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lunedì 29 febbraio 2016

2016 L10: Antonio Pennacchi - Canale Mussolini

Mondadori, 2010.

Premio Strega 2010. Canale Mussolini è l'asse portante su cui si regge la bonifica delle Paludi Pontine. I suoi argini sono scanditi da eucalypti immensi che assorbono l'acqua e prosciugano i campi, alle sue cascatelle i ragazzini fanno il bagno e aironi bianchissimi trovano rifugio. Su questa terra nuova di zecca, bonificata dai progetti ambiziosi del Duce e punteggiata di città appena fondate, vengono fatte insediare migliaia di persone arrivate dal Nord. Tra queste migliaia di coloni ci sono i Peruzzi. A farli scendere dalle pianure padane sono il carisma e il coraggio di zio Pericle. Con lui scendono i vecchi genitori, tutti i fratelli, le nuore. E poi la nonna, dolce ma inflessibile nello stabilire le regole di casa cui i figli obbediscono senza fiatare. Il vanitoso Adelchi, più adatto a comandare che a lavorare, il cocco di mamma. Iseo e Temistocle, Treves e Turati, fratelli legati da un affetto profondo fatto di poche parole e gesti assoluti, promesse dette a voce strozzata sui campi di lavoro o nelle trincee sanguinanti della guerra. E una schiera di sorelle, a volte buone e compassionevoli, a volte perfide e velenose come serpenti. E poi c'è lei, l'Armida, la moglie di Pericle, la più bella, andata in sposa al più valoroso. La più generosa, capace di amare senza riserve e senza paura anche il più tragico degli amori. E Paride, il nipote prediletto, buono e giusto, ma destinato, come l'eroe di cui porta il nome, a essere causa della sfortuna che colpirà i Peruzzi e li travolgerà.

Suggeritomi dal caro barista Claudio, la cui madre era originaria di quei poderi, la lettura di Canale Mussolini é stata breve, intensa, più che piacevole, direi proprio una ventata di aria fresca che consiglio a tutti. Sará di sicuro nella Top dell'anno.

domenica 21 febbraio 2016

2016 L9: Fredrik Ekelund - Blueberry Hill


Gallimard, 2003

Sur le site du chantier naval désaffecté qui fit la gloire de la ville de Malmö, une bande de SDF a investi "Blueberry Hill", une zone de squats. Joyeux, le Comptable, l'Angoisse, le Capitaine, vivent là depuis que tout a basculé. Certains furent dockers,, d'autres chefs d'entreprise, ils sont les laissés-pour-compte d'une société suédoise sur le déclin. Un soir, un squat prend feu. Le lendemain, un cadavre calciné. L'Espagne aurait passé l'arme à gauche.
Des immeubles résidentiels avec vue sur mer ont été construits juste en face. Ils ont surtout vue sur le bidonville, et certains occupants semblent à deux doigts de déclarer la guerre aux SDF qui font perdre de la valeur à leur bien immobilier. Pas tous. Depuis son balcon, une vieille dame bienveillante observe.
Et le soir de l'incendie, elle a vu du monde: un de ses voisins avec son chien. Un groupe de jeunes néonazis, aussi.
Hjalmar et Monica sont chargés de l'enquête. Le bon flic est fou de désir pour sa jeune collègue d'origine asiatique. Au point de renoncer à tout ce qu'il a construit avec Ann-Marie et les garçons?
Libro interessante, soprattutto per i personaggi. Da notare, come punti negativi, il formaggio che l'autore fa mangiare ai protagonisti... un cambozola che, se fosse stato italiano o francese, gli sarebbe valso il ritiro immediato del passaporto. Nemmeno una nota a piè di pagina per dire che si tratta di una schifezza inventata a casa loro... vabbè... altro dettaglio, il personaggio "cattivo", Dante, descritto come un piccoletto all'inizio, al limite normalità, diventa un "grande" agli occhi del poliziotto che lo va a interrogare... vabbè, errori di gioventù... La fine lascia un po' perplessi, soprattutto la poliziotta che si mette a sparare, senza avvertimenti, direttamente sul sospettato, senza che questo faccia nessun gesto pericoloso (o almeno l'autore si era dimenticato di farglielo fare...)... insomma non sarà nella Top

venerdì 12 febbraio 2016

Senza timor di parlare di Timor Leste

Giochetto facile, lo riconosco. Vabbè, allora rimettiamo un po’ d’ordine nelle tante cose viste e sentite in questi pochi giorni di missione.

Timor è un paese giovanissimo nel consesso delle Nazioni Unite, battuto solo dal Sud Sadan che è arrivato dopo di lui (2011 per Sudan e 2002 per Timor). Timor ci arriva dopo secoli di colonizzazione stracciona da parte portoghese, partiti nel 1975 lasciando uno spazio che è stato subito occupato dall’Indonesia. La lotta per l’indipendenza è costata sudore e sangue, ma finalmente ce l’hanno fatta.
Timor non è un paese solo, ma sono tanti gruppi etnici (pare più di una trentina), ognuno con le loro lingue e tradizioni. Non hanno una vera lingua in comune, un po’ come succede nelle Filippine dove nella zona della capitale si parla un dialetto locale, e poi altrove servono altre lingue. Il portoghese è stato scelto come lingua ufficiale, assieme al dialetto (lingua locale?) che si parla a Dili, il Tetum. L’inglese è ovviamente molto usato dalla comunità internazionale e probabilmente qualcuno deve anche parlare il Baasa indonesiano. Quello che è sicuro è che appena si lascia la capitale per entrare nelle campagne, si entra in mondi dove nè il Tetum nè il portoghese servono molto. Il rischio evidente è che nella costruzione del nuovo Stato indipendente, la fretta faccia fare scelte e scrivere leggi e politiche che fuori dalla capitale nessuno sa leggere e meno ancora a capire. Inutile dire che l’educazione della popolazione locale non è mai stata una priorità dei colonizzatori o degli occupanti successivi.

Quindi il dramma numero uno è come costruire velocemente uno Stato che deve entrare nella globalizzazione, avendo risorse umane limitate e di basso livello. Soldi ne sono arrivati, sia attraverso la cooperazione sia dal petrolio di cui dispongono. Non molto a dire il vero perchè la democratica Australia ne ha fatte peggio di Bertoldo per truffarli e ancora oggi quello che in qualsiasi altro paese sarebbe spazio marino nazionale viene occupato dagli australiani in modo molto poco legale. Inutile dire che si tratta del braccio di mare dove sotto ci sono le riserve petrolifere. Non eccelse ma che potrebbero essere molto utili al piccolo paese.
Ricco di foreste e, secondo alcuni, di ottime possibilità per un turismo di quelli da ricchi, lo sviluppo sarebbe frenato dalla mancanza di una legge sulla terra. Per questo siamo qui, a vedere se riusciamo a mettere in piedi un progetto per occuparci di queste rogne come facciamo in tanti altri paesi conplicati.
Parlando con la gente in campagna, la sensazione è sempre la stessa: i sistemi consuetudinari assicurano una certezza sufficiente su chi siano gli aventi diritto alle terre, anche senza aver nulla di formalizzato. I tentativi precedenti, da parte dei portoghesi e indonesiani, di dare dei titoli a loro cittadini su pezzi di buona terra, si sono rivelati fonte interminabile di conflitti fino ad oggi irrisolti. Il problema non è la mancanza del mitico “pezzo di carta”, ma il fatto che quelle terre siano state usurpate a chi ne aveva diritto senza nessuna negoziazione e compensazione. Per cui, partiti i portoghesi e indonesiani, le comunità rivendicano i loro antichi diritti. Poi ci manca solo che alcuni detentori di quei vecchi titoli si rifacciano vivi e, invece di metterli in galera come sarebbe doveroso, il governo stia addirittura ad ascoltarli. Si crea lavoro per gli avvocati, ma non si risolve nulla. Questo trasmette una sensazione di incertezza ai possibili investitori e quindi nulla si muove. L’ex Presidente della Repubblica aveva già vetato una proposta di legge che, a suo dire, non proteggeva abbastanza i diritti delle comunità, per cui il testo è tornato indietro e finchè gli equilibri politici non si stabilizzano, tutto resta bloccato.

Situazione tragica pensano alcuni, situazione ideale penso io. Esiste uno spazio per poter lavorare a dimostrare che i diritti consuetudinari sono una base solida anche per fare business, sempre e quando si riesca a far capire  l’importanza di includere le comunità e i loro leaders nelle negoziazioni, traingolando con la necessaria presenza dello Stato. Questo in estrema sintesi l’approccio che proponiamo, che si vuole abbastanza umile e progressivo nel senso di partire da pochi casi, con comunità con cui si abbiano buoni rapporti di fiducia, costruiti negli anni, e cercare degli investitori sensibili a queste tematiche. Rafforzare le capacità delle comunità di saper negoziare, nonchè dei servizi tecnici dello Stato, farebbe parte del pacchetto.

Ci vorrà tempo, ma il non far nulla rischia di essere peggio. Correre a far approvare una legge in fretta presenta due rischi evidenti, come già successo in altri paesi: il primo è che sia poco discussa e quindi la gente e le istituzioni non la sentano come loro; il seondo riguarda il tipo di modello che queste corse alla formalizzazione dei diritti si portano dietro: quello che per fare “sviluppo” sia necessario dare certezze giuridiche agli investimenti stranieri su terre dove non ci siano rogne con le comunità, quindi separare le zone di sviluppo (farne delle zone speciali o simili) dalle zone delle comunità che, in un paese povero e con strade ancora mal messe, istituzioni fatiscenti e senza soldi, resterebbero ai margini di ogni processo di integrazione.

Una corsa così sappiamo a cosa porterebbe: migrazione dalle campagne verso la città (a Timor il 75% della popolazione vive ancora in campagna) e maggiori conflitti dato che le comunità non accetteranno mai di farsi spoliare di terre che considerano loro.

Il fatto che siano separati geograficamente e un po’ isolati, con lingue diverse e con una unica cosa in comune, il senso di sfiducia nei confronti di chi viene da fuori.. non sono ragioni sufficienti per non provarci. Come al solito sarà più difficile convincere i donanti che i contadini e le contadine.

Se riusciamo a convincere il governo, cosa non ovvia, dato che molti hanno interessi personali da difendere (proprietà terriere) nello stau quo attuale, pian piano proveremo a lanciare delle operazioni pilota. Se riusciremo ad avere un progetto così, pian piano magari inizieremo anche ad esplorare cosa si possa fare per quanto riguarda i diritti delle donne, considerate ancora come l’ultima ruota del carro.

Ne avremo per vent’anni almeno... vediamo se riusciamo ad iniziare...

giovedì 11 febbraio 2016

2016 L8: Henning Mankell - La muraille invisible


Seuil 2004

L'inspecteur Kurt Wallander d'Ystad en Suède est atterré face au crime odieux de deux adolescentes qui ont froidement abattu un chauffeur de taxi à coups de marteau et de couteau. N'éprouvant aucun remords, elles racontent les faits aux policiers sans émotion apparente. Mais bientôt, Sonia, l'aînée des jeunes filles, réussit à s'évader du commissariat et on la retrouve électrocutée à l'intérieur d'un transformateur électrique gravement endommagé et qui a privé de courant la moitié de la région. Wallander et son équipe cherchent à comprendre : que signifient ces deux crimes et quel sens donner à ce sabotage ? Mais une autre mort le tracasse : celle de Tynnes Falk, un consultant en informatique, foudroyé par une crise cardiaque devant un distributeur automatique et dont le cadavre disparaît de la morgue pour être remplacé par… une pièce appartenant au transformateur où fut découvert le corps de Sonia. Dès lors, les deux affaires sont liées, mais Wallander a beau tourner et retourner les hypothèses, il est désorienté. Sa ténacité, son énergie et l'aide d'un hacker lui feront découvrir une vérité surprenante qui a pris ses racines en Angola où l'ennemi invisible et dangereux est prêt à donner le coup de grâce.

Il libro è del 1998, per cui risente dello sviluppo tecnologico del tempo, ben più indietro dell'attuale anche se l'autore ha usato una dote non indifferente di inventiva. Resta che leggere le storie di Wallander, la sua vita privata e quella dei suoi colleghi, si capisce da dove venga l'alto tasso di suicidi da quelle parti. Leggi sto libro e dici: ammazzete, sto meglio in Italia...

mercoledì 3 febbraio 2016

Who wrote that?



The development model of industrialized societies is capable of producing huge quantities of wealth, but also has serious shortcomings when it comes to the equitable redistribution of its fruits and the promotion of growth in less developed areas.

While developed economies are not immune to this contradiction, it reaches particularly alarming proportions in developing economies. This can be seen in the persistence of the phenomenon of the misappropriation and concentration of land — that is that good which, given the predominantly agricultural nature of the economy of developing countries, constitutes the fundamental production factor, together with labour, and the chief source of national wealth.

In many developing countries, the ways in which agrarian policies have managed the export of agricultural production have often further encouraged the process of the concentration of land in the hands of the few.

In recent decades, various forms of economic activity based on the use of natural resources have steadily expanded into land traditionally occupied by indigenous populations.
In most cases, the rights of the indigenous inhabitants have been ignored when the expansion of large-scale agricultural concerns, the establishment of hydroelectric plants and the exploitation of mineral resources, and of oil and timber in areas of expanding agricultural frontiers have been decided, planned and implemented

The history of many rural areas has often been marked by conflict, social injustice and uncontrolled forms of violence. The landowning élite and the large companies involved in exploiting mineral and forest resources have, on many occasions, not hesitated to establish a climate of terror in order to suppress the protests of workers who are forced to work at an inhuman pace for wages that often do not cover their travel and living expenses. Similar tactics have been used in order to overcome conflicts with small farmers who have been farming State or other land for a long time, or in order to take possession of land occupied by indigenous populations.

An agricultural structure marked by the misappropriation and concentration of land in latifundia acts as a major obstacle to a country's economic and social development. In the short term, it inhibits growth of agricultural production and employment, while in the long term, it causes poverty and waste, which tend to be self-perpetuating and to increase

Agrarian reform programmes must pay close attention to the decisive role of concerted action in the launching and development of the farm units created by redistribution of land.

Anche se il documento fa riferimento al metodo del dialogo e concertazione, posso garantirvi che non l’ho scritto io. Provate a indovinare chi é stato...


10 anni fa: Conferenza sulla Riforma Agraria in Brasile


Marzo 2006: malgrado le paure e I timori di molti paesi del nord del mondo, che non volevano più sentir parlare di riforme agrarie, riuscimmo a organizzare con l’appoggio politico del Brasile e delle Filippine, quella che é rimasta nel cuore di chi venne, come la Conferenza piú aperta che sia stata mai fatta, facilitando dialogo con i movimenti sociali e con i governi. Rappresentanti della Via Campesina vennero a congratularsi con i nostri capi per un evento che per loro rappresentó uno spartiacque sul modo di rapportarci ai movimenti sociali. Addirittura uno dei documenti ufficiali della Conferenza era stato assegnato alla Via Campesina, come segnale di apertura politica. Furono giorni di dibattito, presentazioni e discussioni intense, sia dentro che fuori la Conferenza.

Qualcuno degli attori importanti, un po’ troppo conservatori per i miei gusti, decisero di non venire, forse per la modalitá troppo democratica con cui era stata organizzata la Conferenza.

Il dopo fu molto piú amaro, confermando che sulla questione legata alla giustizia sociale e una più equa distribuzione delle terre, come lo ricordava anche il Vaticano da parecchi anni, c’erano troppi interessi in gioco e i paesi del nord non avevano voglia di impegnarsi su quel fronte.


Un decennio é passato, una intensificazione della corsa alla terra e alle altre risorse naturali che fa sí che oggi il tema sia piú odierno che mai. Una iniziativa é stata creata, e a fine marzo gli interessati si riuniranno a Valencia in Spagna, dove giá ebbe luogo il Forum Mondiale sulla Riforma Agraria del dicembre 2004. Ne riparleremo fra qualche settimana.

http://www.landaccessforum.org/?lang=es per il Forum

e per non dimenticare leggete anche questo:
http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/justpeace/documents/rc_pc_justpeace_doc_12011998_distribuzione-terra_en.html


Renaud é tornato

Un anti-eroe é tornato fra di noi. Renaud, mítico cantautore francese, ha ripreso a scrivere, suonare e cantare dopo un silenzio che era stato troppo lungo per le migliaia di fans, supporters, amici direi, che ha in Francia e altrove.
Nel 1975 scrisse una canzone di uma attualitá tremenda dato lo stato del dibattito in Europa sul risorgere del nazionalismo.

Ils s'embrassent au mois de Janvier, 
Car une nouvelle année commence, 
Mais depuis des éternités 
L'a pas tell'ment changé la France.
Passent les jours et les semaines,
Y'a qu'le décor qui évolue,
La mentalité est la même :
Tous des tocards, tous des faux culs.

Ils sont pas lourds, en février,
À se souvenir de Charonne,
Des matraqueurs assermentés
Qui fignolèrent leur besogne,
La France est un pays de flics,
À tous les coins d'rue y'en a 100,
Pour faire règner l'ordre public
Ils assassinent impunément.

Quand on exécute au mois d'mars,
De l'autr' côté des Pyrénées,
Un arnachiste du Pays basque,
Pour lui apprendre à s'révolter,
Ils crient, ils pleurent et ils s'indignent
De cette immonde mise à mort,
Mais ils oublient qu'la guillotine
Chez nous aussi fonctionne encore.

Etre né sous l'signe de l'hexagone,
C'est pas c'qu'on fait d'mieux en c'moment,
Et le roi des cons, sur son trône,
J'parierai pas qu'il est all'mand.

On leur a dit, au mois d'avril,
À la télé, dans les journaux,
De pas se découvrir d'un fil,
Que l'printemps c'était pour bientôt,
Les vieux principes du seizième siècle,
Et les vieilles traditions débiles,
Ils les appliquent tous à la lettre,
Y m'font pitié ces imbéciles.

Ils se souviennent, au mois de mai,
D'un sang qui coula rouge et noir,
D'une révolution manquée
Qui faillit renverser l'Histoire,
J'me souviens surtout d'ces moutons,
Effrayés par la Liberté,
S'en allant voter par millions
Pour l'ordre et la sécurité.

Ils commémorent au mois de juin
Un débarquement d'Normandie,
Ils pensent au brave soldat ricain
Qu'est v'nu se faire tuer loin d'chez lui,
Ils oublient qu'à l'abri des bombes,
Les Francais criaient "Vive Pétain",
Qu'ils étaient bien planqués à Londres,
Qu'y'avait pas beaucoup d'Jean Moulin.

Etre né sous l'signe de l'hexagone,
C'est pas la gloire, en vérité,
Et le roi des cons, sur son trône,
Me dites pas qu'il est portugais.

Ils font la fête au mois d'juillet,
En souv'nir d'une révolution,
Qui n'a jamais éliminé
La misère et l'exploitation,
Ils s'abreuvent de bals populaires,
D'feux d'artifice et de flonflons,
Ils pensent oublier dans la bière
Qu'ils sont gourvernés comme des pions.

Au mois d'août c'est la liberté,
Après une longue année d'usine,
Ils crient : "Vive les congés payés",
Ils oublient un peu la machine,
En Espagne, en Grèce ou en France,
Ils vont polluer toutes les plages,
Et par leur unique présence,
Abimer tous les paysages.

Lorsqu'en septembre on assassine,
Un peuple et une liberté,
Au coeur de l'Amérique latine,
Ils sont pas nombreux à gueuler,
Un ambassadeur se ramène,
Bras ouverts il est accueilli,
Le fascisme c'est la gangrène
À Santiago comme à Paris.

Etre né sous l'signe de l'hexagone,
C'est vraiment pas une sinécure,
Et le roi des cons, sur son trône,
Il est francais, ça j'en suis sûr.

Finies les vendanges en octobre,
Le raisin fermente en tonneaux,
Ils sont très fiers de leurs vignobles,
Leurs "Côtes-du-Rhône" et leurs "Bordeaux",
Ils exportent le sang de la terre
Un peu partout à l'étranger,
Leur pinard et leur camenbert
C'est leur seule gloire à ces tarrés.

En Novembre, au salon d'l'auto,
Ils vont admirer par milliers
L'dernier modèle de chez Peugeot,
Qu'ils pourront jamais se payer,
La bagnole, la télé, l'tiercé,
C'est l'opium du peuple de France,
Lui supprimer c'est le tuer,
C'est une drogue à accoutumance.

En décembre c'est l'apothéose,
La grande bouffe et les p'tits cadeaux,
Ils sont toujours aussi moroses,
Mais y'a d'la joie dans les ghettos,
La Terre peut s'arrêter d'tourner,
Ils rat'ront pas leur réveillon;
Moi j'voudrais tous les voir crever,
Étouffés de dinde aux marrons.

Etre né sous l'signe de l'hexagone,
On peut pas dire qu'ca soit bandant
Si l'roi des cons perdait son trône,
Y'aurait 50 millions de prétendants.

Erano anni in cui di queste cose non si parlava, ne in Francia ne tantomeno in Italia. Basta poi ricordarci come riuscí a tradurre poeticamente l’immane tragedia delle Torri Gemelle :
Petit Portoricain, bien intégré quasiment New-yorkais 
Dans mon building tout de verre et d'acier, 
Je prends mon job, un rail de coke, un café, 

Petite fille Afghane, de l'autre côté de la terre,
Jamais entendu parler de Manhattan,
Mon quotidien c'est la misère et la guerre

Deux étrangers au bout du monde, si différents
Deux inconnus, deux anonymes, mais pourtant,
Pulvérisés, sur l'autel, de la violence éternelle

Un 747, s'est explosé dans mes fenêtres,
Mon ciel si bleu est devenu orage,
Lorsque les bombes ont rasé mon village

Deux étrangers au bout du monde, si différents
Deux inconnus, deux anonymes, mais pourtant,
Pulvérisés, sur l'autel, de la violence éternelle

So long, adieu mon rêve américain,
Moi, plus jamais esclave des chiens
Ils t'imposait l'islam des tyrans
Ceux là ont-ils jamais lu le coran ?

Suis redev'nu poussière,
Je s'rai pas maître de l'univers,
Ce pays que j'aimais tell'ment serait-il
Finalement colosse aux pieds d'argile ?

Les dieux, les religions,
Les guerres de civilisation,
Les armes, les drapeaux, les patries, les nations,
Font toujours de nous de la chair à canon

Deux étrangers au bout du monde, si différents
Deux inconnus, deux anonymes, mais pourtant,
Pulvérisés, sur l'autel, de la violence éternelle

Deux étrangers au bout du monde, si différents
Deux inconnus, deux anonymes, mais pourtant,
Pulvérisés, sur l'autel, de la violence éternelle

Finalmente sei tornato, anche senza voce, ma con la stessa rabbia dentro, quella che ci trasmetti con le tue canzoni, ma anche con quell’amore e quel senso poetico che hanno fatto dire a molti che fra cinquant’anni la canzone che resterá come emblema tuo sará Mistral Gagnant.
A luta continua companheiro Renaud.


martedì 2 febbraio 2016

2016 L7: Frantz Fanon - Les damnés de la terre


« La violence qui a présidé à l’arrangement du monde colonial, qui a rythmé inlassablement la destruction des formes sociales indigènes, démoli sans restrictions les systèmes de références de l’économie, les modes d’apparence, d’habillement, sera revendiquée et assumée par le colonisé au moment où, décidant d’être l’histoire en actes, la masse colonisée s’engouffrera dans les villes interdites. Faire sauter le monde colonial est désormais une image d’action très claire, très compréhensible et pouvant être reprise par chacun des individus constituant le peuple colonisé. » Frantz Fanon.
Publié en 1961, à une époque où la violence coloniale se déchaîne avec la guerre d’Algérie, saisi à de nombreuses reprises lors de sa parution aux Éditions François Maspero, le livreLes Damnés de la terre, préfacé par Jean-Paul Sartre, a connu un destin exceptionnel. Il a servi — et sert encore aujourd'hui — d’inspiration et de référence à des générations de militants anticolonialistes. Son analyse du traumatisme du colonisé dans le cadre du système colonial et son projet utopique d’un tiers monde révolutionnaire porteur d’un « homme neuf » restent un grand classique du tiers-mondisme, l’œuvre capitale et le testament politique de Frantz Fanon.

Il libro mi venne regalato dalla seconda generazione delle mie giovani collaboratrici, attualmente impegnate anche loro in prima persona su questi temi. Fa impressione rileggere oggi, 2016, un libro scritto nel 1960-61, con il volontarismo politico dell'epoca, il sogno di poter rifare il mondo, prima quindi di scontrarsi con la dura realtá dei governi che uscirono fuori dai regimi "rivoluzionari" dell'epoca. Un libro che va di pari apsso con quello di Réné Dumont su L'Afrique noire est mal partie... Ottima l'analisi delle potenze coloniali, della nuova borghesia nascente al momento della decolonizzazione, delle sue ristrettezze mentali e della difficoltá di costruire qualcosa di realmente nuovo se no partendo dalle istanze del "popolo". Poi peró si entra nel mondo dei sogni, di come dovrebbe essere questa nuova societá, il ruolo delle avanguardie rivoluzionarie, cose lette e sentite da giovane... credo che se oggi un giovane prendesse in mano un libro del genere avrebbe bisogno di un traduttore storico per capire la lingua qui esposta. Comunque un bel momento di respiro...