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giovedì 25 aprile 2024

2024 L18: Caryl Férey - Okavango

 


Gallimard, 2023

Engagée avec ferveur dans la lutte antibraconnage, la ranger Solanah Betwase a la triste habitude de côtoyer des cadavres et des corps d'animaux mutilés. Aussi, lorsqu'un jeune homme est retrouvé mort en plein coeur de Wild Bunch, une réserve animalière à la frontière namibienne, elle sait que son enquête va lui donner du fil à retordre. D'autant que John Latham, le propriétaire de la réserve, se révèle vite être un personnage complexe. Ami ou ennemi ? Solanah va devoir frayer avec ses doutes et une très mauvaise nouvelle : le Scorpion, le pire braconnier du continent, est de retour sur son territoire...
Premier polar au cœur des réserves africaines, Okavango est aussi un hymne à la beauté du monde sauvage et à l'urgence de le laisser vivre.

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Grande libro! Lo raccomando a tutte e tutti. Ovviamente sarà nella Top

Un altro 25 aprile: Lotta x la Parità Domestica!

canale YouTube: https://www.youtube.com/watch?v=DNxY9vjD1D8

qui potete rivedere l'evento



venerdì 19 aprile 2024

Israele – Iran 2-1, partita in corso


Mentre è in corso anche il match Israele – Hamas (e tutti gli abitanti di Gaza), col risultato di 36.000 a 1.700, nonché quello tra Ucraina e Putin, risultato in bilico, mi è capitato di leggere un articolo di un autore che mi piace molto, Tahar Ben Jelloun. Ieri su Repubblica scriveva della guerra nella striscia di Gaza; due frasi mi sono saltate agli occhi, la prima:

“L’uomo, tuttavia, è incorreggibile. Si direbbe che sia nato per fare la guerra, soprattutto quando è al comando. “

E la seconda:

“La guerra, questa guerra in particolare, non costruisce la pace, alla fine dei conti.”

Mi trovo molto d’accordo con queste frasi, in particolare la prima. Basta guardare indietro negli anni e i conflitti, oserei direi tutti i conflitti, sono nati per mano dell’uomo, inteso come maschio. Probabilmente il limite di Ben Jelloun è quello di essere un maschio anche lui, molto attento a tante problematiche ma sicuramente lontano dal riconoscere che la centralità del patriarcato nello strutturare queste nostre civiltà guerriere, deve essere combattuto da tutte le persone di buon senso. Togliere potere al maschio e ridistribuirlo in maniera più equa, vuol dire pensare a una società che possa vedersi con meno animosità, con maggiore sorellanza e che, come fanno in genere le donne, cerchi soluzioni nel dialogo e nella negoziazione con gli/le altri/e. 

Se continuiamo a disquisire su chi abbia ragione e chi abbia torto, in questo come in mille altri conflitti, senza dire una parola sulla sovrastruttura patriarcale, senza una proposta politica che vada contro questo sistema e privilegi l’uguaglianza sul serio, allora ha ragione Ben Jelloun a dire che la guerra non costruisce la pace. Ma sono anche inutili gli appelli e le manifestazioni per la pace che organizza il Papa, i movimenti pacifisti e tanti altri, che non mettono mai al centro la questione patriarcale. 

Il mondo dominato dai maschi ha sempre portato guerre con, eventualmente, brevi periodi di pace da qualche parte, ma con presenza costante di conflitti in altre parti del mondo. Se togliamo di mezzo la Sgra Thatcher, non mi viene in mente nessuna donna che si sia messa in testa di andare a guerreggiare per una religione, un pezzo di terra o altro.

La mia volontà di pace passa per la lotta al patriarcato, partendo dal cuore del problema, cioè il punto centrale laddove le asimmetrie di potere trasformano la vita di maschi (in dominatori) e femmine (in dominate): la sfera domestica. E’ su questo punto che spero sempre che altre forze, movimenti o altro, si sveglino e comincino a capire dove si deve cominciare. 

 

 

mercoledì 17 aprile 2024

2024 L17: Abir Mukherjee - Les princes de Sambalpur

Folio, 2020

 Le prince Adhir, fils aîné du maharajah de Sambalpur, est assassiné sous les yeux du capitaine Wyndham et du sergent Banerjee, de la police de Calcutta. C’est à eux qu’il avait confié, juste avant l’agression, être menacé par des lettres anonymes. Décidés à élucider les raisons de ce meurtre, l’inspecteur et son adjoint vont suivre la piste des mystérieuses missives jusqu’à Sambalpur, petit royaume de l’Orissa, célèbre pour ses mines de diamants. Le vieux maharajah, entouré de ses femmes et de centaines de concubines et enfants, semble très affecté par la mort de son fils et décidé à demander l’aide officieuse de la police de Calcutta. Nombreux sont ceux qui, à la cour, auraient eu intérêt à se débarrasser du prince Adhir et de ses idées progressistes. À moins que le fait qu’il soit à présent le successeur désigné au trône ne fasse de Punit, son frère cadet, le principal suspect. Mais quand ce dernier est victime d’une tentative d’assassinat lors d’une chasse au tigre, les cartes sont rebattues. La clé de l’histoire se trouve peut-être au cœur du zenana, le harem du maharajah, où un certain confinement n’empêche pas toutes sortes de rumeurs de circuler…

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Ancora un ottimo libro di Mukherjee che potrebbe finire nella Top dell'anno!

martedì 2 aprile 2024

Sfera domestica e sfera pubblica - Marea 1-2024

Sfera domestica e sfera pubblica




 

Paolo Groppo, Laura Cima, Marco D’Errico

 

Carole Pateman così riassumeva la questione: “La dicotomia tra il privato e il pubblico è centrale in quasi due secoli di scritti femministi e di lotta politica; è, in definitiva, ciò su cui verte il movimento femminista”.[1] Negli anni 70, a partire dal gruppo Lotta Femminista di Padova, emersero importanti filoni di ricerca su questa tematica. La prima elaborazione, di Mariarosa Dalla Costa, integrata da Selma James e Silvia Federici, introdusse le nozioni di lavoro domestico e riproduzione sociale[2], mettendo in discussione la posizione marxista secondo cui il lavoro domestico non sarebbe “produttivo”. Da lì emerse la campagna per il salario domestico che mantiene una sua attualità fino ai giorni nostri.[3] Un altro filone venne sviluppato da Antonella Picchio che, partendo dalla stessa base, e cioè l’importanza del lavoro di cura non salariato svolto in maggior parte delle donne, e condividendo le stesse critiche sollevate da Dalla Costa contro quella sinistra (dalla quale provenivano) che «non ha mai capito l'importanza sociale del lavoro non retribuito e ha distolto lo sguardo da tutto ciò che non è lavoro salariato», pose al centro delle sue riflessioni una visione del sistema economico in grado di contenere tanto il processo di produzione capitalista e il processo di riproduzione sociale della popolazione.

 

Alla Conferenza mondiale delle donne celebrata a Pechino nel 1995, Picchio formulò la proposta di conteggiare il lavoro domestico nel PIL nazionale, così da rendere evidente la sua importanza. Dal suo punto di vista, di estrema attualità, la conciliazione tra condizioni di vita e condizioni di lavoro salariato non è un problema femminile, ma piuttosto è il problema del sistema produttivo nel suo complesso.[4] Per questa ragione, le politiche di pari opportunità, per essere efficaci, devono passare per un cambiamento delle regole e delle relazioni fondamentali, che strutturano il mercato del lavoro, in generale, rispetto a tempi, spazi, adeguatezza dei salari, stress, sicurezza.[5]

 

Sulla scorta di lavori anteriori[6], assieme ad un gruppo misto di persone di varia provenienza, abbiamo promosso una riflessione che va nella direzione delle proposte di Picchio e cioè un cambio nelle relazioni uomo-donna all’interno della sfera domestica, per far sì che questi ultimi si facciano carico della loro parte di compiti, così da liberare tempo femminile. Una riflessione quindi non centrata sul valore del lavoro non salariato nella riproduzione del sistema capitalista, ma sulla questione del tempo, da ripartire in maniera diversa e più equa.

 

Su questa base, considerando tutta una serie di compiti necessari per tenere in piedi una coppia/famiglia, abbiamo costruito la proposta di un Indice di Parità Domestica (IPAD). Un indice pensato (inizialmente) per un pubblico limitato, gruppi, associazioni e/o movimenti che esprimono posizioni pubbliche a favore della parità di genere. L’IPAD permetterà di evidenziare la coerenza tra il discorso, la parola e le azioni concrete intraprese al loro interno per stimolare un percorso di cambiamento verso una vera uguaglianza. Per poter trovare però una sua valenza reale e condivisa, è fondamentale che la controparte con cui lavoreremo sia coinvolta e diventi protagonista della costruzione e del successivo monitoraggio, così che l’IPAD diventi “cosa loro” e mostrare come nel corso del tempo il valore migliori. Di fatto l’IPAD servirà, in un primo momento (T°), a rendere evidenti quali siano i reali rapporti di forza all’interno di coppie/famiglie e, di conseguenza, quali e quanti siano gli sforzi da fare per adeguare il discorso pubblico con le pratiche concrete interne. Lo scopo del dialogo e della negoziazione iniziale servirà per aumentare la presa di coscienza esplicita di quante siano le attività necessarie per tenere in piedi una coppia/famiglia, così che la volontà personale dei partner meno coinvolti aumenti.

 

Il quadro concettuale che proponiamo si organizza attorno a tre perimetri:

Uno ristretto: che contiene le attività "centrali" del lavoro domestico. 

Uno intermedio: al primo elenco si aggiungono quelle che siamo più propensi a svolgere solo per piacere e quindi durano più a lungo di quanto sia strettamente necessario.

Uno allargato: ai primi due si aggiungono i tempi di percorrenza, i viaggi in macchina e, per esempio, portare il cane a passeggio.

A questo quadro di base, noi aggiungiamo il carico mentale, come descritto nei lavori di Ana Catalano Weeks.[7] Per ogni perimetro, verranno proposte delle dimensioni (aree tematiche) iniziali, a cui faranno seguito le variabili specifiche (esempio: dimensione: Lavoro domestico; Variabili: Cucinare, Pulizia, Lavanderia …). 

 

Per quanto riguarda il peso delle diverse attività, noi abbiamo scelto di attribuire a tutte lo stesso peso, senza distinguere tra attività più o meno care, più o meno faticose, più o meno lunghe nel tempo. Partendo da una lista indicativa che andrà completata tramite una negoziazione iniziale tra le parti, otteniamo un totale di X attività, alle quali si attribuisce valore -1 se vengono svolte solamente dal partner A; -0.5 se vengono svolte principalmente dal partner A; 0 se vengono svolte in maniera equilibrata dai due partner A e B; +0.5 se vengono svolte principalmente dal partner B; +1 se vengono svolte solamente dal partner B. Per le interviste, useremo un campione statisticamente rappresentativo della popolazione in studio. 

 

La media dell’insieme dei valori trovati, permetterà di stabilire un valore di partenza al momento T°. L’utilizzo della media è prassi abituale nella inferenza statistica. Nel caso dell’IPAD, dato che richiede interpretazioni soggettive sull’uso del tempo di ciascun individuo, l’utilizzo della media risponde a due esigenze: depurare il dato dal bias cognitivo che ognuno di noi metterebbe nelle risposte; e dare un senso di quanto allineate e consapevoli siano le coppie cui ci rivolgiamo. L’IPAD verrà poi misurato più volte nel tempo, perché la parte più interessante è proprio vedere come il bilanciamento cambi. Quindi i valori iniziali a T° assumono tutto il loro significato nel monitoraggio periodico (come è cambiato il valore a T1 e T2 grazie alle azioni specifiche messe in atto dalle/dai responsabili dell’associazione, movimento e/o partito?) piuttosto che nell’analisi spaziale (comparabilità nello stesso anno tra varie istituzioni) che non rappresenta il cuore del problema che vogliamo affrontare.

 

In una società che ha dato un ruolo chiave agli indici, ci sembra che accompagnare il lavoro di lobbying dal basso, con uomini e donne, per una reale condivisione del tempo all’interno della sfera domestica, così che l’uomo assuma la sua parte di responsabilità e si liberi del tempo femminile, per qualsiasi altra utilizzazione, sia una proposta interessante da discutere.



[1] Pateman, C. 1983. Feminist Critiques of the Public/Private Dichotomy, in S.I. Benn - G.F. Gauss

(edd), Public and Private in Social Life, Kent 1983

[2] Daniela A.; Stagno, Ch. 2021. Lo chiamano amore, noi lo chiamiamo lavoro non pagato In: Contratto o rivoluzione! L’Autunno caldo tra operaismo e storiografia[online]. Torino: Accademia University Press

[3] Rosa, K. S. 2022. The Wages for Housework Campaign is As Relevant As Ever. Novara media 

[4] Picchio, A. 2003. Political economy and a life research. Salute Mentale Donna - http://www.salutementaledonna.it/09_2003_reversibita_HTM_file/Picchio_ita.pdf (accesso 17 gennaio 2024)

[5] Picchio, Ibid.

[6] Groppo, P., Cangelosi, E., Siliprandi, E. Groppo, Ch., (prefazione di Laura Cima), 2023. Quando Eva bussa alla porta – Donne, terre e diritti. Ombre Corte, Verona

[7] Weeks, A. C., 2022. The Political Consequences of the Mental Load 

2024 L16: Francesca Giannone - La portalettere

 

Casa Editrice Nord, 2023

Salento, giugno 1934. A Lizzanello, un paesino di poche migliaia di anime, una corriera si ferma nella piazza principale. Ne scende una coppia: lui, Carlo, è un figlio del Sud, ed è felice di essere tornato a casa; lei, Anna, sua moglie, è bella come una statua greca, ma triste e preoccupata: quale vita la attende in quella terra sconosciuta?

Persino a trent’anni da quel giorno, Anna rimarrà per tutti «la forestiera», quella venuta dal Nord, quella diversa, che non va in chiesa, che dice sempre quello che pensa. E Anna, fiera e spigolosa, non si piegherà mai alle leggi non scritte che imprigionano le donne del Sud. Ci riuscirà anche grazie all’amore che la lega al marito, un amore la cui forza sarà dolorosamente chiara al fratello maggiore di Carlo, Antonio, che si è innamorato di Anna nell’istante in cui l’ha vista.
Poi, nel 1935, Anna fa qualcosa di davvero rivoluzionario: si presenta a un concorso delle Poste, lo vince e diventa la prima portalettere di Lizzanello. La notizia fa storcere il naso alle donne e suscita risatine di scherno negli uomini. «Non durerà», maligna qualcuno.
E invece, per oltre vent’anni, Anna diventerà il filo invisibile che unisce gli abitanti del paese. Prima a piedi e poi in bicicletta, consegnerà le lettere dei ragazzi al fronte, le cartoline degli emigranti, le missive degli amanti segreti. Senza volerlo – ma soprattutto senza che il paese lo voglia – la portalettere cambierà molte cose, a Lizzanello.
Quella di Anna è la storia di una donna che ha voluto vivere la propria vita senza condizionamenti, ma è anche la storia della famiglia Greco e di Lizzanello, dagli anni ’30 fino agli anni ’50, passando per una guerra mondiale e per le istanze femministe.
Ed è la storia di due fratelli inseparabili, destinati ad amare la stessa donna.

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Mi associo alle tante e tanti che hanno amato questo libro. Di sicuro nella Top dell'anno.

2024 L15: Deon Meyer - Cupidité

 

Gallimard, 2023

Benny Griessel et Vaughn Cupido, ravalés au rang d'enquêteurs de base pour avoir enfreint les ordres de leur hiérarchie, soupçonnent leur punition d'être liée au meurtre en plein jour d'un de leurs collègues et aux lettres anonymes qu'ils ont reçues récemment. Mais ils n'ont pas le loisir d'approfondir la question car on les charge d'élucider la disparition de Callie, brillant étudiant en informatique.Dans le même temps, Jasper Boonstra, milliardaire et escroc notoire, confie à une agente immobilière accablée de dettes la vente de son prestigieux domaine viticole. Conscient que la commission de trois millions de rands réglerait tous les problèmes de la jeune femme, l'homme d'affaires exerce sur elle un chantage qui la met au pied du mur.A priori, il n'y a aucun lien entre les deux affaires, sauf le lieu, Stellenbosch, au coeur des vignobles du Cap. Mais lorsqu'elles convergent, la cupidité se révèle être leur moteur commun.

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Bella storia ma troppi dettagli che stancano un po'...


domenica 24 marzo 2024

2024 L14: Christian Frascella - Omicidio per principianti

 Einaudi, 2022

Una bambina di sei anni sparisce da scuola. L’intero quartiere è in fibrillazione. Polizia e carabinieri non riescono a trovarla, e i telegiornali si preparano a raccontare una storia che potrebbe non avere un lieto fine. Ma c’è qualcuno che non ha nessuna intenzione di stare a guardare. È Contrera, l’investigatore privato piú impertinente e malridotto del noir italiano. Ex poliziotto che l’ha combinata grossa, sa come muoversi in quel luogo «multietnico, multiforme, multipericoloso » che è il quartiere torinese di Barriera di Milano. Proprio a lui toccherà salvare l’innocenza in un mondo che forse l’ha persa una volta per tutte.

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Come sempre, un'avventura di Contrera che ti invita ad andare fino in fondo subito. 

venerdì 15 marzo 2024

2024 L13: Maurizio De Giovanni - Caminito


Einaudi, 2023

È il 1939, sono trascorsi cinque anni da quando l’esistenza di Ricciardi è stata improvvisamente sconvolta. E ora il vento d’odio che soffia sull’Europa rischia di spazzare via l’idea stessa di civiltà. Sull’orlo dell’abisso, l’unico punto fermo è il delitto. Fra i cespugli di un boschetto vengono ritrovati i cadaveri di due giovani, stavano facendo l’amore e qualcuno li ha brutalmente uccisi. Le ragioni dell’omicidio appaiono subito oscure; dietro il crimine si affaccia il fantasma della politica. Con l’aiuto del fidato Maione – in ansia per una questione di famiglia – Ricciardi dovrà a un tempo risolvere il caso e proteggere un caro amico che per amore della libertà rischia grosso. Intanto la figlia Marta cresce: ormai, per il commissario, è giunto il momento di scoprire se ha ereditato la sua dannazione, quella di vedere e sentire i morti.

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Sempre un piacere leggere le storie di Ricciardi

mercoledì 13 marzo 2024

2024 L12: Silvia Avallone - Cuore Nero

 


Rizzoli, 2024

L’unico modo per raggiungere Sassaia, minuscolo borgo incastonato tra le montagne, è una strada sterrata, ripidissima, nascosta tra i faggi. È da lì che un giorno compare Emilia, capelli rossi e crespi, magra come uno stecco, un’adolescente di trent’anni con gli anfibi viola e il giaccone verde fluo. Dalla casa accanto, Bruno assiste al suo arrivo come si assiste a un’invasione. Quella donna ha l’accento “foresto” e un mucchio di borse e valigie: cosa ci fa lassù, lontana dal resto del mondo? Quando finalmente s’incontrano, ciascuno con la propria solitudine, negli occhi di Emilia – “privi di luce, come due stelle morte” – Bruno intuisce un abisso simile al suo, ma di segno opposto. Entrambi hanno conosciuto il male: lui perché l’ha subito, lei perché l’ha compiuto – un male di cui ha pagato il prezzo con molti anni di carcere, ma che non si può riparare. Sassaia è il loro punto di fuga, l’unica soluzione per sottrarsi a un futuro in cui entrambi hanno smesso di credere. Ma il futuro arriva e segue leggi proprie; che tu sia colpevole o innocente, vittima o carnefice, il tempo passa e ci rivela per ciò che tutti siamo: infinitamente fragili, fatalmente umani.

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Senza alcun dubbio sarà nella Top. Mi piace molto la sua scrittura.

giovedì 7 marzo 2024

2024 L11: Véronique de Haas - La muse rouge

 



Fayard, 2021

Paris 1920. À son retour des tranchées, Victor Dessange, ancien de la Mondaine, intègre la brigade Criminelle. L’ambiance à la capitale est électrique – entre grèves à répétition et affrontements entre communistes et anarchistes d’un côté et royalistes de l’Action française de l’autre. Des clandestins de l’Internationale affluent de partout, tandis que les empires coloniaux se fissurent.

Dans un tel contexte, les meurtres successifs de plusieurs prostituées peinent à apparaître comme
des affaires prioritaires. Jusqu’à ce que ce soit non plus une belle-de-nuit, mais un client, représentant officiel de la République de Chine, qui trouve la mort dans une maison close. Chargé de l’enquête, Victor tente de démêler un écheveau qui le mènera d’une colonie pénitentiaire pour enfants en Bretagne à l’attaque d’un convoi d’or au Maroc, dont ni les coupables ni le butin n’ont jamais été retrouvés.

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Gran bel libro, candidato alla Top dell'anno.

lunedì 26 febbraio 2024

2024 L10: Peter May - Il rumore del ghiaccio



Einaudi, 2023

Tra i ghiacci che ricoprono ormai da tempo le Highlands scozzesi, una giovane meteorologa si imbatte nel cadavere di uno sconosciuto. Il mondo sarà anche cambiato ma gli uomini no, e le ragioni per uccidere restano sempre le stesse.

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Molto bello, sicuramente candidato alla Top

domenica 25 febbraio 2024

Crisi dei "trattori": un ragionamento a spanne di domenica pomeriggio

Stime pubbliche sulla distribuzione dei fondi pubblici della PAC indicano che l’80% delle risorse assegnate vadano al 20% dei beneficiari. 

Nel caso italiano, considerando il budget 2023-2027, si parla di 4,5 miliardi che vanno a questa minoranza (per esempio l’Istituto del vino di qualità – Grandi Marchi; o le Distillerie Bonollo, giusto per citarne qualcuno).

 

Se questa montagna di soldi venisse destinata all’agricoltura contadina, ci sarebbero fondi a sufficienza per facilitare la transizione ecologica di centinaia di migliaia di aziende. 

 

Ovvio che a questo andrebbero aggiunte le altre misure di cui ho già scritto (http://paologroppo.blogspot.com/2024/02/vi-dico-perche-anche-per-gli.html).

 

Ma qualcuno di voi può credere che i rapporti di forza saranno realmente cambiati con una classe politica (e non parlo solo di questo governo, ma di tutti quelli che si sono succeduti negli ultimi 50 anni) che o non ha voluto capire l’importanza dell’agricoltura contadina per la nostra tavola, la nostra salute e per i nostri territori, oppure l’ha considerata solo come una base elettorale da sfruttare contro nemici immaginari a BXL?

 

I trattori in strada li rivedremo ancora, sempre meno perché intanto spariscono; la nostra salute peggiorerà, e i territori (suoli, acqua, biodiversità) continueranno a peggiorare. 

 

martedì 20 febbraio 2024

Vi dico perché, anche per gli agricoltori, non cambierà nulla (in meglio)


 Incontri, dichiarazioni pubbliche, tavoli tecnici, promesse di rimangiarsi decisioni già prese (tagli fiscali) e, asso nella manica, ribadire che è tutta colpa di Bruxelles: insomma il governo fascio-leghista le sta tentando tutte pur di venir fuori dalle proteste varie dei “trattori”. Una possibile via d’uscita passerebbe per tre (più una) mosse che, anche se non necessariamente avrebbero vita facile nell’Italia e nell’Europa attuale, rappresentano tre pilastri chiave per un futuro diverso e migliore.

 

La prima riguarda la ripartizione dei fondi PAC. Ricordiamo che i criteri di ripartizione attuale non li hanno mica decisi gli algoritmi dell’intelligenza artificiale oppure quattro amici al bar, ma i responsabili dei governi membri della UE tra cui, ovviamente, il nostro. Che questi criteri favorissero i più grandi, lo sapevamo da molti anni, ma non ricordo una proposta di nessuno dei governi italiani degli ultimi 50 anni, che andasse in una direzione diversa. Magari mi sbaglio e, in tal caso, faccio ammenda.

 

Qui si tratterebbe di escludere totalmente dai sussidi tutte le grandi aziende, al di sopra di un certo livello di reddito, dimensioni o altro. Una negoziazione non facile, dato il peso della lobby agricola a Bruxelles, ma che libererebbe una quantità non indifferente di risorse. Le grandi aziende, se stanno in piedi perché sono ben gestite, allora imparerebbero sulla loro pelle cosa vuol dire il “libero mercato” di cui tanto si vantano. Quel libero mercato che permette loro, grazie ai cospicui aiuti PAC, di esportare a prezzi di dumping, rovinando le agricolture contadine del Sud.

 

Il secondo passo riguarda la riallocazione di quelle risorse alle agricolture contadine, facendole respirare ma, soprattutto, aiutarle nella transizione verso l’agroecologia. Parte importante di questa mossa sarebbe la lotta, a livello europeo inizialmente, per vietare l’uso di veleni come il glifosato (che ha tanti amici dentro e fuori Bruxelles). Ovviamente, c’è anche bisogno di una azione incisiva, lenta, difficile ma fondamentale, per rendere i criteri ecologico-sanitari più stringenti non solo per le produzioni europee ma anche, e soprattutto, per quelle importate. Per facilitare scambi e partenariati commerciali si potrà usare la leva dei dazi doganali, ma il criterio base dovrà diventare quello dell’equivalenza delle norme ecologico-sanitarie per tutti. 

 

Il terzo passo, oltremodo difficile, riguarda la creazione di prezzi minimi, a partire dai costi di produzione delle agricolture contadine, per prodotto e territorio, così da rafforzare il loro potere negoziale ed impedire le gare al ribasso manipolate dalla Grande Distribuzione Organizzata.

 

Tra gli effetti possibili di queste misure possiamo contare: un aumento del reddito degli agricoltori (maschi e femmine) delle aziende contadine, nonché un aumento della transizione verso l’agroecologico (che, ripetiamolo, se non si accompagna anche a misure di uguaglianza di altro tipo, in particolare di genere, resta solo una tecnica meno intrusiva e nulla più, cioè NON è una misura “di sinistra”!). È ragionevole pensare che la GDO cercherà di trasmettere i costi più alti (per lei) nel prezzo finale al consumo, ma anche su questo sarebbero possibili misure di politica pubblica per ridurre le filiere e i profitti generati dai molti intermediari.

 

Fuor di dubbio che se si vuole fare una vera transizione verso il mangiar meglio, serviranno anche politiche salariali espansive. Nel settore agricolo i controlli contro il lavoro nero e caporalato andrebbero estesi a tappeto dato che, con i maggiori sussidi e i prezzi minimi garantiti, non ci sarebbero più scuse per questo sfruttamento. Negli altri settori, industriale, commercio etc. anche il nuovo governatore della Banca d’Italia Panetta insiste nella necessità di aumentare i salari. In teoria quindi si può ragionare su questo tema. Ovvio comunque che anche una politica culturale diretta a far capire cosa siano le spese essenziali per vivere bene (mangiar bene per stare in salute) e le spese voluttuarie che rispondono ai capricci della pubblicità e degli/delle influencer, andrebbe fatta. 

 

Una delle scuse che viene spesso accampata, in Italia ma anche altrove, appoggiandosi al lavoro fatto dalle lobby dell’agribusiness a livello ONU, è che senza le grandi aziende non si riuscirebbe ad aumentare la produzione di cibo del 70% entro il 2050 come dice la FAO, livello necessario per alimentare una popolazione mondiale in crescita. La stessa FAO (in realtà sono altri gruppi di potere, meno forte del primo) indica però che già adesso la produzione mondiale di alimenti è eccedentaria rispetto ai bisogni nutrizionali. Si calcola che il 14% circa della produzione alimentare sia perso, abbastanza per nutrire 1,3 miliardi d persone. In altre parole, cibo ce n’è, il problema chiave è l’accesso al cibo, non la sua produzione. Quindi anche se noi europei producessimo meno, non cambierebbe granché, finché non cambiamo il modo di produrre e non aumentiamo il potere d’acquisto delle classi popolari e medie.

 

Togliere soldi alle grandi aziende non significa che andranno tutte in malora, ma solo che ridurranno una parte dei loro profitti e che ripenseranno le loro strategie di esportare e conquistare mercati grazie alle sovvenzioni europee.

 

Questo circolo virtuoso potrebbe poi essere accompagnato da una proposta, questa sì ambiziosa, di aiutare le agricolture contadine del Sud a rafforzarsi. Questo significa rivedere le politiche liberticide per cui i nostri prodotti entrano nei loro mercati con pochissimi dazi, facendo concorrenza sleale. Vuol dire anche pensare a un mondo dove le contadine e i contadini possano vivere degnamente del loro lavoro a casa propria, senza bisogno di migrare altrove. Dico che questa mossa è la più ambiziosa perché, culturalmente, le elite al potere nei paesi del Sud sono, tendenzialmente, tutte contro all’agricoltura contadina che considerano cosa d’altri tempi e non “moderna”. Un’agricoltura che, avendo bisogno di meno meccanica e chimica, riduce anche le possibilità di mazzette e corruzioni varie. Quindi lanciarsi su questa strada vuol dire pensare a un futuro diverso, ma che non vedremo nei prossimi anni. Ma va fatto.

 

Come scrivevo giorni fa, un cambio strutturale del nostro sistema agricolo, a parte la possibilità di rivalorizzare su scala non miniaturizzata le tante varietà locali di tutti i prodotti possibili che abbiamo in Italia, così rendendo più forti e stabili tantissimi territori del nostro paese, avrebbe anche delle ricadute (oltreché lavorative) in termini di salute, riducendo i morti per avvelenamento, tumore e infezioni varie dovute alla chimica. La biodiversità ne trarrebbe vantaggio e finalmente potremmo tornare a passeggiare in campagna senza paura di respirare glifosato.

 

Insomma, un mondo difficile da costruire, ma possibile. Questo però significherebbe mettere davanti i più deboli, i più precari, quelle persone con meno potere. E allora gli occhi vanno su un altro settore, emblematico dello sfruttamento capitalistico attuale, quello dei raiders: capita così di leggere che la direttiva che avrebbe garantito diritti fondamentali ai lavoratori delle piattaforme, a cominciare dai rider, è stata bloccata da un ristretto numero di Paesi Ue con, in testa, Francia e Germania. Un governo di destra (Macron) e uno “semaforo” (Socialdemocratici-Verdi e Liberali) in Germania: tutti uniti nel fregarsene di chi è povero e non ha tutele.

 

E allora, se tanto mi da tanto, non vedo ragioni per pensare che anche nel mondo agricolo non cambierà nulla. 

 

 

domenica 18 febbraio 2024

2024 L9: Cristina Cassar Scalia - La banda dei causi

 

Einaudi 2023

In una mattina di aprile, alla Playa, l’unica spiaggia sabbiosa di Catania, viene scoperto il cadavere di Thomas Ruscica, qualcuno lo ha ucciso con un colpo di rastrello alla testa. Thomas era uno dei «carusi» di don Rosario Limoli, parroco di frontiera che opera nel difficile quartiere di San Cristoforo. Vanina lo conosceva: un ragazzo con una famiglia e un passato pesanti alle spalle, però determinato a rifarsi una vita e ad aiutare altri come lui. Criminalità organizzata o delitto passionale? Questo è il dilemma che da subito si trova davanti la polizia. Finché gli indizi non cominciano a convergere tutti sulla stessa persona. Eppure né Vanina, né il suo vice Spanò, né l’inossidabile commissario in pensione Biagio Patanè, di cui alla Mobile nessuno può piú fare a meno, credono alla sua colpevolezza. Per scagionarla saranno pronti, ognuno a modo proprio, a trascurare o a mettere in gioco anche la loro vita privata.

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Questa autrice mi piace sempre di più, potrebbe essere candidato alla Top

mercoledì 14 febbraio 2024

Il genocidio è di destra o anche di sinistra?


 Mancano poche settimane/giorni alla fatidica data del 6 aprile quando si ricorderanno i 30 anni dall’inizio ufficiale del genocidio ruandese. Non so quanti, fra le nuove generazioni, ne ricordino le efferatezze: quasi un milione di Tutsi massacrati dagli Hutu con l’appoggio militare e la copertura politica della Francia, allora governata dal socialista Mitterand.

 

Un documentario visto recentemente su Youtube mi ha stimolato queste righe. Sono giorni nei quali si dibatte, in maniera molto accalorata, sulla natura genocidaria di quanto Israele sta facendo contro la popolazione civile della striscia di Gaza. Le opinioni pubbliche si dividono, convinte ci sia un fronte progressista contro uno conservatore.

 

Magari fosse così semplice. 

 

Saranno gli anni, o le raccomandazioni di professori e di un fratello che da sempre lavora sulla Memoria, ma anch’io prima di buttarmi nella contenda mi guardo indietro. 

 

E allora penso a quanto fecero i turchi contro gli armeni, il primo genocidio/olocausto (anche se alla Turchia non piace ricordarlo) dell’era moderna.  Un milione e mezzo di morti, che ancora oggi chiedono giustizia. Poi ci pensò il comunista Stalin, con l’holodomor compiuto in Ucraina nel 1993 che causò 5 milioni di morti secondo la storica americana Anne Applebaum. Per quanto riguarda quest’ultimo, è da ricordare che il gruppuscolo di Marco Rizzo, che pretende essere il vero continuatore del Partito Comunista (mantenendone il nome), ancora oggi continua a negare che sia mai occorso tale genocidio (https://ilpartitocomunista.it/holodomor-la-storia-al-servizio-della-propaganda/).

 

Poi arrivò Hitler e, grazie ai suoi crimini contro il popolo ebraico (ma non solo, zingari e omosessuali sono finiti nell’oblio della storia assieme a tutti gli oppositori politici passati nelle camere a gas), si arrivò a coniare il termine “genocidio” definito, nelle carte ONU, come «gli atti commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso».

 

In epoca più recente, altri genocidi sono stati commessi: oltre tre milioni di cambogiani inermi furono eliminati nella seconda metà degli anni 70 (ricordate il film “The Killing Fields” – in italiano “Le urla del silenzio”?) dal regime di Pol Pot e i suoi Khmer rossi, seguaci del Partito Comunista della Kampuchea. I racconti entusiastici della stampa progressista francese (http://www.ciremm.org/wp-content/uploads/2015/06/Pages-de-PUB-Cambodge-le-génocide-effacé-pierre.pdf) ci lasciano ancora oggi con un gran amaro in bocca.

 

Per restare nella regione, ci sarebbe anche il massacro, da molti definito “genocidio” realizzato dal presidente/dittatore Suharto nei confronti di oppositori, militanti del Partito Comunista, con mezzo milione di vittime.

 

Il “grande balzo in avanti del “compagno” Mao, con i suoi 30 milioni di morti (media tra i valori di 15 e 55 riportati dai media), avrebbe meritato il primo posto ma, tecnicamente, non si può considerare come genocidio, ma solo un disastro economico (e poi vatti a fidare degli economisti …).

 

Il genocidio ruandese, col suo milione di morti, viene ricordato perché si è svolto sotto i nostri occhi. Il fatto che fosse un presidente socialista, il tanto amato Mitterand, ad appoggiare politicamente e militarmente, i genocidari, è una ferita che brucia ancora e che molti, a sinistra, hanno delle difficoltà ad accettare (https://www.mediapart.fr/journal/france/060621/le-genocide-des-tutsis-au-rwanda-et-l-honneur-perdu-de-la-gauche-en-france).

 

Ed eccoci ai nostri giorni: per alcuni Israele sta portando avanti un genocidio, per altri è solo una legittima difesa. Resta il fatto che l’accusa di genocidio è stata formulata, su richiesta del Sudafrica, davanti alla Corte Penale Internazionale, dando una visibilità nuova a questa parola.

 

Ebbene, allora chiediamoci se il genocidio è di destra o, anche, di sinistra. Le evidenze storiche sono abbastanza chiare, per cui secondo me non c’è dibattito. Ma la questione potrebbe essere guardata anche da un altro angolo, quello di genere. Che lo si voglia o no, tutte queste efferatezze, compreso il grande balzo in avanti, sono stati commessi da uomini che si credevano al di sopra di tutto e di tutti. La logica del dominio, nata col patriarcato, si estrinseca quasi sempre nella violenza fatta agli altri (e alle altre). Dominare, sottomettere in casa, nella comunità, nello Stato o ancora più su, tutto quello che loro decidono essere di qualità inferiore: la donna, il diverso, il nero, l’arabo, l’ebreo e avanti così.

 

Magari penserete che ritorno sempre a battere sullo stesso tema, ed in effetti è così. Se vogliamo realmente credere che un mondo diverso, e migliore, si possa costruire, questo va pensato a partire dalle piccole cose, dai piccoli spazi, cioè da dentro i nostri rapporti interpersonali. 

 

Lottare contro il patriarcato serve per ridurre le asimmetrie di potere, far capire agli uomini che devono uscire dalla logica del dominio, (sugli altri esseri umani e sulla natura), abbassare la cresta ed entrare in una logica di empatia, di un cammino verso gli altri che non significa altro che rispettare la diversità e la differenza, per imparare, con calma, pazienza e costanza, che solo così avremo un futuro. Altrimenti, quale che sia il nostro colore politico, aspettiamo il prossimo genocidio e poi facciamo finta di esserne sorpresi.

 

 

 

venerdì 9 febbraio 2024

Trattori, agricoltori, crisi

 

Capirci qualcosa nella protesta degli agricoltori non è cosa facile, come scriveva Il Post alcuni giorni fa (https://www.ilpost.it/2024/02/02/proteste-agricoltori-italia-richieste/). Cerchiamo di andare per punti, il primo dei quali è: di chi stiamo parlando. I numeri sono conosciuti e sono stati ricordati: più di 1 milione e centomila aziende attive (ottobre 2020 -Istat) che, comparate con quelle del 1982, indicano che due aziende su tre sono scomparse. Se poi andiamo ancora più indietro, al primo censimento Istat del 1961, allora erano circa 4 milioni e 300 mila. Per semplificare il discorso possiamo prendere quella data come l’inizio della accelerazione della cosiddetta modernizzazione del settore agricolo.

 

Ricordiamo che noi, come altre regioni dell’Europa, uscimmo dalla seconda guerra in brache di tela, come dicono dalle mie parti, cioè con una mano davanti e l’altra dietro, insomma: fame!

 

L’arrivo degli americani, con l’inizio della guerra fredda, ci ha portato a giocare nel loro perimetro che, nel settore agricolo, era molto più sviluppato di quello nostrano europeo. Dimensioni delle aziende maggiori, meccanizzazione spinta, infrastrutture stradali, elettriche diffuse ovunque, assistenza tecnica pubblica (gratuita), una presenza già elevata di prodotti chimici (fertilizzanti e pesticidi) e una ricerca agricola che aveva messo a disposizione varietà migliorate molto più produttive delle nostre.

 

La questione dei prodotti chimici merita una piccola nota. Munizioni ed esplosivi necessitavano grandissime quantità di azoto e fosforo che, alla fine delle ostilità, si sono ritrovate nei magazzini dello zio Sam. Insistere per la chimizzazione dell’agricoltura, americana ed europea, era una maniera semplice di liberarsi delle enormi scorte disponibili. La chimica si portava dietro la meccanica (trattori e compagnia) e la ricerca di varietà nuove che sfruttassero questi prodotti, col risultato che il differenziale produttivo fra un farmer americano e uno del mediterraneo era, all’epoca, di 30 a 1. Finché si giocava in campionati diversi, loro di là e noi di qua dall’oceano, non ci si preoccupava troppo.

 

La fine della guerra però portò anche una forte accelerazione dell’integrazione dei mercati dei paesi occidentali (il Sud del mondo era ancora colonia e quelli dell’Est non avevano neanche gli occhi per piangere). Mercato unico significava dover competere gli uni contro gli altri e su questo torneremo in seguito.

 

La trasposizione del modello americano a casa nostra (europea), funzionò molto bene e in soli 15 anni passammo da una situazione di morti di fame (esagerando eh!) a potenza autosufficiente. Vero è che la spinta americana venne colta in modo diverso da paese a paese. Ci furono paesi, come la Francia per esempio, che spinsero per aumentare le superfici medie delle aziende, facilitando l’ingresso massiccio della chimica e della meccanica, e mettendo la ricerca pubblica al servizio di questo modello: ridurre le varietà (e la biodiversità) a favore di poche varietà con caratteristiche simili che si potessero meccanizzare. Il concomitante sviluppo industriale permise di recuperare la mano d’opera contadina in uscita dal settore, il tutto accompagnato da politiche pubbliche settoriali (remembrement), frutto di una visione che, può piacere o meno, andava verso la creazione di un settore di agri-business che potesse competere con quello, in espansione, americano.

 

Noi seguimmo un’altra strada, senza visione di futuro ma centrata sui benefici elettorali immediati per il partito al potere, la DC. La paura del Partito Comunista era la scusa principale, soprattutto alla luce anche dei moti agrari nel Sud e la spinta per una riforma agraria. La Coldiretti di Bonomi si incaricò di irregimentare gran parte del mondo agricolo fatto di piccole e piccolissime aziende, così da renderle dipendenti dalle prebende del potere politico. Non si cercava la dimensione economica che potesse competere nel nuovo mercato che iniziava a formarsi (europeo e mondiale) ma di tenersi stretta una massa di voti che, negli anni d’oro, arrivò ai 5 milioni (per mamma DC). Dinamiche che ho visto personalmente all’opera, avendo lavorato durante gli anni dell’università, nella sede provinciale di Vicenza della Coldiretti.

 

Gli anni 60 vedono l’inizio della competizione tra questi due agro-sistemi: americano (già ben formato) ed europeo (in via di formazione). Competizione che, a mano a mano che si aprivano nuovi mercati nei vari Sud del mondo, diventa sempre più brutale, usando mille trucchetti per fregare l’altro. Noi europei però avevamo iniziato anche una competizione interna, a scapito di paesi, come quelli dell’area mediterranea, che avevano preferito il bonus politico all’onere di politiche di modernizzazione come i paesi oltralpe.

 

Ecco perché in pochi decenni, il differenziale produttivo tra gli i più forti e gli altri, si è allargato a livelli stratosferici. Stime di quasi una trentina di anni fa davano un gap di 1 a 500 (produttività netta) fra i più produttivi (del nord) e quelli dei PVS. Noi, italiani, eravamo la in mezzo, con un differenziale che è aumentato nei confronti di paesi come la Francia. Non parlo nemmeno del differenziale interno, fra pianura padana e zone agricole del Sud. 

 

Per chi ha buona memoria, quegli sono gli anni dei Montanti Compensativi Monetari, sovvenzioni o imposizioni applicate alle transazioni commerciali di prodotti agricoli tra i paesi membri della Comunità europea in ossequio alla politica agricola comunitaria. Il ricordo personale va alle montagne di frutta che veniva distrutta con i trattori (eh sì, sempre quelli), per mantenere i prezzi stabili.

 

La logica nostra era sempre la stessa: votare la DC in cambio di qualche protezione, prima del bilancio pubblico e poi dalla PAC. La nostra presenza a Bruxelles rasentava il ridicolo, come ben sanno gli specialisti di una certa età: arrivammo a presiedere (1970), per la prima volta, la Commissione europea con Franco Maria Malfatti, il quale preferì mollare tutto poco più di due anni dopo (1972) per concorrere alle elezioni italiane, lasciando uno spazio che altri occuparono meglio di noi (olandesi e francesi). I paesi forti facevano lobbying agguerrite (e portavano a casa leggi, sussidi e quanto altro gli servisse), e a noi restavano le briciole. 

 

Con la caduta del Muro (1989) e la dissoluzione dell’URSS (1991) la situazione non cambiò molto, in superficie. In realtà la presa di potere delle grosse multinazionali dei vari settori (chimici, meccanica…) era già diventata evidente per chi volesse vederla, così come i danni all’ambiente e alla salute che il sistema agricolo dominante nel nord infliggeva a tutti e a tutte, contadini/e o meno. Non parlo nemmeno della distruzione sistematica delle agricolture del Sud che, grazie alla dominazione dell’agribusiness americano ed europeo, accompagnato da politiche protezionistiche allo scopo di farci la guerra tra di noi, impedirono qualsiasi possibilità di creare dei sistemi agrari solidi ed indipendenti nel Sud del mondo.

 

Arriviamo quindi ai giorni nostri: il differenziale produttivo fra noi e le agricolture del nord Europa, che abbiamo contribuito a costruire con le nostre non-scelte politiche, è diventato sempre più problematico da gestire. Inoltre, all’interno del mondo agricolo europeo, la stessa dinamica differenziale ha fatto sì che i soldi messi nella PAC andassero a finire in misura crescente nelle mani della fetta, sempre più ridotta, di grandi aziende – nord Europa ma anche Italiane. 

Nel frattempo, la trasformazione dei contadini in operai indebitati era stata completata. La figura del contadino (e contadina, occhio), cioè di una persona che si preoccupa del territorio (Fossi e cavedagne benedicon le campagne, scriveva Carlo Poni nei primi anni 2000) della sua biodiversità, di produrre cose “genuine”, insomma, il mito del Mulino Bianco, era diventata quella di persone indebitate fino al collo per l’acquisto di macchinari sempre più grandi, sommersi da una burocrazia che, per i quattro spiccioli che ricevevano, domandava loro una montagna di carte, con difficoltà crescenti per aumentare le superfici dato che il prezzo della terra saliva, e solo i grossi produttori industriali potevano permetterselo, il tutto continuando a produrre secondo le indicazioni di mamma Coldiretti e dell’Informatore Agrario. Noi Tecnici agricoli o Agronomi, formati nei primi anni 80, eravamo formattati con la visione dell’agricoltura moderna: chimica (tanta) e trattori. 

 

La manna della PAC ha cominciato a ridursi e a cambiare. Piaccia o meno, la sensibilità “ambientale” era arrivata anche ai politici e a Bruxelles, nonché la necessità di ridurre i fondi disponibili, perché, con la storia del Consenso di Washington e l’obbligo di privatizzare e ridurre il ruolo dello Stato (grazie Reagan e Thatcher), bisognava spendere meno.

 

Meno soldi, che però andavano sempre in maggioranza a favore dei più ricchi, e una sensibilità ambientale che iniziava a farsi sentire. Noi italiani (ma probabilmente non da soli) abbiamo pensato che potessimo fregare i burocrati di Bruxelles, taroccando i prodotti (chi si ricorda il vino al metanolo?) oppure non rispettando le quote latte che erano state negoziate ed accordate. Ricordate che spingeva perché non si pagassero le multe che, giustamente, venivano inflitte a questi furbastri agricoltori padani? La Lega del vostro amico Salvini e del papà Bossi.

 

Non ricordo di aver mai sentito i grossi sindacati degli agricoltori lamentarsi o, ancor meglio, lottare e fare lobbying contro la Grande Distribuzione Organizzata. Nemmeno ricordo averli mai sentiti schierati a favore di una transizione ecologica che era evidente dai primi anni settanta. Hanno preferito sempre vivere nell’illusione del breve e brevissimo periodo, cioè gestire urgenze, chiedendo elemosine per tirare avanti (secondo il famoso detto Andreottiano per cui era meglio tirare a campare che tirare le cuoia).

 

L’unica novità, emersa fuori dagli schemi politici, è stata l’agricoltura biologica nelle sue varie declinazioni. Poi è arrivato anche il movimento Slow Food a rimettere all’ordine del giorno la questione della genuinità dei prodotti (antichi e da preservare), con un’agenda che cerca di riportare in auge l’idea che mangiare bene e sano, pochi grassi e tanta verdura, può allungarci la vita anche perché il territorio viene gestito meglio.

 

La crisi attuale arriva quindi da lontano e, se tanto mi da tanto, non cambierà nulla una volta passata la buriana. Poco centra il governo Meloni, perché non è che quando c’era il centro sinistra si sia spinto per riequilibrare i rapporti di potere nelle negoziazioni con la GDO, oppure per far cambiare la PAC in direzione “verde”. 

 

Gli agricoltori – confermando che oramai sono clonati dentro la visione di brevissimo periodo - chiedono al governo di Giorgia Meloni di mantenere in vigore altre agevolazioni fiscali di cui per anni hanno potuto beneficiare. Con la legge di bilancio per il 2024 il governo non ha confermato l’esenzione per i redditi agricoli dall’IRPEF, l’imposta sul reddito delle persone fisiche, che era in vigore dal 2017: gli agricoltori dovrebbero quindi tornare a pagare l’aliquota ordinaria. Il condizionale è d’obbligo perché alla fine Meloni cederà su questo.

Chiedono anche un netto cambio nelle politiche agricole europee. Se la prendono con le timide decisioni di cominciare ad occuparsi della sterilizzazione crescente dei suoli agricoli. Scriveva anni fa la FAO (2015): “Oggi il 33% del territorio risulta da moderatamente ad altamente degradato, a causa di erosione, salinizzazione, compattazione, acidificazione e inquinamento chimico dei suoli”. La situazione è solo peggiorata, ma questo sembra non interessare i manifestanti. Il Green Deal vuole ridurre l’uso dei prodotti fitosanitari che in Italia (dati Istat 2020) ammontano a 122.000 tonnellate l’anno. Detto in altre parole: grazie a questi produttori noi non stiamo mangiando sano: mangiamo cibi avvelenati che accorciano la vita. In Italia non si lamentano (come in Francia) per il prezzo del gasolio agricolo, dato che già beneficia di accise ridotte. Si lamentano, davanti ai ministeri dell’agricoltura o le prefetture (in Italia e in Europa), dei prodotti che importiamo dall’Ucraina per aiutare questo paese che è in guerra per salvare il culo all’Europa. Ma allora perché non vanno a manifestare davanti alle ambasciate russe? Sarebbe più corretto!

Infine, si lamentano della concorrenza (secondo loro sleale) dei prodotti importati che arrivano con meno obblighi sanitari. Interessante e parzialmente corretta questa richiesta. Bisognerebbe però che innanzitutto si guardassero dentro casa propria perché, come dicevo sopra, noi europei, assieme agli americani e poi gli altri grossi produttori mondiali, abbiamo fatto una concorrenza totale e sleale nei confronti di tutte le agricolture contadine del Sud, riducendole ai minimi termini, provocando l’esodo di milioni di persone, impoverite e facili prede dei movimenti islamici terroristici. Anche qua, lo posso dire per aver toccato con mano i disastri prodotti dalle sovvenzioni alle esportazioni di pomodori italiani in scatola che arrivavano nell’altipiano centrale dell’Angola, quando ancora c’era la guerra, primi anni 2000, a prezzi talmente irrisori che i pochi contadini locali non potevano vendere nemmeno un pomodoro perché il loro costo di produzione, per quanto basso, non poteva competere.

Insomma, grazie ai vostri sindacati e alle forze politiche che avete votato, il sistema agroalimentare italiano è arrivato davanti al muro. Ripeto, non è che a sinistra le cose stiano meglio, ma certo con questa banda di bras cassés come dicono i francesi, è chiaro che non si andrà da nessuna parte.

Va bene battersi contro il caporalato e il lavoro nero in campagna. Ma se i produttori non hanno un prezzo minimo garantito, non ce la potranno mai fare. Quindi politiche pubbliche che vadano nella direzione di forzare la mano alla GDO, fissare dei prezzi minimi per tipo di produzione, incentivando chi usa metodi agro-ecologici (con prezzi maggiori) e in parallelo una ricerca di alleanze in Europa per cambiare la PAC e togliere tutti i sussidi ai grandi produttori, liberando risorse per l’agricoltura contadina che ancora resiste, ecco un’agenda minima di lavoro. A questo si può e si deve aggiungere la protezione della biodiversità, il recupero dei suoli e dell’acqua.

Abbiamo fior fiore di economisti in Italia. Possibile che non si possa stimare quanti soldi verrebbero risparmiati alla salute pubblica con politiche di questo tipo? Soldi che andrebbero girati al ministero dell’agricoltura e dell’ecologia, per ricompensare chi fa questo lavoro.

I soldi non mancano. Lo abbiamo visto con la crisi Covid. I soldi ci sono ma vanno nelle mani sbagliate. Il problema che queste mani sono quelle che hanno il potere, a Roma come a Bruxelles, per cui un’agenda come quella sopra, non la farà mai questo governo (ma ho molti dubbi anche se andasse su un governo dell’opposizione).

Ricordiamoci che per gestire tutta la storia dei migranti (che noi europei contribuiamo a generare con le nostre politiche non solo agricole, ma anche militari ed energetiche), spendiamo una montagna di soldi ogni anno. Se vogliamo che la gente resti a casa sua, devono avere un reddito sufficiente, e siccome alle origini sono contadini e contadine, dovremmo cessare di distruggere le loro agricolture e impegnarci a ricostruirle.

Solo cercando un equilibrio più globale staremo meglio tutti. Ma se invece pensiamo che con queste 4 fregnacce che il governo mollerà ai “trattori” abbiamo risolto qualcosa, allora buonanotte. Io ho cercato di spiegarvelo in sintesi, poi fate voi.