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giovedì 30 gennaio 2014

2014 L7: Nedjma - La Mandorla

Einaudi, 2006

A diciassette anni Badra va in sposa al notaio Hmed, uno degli uomini piú importanti del suo villaggio, nel Marocco interno. Hmed ha quarant'anni e ha già ripudiato due donne che, secondo lui, non gli hanno saputo dare un figlio. Badra subisce ogni sorta di angherie del marito e della suocera, che la valutano soltanto per due cose: la verginità al momento del matrimonio e la sua capacità riproduttiva. La gravidanza non arriva e la famiglia si incattivisce finché lei decide una ribellione inaudita: scappa di casa, rischiando di essere uccisa e si rifugia clandestinamente a Tangeri. E qui scopre un mondo per lei inaspettato, fatto di gente piú libera, piú ricca, piú colta. La rieducazione del proprio corpo all'amore. La cognizione, via via piú sicura, che il proprio sesso («la mandorla») è uno strumento di potere nel rapporto con gli uomini, ma anche una forma di identità individuale e di elevazione spirituale. La mandorla rappresenta un caso letterario unico. Si tratta di una «narrazione intima», ed è insieme un romanzo e la testimonianza di una storia vera. L'autrice ha deciso di rompere un antico tabú, di violare la regola del silenzio sulla vita matrimoniale e sessuale delle donne arabe. Ne è nato un racconto erotico coinvolgente che è anche un coraggioso atto politico.

Questo é come lo presentano. A me ha fatto un effetto diverso. Ho torvato il linguaggio altamente improbabile, limite scaricatore di porto.. e la storia non é che mi sembra un gran atto politico come cercano di presentarlo. Boh, sará che sono vecchio io...

martedì 28 gennaio 2014

2014 L6: Liana Millu - Il fumo di Birkenau


"'Il fumo di Birkenau' di Liana Millu è fra le più intense testimonianze europee sul Lager femminile di Auschwitz-Birkenau: certamente la più toccante fra le testimonianze italiane. Consta di sei racconti, che tutti si snodano intorno agli aspetti più specificamente femminili della vita minimale e disperata delle prigioniere. La loro condizione era assai peggiore di quella degli uomini, e ciò per vari motivi: la minore resistenza fisica di fronte a lavori più pesanti e umilianti di quelli inflitti agli uomini; il tormento degli affetti familiari; la presenza ossessiva dei crematori, le cui ciminiere, situate nel bel mezzo del campo femminile, non eludibili, non negabili, corrompono col loro fumo empio i giorni e le notti, i momenti di tregua e di illusione, i sogni e le timide speranze." (Dalla prefazione di Primo Levi) 

Ho giá detto nei giorni precedenti come questo libro sia una serie di pugni allo stomaco, necessari... Candidato alla Top dell'anno, anche se LIana se ne é andata da tempo voglio qui ringraziarla.

domenica 19 gennaio 2014

2014 L5 Julie Otsuka - Venivamo tutte per mare

Bollati Boringhieri 2012

"Da anni" ha dichiarato Julie Otsuka, "volevo raccontare la storia delle migliaia di giovani donne giapponesi - le cosiddette "spose in fotografia" che giunsero in America all'inizio del Novecento. Mi ero imbattuta in tantissime storie interessanti durante la mia ricerca e volevo raccontarle tutte. Capii che non mi occorreva una protagonista. Avrei raccontato la storia dal punto di vita di un "noi" corale, di un intero gruppo di giovani spose". Una voce forte, corale e ipnotica racconta dunque la vita straordinaria di queste donne, partite dal Giappone per andare in sposa agli immigrati giapponesi in America, a cominciare da quel primo, arduo viaggio collettivo attraverso l'oceano. È su quella nave affollata che le giovani, ignare e piene di speranza, si scambiano le fotografie dei mariti sconosciuti, immaginano insieme il futuro incerto in una terra straniera. A quei giorni pieni di trepidazione, seguirà l'arrivo a San Francisco, la prima notte di nozze, il lavoro sfibrante, la lotta per imparare una nuova lingua e capire una nuova cultura, l'esperienza del parto e della maternità, il devastante arrivo della guerra, con l'attacco di Pearl Harbour e la decisione di Franklin D. Roosevelt di considerare i cittadini americani di origine giapponese come potenziali nemici. Fin dalle prime righe, la voce collettiva inventata dall'autrice attira il lettore dentro un vortice di storie fatte di speranza, rimpianto, nostalgia, paura, dolore, fatica, orrore, incertezza, senza mai dargli tregua.

Bel libro. Interessante esempio di scrittura corale. Credo sarà nella top dell'anno.

giovedì 16 gennaio 2014

2014 L4: Valeria Parrella Lettera di dimissioni



Einaudi2013

Da dove si comincia a raccontare la propria storia? Un inizio Clelia lo ha trovato lontanissimo nel tempo, è il 1914 e la nonna Franca arriva a Napoli dalla Russia, e lí resta. Da quel punto sull'asse del tempo Clelia dispiega una dopo l'altra le fortune e le sfortune della famiglia che conosce e di quella che non c'è piú, cercando nelle foto e nei racconti tramandati una verità da far combaciare alla vita di oggi. Oggi, Clelia è una donna che si nutre del successo e della stima di chi, fino a qualche tempo fa, lei stessa disprezzava, e che pare essersi assuefatta «al male minore». Se ne accorge all'improvviso, e quasi non ci crede. Dov'è finita la passione che la faceva innamorare di tutto, dov'è finito l'amore per Gianni?
È solo raccontando - a se stessa, prima di tutto - il proprio passato, che Clelia potrà trovare il punto in cui qualcosa si è rotto, comprendere che «le cose non si compiono all'improvviso, ma all'improvviso le vedi nel loro intero».

Bella scrittura, efficace, nuova. Peccato per la fine, un po' cosi'.... Un'autrice da seguire...

Reciprocitá




Quella che vedete sopra é una mappa delle basi militari francesi in Africa.

Alcune sere fa ho assistito ad un dibattito sulle guerre in Mali e Repubblica Centroafricana, cosa c’era andata a fare la Francia etc. etc.

Ovviamente c’era un militare difensore della tesi secondo la quale noi europei (e francesi in particolare) dobbiamo seguire con attenzione cosa succede laggiù e quando necessario dare una mano (intervenire) per evitare guai peggiori.

Era presente anche Aminata Traoré, ex ministro della Cultura del Mali, brava scrittrice e persona impegnata su questi temi.

A un certo punto mi sono appisolato e mi è capitato di sognare alcune frasi. Ho chiesto a mia moglie se era vero che le avevo sentite, ma mi ha detto di no, solo un sogno.

Nel mio sogno, uno dei partecipanti discuteva della deriva fascistizzante che sta prendendo piede in alcuni paesi europei, Ungheria in testa, del clima di accresciuta insicurezza per i cittadini africani che vengono ad aiutare le moribonde economie europee, per cui l’Unione Africana aveva avanzato la proposta di aprire un paio di basi militari, una nel sud del Portogallo e l’altra al confine con l’Ungheria, in modo da avere sul posto una forza di intervento rapido in caso le cose degenerassero. Il costo dell’operazione sarebbe stato finanziato parzialmente dai paesi più ricchi della regione e una prima missione sarebbe stata inviata da lì a poco per identificare le aree dove mettere le basi.

Il rappresentante europeo a questo dibattito si infuriava, dicendo che questo era una nuova forma di colonialismo alla rovescia e che era evidente che il vero interesse non era di aiutare a stabilizzare la democrazia ma di rinforzare le posizioni dei piccoli e medi imprenditori africani sul nostro suolo.

La contro risposta usava gli argomenti ufficiali dei governi europei ed americani per giustificare i loro continui interventi in Africa in nome della democrazia, e con falsa ingenuità, il/la rappresentante africano/a (non ricordo il genere) avanzò la correttezza del principio di reciprocità, che dovrebbe valere in tutti i trattati internazionali.

La discussione era diventata immediatamente molto rumorosa… e mi sono svegliato… mia moglie ha detto che il rumore ero io che russavo…

Peccato però, perché sarebbe stato un dibattito interessante…

sabato 11 gennaio 2014

Combattenti europei nella djihad in Siria




Così titolava l'altro giorno una delle grandi radio francesi: Plus de 200 Français sont partis faire le djihad en Syrie 

Altri siti (http://www.jforum.fr/forum/international/article/etude-israelienne-les-jihadistes) parlano di un migliaio e più e finalmente si arriva anche a stimarli in più di duemila.

Ovvio che questo cominci a preoccupare. In Francia il dibattito è lanciato sul perchè questi giovani si lascino facilmente indottrinare e poi partano per combattere queste guerre. 

Preoccupa molto anche il fatto che poi alcuni rientrino al paese e inizino a reclutare altri giovani da mandare laggiù.

Anni fa scrissi qualcosa sulla confrontazione di valori e disvalori tra il mondo capitalista e il sud del mondo. In particolare scrivevo che l'imposizione forzata di un modello consumistico e spendaccione in società a bassi livelli di reddito, con ancora una forte presa religiosa, poteva generare delle risposte, variabili da paese a paese, ma basate sul denominatore comune del rifiuto. Rifiuto di quel mondo esterno visto come una imposizione che rischiava di far perdere il controllo sulla società, per cui, dagli Amish al GIA algerino non mi stupivo se questi tendessero a chiudersi sempre di più per evitare di affrontare una sfida asimmetrica dalla quale sarebbero usciti sicuramenti battuti.

L'Iran di Khomeini entra bene in questo "modello" e certamente i sogni di Al Qaida di riportare indietro l'orologio del tempo di qualche secolo fanno pensare a una prima teorizzazione su scala globale del rifiuto (primo passo) ma anche del contrattacco contro i nemici del Nord. Questa seconda tappa, che prese il via con l'11 settembre, sta trovando una forma diversa, più sottile, che passa attraverso l'esportazione nell'occidente di quel sogno del rifiuto del modernismo e dell'ateismo, tutto visto come parte dello stesso disegno satanico delle forze capitaliste. Trovano un terreno fertile nelle periferie degradate e abbandonate dalle istituzioni statali, per cui pian piano il numero di reclute europee aumenta. Noi vediamo la punta dell'iceberg, cioè quelli che partono all'estero a fare la guerra, e il numero cresce rapidamente, ma non vediamo ancora la dimensione che sta prendendo questa campagna di reclutamento nei nostri paesi perchè siamo talmente presi da altri problemi.

Soprattutto mi sembra manchino nelle analisi (almeno quelle francesi ascoltate fin'ora, dato che in Italia non ho trovato granchè) il legame tra il fallimento del modello che vogliamo esportare noi, paesi capitalisti a vario livello, e quindi la reazione che questo suscita nelle dirigenze politiche e religiose locali. Voler mettere assieme nel discorso politico occidentale la superiorità del modello capitalistico con l'idea di esportare la democrazia, il tutto condito essenzialmente da traffici di armi, ha dato il meglio prima in Afghanistan, da dove torneremo a casa con le ossa rotte, ma poi è riuscito a superarsi prima nella Libia e adesso in Siria. 

Vogliamo abbattere dei despoti per sostituirli con facce nuove che però restino ai nostri ordini, condiamo il tutto con le solite parole di sviluppo e democrazia, ma poi ci aggiungiamo la salsa dell'ipocrisia per cui facciamo ritornar di moda il vecchio detto: Armiamoci e Partite.

Solo che adesso, e la Siria ce lo rimanda in faccia ogni giorno di più, la nostra avanzata è finita e comincia il lento ritorno dalla campagna guerriera mal concepita e peggio portata avanti. Il riflusso ci porterà più reclute antisistema nei nostri paesi, una capacità di influenzare le regioni instabili che si va riducendo ogni giorno di più, lasciando quindi praterie aperte ai cinesi e quanto altro. Il tutto mentre continuiamo a sperare che quel modello che ci ha portato alla crisi attuale, un misto di affarismo-gangsterismo lontano anni luce dai precetti di una economia liberale, possa portarci fuori da questa crisi. Non succederà, perchè si tratta di un modello essenzialmente escludente, che elimina lavoro e premia i soliti ricchi, per cui di fatto prepara il letto per le future reclute alqaediste nei nostri paesi.

Buona giornata




 

2014 L3: Sabri Louatah - Les Sauvages


Flammarion, 2011

Un samedi de mai, à Paris. Sur les affiches et les écrans, un visage souriant promet à la France que « l’avenir, c’est maintenant ». Pour la première fois, le favori de la présidentielle est un candidat d’origine algérienne.
Le même jour à Saint-Étienne. Dans la turbulente famille Nerrouche, c’est la fièvre des préparatifs de mariage. On court, on s’engueule, on s’embrasse… Mais le jeune Krim, témoin du marié, ne cesse d’aller et venir, en proie à une agitation croissante dont personne ne comprend la cause. 
Est-ce l’atmosphère de malaise entourant l’alliance entre un Kabyle et une Arabe ? La rumeur selon laquelle le jeune époux est homosexuel ? Ou bien est-ce le flot de SMS que Krim reçoit de son mystérieux cousin ?
En vingt-quatre heures seulement, tous les fils se nouent et se dénouent : la collision entre le destin d’une famille et les espoirs d’un pays devient inévitable.

L'autore è originario di Saint Etienne ed è di origine kabyle. La storia intreccia questi due aspetti, in una lingua, nei dialoghi soprattutto, che riesce molto difficile da seguire. Le querelles tra arabi e kabyles sono ben descritte, due mondi in competizione fra loro, così come lo sono, sotto l'apparente unicità, le varie anime arabe: algerini contro marocchini e via dicendo.
Secondo me ci sono troppi personaggi e buttati lì fin dall'inizio. L'intrigo comincia a prendere forma ma alla fine del libro (il primo) non si capisce assolutamente il perchè di quello che succesede alla fine (che non racconto...)
Grande successo in Francia, io resto perplesso...

lunedì 6 gennaio 2014

2014 L2: Manuel Vazquez Montalban – Tatuaggio



Feltrinelli, 2004

Il primo romanzo con Pepe Carvalho. Secco, diretto al cuore, pochi fronzoli, una storia dall’apparenza semplice che ci permette di cominciare a scoprire la storia e il carattere di Carvalho. Ancora spigoloso, con momenti difficili da capire come quando si incazza con il professore ubriaco al bar del Pastis, tira fuori il coltello e quasi lo elimina, senza che si capisca bene la ragione. Lua sua complice Charo, prostituta a ore perse, è già lì ad aspettarlo, sempre pronta a qualsiasi ora del giorno e della notte… forse la parte più debole del personaggio, ma che permette di dare un seguito alla sua passione gastronomica infinita. Insomma, un buon libro.

domenica 5 gennaio 2014

2014 L1: Petros Markaris – Resa dei conti





Il primo libro del 2014, la Grecia inaugura l’anno uscendo dall’Euro e le cose peggiorano ancora. L’ispettore Charitos è costretto a lasciar a casa la sua Seat, causa la decisione di pagare gli stipendi pubblici solo una volta ogni tre mesi ed in moneta locale, la dracma svalutata. A cena tutti a casa di Adriana e Charitos, con la figlia e il genero, per fare economia … nelle strade i movimenti di protesta si moltiplicano, la destra estrema prende sempre più spazio… ma questa dimensione sembra solo accennata, lasciando spazio alla serie di morti e a un enigma misterioso, che riporterà indietro l’orologio della storia. Un libro scritto velocemente e che così si legge. La storia forse meritava essere lasciata riposare un po’, l’impressione è che l’Editore abbia forzato lo scrittore a surfare sull’onda dei successi precedenti e a pubblicare un libro dietro l’altro.