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mercoledì 30 novembre 2016

L’infinito addio di Fidel


La processione della settimana santa continua, e finirà solo nel prosismo week-end quando le spoglie del Lider Maximo saranno inumate nella sua città.

Ho aspettato un po’ prima di scrivere qualcosa, essendo i sentimenti un po’ misti. Come tutti (o quasi) credo che si debba dargli atto della liberazione di Cuba da una situazione di sottosviluppo culturale e economico dove l’aveva confinata lo zio Sam. Detto questo, va anche ricordato che non era da solo in questa avventura, iniziata col primo tentativo di sbarco del 1953, ma grazie alla sua parlantina, la cultura gesuitica e a una ego smisurata, riuscì ben presto a imporsi come il gran capoccione. Quella era un’epoca in cui si privilegiavano gli eroi solitari, ma non era un obbligo. Fu una scelta, di uomini in carne ed ossa. Ed ecco che quando apparve sulla scena un possibile prim’attore come il Che, Fidel fece di tutto per allontanarlo in modo da evitare la sua ombra.

Fidel fece peró un’altra cosa, poco conosciuta dal gran pubblico, ancorchè tutto fu fatto alla luce del sole. Ricordando che era figlio di un produttore agricolo con una relativa (grande) estensione di terra, senza essere un vero e proprio latifondista, quando si trattò di promuovere la nazionalizzazione delle terre in mano alle imprese americane, la versione di riforma agraria che venne proposta era alquanto blanda, fissando un limite di oltre 400 Ha al di sopra dei quali si diventava soggetti all’esproprio. Con questa legge si eliminavano i grandi latifondi improduttivi, ma si lasciava chiaramente una parte importante all’iniziativa privata, cosa che era abbastanza in linea con le idee fondamentali di Fidel. Come si trova scirtto sul sito marxismo.net,  questa legge “Non intaccava in maniera rilevante il potere delle multinazionali, che potevano mantenere il possesso dei terreni oltre il limite stabilito, a discrezione del governo. A un’analisi approfondita non differiva da altre leggi di riforma applicate in altri paesi dell’America Latina” (http://www.marxismo.net/opuscoli/cuba.htm)

La reazione isterica degli Stati Uniti di Eisenhower, che rifiutarono in blocco questa legge, provocó una accellerata svolta in direzione di un socialismo in salsa sovietica, con una nuova legge di riforma agraria che avrebbe cancellato di fatto la proprietà privata. Che Fidel avesse realmente in mente quel modello resta materia ancora aperta tra gli storici. Quel che è sicuro è che non avendo lui stesso domestichezza con il tema agrario, dovette seguire le direttive ideologiche che portarono rapidamente al potere una casta di burocrati che si impegnarono a copiare pedissequamente un modello che non aveva nessuna possibilità di funzionare, non rappresentando nè gli interessi degli operai nè quello dei contadini.

Da quel momento la storia divenne quella conosciuta, di un leader attaccato al potere, mantenuto in quel posto dalla ignoranza (e l’odio) americana, facendone un burattino di decisioni che venivano regolarmente prese altrove.

La grancassa mediatica locale, il controllo assoluto dei media e l’impossibilità per una qualsiasi forma di opposizione democratica di organizzarsi e di essere accettata in quanto parte fondamentale nella dialettica politica, permisero al regime castrista di affermarsdi, controllare tutti i gangli vitali e approfittarne per mettere le mani sul formaggio, con un nepotismo tipico di quello che consideriamo il terzo mondo (che oramai abbiamo in casa anche noi).

Fosse morto subito dopo la presa del potere, l’indomani della prima legge di riforma agraria, oggi saremmo qui a celebrare un eroe al pari (e forse più) del Che. Ma lasciare all’apice della propria fortuna non ha mai contraddistinto gli uomini di potere. Il voler mantenersi negli anni, a tutti i costi, grazie all’appoggio datogli dagli Stati Uniti che ne hanno fatto il “male” assoluto, permettendo così di sfruttare a fini di appoggio interno tutto quanto veniva sparato dai media americani, fa sì che oggi guardiamo con distacco e un certo fastidio la dipartita di uno degli uomini che avrebbero potuto rappresentare molto per le speranze degli oppressi e che invece, al pari di tanti che l’hanno seguito, ultimo Chavez o il prossimo, Mugabe, ha contribuito moltissimo ad allontanare le masse giovanili da ideali e valori socialisti.

Non piango per la tua morte Fidel, perchè credo che i molti demeriti successivi, abbiamo largamente oscurato gli aspetti positivi all’inizio della tua avventura. RIP Fidel, ma speriamo di non aver più bisogno di falsi eroi e falsi miti, perchè la lotta collettiva per migliorare questo mondo e le condizioni di vita di milioni e milioni di poveracci si possa fare senza dover ricorrere a figure come la tua.



2016 L52: Jonas Jonasson - L'analphabète qui savait compter

LES PRESSES DE LA CITE (2013) 

"Statistiquement la probabilité qu'une analphabète née dans les années 1960 à Soweto grandisse et se retrouve un jour enfermée dans un camion de pommes de terre en compagnie du roi de Suède et de son Premier ministre est d'une sur quarante-cinq milliards six cent soixante-six millions deux cent douze mille huit cent dix.
Selon les calculs de ladite analphabète."

Tout semblait vouer Nombeko Mayeki, petite fille noire née dans le plus grand ghetto d'Afrique du Sud, à mener une existence de dur labeur et à mourir jeune dans l'indifférence générale. Tout sauf le destin. Et sa prodigieuse faculté à manier les nombres. Ainsi, Nombeko, l'analphabète qui sait compter, se retrouve propulsée loin de son pays et de la misère, dans les hautes sphères de la politique internationale.
Lors de son incroyable périple à travers le monde, notre héroïne rencontre des personnages hauts en couleur, parmi lesquels deux frères physiquement identiques et pourtant très différents, une jeune fille en colère et un potier paranoïaque. Elle se met à dos les services secrets les plus redoutés au monde et se retrouve enfermée dans un camion de pommes de terre. À ce moment-là, l'humanité entière est menacée de destruction.

Bello. Da leggere e da ridere, stesso senso dell'umorismo del precedente. Sarà ovviamente nella top.
E con questo chiudo l'anno dato che adesso devo occuparmi del trasloco indesiderato.

martedì 29 novembre 2016

2016 L51: Antonio Fusco - La pietà dell'acqua


Giunti, 2015

È un ferragosto rovente e sulle colline toscane ai confini di Valdenza viene trovato il corpo di un uomo, ucciso con una revolverata alla nuca, sotto quello che in paese tutti chiamano “il castagno dell’impiccato”. Non un omicidio qualunque, ma una vera e propria esecuzione, come risulta subito evidente all’occhio esperto del commissario Casabona, costretto a rientrare in tutta fretta dalle ferie, dopo un’accesa discussione con la moglie. Casabona non fa in tempo a dare inizio alle indagini, però, che il caso gli viene sottratto dalla direzione antimafia. Strano, molto strano. Come l’atmosfera di quei luoghi: dopo lo svuotamento della diga costruita nel dopoguerra, dalle acque del lago è riemerso il vecchio borgo fantasma di Torre Ghibellina, con le sue casupole di pietra, l’antico campanile e il piccolo cimitero. E fra le centinaia di turisti accorsi per l’evento, Casabona si imbatte in Monique, un’affascinante e indomita giornalista francese. O almeno, questo è ciò che dice di essere. Perché in realtà la donna sta indagando su un misterioso dossier che denuncia una strage nazista avvenuta proprio nel paesino sommerso.
Un dossier scottante, passato di mano in mano come una sentenza di morte, portandosi dietro un’inspiegabile catena di omicidi. E tra una fuga a Parigi e un precipitoso rientro sui colli, Casabona sarà chiamato a scoprire che cosa nascondono da decenni le acque torbide del lago di Bali. Qual è il prezzo della verità? E può la giustizia aiutare a dimenticare?


Bello!! Assolutamente consigliato, sarà nella Top.




2016 L50: Saskia Noort - Petits meurtres entre voisins


Folio policier 2009

Karen et Michel ne regrettent pas d'avoir quitté la capitale pour le petit village où ils viennent s'installer. En plus d'un rythme de vie apaisé, ils ont trouvé un cercle social des plus grisants : un groupe d'urbains convertis aux bienfaits de la campagne qui partagent comme eux le goût de la bonne chère, des boissons et de l'argent. Ensemble ils fondent un club et passent leur vie les uns chez les autres.
Subrepticement, pourtant, l'équilibre vacille. Un violent incendie éclate en pleine nuit chez un des couples, tuant le mari. Autour de cette mort brutale, les jalousies et les rancœurs commencent à affleurer : adultère, soupçons de malversations. Et lorsque, quelques jours plus tard, un autre membre se défenestre depuis une chambre d'hôtel, le doute s'installe pour de bon. Puis la peur. Puis l'angoisse : un assassin se cache-t-il parmi eux?...

Poco interessante... da lasciar perdere..

lunedì 14 novembre 2016

2016 L49: Mathias Enard: Remonter l'Orénoque

Actes Sud, 2016

Dans les corps qu'ils ouvrent, les patients qu'ils soignent, et jusque dans leur amitié, deux chirurgiens cherchent, comme à tâtons, une vérité qui justifierait leur propre existence. Youri opère sous les yeux de Joana, la jeune infirmière qu'Ignacio convoite ; au cœur d'un été caniculaire et d'un hôpital en pleine déliquescence, l'un se perd dans la passion comme l'autre dans l'alcool et la folie. Ils pousseront Joana à les fuir, à entreprendre un long voyage au Venezuela : remonter le grand fleuve Orénoque sera pour elle l'occasion de démêler, depuis le ventre tiède d'un cargo, l'écheveau de leurs vies. Au fil de ce voyage vers l'Amazonie, le deuxième roman de Mathias Enard nous emporte au centre d'un triangle amoureux dont les sommets seraient la naissance, le corps et le désir, tous trois si ténus qu'ils ne sont peut-être que des reflets sur les eaux boueuses d'une rivière mythique.

Proprio non mi é piaciuto. E' stata una sofferenza arrivare alla fine, ma non ve lo consiglio proprio.

giovedì 10 novembre 2016

La trahison des clercs - il tradimento dei chierici


I “forgotten” hanno votato, massicciamente per Trump. Come hanno evidenziato molti giornalisti, Clinton ha perso perché per la prima volta da decenni la Rust Belt ha votato per il candidato repubblicano. Alcuni sono lí a ripetere come un mantra: come sia stato possibile, dato che, grazie a Obama, la disoccupazione è scesa al 5%. Ci voleva poco per pensare che ci fosse “anguille sous roche” come dicono i francesi, cioè che ci fosse qualcosa che non andava. Ieri sera ci si è messo il prof. Thomas Porcher di Parigi a spiegare che quel valore, 5%, nasconde una realtà molto più amara, fatta di un numero crescente a ritmi vertiginosi di pasti distribuiti dalle mense dei poveri, a testimonianza di due cose: la prima è che i salari non sono saliti, per cui adesso esiste una povertà diffusa di gente che lavora e vive di carità alimentare, dorme in macchina etc. La seconda che una fetta dei disoccupati, quelli di lungo periodo, non cercano nemmeno più, talmente scoraggiati dalle evidenze che vedono attorno a sè, per cui cala la disoccupazione e aumenta la povertà.  Che sia stata più forte la seconda lo si è capito ieri, quando questa fascia di classe media impoverita, ex classe operaia ha votato per colui che ha saputo presentarsi come l’uomo del cambiamento.

Il punto centrale è proprio questo qui: la casta al potere, repubblicana o democratica che fosse, da decenni predicava la stessa politica economica, il famoso Consenso di Washington, fatto di appoggio totale alla globalizzazione, apertura dei mercati finanziari, chiusura delle migrazioni umane, sviluppo tecnologico tendente a rafforzare l’individualizzazione dell’essere di fronte a quella che decenni fa si chiamava la massa.

Questa era la “populace”, i “forgotten” che da anni non andavano più a votare, quelli a cui nessuno si interessava più perchè non c’era nulla da offrire, non una speranza, nulla.  Lenin aveva insegnato che per fare la rivoluzione a u certo punto bisognava raccoglierlo questo malcontento e costruire su quello la presa del potere. Trump ha cos1i applicato l’ABC del buon leninista.

Non importa discettare su cosa abbia proposto e cosa poi farà. Quella è un’altra discussione. Come sappiamo tra promesse e realizzazioni ne passa di acqua sotto i ponti. Il punto sul quale non mi sembra si sia fermato nessuno è proprio la causa che ha portato poi questi “forgotten” ad essere così scontenti. Per me la causa è abbastanza chiara perchè la vedo all’opera ogni giorno nei tanti paesi dove opero. Un modello economico escludente, concentratore di ricchezze che sta pian piano spazzado via le conquiste sociali, economiche e culturali che decenni di lotte avevano ottenuto, e questo con il beneplacito quasi assoluto delle forze dette progressiste.

Che i partiti di destra siano a favore di quel modello mi sembra tautologico. Sono forze politiche nate per fare quel tipo di lobbying, quindi non sto qui a giudicarle. Giudico invece quelle forze che erano nate in opposizione a questo modello e che, col tempo, si sono fatte prendere in un abbraccio mortale. Ce l’ho con quel mondo intellettuale che ha dimenticato di fare il suo lavoro e ha trovato molto più semplice e soddisfacente starsene in poltrona, ribattendo le solite ovvietà prodotte dal circolo Barnum della comunicazione fittizia e manipolata. Le centinaia di giornali e media ameircani schierati compatti a favore della Clinton hanno sputtanato mondialmente tutta la categoria. Frotte di analisti a spiegarci perchè lui non poteva vincere, ed eccolo lì. Ha vinto lui, il suo discorso che ha toccato le corde sensibili dei “forgotten”. Da politico ha ovviamente aggiunto tutta una serie di altre frasi, concetti, idee una più complicata e rabbiosa dell’altra... Ma se ha vinto ha vinto per quei voti. I “progressisti” non fanno più sognare, per cui, dico io, impariamo la lezione e torniamo a studiare, a cancellare questi partiti e far ripartire qualcosa di diverso dal basso.  Ceteris paribus la Francia voterà a destra, e forse così a destra da far passare la Le Pen, ma non perchè sia fascista, solo perchè da anni sono gli unici ad andare a razzolare in mezzo ai forgotten francesi. Le proposte di Trump non valgono niente e porteranno alla rovina? Lo spero proprio per alcune di loro, ma quando penso al gran programma di lavori pubblici non sono poi cosí negativo. E nemmeno quando dice di esser contro la globalizzazione... Ma comunque non voglio fare la disanima punto per punto, la questione per me è il segnale mandato a tutti noi “di sinistra”. O ci diamo da fare oppure per recuperare quel gap perso da decenni, e ci vorrà tempo ed energie, e, ripeto, di certo non questi politici attuali, oppure accettiamo l’evidenza che saranno altri a raccogliere quei voti. Si chaima democrazia, che ci piaccia o meno.




mercoledì 9 novembre 2016

Elezioni USA: una volta tanto ha perso Wall Street


 Posso capire i sentimenti constrastanti che stanno agitanto l’universo mondo in queste ore, ma nel contempo penso sarebbe opportuno cominciare a ragionare a mente fredda, da una prospettiva europea e in funzione anche dei nostri interessi di cittadini europei.

Fatte salve tutte le derive buffonesche del personaggio, ci sono alcuni elementi da sottolineare in queste elezioni:
1.       
     Una volta ancora gli istituti di sondaggio e i vari opinion-makers dell’insieme dei media si sono sbagliati alla grande. Non è bastato il tonfo del Brexit per capire che non ci si puó fidare delle inchieste dei sondaggisti ma, peggio ancora, chi ne esce con le ossa rotta sono quei media che per lavoro dovrebbero occuparsi di studiare il proprio paese, quegli esperti sempre pronti ad andare in televisione ma mai interessati ad essere lí dove il popolo vero si trova. Traiamone quindi le conclusioni e cominciamo infine a pensare con la nostra testa invece di farci infinocchiare da numeri e numeretti buttai lí come specchietti per le allodole.

2.       Ha perso Wall Street, che già si preparava a un trasloco in grande stile a Washington, portandosi nei bagagli la loro venditrice ufficiale in gonnella. Non mi faccio illusioni che questo schiaffo basti a far rinsavire i finanzieri, ma almeno lasciami godere questo piccolo momento di gioia.
3.      
      Ha vinto il popolo americano della classe bassa e media. Trump ha dimostrato una verità molto evidente anche in Europa ma che abbiamo molte difficoltá ad ammettere (e vedremo cosa succederà in Francia fra poco): questo modello di turbocapitalismo sta distruggendo lavoro (e la natura) a un ritmo forsennato. I ricchi diventano sempre meno numerosi e sempre più ricchi, mentre la classe media si impoverisce, il lavoro sparisce e chi stava giù nella scala sociale si ritrova nel sottosuolo. Una volta c’erano delle forze di sinistra a dire queste cose e a promettere cambiamenti. In America è brillata la stella di Sanders, un politico onesto, coerente, preparato e di sinistra che aveva dato fiato al sentimento di ribellione da sinistra. Il suo partito l’ha fatto fuori, pensando che in quel modo eliminava il problema. Trump ha fatto campagna presso quella gente, lisciando il pelo degli istinti più bassi se vogliamo, ma sicuramente è riuscito ad apparire come l’unico che si interessa a loro. Non ci piace Trump? Perfetto. Non ci piace Marine Le Pen? Va bene. Ma cosa andrebbe fatto per cambiare questo andazzo? I Democratici americani hanno scelto di allinearsi su Wall Street, e giustamente pagano lo scotto di una candidata impresentabile come Hillary. In Francia i comunisti sono scomparsi, cosí come gli ecologisti e i socialisti fanno politiche più a destra dei vecchi partiti conservatori al potere qualche decennio fa. Non parlo dell’Italia per non cadere sempre nel Renzi sí o Renzi no. Il punto resta che se cotinuiamo ad abbandonare il popolo vero, il giorno che andranno a votare lo faranno per chi non li ha dimenticati, poco importa che le promesse siano ridicole o mostruose. Quando mai si é visto che un politico mantenga le proprie promesse? Ricordiamoci Andreotti e la mitica frase secondo cui le promesse in politica si possono anche non mantenere, ma bisogna saperle fare. La questione centrale per chi ancora pensa di essere di sinistra, è l’accettazione pura e semplice di un modello economico che ci porta al baratro. A partire dal momento che cominciamo a dire che altre possibilità non esistono, e quindi non le vogliamo nè cercare nè studiare, la conseguenza logica è che i poveri, i senza lavoro, non vogliamo più vederli perchè non abbiamo nulla da offrire loro. Ed ecco il letto preparato per i futuri populismi o avventurieri come Donald. La sua elezione dovrebbe insegnarcelo, ma non sono sicuro che in tanti lo capiranno.
4.     
            Un’occasione per diventare europei? Grazie a Trump, gli europei dovranno scegliere cosa fare con le armate americane di stanza a casa nostra. Lui dice, banale banale, che se voglaimo la protezione americana dobbiamo pagare. Otitmo, finalmente qualcuno che mette un prezzo a questo. L’unico modo per cercare di convincere i 28 governi che abbiamo bisogno di una difesa europea degna di questo nome, e non più terziarizzata agli americani, era questo: che un Donald qualunque venisse a dire: cacciate i soldi. Forse finalmente cominceremo a pensare a un’Europa unita anche da quella parte.
5.     
           Finalmente, ha perso Obama: dico per fortuna. Avrà fatto tante cose buone (ma a parte gli orti di Michelle non me ne vengono in mente... ) ma Guantanamo non l’ha chiusa, le guerre in medio oriente sono peggio di prima, e soprattutto, guardandolo con gli occhi europei e non della banca centrale di Francoforte, Obama ha aiutato ad esportare la crisi del 2008 verso casa nostra. Loro ne sono venuti un po’ fuori, ma con condizioni lavorative sempre peggiori, per cui si é ridotto il tasso di disoccupazione ma é aumentata la povertà... ma noi da quel casino non ne siamo venuti fuori. Ovvio che abbiamo molte colpe noi, ma un alleato come quello lí io sarei contento stesse un po’ a casa sua.

Detto questo, é ovvio che hanno perso anche le donne, o almeno quelle che speravano, non si sa su quali basi, che Hillary avrebbe fatto qualcosa per loro. Il principio delle promesse non mantenute si applica anche a lei. Già avevamo avuto un Clinton alla casa Bianca per cui possiamo dire di conoscere l’abisso fra le promesse progressiste e quelel poche mantenute. Per cui, da oggi si cambia. Spero che dalle nostre parti si capisca il lavoro profondo di rifondazione che i partiti e movimenti devono fare, altrimenti arriverà anche da noi la stessa tromba d’aria...

martedì 8 novembre 2016

2016 L48: Giulia Caminito La Grande A


Giunti, 2016

Giada è una bambina considerata da tutti perennemente manchevole, troppo minuta, ''una raganella'', che vive malvolentieri a casa degli zii in provincia di Milano. Da che sua madre se n'è andata per trafficare con camion, alcolici e bar nelle colonie italiane in terra d'Africa, Giada non pensa ad altro che a raggiungerla in quella che lei chiama ''La Grande A'', una terra che immagina piena di meraviglie e di promesse.
Ma una volta giunta ad Assab, una cittadina avvolta nell'arsura e nell'aria salmastra, la vita sembra ruotare solo intorno al piccolo bar che Adi gestisce fino a notte fonda, dove Giada fa molte nuove conoscenze: da Hamed, il garzone che non sa scrivere, a Orlando, il compagno della madre animato dalla retorica fascista vecchio stampo; dalla gazzella Checco, che vive in casa come un animale domestico, a Giacomo Colgada, un giovane italiano farfallone che sembra la copia di un attore del cinema. Ed è proprio con lui che inizia la vera storia di Giada: il matrimonio imposto da Adi, le insidie di suocera e nuora, la fortuna economica, il boom del Circolo Juventus di Addis Abeba, gli incredibili viaggi con la jeep nel deserto, i dolorosi chiaroscuri di Giacomo che obbligano Giada al continuo raffronto con una donna dura e intraprendente come sua madre.
Liberamente ispirato alla biografia di famiglia, ''La Grande A'' è il primo romanzo di Giulia Caminito che racconta un pezzo dimenticato di storia italiana con una scrittura inventiva e spiazzante.
Bravissima Giulia! Complimenti. Da leggere. Sará nella Top.