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domenica 31 agosto 2014

2014 L31: La vie est un sale boulot - Janis Otsiemi

Jigal, 2014

À Libreville, Chicano sort de prison, après avoir purgé quatre ans pour un braquage qui a mal tourné ! Adieu la bande de paumés, finies les embrouilles, il veut devenir quelqu’un, un honnête homme si possible… Reconquérir Mira, trouver un boulot, monter un petit commerce et gagner sa galette à la sueur de son front, voilà son rêve ! Mais comment faire quand on a ni sou, ni métier, ni diplôme dans un pays où la corruption est la règle d’or à tous les carrefours ? Car ici plus qu’ailleurs, si la barbe et le grelot ne font pas une chèvre… la vie est souvent un sale boulot !

Più interessante e fresco questo autore gabonese che, senza molte pretese, ti racconta un po' di (mala) vita locale, traffici e rapine varie. Vale più del precedente...

2014L30: Le baiser de Judas - Anna Grue


Gaia 2012
Points 2013

Dan Sommerdahl, doté d’une brillante carrière de directeur artistique et d’un physique ayant fait ses preuves à maintes reprises auprès de ses collègues de sexe féminin, enfile la casquette de Détective chauve avec une classe et un naturel effrayants.
Effrayant pour son meilleur ami Flemming Torp, le commissaire de Christianssund. Celui-ci a tendance à réprouver les méthodes employées par son copain d’enfance.
Dans ce nouvel épisode, Dan vient en aide à une femme qui, après avoir vécu quelques mois d’un amour aussi passionné qu’inespéré, vient de tenter de mettre fin à ses jours en découvrant que son amant, un bellâtre de 25 ans son cadet, a pris la poudre d’escampette avec une coquette somme qu’elle avait gagnée au loto. Sans hésiter, le Détective chauve se lance à ses trousses, même s’il faut aller jusqu’à Goa en Inde pour mettre la main sur cet escroc.
De son côté, Flemming Torp est aux prises avec une affaire de meurtre : un membre d’une secte religieuse, La maison du Seigneur, a été assassiné.
Voilà le commissaire et le détective embarqués dans une enquête qui s’offre une toile de fond contrastée, vice et vertu confondus. On balance ainsi de l’atmosphère confinée d’une communauté bourgeoise et mystique retranchée dans la banlieue de Copenhague à la chaleur étouffante des rues de Goa.

Seguendo il filone nordico, sono cascato su questa danese. No ho letto il primo della serie del detective calvo, ma non mi manca. Il libro si legge, velocemente, la storia sarebbe anche interessante se non fosse, nel realismo, molto improbabile nelle vicende poliziesche e nella figura di ladro gentiluomo del principale protagonista. Vabbè, d' estate si legge un po' di tutto ...

venerdì 22 agosto 2014

2014 L29: La ville rouge - Paolo Roversi



Le 27 février 1958, via Osoppo à Milan, des malfaiteurs dévalisent les fourgons de la Banque d'Italie. Parmi les passants qui assistent à la scène, deux jeunes garçons vont être marqués à jamais : Antonio, 13 ans, décide qu'il entrera dans la police ; Roberto, 8 ans à peine, choisit de devenir bandit. Chacun met tout en oeuvre pour réaliser sa vocation, et bientôt l'affrontement est inévitable...
Sur plus de deux décennies, de braquages sanglants en arrestations musclées, des hôtels de luxe aux barricades étudiantes et aux couloirs de la préfecture, s'élevant dans les hiérarchies de la pègre et de la police, Antonio et Roberto vont se chercher, se trouver, se perdre à nouveau pour mieux s'affronter, dans une ville ou le noir du charbon et le gris des murs sont peu à peu remplacés par le rouge, celui des ambulances dans la nuit, des banderoles des manifestants, du sang sur le pavé...

per chi si ricorda, questa è la storia parallela di un bandito diventato famoso, tragicamente, Renato Vallanzasca, e un coetaneo che invece diventa poliziotto, quest'ultimo probabilmente inventato. Si tratta di una sequenza degli avvenimenti successi nel periodo fra la fine degli anni 50 e i primi anni 70, centrati su questi due personaggi, senza una vera analisi di cosa questo abbia rappresentato per la città, Milano, nè per l'Italia. Non è un giallo, perchè si raccontano le imprese vere compiute da questi banditi, inframezzate ogni tanto dagli scioperi e manifestazioni studentesche. Non è un saggio perchè non approfondisce nulla di quei tempi, insomma, si legge ma non resta nulla.

giovedì 21 agosto 2014

Da dan, dan dan; da dan dan dan …



Penso questo post finchè guido tornando verso casa dopo una settimana di ferie in Francia. Poche canzoni sono così facilmente riconoscibili come quella del titolo, basta fare un paio di accordi e cantare da dan, dan dan, da dan dan dan… e tutti in coro .. “torno a casa siamo in tanti sul treno…” della mitica Equipe 84. 

Forse solo il La Mi Re Mi di Battisti e la sua canzone del sole… chissà…

Torno a casa e ripenso a quanto ascoltato e letto in questi giorni di cieli plumbei, fresco da credersi a fine autunno, pioggia che rende il paesaggio di un verde intenso, irreale per ferragosto. Il vantaggio semplice di andarsene all’estero è che ci si può estraniare dalle estenuanti discussioni sulle riforme italiane, cosa che all’estero non sembra interessare nessuno. Si può alzare lo sguardo, od abbassarlo se vogliamo, per sentire altre storie, altri problemi e cercare di fare il punto.

Jacques Attali è un personaggio pubblico molto conosciuto in Francia, soprattutto per essere stato l’uomop dell’ombra (anche se non tanto) di Mitterand. Produttore di idee e riflessioni, con una carriera all’altezza delle sue (grandi) ambizioni che lo ha portato a dirigere la banca europea degli investimenti, e poi a rimanere sempre attento ai giochi di potere, nazionali ed internazionali. Può non piacere, perché il suo “moi, Je…” è troppo presente nel suo modo di parlare e di essere. Fatto la tara, val sempre la pena di ascoltarlo. Le sue parole hanno fatto eco con quelle che in questi giorni abbiamo sentito sempre di più, alla radio, alla televisione e sui giornali. Il tema: la prossima, forse inevitabile guerra.

Attali sembra abbastanza convinto che ci stiamo dirigendo velocemente verso questo scenario. Nel mio piccolo anch’io da tempo la penso così. Che poi anche vari altri giornalisti sentiti per radio, nel tragitto Francia-Italia, discutessero dello stesso scenario, mi ha fatto pensare. Ciliegina sulla torta: le dichiarazioni del superiore del Domenicani sulla “guerra giusta” da condurre contro gli islamisti. Lo slalom del Papa per evitare di usare la parola “militari, forze armate” nel suo accorato appello alla necessità di fermare questa barbarie faceva tenerezza, ma anche riflettere assai, dati i problemi etici che ci stanno venendo incontro.

La Patria dei diritti dell’uomo si ritrova per l’ennesima volta a discutere di guerre da portare in nome dei superiori valori occidentali. Sembra di sentir parlare George Dublaiù Bush ai tempi di Saddam. Il bello delle guerre passate, se di bello si può parlare, era la relativa facilità di comprensione degli schieramenti: chi stava di qua e chi di là (a parte ovviamente l’Italia che aveva la tendenza a cambiare squadra una volta la partita iniziata, forte del motto: l’importante non è partecipare, ma stare coi vincitori). Ogni campo si presentava come il campo del bene, dello sviluppo e del futuro. Poi si mandava la carne da cannone a farsi macellare e uno dei due campi vinceva. La Francia è riuscita meglio di noi a sedersi al tavolo dei vincitori e guadagnare anche un seggiolino al Consiglio di Sicurezza dell’Onu grazie alla partecipazione allo sbarco di liberazione, della Francia ovviamente. Lo sbarco mai tanto celebrato come quest’anno, si riferiva allo sbarco dell’agosto 44 nel sud del paese, realizzato per fare scopa con quello di Normandia. Truppe francesi, circa trecentomila, hanno partecipato, spesso perdendo la vita, a quello sbarco che venne monetizzato molto bene. Val la pena ricordare come l’80% (ottanta per cento) di quelle truppe da sbarco fossero africani inseriti nell’esercito francese grazie a bastonate e carote (la promessa di un riconoscimento alla fine del conflitto) che non vennero mai mantenute. Faceva pena vedere quei capi di Stato africani a fianco del Presidente francese sulla portaerei ad ascoltare l’ennesimo discorso sui valorosi combattenti.. e nessuno di loro che osasse alzare la voce per dire che senza gli africani oggi sulla Croisette ci sarebbero si i tedeschi, ma non come turisti… come padroni.  

La Francia discute sulle troppe riduzioni di budget a cui è stato sottoposto l’esercito. Proprio adesso che ce n’è ancor più bisogno. Bisogna mantenere la pace in tutta l’Africa francofona che sta esplodendo, bisogna poi pensare a far qualcosa in Libia dove, grazie ai bombardamenti di Sarkozy, seguiti dal nulla di visione strategica, si è riusciti a creare un casino, a mio avviso inestricabile, come l’attuale. Penso che la Libia finirà per spaccarsi almeno in due. La crisi dello Stato nazione arriva, lentamente all’inizio, così come fu lento il processo di decolonizzazione, per poi accellerare di colpo. Di candidati alla separazione ne abbiamo parecchi, alcuni in Africa ma molti di più, e più pericolosi, nel medio oriente. Stiamo riuscendo a perdere la Turchia come alleato in una zona incasinata, spingendola su posizioni sempre più conservatrici e basate su scelte religiose contrarie alla parità uomo donna. Ma siamo contenti di questo, perché se avessimo agito in maniera diversa, facilitando l’avvicinamento della Turchia alla EU, oggi avremmo la guerra ai nostri confini e questo è insopportabile, soprattutto quando non si ha la minor di idea di cosa fare. Almeno finchè le guerre sono lontane stiamo tranquilli. Lontane? Ho detto lontane? Ma l’Ucraina è lontana? E il nostro interesse strategico, per quanto riguarda lo sviluppo di un mercato integrato, per l’accesso alle risorse naturali etc.., ci dice che dobbiamo fare la guerra o la pace con la Russia? Siamo sicuri che spingerla verso Est, nelle mani della Cina sia realmente quello che conviene ai nostri interessi? Io penso di no, e penso che facendo così alzeremo il livello dello scontro senza avere una strategia né le forze per partecipare sul serio alla negoziazione.

Ieri ascoltavo Rai3, la radio, ed anche lì la persona che interveniva, di cui non ricordo il nome e me ne scuso, ricordava come i futuri conflitti avranno sempre di più una componente legata alle popolazioni locali, le loro richieste e le risorse naturali. Esatto.

Ma allora che razza di guerra sarà? Chi starà da una parte e che dall’altra?

Credo dobbiamo toglierci dalla testa i modelli del passato. Sarà un conflitto a molti livelli, con alleanze a geometria variabile, gli stessi che si faranno la “guerra” da una parte, saranno “alleati” su un altro teatro. Lo scenario sarà misto, dato che la comunicazione anzi, diciamolo, la propaganda, avrà un peso fondamentale per far credere agli uni e agli altri di essere dalla parte giusta. Siccome le nostre vite ci sono care, ovviamente più care di quelle della gente del sud, noi non vorremo fare la guerra fisica. Tecnologia e carne da cannone presa là dove si trova, fra i poveri e i reietti del mondo, cioè le periferie e i ghetti americani, poi quegli europei e per il resto abbiamo una riserva disponibile nel sud del mondo. In molti saranno d’accordo anche senza dirlo su una guerra che elimini grandi quantità di persone: siamo già in tanti adesso, e non riusciamo a stare assieme, cosa faremo con gli altri due miliardi in arrivo? Ma queste cose non bisogna dirlo, perché l’importante è che muoiano gli altri, non noi. Quindi ci batteremo per “aiutare” i paesi del sud a risolvere i problemi a casa loro, cioè che si facciano la guerra sul posto e non vengano a portarla a casa nostra. Vedete il caso Ebola: l’unica cosa che interessa sono le misure sanitarie negli aeroporti, per controllare che qualche potenziale ammalato non riesca a passare i filtri ed arrivare da noi. Lo stato deplorevole delle strutture sanitarie del sud nopn interessa nessuno. Avete sentito gli alti responsabili delle Nazioni Unite, OMS e compagnia ricordare questa banalità? Cioè dire alto e forte che senza una ricostruzione seria e strutturale dei servizi sanitari pubblici nei paesi del sud, la questione Ebola potrà forse essere controllata oggi, ma rispunterà domani con un altro nome… Nessuno lo dice, tutti zitti, nel consenso ipocrita di non dire le verità che fanno male ai comandanti del vapore. Dire queste cose vorrebbe dire che bisogna rimettere in questione il modello economico, centrato sul mercato… e ritornare a una centralità del servizio pubblico… Nemmeno il Papa lo dice, occhio… anche lui gira al largo dai temi che farebbero male ai piani alti… E allora avanti col mercato… a quanto è quotata la vita umana a Londra, New York o Shangai?

lunedì 11 agosto 2014

2014 L28: Una brutta faccenda - Marco Vichi

Firenze, 1964. Sono le nove di sera e il commissario Bordelli sta apprestandosi a uscire dal commissariato quando viene bloccato da Casimiro, una sua vecchia conoscenza. L'uomo è agitato e sconvolto, non riesce quasi a parlare. Con calma il commissario attende che si calmi un po' e che gli racconti la ragione di tutta questa agitazione. Casimiro gli spiega di aver trovato un cadavere in un bosco vicino a Fiesole. Il commissario e l'agente Piras si recano sul luogo del delitto ma del cadavere non c'è traccia: il corpo sembra essersi dileguato nel nulla.

Un libro che si legge con piacere. Giallo estivo, da sotto l'ombrellone. 

venerdì 8 agosto 2014

Forza Ebola



Pian piano l’Ebola avanza. Ed è giusto così. Dopo di lui ne arriveranno altri, più forti o più deboli questo lo vedremo a suo tempo. Mi interessa qui ragionare sul panico che comincia a diffondersi e sulle misure che si intendono prendere. Una volta di più si tratta di svuotare l’oceano col cucchiaio, non interessandosi mai alla fonte, ma sempre allo sbocco finale. Quindi i francesi mettono presidi sanitari negli aeroporti, subito imitati dai nigeriani a Lagos. Gli americani si dividono sul rimpatrio di quel medico infettatosi dopo aver lavorato per salvare tante vite umane. Alcuni di loro, tipo Donald Trump, noto filantropo “de noantri” sostiene pubblicamente che questi medici che vanno ad aiutare i poveri ammalati africani devono poi accettare di subirne le conseguenze. Al caro Donald il premio di stupido (per non dire di peggio) dell’anno.

Resta il fatto che nessuno sembra stupirsi che gli unici ad intervenire siano organizzazioni straniere, europee, americane od altro. Le interviste televisive mostrano dei responsabili sanitari nazionali chiaramente oltrepassati dal problema, senza mezzi, senza uomini e senza preparazione. Tutto questo affararsi di Medici senza frontiere o simili fa perdere di vista l’essenziale: da un lato i francesi sono fieri di avere l’ONG più forte del mondo, premio Nobel e tutti quanti, che va a salvare i poveri neretti africani… ma mai che uno si fermi a chiedersi come mai i settori sanitari di gran parte dei paesi africani siano ridotti in quelle condizioni.

E torniamo ancora una volta dai soliti noti, quella banda chiamata Banca Mondiale e Fondo Monetario che hanno imposto delle politiche di aggiustamento strutturale basate sul concetto di tagliare i servizi essenziali dello Stato: salute, educazione e servizi ai contadini. Era una scelta ideologica, ammantata da scuse di tipo economico, per aprire un’autostrada alla privatizzazione di tutto quanto sia possibile. In Africa adesso si trovano cliniche di livello internazionale, e lo stesso dicasi per le scuole. Basta pagare, caro, e si ha tutto. Il che vuol dire tagliare fuori dall’essenziale i quattro quinti della popolazione locale. Quindi, stupirsi che l’Ebola si stia sviluppando nei paesi poveri, quelli dove i conflitti alimentati dai nostri produttori di armi (ricordiamoci che anche noi italiani siamo fra i primi esportari di armi al mondo) si incrociano con povertà croniche, dovute a classi politiche che noi abbiamo scelto ed imposto, e da sistemi agricoli decisi a Washington per produrre prodotti per il mercato internazionale a scapito dell’autosufficenza alimentare.

I francesi dicono “tout se tient”. Tradotto vuol dire che 2 più 2 non può dare che quattro. Abbiamo distrutto la base di quei paesi, artificialmente creati sulla base di considerazioni geopolitiche europee e non rispondenti a una storia locale, gli abbiamo imposto classi politiche affidabili alle nostre potenze e ideologie, abbiamo distrutto le loro campagne e, per finire, abbiamo eliminato quel poco di servizio pubblico che rimaneva nella scuola, nella salute e nelle campagne.

Ben venga l’Ebola, sperando che riesca ad arrivare rapidamente a Washington e a Bruxelles. Solo con qualche milionata di morti bianche forse qualcosa si muoverà.

Per chi volesse approfondire consiglio il vecchio ma sempre utile libro di Susan George, Il Rapporto Lugano (e il sequel uscito poco tempo fa col titolo italiano di “Come vincere la guerra di classe”). Cito: ‟C’è una lotta di classe, è vero, ma è la mia classe, la classe ricca, che sta facendo la guerra, e stiamo vincendo.” Warren Buffett, investitore finanziario, la terza persona più ricca al mondo.
 Stava già tutto scritto.

giovedì 7 agosto 2014

Due italiane rapite in Siria Altre incoscienti da salvare



Questo è il titolo di apertura de Il Giornale, di oggi. Si riferisce alle due volontarie bergamasche di cui non si hano notizie da una settimana circa. L’argomento principale, di cui sono fatte responsabili, è il seguente:
“Meno bello - e questo è l'aspetto che varrà la pena sottolineare, quando tutto sarà finito - è gettare oltre l'ostacolo anche i soldi dei contribuenti per pagare riscatti milionari o imbastire complesse, rischiose, talvolta mortali operazioni di recupero di certe signorine che oltre alla loro vita non esitano a mettere a repentaglio anche quella degli altri”.

Insomma, la colpa di “certe signorine” è che il proprio Paese non abbia una politica chiara ed univoca nei confronti dei terroristi e che alla fine scelga di negoziare per riportare a casa i propri cittadini.  Questo è un modo disinvolto di accusare “certe signorine” di avventurarsi a farsi belle con i malori degli altri tanto, se succedesse qualcosa, alla fine l’Italia paga e le riporta a casa. A Roma hanno un detto che riassume bene il senso dell’argomento usato contro di loro: Fare il frocio col culo degli altri.

Probabilmente il Giornale preferisce “certe signorine” quando si avventurano dalle parti di Arcore, certo minori rischi di essere rapite, per trascorrere delle cene eleganti a far le battone in nome del padrone del Giornale, il pregiudicato che adesso vuol diventare padre della patria e magari anche presidente. Chissà, in quel caso magari sarà vietato a “certe signorine” di andare a fare volontariato in quelle, tante, zone del mondo dove la povertà, la guerra e le violenze contro i più piccoli e indifesi dominano le giornate. In cambio sicuramente il Giornale organizzerà serate “eleganti”, in modo che “certe signorine” possano divertirsi in modi più ameni. Chissà, forse organizzeranno anche loro quei concorsi di fellatio come quello di un bar spagnolo a Mallorca. Ecco come occuparsi degli altri, altro che andare verso gli altri come hanno fatto queste “signorine” e, prima di loro, tante al tre donne. La peggiore di tutte è ovviamente una che, oltre ad essere donna, pretendeva anche fare la giornalista, ma chi non si ricorda delle “due Simone”? Insomma, il Giornale pare avercela proprio con le donne. Mai che si ricordi di uomini rapiti, tipo quel prete, Dall’Oglio: lui non ha avuto diritto al titolo: altro incosciente da salvare!, ledonne invece sì, a testimonianza che questo paese ha ancora una lunga strada da fare prima di parlare di uguaglianza di genere. Certe fogne, come il Giornale, dovrebbero chiudere i battenti: organi di stampa di un potere mafioso che ha rovinato il paese ed anche lo stesso onesto fondatore del Giornale, Indro Montanelli. Siamo al di là del bene e del male. Il mondo brucia, sempre più vicino a casa nostra, e il modello che hanno in mente è quello di chiudere la porta così il casino resta fuori. E invece no, cari amici della fogna giornesca, il mondo va affrontato, e grazie a Dio che abbiamo ancora “certe signorine”  che a ventun anni ci vanno ad affrontarlo, invece di starsene a casa loro o, peggio, alle cene eleganti di Arcore.

lunedì 4 agosto 2014

2014 L27: Des noeuds d'acier - Sandrine Collette


Le livre de poche, 2013




Théo Béranger sort de prison. Dix-neuf mois de rapports humains violents et âpres, qu’il a passés concentré sur un seul objectif : sa libération. Son errance le mène au fin fond de la France, dans une région semi-montagneuse couverte d’une forêt noire et dense. Là, kidnappé par deux frères déments, il va replonger en enfer. Un huis clos implacable, où la tension devient insoutenable.

bel libro, consigliato. Sarà nella Top...

domenica 3 agosto 2014

2014 L26: Enquête sur la disparition d'Émilie Brunet - Antoine Bello

Le détective Achille Dunot souffre d’une étrange forme d’amnésie. Depuis un récent accident, sa mémoire ne forme plus de nouveaux souvenirs, si bien qu’il se réveille chaque matin en ayant tout oublié des événements de la veille.
Quand le chef de la police lui demande d’enquêter sur la disparition d’Émilie Brunet, une des femmes les plus riches du pays, Achille décide de tenir un journal dans lequel il consignera le soir, avant d’aller se coucher, les enseignements de la journée. Lui qui ne jure que par Agatha Christie devient ainsi à son insu le héros et le lecteur d’un drôle de roman policier… dont il est aussi l’auteur.
Très vite, tout accuse Claude Brunet, le mari de la disparue. Il a plusieurs mobiles et aucun alibi. Il se vante à demi-mot d’avoir commis le crime parfait. Mais surtout, il ose critiquer les méthodes d’Hercule Poirot…

bellino.. ma man mano che si va avanti diventa una disanima dei libri di Agata Christie e si perde interesse. L'intrigo sparisce completamente alla fine per cui, come direbbero i francesi, tutto finisce en queue de poisson...

venerdì 1 agosto 2014

Non ne abbiamo piú bisogno



Lo Stato Nazione é morto, viva lo Stato Nazione. Nato dal disfacimento degli imperi dell’800, e funzionale ad un modello di sviluppo economico che necessitava di spazi maggiormente consolidati, i mercati nazionali, lo Stato Nazione ha vissuto il suo apogeo nel secolo trascorso da poco, in particolare al momento della spartizione delle colonie europee in Africa e Asia. Sono stati inventati così una serie di entità territoriali che rispondevano più alle visioni e agli interessi delle ex potenze coloniali, piuttosto che alle consolidate realtà etnico territoriali locali.

Il progressivo emergere di un modello economico ancora più potente, passato sotto il nome di globalizzazione, ha progressivamente messo sotto scacco lo Stato Nazione, sempre meno utile al dispiegarsi di forze economico e finanziarie non più rispondenti (solo) a criteri di bandiera ma soprattutto necessitose di spazi sempre più ampi. Da lì il consolidarsi di mercati supra nazionali, il MEC nel caso europeo. Le crepe sono andate via via ingrossandosi, finché non solo diventava sempre meno funzionale rispetto ad interessi maggiori, ma anche rispetto a forze localistiche che tiravano dalla parte opposta. La progressiva perdita di valore dei nostri Stati membri a scapito di Bruxelles, piaccia o meno, risponde a questa necessità dettata dal mercato globale e da quelle forze che lo controllano (certamente non noi cittadini). Si andrà sempre più verso quel comando superiore, lasciandoci qui da noi a discutere dei dettagli ininfluenti alla marcia globale. Dall’altra parte, in quelle entità regionale create dal nulla con la decolonizzazione, la frantumazione ha cominciato a prendere il via. Lo smantellamento dell’ex Jugoslavia è stato il segnale più vicino a casa nostra, così come il separarsi dell’Eritrea dall’Etiopia aveva annunciato per tempo quello che stiamo vedendo oggigiorno. Il Sudan del Sud si è staccato dal Sudan, il Somaliland oramai è un paese indipendente dal resto della Somalia e, di fronte a casa nostra, la Libia si sta disintegrando in almeno due entità diverse. La pretesa italiana di riuscire a fermare la storia fa sorridere, soprattutto visti i pochi mezzi a disposizione. Gli Stati artificiali si disfanno, e pian piano si comincia a mettere in riga anche quei paesi più grossi che non hanno capito che musica si stia suonando. Il caso dell’Argentina è esemplare in questo. Un giudice americano sta decidendo il futuro di un paese, dando ragione a una banda di speculatori il cui unico scopo è di rapinare la gente. Fra uno Stato e un interesse privato deve vincere il privato. Questa è la stessa logica che aveva fatto sì che una multinazionale del tabacco citasse in giudizio l’Uruguay di Pepe Mujica. Ed è questo il nostro futuro europeo con il trattato segreto che la Commissione sta negoziando con gli americani, dando ancora una volta ragione agli interessi privati su quelli degli Stati membri.

Ci si prepara un futuro dove da un lato risorgeranno ancor di più particolarismi da Medio Evo, micro comunità  territoriali (Padania e simili) che credono di poter rifugiarsi in un cantuccio e così sfuggire al controllo crescente che la finanza sta prendendo sul mondo, e dall’altro al progressivo accumularsi di ricchezza in sempre meno mani, non più responsabili (accountable) rispetto a governi o paesi, ma solo responsabili di fronte agli azionisti. La politica dello struzzo, il rifugiarsi nel “particulare” non servirà a nulla, se non a distogliere forze ed energie rispetto alla vera battaglia che è quella dell’opporsi con ogni mezzo a questa globalizzazione. La discussione sulla governabilitá va portata al livello dove si sta dando la battaglia, cioè non solo a livello di singoli paesi ma anche al livello superiore, dove vengono decise ed imposte politiche e programmi che hanno un effetto immediato sulle vite di milioni di cittadini. Cosa serve parlare di buona governanza a casa propria se poi ti impongono una troika che viene a dettare l’aggiustamento strutturale (non temporale, parziale, ma strutturale, cioè eterno) della tua economia, senza che tu, libero cittadino, possa poter dire alcunché? 

Ecco perché invece di dividere le forze dobbiamo unirle. Magari non vinceremo lo stesso, ma almeno proviamoci.