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lunedì 29 settembre 2014

Terre (pubbliche) e briganti



In questi d’anni, segnati da un intensificarsi dell’accaparramento delle terre, gran parte delle quali gestiti da comunità contadine sotto regimi consuetudinari, val la pena ricordare un po’di storia patria, particolarmente col passaggio di Garibaldi al sud e l’emergenza del brigantaggio.

La promessa delle terre spiega il grande seguito che Garibaldi ebbe tra gli umili e tra i contadini. Il Decreto del 2 giugno 1860 con il quale Garibaldi stabiliva che i combattenti sarebbero  stati compensati con quote del demanio, suscitò aspettative spasmodiche. La gioia durò poco, fino al 5 settembre dello stesso anno quando il proclama di Garibaldi di esercizio gratuito degli usi di pascolo e di semina delle terre fu revocato. La mancata distribuzione delle terre ai contadini diede luogo a tumulti di piazza e a gravi fatti di sangue in parecchi comuni dell’isola come Corleone, Cinisi, Vicari, Caltanissetta, Cerami, Caronia, Acireale, ecc. Tutta la Sicilia era in rivolta. I fatti più gravi e più noti si ebbero a Bronte, il 7 agosto. Non erano trascorsi neanche tre mesi dallo sbarco di Garibaldi e già la rivolta divampava.

Nei programmi delle forze politiche e nelle scelte economiche del nuovo Stato, i grandi bisogni delle masse povere delle campagne non avevano trovato alcuna risposta. Rispondere, infatti, avrebbe significato, per lo Stato, affrontare la questione della terra, cioè garantire l’accesso alla proprietà ai ceti contadini. In realtà gli uomini che avevano diretto il Risorgimento nazionale erano in prevalenza grandi proprietari fondiari, ostili per interessi e condizione sociale a promuovere quella riforma agraria che avrebbe avvicinato le masse rurali al nuovo Stato. Ai bisogni delle masse povere meridionali rimasero sostanzialmente sordi anche i democratici, tra i quali le idee del socialismo risorgimentale di Ferrari e Pisacane non avevano raccolto molte adesioni. Durante la conquista del Mezzogiorno, i dirigenti garibaldini, infatti, avevano manifestato il loro disinteresse, quando non la loro ostilità, verso le rivendicazioni dei contadini meridionali che si erano avvicinati all’esercito di liberazione con un carico rilevante di aspettative sociali. Di fronte alle proteste contadine volte a ottenere di nuovo i propri diritti d’uso sulle terre demaniali che i latifondisti avevano usurpato, di fronte all’occupazione delle terre, l’esercito garibaldino rispose con la fucilazione dei contadini insorti, come accadde a Bronte; queste azioni e queste scelte si ripercossero a fondo e lontano nella coscienza dei contadini ricacciandoli dall’iniziale adesione al moto liberale unitario in una passività fatta di rassegnazione, di sfiducia e anche di ostilità. Infatti, dopo l’editto di Garibaldi del 2 giugno 1860, le masse rurali si erano illuse che “la rivoluzione unitaria italiana” portasse con sé la tanto sospirata divisione delle terre, ma si dovettero ricredere perché, con l’avvento di Vittorio Emanuele, i comitati liberali, composti da ricchi borghesi ferventi “unitaristi”, si impossessarono delle amministrazioni comunali e delle relative casse, misero mano ai documenti relativi al patrimonio demaniale, sul quale i contadini ed i pastori esercitavano gratuitamente gli usi civici, e lo misero all’asta. In questo modo le terre non infeudate passarono velocemente in loro possesso ed ai contadini, defraudati dei loro secolari diritti d’uso (gli usi civici), rimasero due possibilità: “o brigante o emigrante”. (http://win.storiain.net/arret/num116/artic2.asp)



domenica 28 settembre 2014

2014 L39: Féerie générale - Emmanuelle Pireyre

Il libro fa schifo. Che in più abbia preso il premio Medicis, lascia aperte due possibilità: o la tipa è super raccomandata, tipo BHL, oppure i francesi della giuria sono scesi a livelli degni dello zero assoluto.
Un non senso dalla prima all'ultima pagina. Non si racconta nulla, si mettono in fila delle cazzate che neanche Fantozzi... insomma, da buttare nel cesso.


« J'ai souvent eu l'impression, en écrivant ce livre, d'emprunter des discours tout faits comme on louerait des voitures pour le plaisir de les rendre à l'autre bout du pays complètement cabossées », confie l'auteur.

Rassemblant des échantillons prélevés dans les médias et sur les forums, détournant les sophismes et les clichés de la doxa ambiante qu'elle mixe avec érudition et humour aux discours savants ou sociologiques, Emmanuelle Pireyre organise de magnifiques collisions de sens dans ce roman-collage où la réalité se mêle à la fiction.

Une petite fille déteste la finance et préfère peindre des chevaux ; des artistes investissent les casernes ; un universitaire laisse tomber sa thèse sur l'héroïsme contemporain ; une jeune musulmane choisit pour devise Une cascade de glace ne peut constituer un mur infranchissable... Ainsi sont les personnages de Féerie générale : récalcitrants à l'égard de ce qui menace leur liberté, prompts à se glisser dans les interstices du réel pour en révéler les absurdités.

Avec une jubilation communicative, Emmanuelle Pireyre propose une radiographie de notre conscience européenne en ce début de 21e siècle.

sabato 27 settembre 2014

2014 L38: Mapuche - Caryl Férey



Gallimard Folio 2012

Jana est Mapuche, fille d un peuple indigène longtemps tiré à vue dans la pampa argentine. Rescapée de la crise financière de 2001-2002, aujourd hui sculptrice, Jana vit seule à Buenos Aires et, à vingt-huit ans, estime ne plus rien devoir à personne.
Rubén Calderon aussi est un rescapé, un des rares «subversifs » à être sorti vivant des geôles clandestines de l'École de Mécanique de la Marine, où ont péri son père et sa jeune soeur, durant la dictature militaire.
Trente ans ont passé depuis le retour de la démocratie. Détective pour le compte des Mères de la Place de Mai, Rubén recherche toujours les enfants de disparus adoptés lors de la dictature, et leurs tortionnaires...
Rien, a priori, ne devait réunir Jana et Rubén, que tout sépare. Puis un cadavre est retrouvé dans le port de La Boca, celui d'un travesti, « Luz », qui tapinait sur les docks avec « Paula », la seule amie de la sculptrice. De son côté, Rubén enquête au sujet de la disparition d une photographe, Maria Victoria Campallo, la fille d un des hommes d affaires les plus influents du pays. Malgré la politique des Droits de l'Homme appliquée depuis dix ans, les spectres des bourreaux rôdent toujours en Argentine. Eux et l'ombre des carabiniers qui ont expulsé la communauté de Jana de leurs terres ancestrales...

Salvo imprevisti sarà il libro dell'anno. Storia molto bella, ma forse un po' troppo ... americana.. morti, sparatorie... vabbè, è il suo style e che ce possiamo fare...

venerdì 26 settembre 2014

Le giostre della vita



Poco a poco nuove notizie arrivano permettendo così di cominciare a pensare a scenari futuri per questo povero pianeta e noi che ci stiamo seduti sopra.
unque, riassumendo: abbiamo una potenza globale in lenta ma progressiva perdita di importanza strategica. Se guardiamo all’esperienza Inglese e Francese, la perdita dell’Impero e/o delle Colonie è qualcosa che non hanno ancora digerito dopo tutti gli anni passati. La sostituzione dell’Inghilterra con gli Stati Uniti durante il secolo scorso, foriero di salti in avanti tecnologici e democratici molto evidenti in parecchi paesi, ha lasciato credere a molti che il nuovo equilibrio fosse qualcosa, se non perenne, almeno di lungo periodo.

Non è stato così, probabilmente perché il modello di sviluppo americano, molto dispendioso in energie di tutti i tipi, può reggere finché l’accaparramento viene fatto solo da loro. L’emissione di valuta mondiale, sotto il loro controllo, li ha fatti diventare un problema globale, con un debito che potrebbe diventare un mega problema per tutti. Soprattutto è diventato chiaro che le carte erano truccate: lo erano anche prima ma si faceva finta di non vedere, tanto dall’altra parte ci stavano i Russi ed era evidente che non si poteva stare con loro. Adesso però, caduto il muro, sono caduti tanti tabù, e le verità vengono in superficie. Perdono potere anche perché il loro modello di fatto sta transitando nelle mani di entità sempre più esterne al gioco istituzionale democratico. Oramai non è più la lobby ebraica, o araba o chissà quale.. ma sono le lobby delle Corporates, delle Transnazionali che influenzano gran parte delle decisioni strategiche, dentro e fuori il paese. Le negoziazioni nascoste sul Trattato transatlantico di fatto pur se gestite da entità statali, dietro servono solo gli interessi di queste mega compagnie.

Quindi gli States perdono spazio e potere anche se hanno ovvie difficoltà ad ammetterlo, per cui si cacciano in nuove avventure, con un piede dentro ed uno fuori, come è sta storia della guerra allo Stato Islamico. Noi, piccoli europei, incapaci di una posizione propria, li seguiamo a ruota, con le stesse limitazioni. Entriamo in guerra, cosa che in Francia è stata chiaramente detta alla televisione, e quindi adesso corriamo dei rischi e cioè che la guerra arrivi anche da noi. Qui se ne parla poco, ma ricordate che, ci piaccia o meno, siamo in guerra. Punto e basta.

L’America perde terreno, la Cina avanza, anche se non sembra affatto pronta a prendere quel vuoto che viene lasciato un po’ dappertutto. Mandano avanti le imprese, per conquistare mercati, capire quanto sia forte il rigetto verso i cinesi nei vari paesi dove arrivano, ed intanto cercano di assicurarsi quello che più gli serve, cioè buone terre e grano da mettere nei piatti o trasformare in carne, per una popolazione che non solo aumenta, vuol mangiare di più ma soprattutto meglio.

La Cina non è pronta a fare il gendarme del mondo. Gli Stati Uniti da soli non ce la fanno più. Il nostro aiuto europeo è risibile. La Francia, con le sue basi africane, continua a volersi credere in un’altra epoca storica, ma a parte proteggere i giacimenti di Uranio sembra difficile capire cosa riescano a risolvere i suoi soldati. Molti in Francia pensano che le uniche due ragioni per cui la Francia vuol essere in prima linea contro lo Stato Islamico è la necessità del Presidente Hollande di risalire nei sondaggi e dall’altra di convincere l’Arabia Saudita a chiudere il contratto per la fornitura di armi per un valore di 20 miliardi (ripeto, miliardi) di euro, piazzandoci in mezzo anche il maledetto aereo Rafale che nessuno al mondo vuole perché troppo caro. Se fossero queste le ragioni per cui si va in guerra, incrociamo le dita. Ricordiamoci cosa ha combinato l’intervento francese in Libia. Fatto fuori Gheddafi, dopo che era stato osannato da tutti i capi di stato, primi ministri, Blair, D’Alema, Berlusconi e quanti altri… lasciando dietro un casino che, molto probabilmente, porterà alla spartizione del paese in almeno due tronconi.

Quindi entriamo in guerra senza capire bene il perché, al di là dell’emozione per i decapitati, strategia voluta dall’Is per attirare gli occidentali in un altro ranello. Sul terreno tutti gli specialisti sono d’accordo nel dire che le forze militari esistenti, contro l’Is, non ce la faranno a resistere, per cui servirà l’invio di uomini, nostri, della famosa Coalizione di 40 paesi, esattamente quello che Obama si ostina a negare.

Andiamo in guerra perché gli interessi delle grandi compagnie sono minacciati. Quelle stesse grandi compagnie che continuano a produrre povertà in Africa e quindi migrazione verso casa nostra. Ne avremo sempre di più di immigrati, e nessuno sa realmente cosa fare con loro.

La finanza oramai sta diventando padrona dell’economia globale. Un modello produttivo che ha bisogno di sempre meno mano d’opera si sta imponendo dappertutto, e là dove serve ancora, si lotta per ridurre diritti e remunerazioni. I soldi si trasferiscono dal lavoro al capitale (privato). Chi comprerà in futuro i prodotti che usciranno da quelle industrie è un punto interrogativo al quale nessuno sa rispondere. Abbiamo un altro paio di miliardi di persone da sistemare su questa terra. Le risorse si fanno già rare adesso, terra, e acqua. I capitali privati cercano di accaparrarsi le fonti d’acqua pubblica. Investimento strategico per il futuro, quando bisognerà decidere chi avrà accesso all’acqua e chi no.

Abbiamo una ruota economico-finanziaria che gira e gira. Nella ruota ci sono caselle di speculazione contro una moneta o l’altra, o i vari spread. Ci sono altre caselle con i tassi di interesse variabili, e c’é anche l’accesso al credito, in certi momenti e per certi attori. Poi ci sono i debiti, e i programmi di aggiustamento che le varie Troike hanno pronti per tutti. La ruota gira in un senso. Non sappiamo su quale paese e su quale gruppo sociale si fermerà.

Ma abbiamo anche la ruota dei problemi che gira e gira. Troviamo l’Ebola e gli altri 300mila virus non ancora scoperti ma stimati dalle università americane, che ci faranno sudare sette camicie. Troviamo l’Esercito islamico e i degni comprimari di Al Qaeda che si sente trascurato perché nessuno se lo fila più. Abbiamo lo Stato-nazione che sta sparendo e i conflitti etnici che ritornano, più forti di prima. Abbiamo le ondate di migranti …

Potremmo anche metterci un’altra ruota, delle macro-calamitá se vogliamo chiamarla così: troviamo il cambio climatico che minaccia interi paesi di scomparire, ma abbiamo anche l’accaparramento delle risorse, terra, acqua, sabbia, risorse genetiche…, abbiamo i programmi dei paesi del Nord, tipo il REDD, che riescono a creare conflitti anche dove non ce n’erano prima… Magari ci sono anche caselle positive lí in mezzo.. valle a trová …

Tre ruote che girano.. e che magari finiscono col fermarsi ed allineare caselle negative in tutte e tre le ruote. Ed allora succede il patatrac. Ecco a cosa stiamo giocando. Un giorno può capitare di svegliarci con gli islamici vicini ad Israele, malgrado le nostre difese, assieme all’Iran e ad Hassad (cioè i famosi nemici di ieri). Israele può essere preso dal panico e mollare una bomba atomica e allora salta il banco.

Ma magari molto più semplicemente Al Qaida o i fanatici islamici possono prendere il controllo delle basi pakistane dove si trovano le bombe atomiche.. e salta tutto lo stesso.

Oppure, senza arrivare a questo, basta che una nuova Chernobyl succeda in uno dei tanti paesi a rischio, che parallelamente i milioni di migranti in arrivo in Europa da Africa e medio Oriente si facciano vedere, minacciosi, sulle nostre rive.. noi tutti passeremmo a votare estrema destra… Marine Le Pen è già pronta.. Oppure ci arriva un Ebola in casa.. oppure  oppure oppure…

Stiamo giocando, su tre ruote, sulle quali non si vince. Non esiste la combinazione +++, ma invece esiste la meno, meno, meno. Ci fanno vedere tutti i pezzetti separati, io provo solo a metterli in fila e ricordare che statisticamente le possibilità che le tre ruote si fermino sul meno, meno, meno.. esistono.. eccome.


domenica 21 settembre 2014

2014 L37: Fractures - Franck Thilliez

Pocket 2009
 
Face à la tombe de sa soeur jumelle Dorothée, décédée dix ans auparant, Alice Dehaene, s'interroge : à quoi rime cette photo de Dorothée prise il y a 6 mois, qu'elle a récupérée des mains d'un immigré clandestin?
Alice sait que quelque chose ne tourne pas rond dans sa tête. Son psychiatre à l'hôpital de Lille, Luc Graham, doit lui révéler le résultat d'un an de psychothérapie, lui apporter cette lumière qu'elle recherche depuis si longtemps. Mais les événements étranges qui se multiplient autour de la jeune femme vont l'en empêcher : son père, agressé chez lui à l'arme blanche, et qui prétend avoir tenté de se suicider ; ce chemisier ensanglanté qu'elle découvre dans sa douche, à propos duquel elle n'a pas le moindre souvenir ; et cet homme retrouvé nu à un abri de bus et qui semble avoir vu le diable en personne.
Grâce à l'intervention de Julie Roqueval, assistante sociale en psychiatrie, Luc Graham, d'abord dubitatif, se décide enfin à mener l'enquête. Un aller simple vers la folie...

Bel libro, avvincente, di quelli che ti insegnano qualcosa... si conferma autore molto stimolante. Sarà nella Top dell'anno

giovedì 18 settembre 2014

2014 L36: Les derniers jours d'un homme - Pascal Dessaint



Rivages, 2013

Une cité industrielle du Nord-Pas-de-Calais où la pollution a tout gangrené, une cité séparée du monde "sain et normal" par une autoroute, une cité qu'on ne quitte pas, sinon pour aller au cimetière.
A quinze ans d'intervalle, deux voix se répondent. Celle d'un père, Clément, et celle de sa fille Judith. Ce sont des voix endeuillées. Clément raconte la mort de sa jeune épouse et l'horreur de l'usine qu'il finit par quitter, pour arriver au drame qui va tout faire basculer. Judith, elle, est âgée de dix-huit ans et orpheline. Elle parle de sa vie avec son oncle Etienne, qui l'a élevée, et cherche à éclaircir le mystère de la mort brutale de son père. L'usine n'est plus là ; il n'en reste que des traces indélébiles : crassiers, pollution des sols et des cours d'eau, maladies et chômage. Cette usine était la vie des gens, leur gagne-pain, elle a aussi été leur mort.
L'histoire de cette famille décimée, c'est celle de toute une communauté victime de pratiques industrielles dévastatrices et de cynisme d'affairistes voyous. Romancier de l'intime et du réel, Pascal Dessaint évoque le scandale de l'usine Metaleurop à Noyelles Godault, qui fut liquidée sans préavis pour les salariés et rasée.
Avec ce roman choc sur un drame écologique et humain d'une rare ampleur, Pascal Dessaint élargit encore sa palette de romancier noir. Il quitte cette fois le pays toulousain pour renouer avec ses origines d'homme du Nord. Entre révolte et compassion, ni le ton ni le fond de ce livre ne peuvent laisser indifférent.


bello, nella sua tristezza.. sarà nella Top dell'anno

martedì 16 settembre 2014

2014 L35: De l'intérieur, voyage au pays de la désillusion - Cécile Duflot

Fayard, 2014

Le quatrième de couverture est accrocheur : « J'y ai cru. J'ai cru en François Hollande, en sa capacité de rassemblement. J'ai cru en nous tous. Je me suis trompée. J'ai essayé d'aider le président de la République à tenir ses promesses, de l'inciter à changer la vie des gens, de le pousser à mener une vraie politique de gauche. Et j'ai échoué. Alors je suis partie. »

Scritto velocemente, a volte eccessivo nel dipingersi come la donna politica onesta, aperta alle critiche ed impegnata, ma utile per saperne di più, dall'interno, di questa disgraziata presidenza (ex?) socialista che sta portando la Francia in rovina e preparare il letto per l'arrivo di Marine.

giovedì 11 settembre 2014

2014 L34: L'inconnue de la tranchée - Hélène Amalric

Marabooks Poche 2013

Décembre 1914. Le corps d’une jeune femme est retrouvé au fond d’une tranchée, sur le front près de Compiègne. Dans sa main, une Bible et une lettre en anglais, mais rien qui permette de l’identifier.
Qui était-elle, que faisait-elle là et, surtout, comment est-elle morte ?
Cette inconnue, qui pourrait bien être anglaise, embarrasse l’armée. Depuis la déclaration de guerre, le 3 août 1914, les pouvoirs de police ont été transférés aux autorités militaires, mais la gendarmerie a déjà fort
à faire avec le maintien de l’ordre au sein de l’armée. L’état-major charge alors l’adjudant Augustin Lebeau d’enquêter en toute discrétion. Après tout, il maîtrise la langue de Shakespeare, suivait des études de droit…
Aidé de Battendier, médecin-major bourru et cynique, de son ami Ferdinand de Brunet et de Julia Hamilton, une jeune Américaine demeurée en France, l’adjudant Lebeau va, pour remonter la trace de cette jeune femme, écumer aussi bien les premières lignes, où se livrent les terribles combats de l’hiver 1914, que les quartiers de la capitale où les théâtres viennent de rouvrir…

Un libro veloce, di facile lettura, ottimo per il treno la mattina...

martedì 9 settembre 2014

Preparando il futuro



Nel post sulla Terza Guerra mondiale (1 settembre) cercavo di immaginare come potrebbe svilupparsi il future e oramai prossimo conflitto. Aggiungo qui altri elementi di riflessione.

Il punto di partenza sul quale comincia ad esserci accordo riguarda la fragilizzazione dello Stato-nazione. Lo abbiamo sotto gli occhi ogni giorno, partendo dai nostri staterelli europei e le loro beghe interne di separazione (Lega Nord), di mancanza quasi totale di fiducia in chi ci governa (Francia, vedi il caso Hollande).

Lo Stato-nazione rispondeva ad esigenze precise di settori economici importanti. Possiamo essere d’accordo o meno con loro, ma resta il fatto storico che lo Stato-nazione si impose molto rapidamente, tanto da divenire un modello da proporre-imporre anche nella maggioranza dei paesi decolonizzati.

Ovviamente è più facile osservare questa disgregazione lí dove la costruzione era stata fatta senza vere fondamenta. Ed ecco perché siamo cos;i interessati all’Africa. Ce l’abbiamo davanti, osserviamo in diretto cosa sta succedendo in paesi come la Libia, la Somalia, la Nigeria e via dicendo senza avere oramai speranze di rimettere indietro l’orologio della storia. La domanda non è più se quei paesi esploderanno, ma semplicemente quando.

Dalle nostre parti, un po’ sorpresi, assistiamo al referendum scozzese i cui sondaggi annunciano, per la prima volta, una possibile vittoria dei Si. La settimana prossima conosceremo il risultato definitivo. Se dovesse andar bene per i fautori dell’Indipendenza, è molto probabile che i Catalani prenderanno nuovo smalto e ripartiranno alla carica anche loro. I nostri padani faranno un po’di chiasso, ma siccome senza i soldi di Roma non vanno da nessuna parte, non succederà nulla di simile da noi.

Quindi, lo Stato-nazione si disgrega, a vantaggio di cosa? Cosa vediamo all’orizzonte? Le ragioni per un aumento dei conflitti le abbiamo già spiegate varie volte. Non è su quello che voglio tornare. La disgregazione dello Stato-nazione offre (almeno) due possibilità. La prima è di ricompattarsi a livelli superiori, tipo Unione Europea da noi, MercoSur in America Latina e avanti così. La logica resta più o meno la stessa. Cosi come lo Stato-nazione era stato messo lí per garantire il play-ground, il terreno di gioco della nascente economia industriale, oggi che siamo passati ad una tecno-economia finanziaria il terreno di gioco necessario è più grande, per cui lo spazio nazionale non è sufficiente e bisogna giocare almeno a scala europea. Per capirci meglio: se io sono lo sceicco del Qatar che si compra il Paris Saint Germain e i migliori giocatori sulla piazza, dopo non posso certo andare a giocare in serie B. Minimo minimo la serie A ma con l’ambizione di vincere la Champions e restare lí. La proposta che gira da anni fra i “grandi” club di farsi un campionato europeo solo fra di loro, escludendo i piccoletti di tutte le serie A europee, risponde alle stesse logiche. Profitti più alti da spartire fra meno squadre.

Questa riorganizzazione, funzionale alla crescita di scala delle economie nazionali, è quella che sta alla base del disegno europeo attuale. Lamentarsi che manchi tutta la componente sociale è giusto e doveroso, ma bisogna anche dirsi che queste costruzioni (lo Stato-nazione prima e quello sopranazionale adesso), non rispondono a necessità sociali ma economiche dei grandi gruppi.

Questo ricompattarsi a livello sopranazionale, come dicevo prima, si basa sulla stessa logica, solamente si cambia di scala. E qui viene, a mio giudizio, l’errore analitico. Non siamo più di fronte ad un semplice espandersi del mercato nazionale; cioè non si tratta più solamente delle necessità per le grosse industrie, prendi quella automobilistica, di avere come minimo un mercato europeo per realizzare economie di scala. Siamo di fronte ad un cambio logaritmico di potenza che impatta completamente le radici del sistema socio-produttivo attuale.

Il sistema economico nato nell’800 aveva bisogno di un sostengo rappresentato dallo Stato-nazione. Quelle economie sono cresciute, sono diventate sempre un misto di industria e finanza, funzionano a velocità stellari comparate con il secolo precedente e oramai sono diventate adulte… non hanno più bisogno di qualcuno che le aiuti.. oramai fanno tutto da sole.

Ed ecco quindi il secondo scenario, in costruzione attiva da parecchi anni in varie parti del mondo. Da noi si chiama Accordo di Partenariato Transatlantico (TTIP), altrove si chiama ALENA e in Asia ha un altro nome ancora. Si tratta, in parole povere (un dossier completo lo troverete sulle pagine di Le Monde Diplomatique), di riconoscere la supremazia totale delle grandi imprese transnazionali, che si posizionano al di sopra degli Stati e delle loro istituzioni, e che dettano le regole a loro più confacenti. Nel caso un Governo decidesse di fare una legge (metti il caso della Germania, di decidere di uscire dal nucleare), la compagnia privata porterebbe in tribunale la Germania. Non in tribunali normali, ma tribunali speciali che funzionano sotto il controllo della Banca mondiale e degli esperti delle transnazionali. O così o pomí diceva una pubblicità italiana poco tempo fa. Esattamente. 

Si dovrebbe imparare a ballare la rumba degli interessi di classe delle transnazionali. Volete che il vostro governo voti delle leggi antitabacco? Giusto! I governi dell’Uruguay e dell’Australia lo hanno fatto. Adesso però sono stati portati in tribunale dalla Philip Morris. Vorreste dei medicinali a prezzo calmierato? Giusto! Il vostro governo può intervenire sui sistemi di brevetti che rendano certi medicinali cari più abbordabili. Il Canada lo ha fatto. Adesso però deve subire le ire, in tribunale, della compagnia farmaceutica Eli Lily che vuole che le sia resa giustizia. Esempi così ne abbiamo, sfortunatamente, ogni giorno di più.

L’idea che queste multinazionali hanno in mente è la stessa che la Signora Thatcher espose brillantemente quando fu nominata primo ministro: Non esiste quella cosa chiamata società, esistono solo individui  (http://www.thecommentator.com/article/3276/no_such_thing_as_society). Quello vogliono: togliere di mezzo (fino ad un certo punto) l’inutile struttura statale, per poter asfaltare (parola di moda in Italia) tutto il mondo con i loro prodotti, tipo la carne di maiale prodotto con la ractopamina (uno steroide utilizzato per gonfiare le carni magre; dati i rischi per la salute sia degli animali che dei consumatori, la ractopamina è proibita in 160 paesi, compresi tutti quelli dell’Unione Europea, la Russia e la Cina (la Cina, occhio!!!). Sfortunatamente gli allevatori americani l’utilizzano e secondo loro questa proibizione costituisce una distorsione al libero commercio, per cui, se si va avanti con il TTIP sapete già cosa mangerete in futuro. Date un occhio a queste due pagine: una dei suinicoltori industriali brasiliani: La ractopamanina non fa male alla salute umana (http://www.suinoculturaindustrial.com.br/noticia/ractopamina-nao-faz-mal-a-saude-humana/20131003151740_N_954) e l’altra dal sito di informare x resistere (http://www.informarexresistere.fr/2014/01/26/linsicurezza-sanitaria-degli-alimenti-nel-mercato-transatlantico/).

La logica delle multinazionali è quella della guerra contro tutti in nome del profitto. Questo porta anche a conflitti fra di loro, per cui lo Stato torna utile a quei livelli. Serve per organizzare l’attacco o la difesa, in nome di sacri principi: la Democrazia, la Volontá di Dio, finché poi alla fine, esaurite le giustificazioni, si arriva a parlare dei “Nostri Interessi”.

Riassumendo: giá per conto suo l’umanità va verso un futuro prossimo di maggiori conflitti. A complicare le cose arriva la disgregazione della costruzione istituzionale a noi piú familiare, che aprirà una serie di casse di Pandora di possibili conflitti etnici in mezzo mondo. A questo va aggiunto l’effetto catalizzatore che avranno le transnazionali via accordi tipo il TTIP che ci porteranno a togliere quel po’ di sicurezza sociale che ancora resiste da noi, per equipararci a le caste piú povere del sud del mondo. Divide et Impera. A questo ritorneremo. E dato che i costi delle armi leggere continuano a scendere, qualsiasi disputa anche fra vicini diventerà una disputa armata. Da lí a un vero conflitto, prima localizzato e poi piú generalizzato, la strada è breve.

Siamo soli, come cantava, ma per ben altre ragioni, Vasco Rossi. Saremo soli, di fronte a entità che non rispondono a nessuno (a parte i loro azionisti). Una volta disgregata la “societá“ saremo pronti per batterci come in Rollerball. Tutti contro tutti. Cominciamo ad allenarci.







domenica 7 settembre 2014

2014 L33: Etranges rivages - Arnaldur Indridason

Points (2014)
 
Erlendur est de retour ! Parti en vacances sur les terres de son enfance dans les régions sauvages des fjords de l'est, le commissaire est hanté par le passé. Le sien et celui des affaires restées sans réponse. Dans cette région, bien des années auparavant, se sont déroulés des événements sinistres. Un groupe de soldats anglais s'est perdu dans ces montagnes pendant une tempête. Certains ont réussi à regagner la ville, d'autres pas. Cette même nuit, au même endroit, une jeune femme a disparu et n'a jamais été retrouvée. Cette histoire excite la curiosité d'Erlendur, qui va fouiller le passé pour trouver coûte que coûte ce qui est arrivé ...
C'est un commissiare au mieux de sa forme que nous retrouvons ici !

Questo è quanto scrivono loro. A me il libro è sembrato pesante, tutto girato al passato, triste e, per una volta, non vedevo l'ora di arrivare alla fine. La storia del fratellino scomparso viene rimessa ancora una volta in tutte le salse... sembra quasi che l'autore avesse un contratto che l'obbligasse di scrivere qualcosa con questo personaggio, e quindi a corto di idee si è buttato su storie di una volta. Non il migliore...

giovedì 4 settembre 2014

2014 L32: Le fauve d'Odessa - Charles Haquet


Edition : Le Masque- 2014

« Pour l’apéro, quelques amuse-bouches : des toasts de caviar parfumé à l’urotropine. En entrée : une bonne terrine de porc nourri au clenbuterol, anabolisant bien connu des culturistes. En plat de résistance : méli-mélo de poissons - tilapia aux antibios et saumon aux œstrogènes. Plus besoin de prendre la pilule, mesdames. »


Camille Dupreux, fondateur du cabinet de conseil TracFood, spécialisé dans la traçabilité des aliments, disparaît alors qu’il enquête sur une société louche, qui importe d’Asie des conteneurs de nourriture. En remontant la piste, son associé Marco découvre l’horreur de la contrefaçon alimentaire et le cynisme des industriels occidentaux. De la Chine à Odessa, il cherche la geôle où Camille est retenu par les fauves impitoyables de la mafia ukrainienne, prêts à tout pour faire fructifier leur business.

Chi avesse giá letto Mi fido di te, di M. Carlotto e F. Abate, meglio astenersi. Il libro italiano era fatto molto meglio. Il tema é lo stesso, la sofisticazione e le frodi alimentari.. ma qui hanno voluto aggiungere una patina di "noir" un po' troppo tirata... insomma molti luoghi comuni e un finale da "volemose bbene" come dicono a Roma. Insomma, rimandato a settembre.

mercoledì 3 settembre 2014

Marne Rosse a Vicenza il 12 settembre, Venerdí, ore 19.00 alla Fattoria Sociale il Pomodoro a Bolzano Vicentino...



Con un bicchiere di Amarone in mano si guarda all’orizzonte un cementificio che sta mangiando il vigneto e sorso dopo sorso il vino scompare lasciando solo un retrogusto amaro.
Dal silenzio di anni omertosi e corrotti nasce una voce che pian piano ha la forza di urlare. Una generazione più attenta al mondo in cui viviamo preferisce vedere il verde delle colline e lotta contro il grigio delle ceneri che scendono dal cielo. Ogni cambiamento si scontra però con la resistenza di una politica collaudata, con minacce mafiose, con l’abitudine e la rassegnazione. Ma una volta risvegliati non è più possibile chiudere gli occhi.

lunedì 1 settembre 2014

Che razza di guerra sarà la terza?



Da alcuni giorni questa domanda mi gira in testa. Quello che sembra assodato è che non sarà come le precedenti, dove era abbastanza chiaro chi stava da una parte e chi stava dall’altra, nonché il teatro delle operazioni.

Stavolta sembra chiaro che si andrà su geometrie variabili: tanto le alleanze (amici-nemici) come le ragioni per combattersi potranno essere diverse nello stesso periodo di tempo (ma su geografie diverse) oppure nelle stesse zone (ma in tempi diversi). Insomma, sarà roba da perderci la testa.
Eppure questa costruzione la stiamo già vedendo all’opera. Prendiamo il Medio Oriente: da un lato abbiamo la decennale contrapposizione tra Stati Uniti ed Iran, alla quale è venuta recentemente (20 anni fa) sovrapporsi una contrapposizione con quello che prima era l’alleato chiave degli americani contro gli Iraniani, Saddam Hussein.

A un certo punto salta fuori Al Qaida e quell’altro ex alleato degli americani, Bin Laden, la cui famiglia, prima, durante e dopo l’11 settembre faceva e fa affari con gli americani. Bin Laden, fedele alleato, a un certo punto si rompe le balle e decide di distruggere i cattivi del mondo occidentale. Diventa un cattivo, viene punito e a quel punto si sperava che Al Qaida fosse sparito. Invece no, rinasce sotto le ceneri ed anzi si moltiplica, andando a creare casini nuovi anche in Africa. Saddam viene fatto fuori perché non aveva seguito il detto romano (“nun t’allargá”), ma pensando che basti eliminare un dittatore per risolvere un problema, l’Iraq da quel giorno diventa un casino dal quale nessuno ha idea di come venirne fuori.

Nel casino saltano fuori gli esegeti del Califfato. All’inizio tutti li prendevano per emuli di Al Qaida, poi invece salta fuori che Al Qaida li combatte, e che globalmente tutti cominciano ad aver paura di sti quattro pezzenti che poco a poco son diventati un pezzo chiave nell’altra intricatissima rogna locale, la Siria. Probabilmente, anzi sicuramente, sovvenzionati da Assad figlio, per sparigliare le carte degli oppositori siriani e costringere gli occidentali a riallinearsi dietro di lui, riesce nell’intento di rafforzarli. Adesso quindi anche gli iraniani ne hanno paura per cui fanno accordi semi segreti con gli americani per combatterli assieme. Anche la Siria vuol fare lo stesso giochetto e propone ufficialmente agli americani di bombardare a casa loro (in Siria) ma dopo essersi messi d’accordo col governo di Bashar al Assad, il nemico che, dall’altra parte, gli americani, col nostro appoggio europeo, stanno combattendo.

Quindi, chi sta con chi? La risposta è: dipende. Noi europei siamo sempre vigili… quindi abbiamo una posizione nettissima.. cioè, quasi netta.. anzi no.. su tutto questo. Mandiamo armi ai Peshmerga per combattere quelli del califfato. Ma i peshmerga sono soldati curdi, di uno stato che non esiste e che vorrebbe tornare ad esistere, dopo il genocidio turco dei primi del 900. Quindi noi diamo armi ai curdi, ma non siamo a favore di uno stato curdo, ovviamente.

Occhio che non metto la storia palestinese in mezzo, altrimenti bisogna andare a prendere due aspirine immediatamente.

Questo è quindi un esempio di cosa ci aspetta nel futuro… dico futuro? Ma non sta giá succedendo? Cosa manca perché la chiamiamo guerra? L’invio di soldati nostri, italiani e/o europei? Ma non ci sono già? Per operazioni di mantenimento della pace? Forse ci manca una riflessione sul concetto della futura guerra. Per riconoscere, quando questo succederà, che ci siamo già in mezzo.

La guerra del futuro si fará ancora come si faceva una volta: per ragioni etniche. Ricordiamoci che la storia del conflitto nell’ex Jugoslavia è ancora recente… i conti non sono stati saldati e il Kossovo è ancora lì a ricordarcelo. Guerre etniche… la mia mente va subito all’Africa. Saranno etniche perché salterà il tappo dello Stato nazione, nella maggior parte dei casi inventati dalle potenze coloniali al momento di dividersi il Continente e poi quando si è trattato di lasciargli da soli con le Indipendenze. 

Salteranno, uno dopo l’altro, perché malgrado la parvenza di istituzioni democratiche, sotto sotto cova il fuoco. I miei consulenti mi raccontano cosa succede sul terreno, e posso garantire che ognuno sta “puxando a sardinha pela sua braça” come dicono i portoghesi, cioè ognuno cerca di imporre gli affari suoi contro gli altri. Ho giá avuto modo di far notare come il prezzo medio delle armi sia sceso parecchio, per cui ogni scintilla adesso può diventare un incendio.

Saranno magari anche guerre batteriologiche. Gli Ebola del futuro magari non saranno facilmente controllabili, e invece di fare qualche migliaio di morti in Africa, inizieranno a farli da noi.
Tante possibilitá… resta la domanda del perché. Perché nuove guerre quando dovremmo aver capito dall’esperienza precedente che non servono? Come non servono? A tutto un settore industriale servono eccome. Ma anche a chi vuole mettere le mani sulle riserve strategiche, non solo oramai oro, petrolio e gas, ma anche a tutti quei microelementi e minerali fondamentali per i nostri telefoni. 

Pensate al Litio: senza litio niente batterie di telefoni e niente batterie per le future macchine elettriche. Quindi chi vuol avere una industria forte di macchine elettriche deve assicurarsi i rifornimenti di Litio. I francesi vogliono avere una forte industria nucleare. Perfetto. Quindi cosa fanno? Controllano militarmente i siti di uranio in Africa. La ditta privata Areva va a braccetto con le basi africane dell’esercito francese. Realmente crediamo che i parà francesi siano lí per difendere la democrazia? Quale democrazia? Quella in Repubblica Centroafricana dove i mussulmani sono cacciato dai cattolici?  

Ragioni per fare guerre ce ne sono, anche troppe. Soprattutto perché tutti pensano, nello scenario attuale, che un piccolo conflitto in più passerà inosservato nel casino generale. Il business di mandare qui gli immigrati, spellandoli vivi, non solo metaforicamente: quanto ci guadagnano tutti quelli che ci stanno in mezzo?

Noi del Nord che ci siamo dati le Nazioni Unite, le forze di interposizione, di mantenimento della pace, i soldati di Mare Nostrum etc etc.. oggi come oggi non abbiamo più i soldi per pagare tutto questo. Quindi si dovrà scegliere. Ma mettetevi dalla parte di qualcuno che voglia conquistare un pezzo di terra (non dico Putin…) o fare affari illegali (immigrati, droga e tutto il resto): chi glielo impedirà? Delle sanzioni economiche? Per cui si va avanti, finché a un certo punto qualcuno griderà Basta e allora inizierà ufficialmente quel conflitto che abbiamo già dentro di noi.