de integración, de tener un único foro intergubernamental dentro del sistema de Naciones Unidas el que tenga poder normativo y de toma de decisiones sobre el sistema alimentario mundial, cuanto meno se avanza en esta dirección. El último ejemplo nos viene de la desconexión entre los foros internacionales de formulación de políticas alimentarias (el Grupo de Trabajo de Alto Nivel de Naciones Unidas y el Comité de Seguridad Alimentaria Mundial-CSA) y la reciente asignación de responsabilidades al Banco Mundial para que establezca en el contexto de la actual crisis alimentaria un fondo multilateral de lucha contra el hambre que estaría dotado de 20.000 millones de dólares. Estas divisiones no son casuales; cuanto más dividido el frente de los que deberían luchar, cuanto más fácil mantener el control bajo los organismos financieros, que son los que dictan el rumbo.

Por eso que para luchar contra todo eso, debemos todos pasar a ser partes activas en lo que sea posible de nuestra vida personal y profesional. Estas organizaciones pueden cambiar. Así como les he hablado de algunos hombres del pasado, quiero aquí recordar un hombre de hoy: un español, del cual tengo la honra de considerarme amigo: José Esquinas-Alcázar. A él se debe en buena parte la firma en 1983 del Compromiso Internacional de Recursos Genéticos, y en 2001 el Tratado Internacional sobre Recursos Fitogenéticos para la Alimentación y la Agricultura redactado en el ámbito de la Conferencia de la FAO. Han sido dos instrumentos fundamentales para afrontar a escala casi mundial el grave asunto de la biodiversidad. La acción de un hombre ha demostrado que a veces se pueden cambiar rumbos que parecen ya diseñados. El es la prueba, aún en un tema sensible como este, que se puede luchar de adentro y modificar relaciones de poder que parecían intocables.

Así que podemos soñar que lograremos reducir no solo la plétora de instituciones, sino también modificar sus visiones desde adentro, transformarlas en actores que defiendan activamente estos principios y valores. Podemos soñar que un día no serán solo los gobiernos a regir estas instituciones y sus órganos ejecutivos, sino que también las organizaciones campesinas, indígenas, de pescadores artesanales, de mujeres, y los mismos consumidores lograrán entrar en la sala de botones.

Hay mucho que hacer, pero este depende también de cada uno de nosotros y nosotras. Debemos aprender a ocupar espacios de poder, entrar en las instituciones y subir en los lugares de mando. Criticar de afuera no será suficiente y aún meno continuar con gritos separados en un desierto donde las fuerzas que se oponen, una verdadera lobby, son cada día más organizadas.

Por eso que quiero terminar aquí, con un llamado a juntar esfuerzos para luchar en contra de una “lobby del hambre” que cada día demuestra una capacidad impresionante de definir el rumbo de las políticas , de las acciones de los gobiernos; que tiene la fuerza para comprar consenso o para evitar el disenso y frente a la cual parece casi imposible poder luchar. Sin embargo, así como hemos logrado volver a poner el tema de la reforma agraria en la agenda internacional, con la Conferencia realizada en marzo de 2006 en Brasil , así como muchos movimientos han logrado resultados en temas importantes (el reconocimiento del agua como un derecho – votado por Naciones Unidas ), existen esperanzas concretas que algo se pueda mover.

Trabajemos juntos a una agenda de trabajo, a propuestas de acción que, en el respeto de cada uno, logren catalizar fuerzas: les hemos presentado algunas ideas que son hijas de reflexiones de años, nuestras y de quien nos ha anticipado en eso. No son sueños, sino alimentos para que los sueños se vuelvan realidad.

Gracias.

Esta ponencia va acompañada de una serie de láminas que no puedo visualizar aqui. Igualmente, pro razones técnicas, no se visualizan las notas a pié de página.
Quiero recordar que este texto ha sido preparado principalmente por Paolo Groppo, con participaciones de: Carolina Cenerini, Gérard Ciparisee, Wim Polman, Guido Santini, Alvaro Toledo, Daniele Volpe, Francisco Carranza y Txaran Basterretxea; se agradecen los “emprestamos” de ideas y sugerencias de Marcel Mazoyer y José Esquinas. Las opiniones expresadas son a título personal y no representan las de FAO

Conferencia de Valencia tercera parte

b. Prácticas (en curso) de una economía solidaria para pensar de otra manera

Así debemos aprender a pensar de otra manera. Lo bueno es que existen reflexiones y prácticas que ya van en esta dirección. Por lo esencial se trata del gran capitulo llamado de la Economía Solidaria, que parte del reconocimiento del papel que las personas, comunidades y sociedad deben ser los líderes de los procesos de desarrollo, a partir de sus potencialidades y de sus recursos materiales e inmateriales.

Es un modo de ver donde todos los actores tienen los mismos derechos en lo referente a los procesos de tomas de decisiones y de implementación de políticas y programas; donde no hay discriminación ni dominación, prejuicio y exclusión, particularmente en contra de las mujeres, grupos indígenas, personas menos capacitadas y minorías sociales, económicas y/o religiosas.

El propósito de la Economía Solidaria, responsable y plural, es de unificar, desde lo local hasta lo global tanto a productores como consumidores por el medio de compartir los mismos valores de responsabilidad, pluralidad, solidaridad, participación democrática, cooperación, reciprocidad, respeto por la diversidad, la sostenibilidad ecológica, justicia social, equidad y complementariedad. Todas organizaciones participantes en la ES preservan su autonomía de los partidos políticos, gobiernos y organizaciones religiosas.

La ES reconoce el trabajo humano, su conocimiento, su sensibilidad ética y creatividad como atributos centrales de la sociedad humana como bases para liberar tiempo y energía para el cumplimiento de todos los potenciales humanos, de manera libre, equitativa y ética.

Ejemplos de ES ya hay varios: 1.producción sostenible y solidaria, 2. comercio justo 3. consumo responsable, 4.finanzas solidarias y monedas sociales 5. participación ciudadana a todos niveles, 6. educación de masa, cooperativas sociales etc .

Las Naciones Unidas están aprendiendo a abrirse a estos temas y a las organizaciones que hacen parte de este universo. La OIT (oficina de Turín) ya tiene programas en algunos de estos tópicos, mientras que la misma FAO ha desarrollado colaboraciones técnicas y formales con algunas de esas organizaciones. Esto es un inicio, muy limitado aún, pero que confirma que algo se puede hacer.

c. Elementos para construir una teoría de un mundo mejor (en lo referente a los temas agrarios )

Esto de la Economía Solidaria es un mensaje importante, porque nos dice que no somos solos a pensar, concretamente, como hacer que los sueños se vuelvan realidad.

Hay grupos de reflexión que ya se preocupan con estas temáticas, y uno de ello lo anima la Cátedra de Estudios sobre Hambre y Pobreza (CEHAP) en Córdoba. En la internet podrán encontrar más trabajos realizados, para que se den cuenta que algo se mueve.

Hay dos elementos que compartimos que quiero tocar aquí: uno se refiere al necesario apoyo a las economías campesinas (que tocaremos en esta sección) y segundo la reflexión sobre los mecanismos internacionales (la gobernancia) de estas crisis (que será la parte final de esta charla).

Modificar profundamente el modelo actual significa trabajar para revertir un proceso de descapitalización histórica de las agriculturas familiares del mundo. Por eso que el primer paso es de proponer una serie de medidas para recapitalizar las agriculturas familiares de todo el mundo, con particular atención a las del Sur.

Esta transferencia de poder adquisitivo en favor de las agriculturas familiares es necesaria y urgente para incrementar los ingresos de los agricultores subequipados y devolverles la posibilidad de sobrevivir, invertir y desarrollarse; así frenando el éxodo rural, reduciendo la pobreza extrema y la desnutrición rurales y, al mismo tiempo, limitar el desempleo y la pobreza urbana .

Esto pasa por un lado por un aumento progresivo, importante y prolongado de los precios de las mercancías agrícolas en los países en desarrollo. Significa también pensar, al igual que lo hizo la Unión Europea, establecer grandes áreas de librecambio agrícola integradas por países con productividades agrícolas similares (África intertropical, Europa, Asia del sur...), y proteger estos “grandes mercados agrícolas” contra las importaciones de excedentes, a precios muy rebajados, mediante unos derechos de aduana ajustables, de manera que se obtengan unos precios internos estables y suficientes para que los agricultores menos productivos de las regiones menos favorecidas puedan vivir de su trabajo

Sin embargo, recapitalizar las agriculturas campesinas no es solo un proceso económico; significa también reconocer la necesidad de soluciones distintas en cada lugar y en cada momento histórico. No existen soluciones únicas, ni recetas universales. La situación y la historia de cada país, incluyendo su historia y su cultura, sus condiciones edafo-climáticas y socio-económicas, su grado y tipo de desarrollo, son distintos y por tanto distintas deben ser las soluciones a sus problemas agrícolas y alimentarios. Y dentro de esta diversidad se debe reconocer y promover el papel de la mujer en la producción alimentaria y acceso equitativo y control de los recursos productivos.

La diversidad de sistemas agrícolas debe ser protegida e incentivada como un valor positivo y un importante amortiguador en época de cambios. Al igual hablamos también de biodiversidad: la cooperación internacional en esta materia no es una opción, sino una necesidad. Por lo tanto hay que (i) Situar la biodiversidad agrícola en el centro de la agenda política; (ii) Reforzar la colaboración entre las entidades internacionales pertinentes y desarrollar programas y estrategias internacionales comunes sobre biodiversidad agrícola; (iii) Acelerar la aplicación a nivel nacional de las disposiciones de los acuerdos e instrumentos internacionales existentes relacionados con la biodiversidad agrícola

En los países en los que el empobrecimiento extremo y la desnutrición de un gran número de pequeños agricultores y empleados agrícolas se debe también a la falta de tierras y a unos salarios bajos impuestos por una minoría de grandes latifundios, esta reorganización de los intercambios agrícolas será evidentemente insuficiente. Se necesitará también una reforma agraria, así como una legislación sobre la tenencia de tierras que garantice el más amplio acceso a la tierra y la seguridad de la propiedad.

Finalmente, recapitalizar estas diversidades de culturas, de tecnologías, de saberes, de paisajes y de formas de ocupación, uso y manejo del espacio rural significatomar una posición clara respecto a la necesidad de regular y desacelerar la producción de biocombustibles, especialmente aquellos de primera generación.

Para aplicar esta estrategia, es imprescindible que la temática agrícola salga del dominio de la OMC y vuelva a ser tratadas dentro de una (nueva) organización (o una organización renovada).

Conferencia de Valencia segunda parte

2. “Plaidoyer » para volver a soñar

El mensaje importante de retener de este breve escursus histórico sobre FAO es que la lucha para enfrentar estos problemas de otra manera es una lucha legítima y posible, aún cuando sea muy difícil.

Para poder soñar, es fundamental tener los pies en la tierra. Por eso la “construcción” de este “plaidoyer” necesita tocar 4 puntos claves:

a. Recordar como el hambre en el mundo tenga razones estructurales, dependientes del modelo de desarrollo que se ha escogido.
b. Recordar cuales son los determinantes futuros con los cuales debemos convivir
c. Citar algunas prácticas (en curso) de una economía solidaria, como ejemplos de “pensar de otra manera” y, finalmente,
d. Plantear algunos elementos para construir una teoría de un mundo mejor (en lo referente a los temas agrarios)

a. El hambre como resultado de una diferenciación de los sistemas productivos y de una competición mundial sin protecciones

“El hecho de que históricamente la cifra de personas desnutridas continúe incrementándose incluso en períodos de elevado crecimiento económico y precios relativamente bajos indica que el hambre es un problema estructural, según la FAO. Por lo tanto resulta evidente que el crecimiento económico, aunque esencial, no será suficiente para eliminar el hambre en un plazo de tiempo aceptable”

Elementos básicos:
• el número de agricultores, a escala mundial, sigue aumentando, 1,350 millones en la mitad de los años 2000
• la mayor parte de esos agricultores viven en zonas non irrigadas dependiendo totalmente por sus cosechas de lluvias, ahora más irregulares a causa del cambio climático
• la gran mayoría son pequeños productores sin titulo de propiedad (o de algún tipo de derecho), trabajan como peones (tenants) pagándole porcentajes muy altos (30-50%) en cantidad o valor de sus cosechas al propietario con el resultado de alimentar un circulo vicioso de pobreza estructural
• las mujeres campesinas, en muchos casos las verdaderas productoras de alimentos para la familia, no tienen derecho a la tierra, ni útiles, ni capital para investir
• en la mayoría de los países con mucha hambre las prioridades políticas son en favor de la urbanización y la industrialización y no hacia el desarrollo rural, sin contar las discriminaciones étnicas, religiosas, etc.
• las políticas agrarias en muchos países es enfocada hacia la comercialización de gran escala agro industrial (y no a la seguridad alimentaria a nivel familiar y local) con una integración al sistema de mercado libre dominado por unos pocos grandes exportadores y empresas agroalimentarias)
• la investigación es concentrada hacia la mejora de la productividad y ganancia del agro industria internacional y no al nivel de producción local
• la integración mundial (globalización) tiene un impacto económico muy fuerte a nivel local para los pequeños productores (competencia de grande empresas internacionales, migración obligada de millones de campesinos hacia el casco urbano, cambio de hábitos alimentarios y perdida de cultura agraria-alimentaria)
• la participación campesina en la toma de decisiones en temas de política agraria y desarrollo rural es mínima
• sólo unos 30 millones tienen acceso a equipamiento de moto-mecanización
• más o menos 300 millones trabajan con tracción animal
• más o menos 1000 millones trabajan con herramientas manuales

Los diferenciales de productividad llegan a 1 a 500 en producción neta. Esto significa que los agricultores del sur del mundo deben competir contra sistemas de producción que son infinitamente más productivos (además de tener a su lado políticas que los apoyan)

Los precios en los mercados mundiales se establecen a partir de pocos productos (que influencian los demás) y de una parte muy pequeña de la producción (estimación: 10% para los cereales); la interconexión de los mercados hace que los precios establecidos a partir de los países/productores excedentarios (más capitalizados y más productivos) se apliquen también a la totalidad de los productores.

Resultados: solo una ínfima minoría de productores puede mantenerse en esta competencia, mientras que la muy grande mayoría va perdiendo por causa de competencia desleal.

Sin embargo, mismo entre los que están en la carrera, ocurren fenómenos crecientes de “expropiación” de su renta: concentración creciente hacia arriba y hacia abajo de los mercados de insumos y de venta en poquísimas manos. Esto redunda en un poder creciente de las firmas transnacionales con dos estrategias principales:

- organizar directamente su propia producción (ejemplo: ganadería industrial de Cargill, primer negociador de granos en el mundo) o, en la mayoría de los casos,
- las firmas de arriba (semillas, químicos…) y de abajo (distribución) hacen contratos con los productores (familiares y no) a condiciones favorables solo para las firmas debido al control que tienen del mercado.

De esta manera les dejan a los productores la parte más arriesgada del ciclo productivo. Y esto explica porque las tendencias entre los precios pagados a los productores sean descendiente, mientras que los precios en los supermercados se mantengan elevados.

Por su lado, las grandes empresas agroalimentares o las grandes cadenas tipo Wal-Mart o Carrefour se especializan en la filiera en aval, meno arriesgada y más rentable: comercialización, transformación y distribución gracias a unas estrategias de marcas.

Ejemplos de la concentración en las filieras de arriba:
- 10 compañías controlan la mitad de las ventas de semillas
- 5 compañías colectivamente controlan el 75 % de las patentes y el 100% de los productos agro biotecnológicos: Pharmacia (Monsanto), DuPont, Syngenta, Bayer y Dow .

A esto se le va sumando el tentativo de algunas grandes empresas de controlar toda la cadena, creando mega clusters entre ellas: el caso más conocido es el Cargill-Monsanto

En estas condiciones, es evidente que el método de lucha contra la desnutrición y las carencias alimentarias actualmente preconizado, que consiste en bajar los precios agrícolas y alimentarios para que los consumidores– compradores pobres–puedan acceder a los alimentos está especialmente contraindicado.

b. Los determinantes futuros
Cuales son las determinantes con las cuales debemos convivir?

• Aumento de la población
• Urbanización progresiva
• Aumento del consumo y demanda energética (bio-combustibles)
• Cambio de las dietas alimentarias
• Cambios climáticos (Se calcula que si las temperaturas medias aumentasen más de 2ºC, en muchos países en desarrollo la productividad agrícola total podría descender entre un 20 y un 40%. )

La FAO considera que habrá que aumentar la producción de un 70% para responder a los desafíos mundiales de aquí al 2050. Hay varias preguntas que uno debe hacerse: primero, si realmente se necesitará producir más. Según la FAO existen alimentos más que suficientes para alimentar a la Humanidad, sin embargo los hambrientos no tienen acceso a los mismos.

Segundo, suponiendo que algo se deba producir, donde se debería hacerlo y a partir de cual diagnóstico del problema? Si se tiene en cuenta que la mayor parte (70%) de la población hambrienta vive en zonas rurales, promover la producción ´in situ´ parece la más eficiente y quizás la única solución duradera.

La FAO en su reciente informe ´Los caminos hacia el éxito´ (Nov. 2009) (pdf en inglés: http://www.fao.org/fileadmin/user_upload/newsroom/docs/pathways.pdf ) señala que una de las mejores y más rentables vías para salir de la pobreza y el hambre en el medio rural es apoyar a los pequeños campesinos.

En lugar de apuntar hacia ese grupo, y la valoración del conocimiento que esos agricultores tienen, en lugar de promover cultivos locales marginados , el modelo dominante apunta hacia una mayor especialización, con variedades que, para poder rentabilizar las inversiones hechas en ellas y expresar toda su potencialidad productiva, necesitan tierras de alta calidad, las llamadas Very Suitable (VS).

TIERRA: UN FACTOR PRODUCTIVO CADA DIA MÁS LIMITADO:
Las tierras degradadas aumentan y se reducen las tierras de alto valor agrícola (only 3.5% of the land surface can be regarded to be entirely free of constraining factors, FAO AEZ report p. 67)

Apostar sobre un aumento de las productividades de los mejores cultivos es poco juicioso: no solo las mejores tierras no aumentarán, sino también la evolución histórica de las últimas 3 décadas muestra una reducción progresiva del aumento de productividad.

En este escenario se inserta también la corrida hacia el acaparamiento de tierras que es cada día más preocupante: según las previsiones del Banco mundial este “Land Rush” no va a disminuir luego.

AGUA: PREPARANDO FUTUROS CONFLICTOS?
Mirando a la lámina que les estamos presentando es importante explicar lo que se entiende con estas categorías:

Poca o ninguna carencia de agua. Los recursos hídricos son abundantes y listos para ser usados, menos del 25% de las aguas fluviales es usada por el hombre para sus fines.
Escasez de agua desde el punto de vista ambiental (el desarrollo de los recursos hídricos se está acercando u ya ha ultrapasado el limite de sostenibilidad). Más del 75% de las aguas fluviales y subterráneas son usadas para fines agrícolas, industriales y/o uso domestico.
Incipiente escasez de agua desde el punto de vista ambiental. Más del 60% de las aguas fluviales son usadas, con la consecuencia que en el futuro próximo quedará poca agua desde el punto de vista ambiental.
Escasez de agua desde el punto de vista económico (obstáculos ligados al capital humano, institucional y financiero que impiden el acceso al agua mismo que los recursos hídricos son disponibles a nivel local y podrían satisfacer las necesidades humanas). Los recursos hídricos son abundantes, y menos del 25% del agua fluvial es usada para satisfacer las necesidades del hombre (malnutrición presente).

Cuando miramos el mapa hacia el oriente y vemos la situación crítica de China e India, entendemos mejor el porque debemos empezar a preocuparnos . Y no es casual que la BBC haya lanzado recientemente un grito de alarma: Water map shows billions at risk of 'water insecurity'

El agua es principalmente usada por fines agrícolas; en Asia más del 80% (con puntas del 87%) se va para ese propósito. Esta es la otra cara del modelo agrícola dominante: gran consumidor de otro recurso potencialmente más limitado que las tierras.

EROSIÓN BIOGENÉTICA:
De las 8000 sp. de plantas comestibles solo se usan unas 200. Únicamente 12 son alimentos básicos importantes. 3 sp., Maíz,, trigo y arroz representan el 60% de la producción mundial. En los últimos cien años una tremenda pérdida de diversidad genética se ha producido dentro de la llamadas "principales especies alimentarias". Cientos de miles de heterogéneas variedades de plantas cultivadas durante generaciones han sido sustituidas por un pequeño número de modernas variedades comerciales que son a veces muy uniformes y vulnerables.
En los últimos 100 años la erosión genética ha crecido, y hoy en día ningún país es autosuficiente: la interdependencia media de cada país en esos principales cultivos es del
70%, según un estudio técnico encargado por la FAO .

La biodiversidad agrícola está cada vez más amenazada y se está perdiendo en un momento en que no sólo se necesita con más urgencia sino que hay más oportunidades que nunca para utilizarla en beneficio de la humanidad.

Sin embargo, podemos recordar que, a pesar de todo, estos cultivos continúan siendo cultivados. En época de crisis los cultivos marginados no se ven prácticamente afectados por la fluctuación de los precios y la especulación que se produce a nivel mundial en los principales cultivos comerciales. Los cultivos marginados se producen y consumen localmente y son por lo tanto, son de fácil acceso en las zonas rurales donde vive una gran parte de las personas que pasan hambre. Además, esos cultivos viajan menos, ahorrando dinero y energía en el transporte, contribuyen menos al cambio climático y necesitan menos intermediarios.

EROSIÓN CULTURAL:
El menosprecio y desconocimiento de las técnicas tradicionales de cultivo y de sus bases ecológicas y culturales, está provocando que estas sean desplazadas por tecnologías modernas “más eficientes”. El resultado es:
- perdida de ecotipos y variedades de plantas de cultivo
- perdida de culturas asociadas a las diferentes prácticas
- migración a las ciudades

Por lo tanto, modificar radicalmente este modelo es necesario.

Conferencia de Valencia en varios pedazos

Siendo un texto largo, y habiendo decidido publicar la versión extensa del texto, lo haré por partes. Aqui viene la primera parte.

UTOPÍA para un mundo sin hambre: mirada desde el ángulo de los recursos naturales
parte 1

Introducción
Quería antes que todo agradecer los amigos de Le Monde Diplo para la oportunidad de volver a España a tocar temas tan sensibles y complicados, a partir de una visión utópica, tal como la definió Eduardo Galeano: Ella está en el horizonte [...]-. Me acerco dos pasos, ella se aleja dos pasos. Camino diez pasos y el horizonte se corre diez pasos más allá. Por mucho que yo camine, nunca la alcanzaré. ¿Para que sirve la utopía? Para eso sirve: para caminar .
Vengo para hablarle de un sueño, de algo que podía ser distinto y que, si logramos juntar fuerzas, un día podría cambiar de rumbo. Le hablaré de las raíces de la crisis del campesinado actual, del hambre creciente y de lo que se podría hacer para que nuestra lucha mejore de calidad.

Trataré de ser bastante concreto, sin entrar en demasiado detalles, para concluir lanzando lo que yo y los colegas que conmigo han contribuido a forjar estas ideas, llamaremos una Llamada en contra del Lobby del Hambre.

Mi presentación se dividirá en tres partes:

1. Desde el sueño de la Autoridad Alimentaria Mundial hacia la historia como la conocemos: (casi) 1000 millones de hambrientos
2. « Plaidoyer » para volver a soñar
3. Conclusiones: a quien le toca

1. Desde el sueño de una Autoridad Alimentaria Mundial …

La primera conferencia de las Naciones Unidas fue reunida, en 1943, en Virginia (Estados Unidos) bajo el tema: "La alimentación y la agricultura". Como comentario sintético sobre las conclusiones, el historiador Marc Bloch, escribía, hacia el fin de ese año: "Una política mundial de la alimentación exige una cierta dosis de dirigismo económico. Este se opone a una libertad total de los intercambios internacionales". Keynes probablemente habría estado de acuerdo con esta afirmación .

Estas ideas se tradujeron con la proposición de un famoso nutricionista de la época, futuro primer Director General de FAO, Sir Borr Oyd; su “sueño” era de crear una Autoridad Alimentaria Mundial que preveía: (i) la estabilización de los precios agrícolas en los mercados mundiales por medio de fondos adecuados; (ii) la gestión de una reserva internacional para hacer frente a las crisis de subproducción de cereales; (iii) la financiación de la disponibilidad de excedentes agrícolas para destinarlos, a condiciones de favor, a los países desfavorecidos; (iv) la cooperación con organismos encargados de los créditos al desarrollo agrícola.

Borr Oyd, prudentemente, había calificado su plan de non revolucionario; sin embargo es evidente que su aprobación habría constituido algo verdaderamente explosivo. Todo estaba previsto para gobernar la economía agrícola mundial, lo que era exactamente lo contrario de los intereses de los padrinos de la FAO en aquellos momentos. Así que no fue casual que los que primeros se opusieron fueron Estados Unidos y Inglaterra .

Otro aspecto novedoso en los debates constitutivos de la FAO fue el relativo a su posible gobernancia. Algunos proponían la participación de representantes de los productores y de los consumidores (lo que hoy en día llamaríamos de sociedad civil). Algo muy interesante hoy en día, a la luz del debate entorno a la cuestión de la gobernancia. Desafortunadamente, la propuesta fue rechazada.

Finalmente, uno de los pocos elementos que fue aceptado al comienzo, o sea el carácter non interestatal del Consejo (compuesto por 9 a 15 personalidades independientes), tampoco duró mucho y en 1947 los miembros independientes fueron sustituidos por delegados estatales, dejando solo la figura del Presidente como independiente, en recuerdo de la composición originaria.

Fue así que murió la idea de crear la Autoridad Alimentaria Mundial, una institución con una visión de organizar a partir de bases non liberales el comercio internacional de los precios de los productos agrícolas para poder atacar a la base el problema de la malnutrición y del hambre en el mundo.

Tanto es que, al finalizar su mandato como primer Director General, en 1947, Borr Oyd declinó la oferta para quedarse a la cabeza de una organización que, desde su comienzo, estaba mostrando un camino muy controlado por (ciertos) países miembros.

Esos años serán recordados también por la aparición de un libro destinado a marcar la historia: La geografía del hambre (1946) del brasileño Josué de Castro. De Castro, segundo Presidente Independiente del Consejo de FAO, fue una de las primeras personas en considerar la necesidad de ver al hambre como un problema político, social y ético, y no sólo como un fenómeno natural. Toda su vida luchó para transformar estos conocimientos en políticas y programas que atacasen estructuralmente estos problemas. Las resistencias fueron muchas, y por eso que, durante su discurso de despedida como Presidente Independiente, de Castro dijo que se sentía decepcionado con lo que había logrado durante sus años como Presidente. Dijo que no había sido lo suficientemente atrevido y se lamentó de que los países desarrollados no hayan ayudado a crear una política pública de seguridad alimentaria realista, que respondiera a las necesidades de los hambrientos a nivel global.

Resumiendo: FAO podría haber sido una organización distinta, con poderes más fuertes para atacar estos temas; hubo gente que luchó durante años, enseñándonos un camino de reflexión y acción. Sin embargo las resistencias que tuvieron que enfrentar fueron más fuertes y el perímetro de la organización que salió de allí fue la que conocemos hoy en día. Muchos critican la organización, sin embargo sería más correcto recordar que la inaptitud de FAO para resolver los problemas de fondo – cosa que le ha sido reprochada durante toda su historia, ha sido una decisión libre de los Estados que han contribuido a su creación desde la Conferencia de Hot Springs, y no una elección propia de la Organización .

Si miramos a la magnitud del problema hambre, al terminar la segunda guerra mundial, la primera encuesta realizada por la FAO estimaba que “…between half and two-thirds of the world population were undernourished before the war (and that) things were worse after the war.” Al mirar la situación como la conocemos hoy en día, (casi) mil millones de personas continúan pasando hambre (925 millones según las más recientes estimaciones).

Nuestro Director General en variadas ocasiones ha lanzados alarmados mensajes entorno de una situación que se está deteriorando, en lugar de mejorarse, a pesar de los compromisos asumidos por parte de los países miembros desde la Conferencia de 1996: "[…] con un niño que muere cada seis segundos debido a problemas relacionados con la desnutrición, el hambre sigue siendo la mayor tragedia y el mayor escándalo del mundo", aseguró el Director General de la FAO, Jacques Diouf .

Estos objetivos fueron revisados cinco años más tardes, sin embargo en paralelo con una reducción de los recursos públicos, hemos venido constatando una deterioración de las condiciones nutricionales así como un aumento de las poblaciones amenazadas por ese problema.

El paradigma básico de la lucha en contra del hambre fue, durante muchas décadas, y seguramente hasta los años 90, que la seguridad alimentaria era igual que la autosubsistencia (food security equals food self-sufficiency) . Es en este contexto que el énfasis ha sido puesto durante muchos años en la cuestión de producir más y más.

Lo que tenemos al frente, los grandes desafíos que todavía marcan la agenda mundial, pueden ser resumidos en:

- el aumento de la demanda de materias primas de origen agrícola, en un contexto de recursos naturales que se hacen más raros;
- la cuestión del acceso a los alimentos por parte de una población pobre creciente, en particular por aquellos sectores ex campesinos que se van urbanizando debido al mecanismo de empobrecimiento interno al modelo económico actual;
- el ambiente – la erosión y degradación de los suelos, aceleradas por las prácticas de monocultivos; el cambio climático al cual contribuye la deforestación y las prácticas agro-industriales, y el bombeo de los acuíferos a un ritmo irresponsable .

Lo que nos parece claro es que, frente a esos desafíos, las principales agencias especializadas de las naciones unidas (FAO, el Programa Mundial de Alimentos-PMA, el Fondo Internacional de Desarrollo Agrícola-FIDA y el Grupo Consultivo de Investigación Agrícola Internacional-GCIAI) funcionan cada uno con referentes distintos, con sus prioridades y con medios cada vez más limitados. De allí viene todo un debate, desde algunos años, sobre que cambios podrían ser necesarios para poder enfrentar de manera más decidida esos problemas.

Nuestra opinión, y es lo que vamos a presentar hoy, es que tenemos una oportunidad muy buena para abrir una discusión seria para poder repensar, profundamente, la forma misma como estas agencia enfrentan este desafío. Por eso nos pareció necesario, a titulo de ejemplo, partir de un recordatorio histórico de lo que podía ser nuestra organización, de lo que, en cierta época se planteó, para ver si podemos repartir de bases más sólidas.

Terminaremos proponiendo unos puntos para volver a soñar. Pretendemos, con este texto, hablarle a un público que no se limita a los de las agencias NNUU, y a los gobiernos de sus países miembros, más bien pretende ir tocando a un conjunto de actores, de simpatizantes, como los que están aquí esta noche, para que quede claro que hay trabajo para todos. Soñar es fundamental, pensar en una utopía es clave, sin embargo mis raíces alemanas me obligan a meterle raíces fuertes a esa utopía.

domenica 5 dicembre 2010

Tomates negros



Quelli che vedete sono dei pomodori neri comprati a Barcellona. Si tratta di un pomodoro originario della Crimea. Sulla rete si trova di tutto su questi pomodori:

1. Il suo colore scuro conferma una buona quantità di antiossidanti presenti; il più importante è il licopene , che sembrerebbe avere una prevenzione attiva contro diversi tipi di tumori, in particolare contro quelli della prostata dell'uomo (già accertato) e quello del seno per la donna.

2. La tomate noire par excellence : couleur superbe allant du pourpre foncé au vert sombre. Intérieur sombre, épatant dans une salade. La saveur est exceptionnellement douce et sucrée. La tomate préférée des enfants, car elle n'a pas d'acidité. Sensible à l'éclatement. Assez précoce. Feuillage normal. Croissance indéterminée.

3. Se habla mucho de estos tomates, el tomate negro o kumato, producidos en las huertas murcianas. En realidad se trata del fruto de seis años de investigación y pruebas en el Reino Unido, donde la empresa Sainsbury’s produjo hace unos años estos tomates transgénicos, que destacan por su dulce sabor .

Mucho ha cambiado el tomate, el fruto de una humilde planta originaria de América, Lycopersicon esculentum, desde que llegó a Europa. Se usó sobre todo como planta ornamental y por sus virtudes medicinales, y los franceses e italianos le atribuyeron propiedades afrodisíacas, por lo que regalaban el fruto a sus amantes y esposas.

Li mangiamo stasera e poi commenteremo nei prossimi giorni.

sabato 4 dicembre 2010

Ricetta Xuor: cailles en cocotte

faire revenir les cailles dans une cocotte (dans du beurre et huile) jusqu'à les faire dorer.

Les enlever. Couper un oignon en entier et une carotte en petits dès. Les faire revenir dans la cocotte avec la graisse des cailles.

Une fois revenues, ajouter les cailles. Ajouter un peu de farine, mélanger, ajouter un démi verre de vin blanc, feuille de lorier (si tu l'as), sel et poivre. Reboucher la cocotte et cuire à feux doux 40 minutes.

La gerarchia della resposabilitá

continuando le riflessioni dopo Valencia, viene alla mente, quais in maniera ovvia, il concetto di gerarchia della responsabilitá: si sale nella scala gerarchica, sia di organizzazioni formali che informali, con lo scopo di avere piú resposanibilitá e, quindi, di dare la visione, il senso della marcia, e quindi prendere delle decisioni, magari in maniera trasparente, ed assumerne la responsabilitá.

Questo dovrebbe essere il senso del lavoro che facciamo, e ci aspettiamo questo da chi sta attorno a noi, dai nostri capi, da chi rappresenta l'organizzazione nei paesi... Poi ti guardi attorno e pian piano l'impressione che ti pervade é esattamente l'opposto: salvo pochi casi, piú guardi da vicino il senior management piú trovi gente tinorosa di prendere decisioni, incapace di avere una visione, e capisci meglio il perché l'organizzazione perde colpi e credibilitá furi dalla fortezza romana.

La decadenza dell'imperso romano inizió molti secoli prima di cadere, ed é sempre cosí, la fine si prepara prima e quando arriva la sorpresa non é mai tale: io difendo un'altra visione di questa organizzazione, prendo sul serio quel mandato che ci dice i valori che difendiamo, studio e propongo idee e visioni; lavoro sul terreno, da anni combatto sulla frontiera del dialogo fra governi, movimenti contadini e settori privati: non facile, ma ancor meno quando i tuoi colleghi preferiscono il profilo basso, il non dir mai nulla. Vedremo cosa faranno nei prossimi anni quando i conflitti per le risorse naturali aumenteranno e saranno guerre vere, vedremo allora se finalmente qualcosa si muoverá o se preferirá ancora chiudere occhi e orecchie. Ci torneremo...

seduti in casa a Barcellona

L'altro ieri, 2 dicembre, ho presentato l'Appello di Valencia: l' abbiamo scritto in molti, pensando a un pubblico di giovani e meno giovani, che non ha perso la voglia di sognare un mondo migliore. Una breve ricostruzione storica di quello che avrebbe potuto essere una organizzazione delle nazioni unite che si occupasse dell'agricoltura; una cosa diversa dall'attuale, una battaglia persa ma che è stata combattuta. Abbiamo poi ricordato un altro lottatore, Josuè de Castro, che ha provato anche lui a far avanzare le lotte per la sicurezza alimentare mettendo le basi per un'alaisi delle cause strutturali e non superficiali del problema. Nemmeno lui è riuscito ad andare molto lontano, ma il suo esempio è stato molto importante nella mia vita professionale.

Abbiamo poi fatto il punto delle cause strutturali che rendono le agricolture del sud cosi poco competitive e dei meccanismi che concentrano ogni giorno di piú il potere nelle mani di pochi. Un modello che arriva al culmine e che deve essere ripensato profondamente, senza asti particolari, ma semplicemente perchè è oramai chiaro che fa parte delle cause del problema fame e povertà e non delle possibili soluzioni.

Ma cambiar modello vuol dire pensare alle allenze politiche, e ad una visione di cosa si vuol difendere e perchè. Abbiamo chiuso quindi con proposte, e con un appello a mettere assieme forze, sperando che i movimenti contadini capiscano l'importanza dell'unione ed escano dalla logica "egoista" per cui ognuno si crede il piú bravo e l'unico detentore della veritá. Imparare ad accettare le logiche del potere per combatterle dal didentro, lottare per occupare spazi di potere interni e non solo aspettare che le cose cambino da fuori. Vuol dire un cambio di prospettiva che, penso io, è necessario. Non possiamo piú permetterci divisioni, la posta in gioco é troppo alta. Nei prossimi mesi ed anni saranno in gioco alcune posizioni chiave dentro dei nostir organismi: posizioni dalle quali dipendono il fare o non fare avanzare delle idee, politiche e programmi. Posizioni centrali per il dialogo serio e leale con i movimenti contadini. Non lottare per queste posizioni è una scelta codarda, la piú facile probabilmente, ma vuol dire non credere assolutamente alla possibilitá di cambaire qualcosa. L'ottimo è nemico del bene dicono dalle mie parti; di questo si tratta: difendere la purezza di sogni e visioni che non hanno appoggi politici di nessun tipo oppure cercare di far avanzare proposte, costruendo alleanze e portare la sfida dentro le istituzioni? Secondo me la scelta è ovvia, ma non sembra esserlo per alcuni.

Io preferisco cominciare a mettere qui le carte in tavola: nei prossimi mesi vedremo come giocheranno, che posizione prenderanno i movimenti contadini rispetto ai candidati alla direzione generale della FAO: chi si ricorda che fra pochi mesi saranno 5 anni dalla conferenza sulla riforma agraria fatta a Porto Alegre? Io si. E da vari mesi ho chiesto ai movimenti di muoversi ed inviare una lettera aperta a tutti i candidati in modo che siano chiare le loro posizioni, o assenza di posizioni. Nessuna risposta scritta per il momento. Vedremo quando sará l'ora.

Ma non é sufficente: secondo me devono cominciare a discutere di quali sono le idee, i programmi che loro appoggiano dentro la FAO, cosí come fanno i governi, con trasparenza; non c'é nulla di male in questo: difendere ed appoggiare chi lotta con loro e cercare di occupare gli spazi che si rendano liberi. Magari perderanno, ma devono capire che i governi, siprattutto i piú conservatori, cosí come i rappresentanti delle lobby piú dure, tipo Monsanto, loro fanno queste lobby sempre ed alla fine vincono sempre loro. Bisogna mettersi in queste lotte, altrimenti avremo giá perso prima.

1 dicembre: 50 anni

primo dicembre, arrivati i 50 con tanti amici attorno: finalmente un po’di sole dopo piú di due settimane di pioggia ininterrotta. Bello sentire il calore umano attorno, ritrovare quell’energia che cerco di metter ogni giorno nelle cose che faccio e nelle persone con cui vivo e lavoro.

La vita è una cosa complessa e non semplice: assieme alle belle notizie ne arrivano sempre di meno belle, qualcuno si prepara a lasciarci, la lotta contro un male piú grande di lui è ogni giorno di piú senza speranza. E’ giovane, piú giovane di me e di noi, e questo fa molta pena. Ti chiedi ovviamente che senso abbia tutto questo, ma forse non c’è un senso, siamo qui per chiedercelo, oppure far finta di nulla.

Fare in modo che il nostro passaggio terreno sia qualcosa di piú di un momento di egoismo, che sia una opportunitá per pensare a cosa potremmo fare perché tutti possano sentirsi un po’ meglio, fare in modo che la tua fortuna di esser nato sotto un sole diverso non scaldi solo te…. ecco le ragioni ultime del senso che cerco di dare alla mia vita.

Chi mi sta attorno, in famiglia e nel lavoro e nelle amicizie sa quanto io sia ossessionato dall’idea di associare sogni e desideri a solide radici, per evitare di perdersi per aria e per dare segnali concreti che qualcosa si puó fare, magari poco, ma che se riusciamo a mettere assieme una goccia dopo l’altra qualcosa raggiungeremo.

Trasmettere messaggi, far sí che almeno un po’ dell’energia che mi da chi mi sta attorno, le popolazioni con cui lavoriamo, riesca poi a tornare alla banda di giovani che sto aiutando nella loro inserzione professionale, ma anche ai miei amici piú lontani che, lo spero, hanno ancora voglia di pensare, non solo a se stessi, ma anche agli altri.

Viviamo in mondo e in un’epoca dove tutto va verso un individualismo sfrenato: non sono cosí ingenuo da pensare che riusciremo a cambiarlo, peró sono convinto che possiamo provarci; un po’di sano interesse per noi stessi è giusto, e va mantenuta una sfera nostra, propria, di sogni e desideri; ma poi viene l’ALTRO: nella vita siamo essenzialmente RELAZIONI, che ci piaccia o meno, per cui uno sforzo per far sí che lo stare con gli altri non sia causa di scontri ma, al contrario, opportunitá di crescere… difficile ma non impossibile… ho ancora tanti anni davanti e tanta voglia di continuare su questa strada…. diamoci la mano.. e facciamola assieme.. ti va?