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lunedì 6 luglio 2020

Un vecchio articolo del 2007 che avevo dimenticato

 

L’evoluzione del concetto di sviluppo rurale nella prospettiva della FAO

 

Paolo Groppo e Arta Alla[1]

1Premessa     

L’articolo illustra in modo sintetico l’evoluzione del concetto di ruralità nella prospettiva dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Agricoltura e l’Alimentazione (FAO) nell’arco dei suoi quasi sessant’anni di esistenza[2]

Le politiche di sviluppo seguite dalla FAO, dal momento della sua fondazione ad oggi, riflettono in qualche modo le varie connotazioni che il concetto di ruralità ha rivestito in questi decenni. Per tal motivo si considera necessaria una contestualizzazione storica nonché, quando necessario, un riferimento alle teorie dello sviluppo ed alle riflessioni che si sono susseguite nella scena internazionale.  

L’articolo si suddivide in tre parti. La prima, Dall’agricultura alla territorialità, offre un percorso storico delle idee dominanti nell’ambito dell’Organizzazione in vari momenti storici in merito allo sviluppo rurale. Nello specifico si presenta una definizione della ruralità e delle politiche settoriali seguite per lo sviluppo delle zone rurali dagli inizi delle attività della FAO e si chiude con l’esposizione di un approccio di sviluppo territoriale, partecipativo e negoziato (PNTD)[3]. Nella seconda  parte, esempi pratici, si riportano due momenti in cui è stata messa alla prova l’efficacia di tale approccio che negli ultimi anni è diventato il cavallo di battaglia del Dipartimento di Gestione delle Risorse Naturali e Ambiente (NR) della FAO. I casi delle Filippine e del Perù sono riportati per illustrare, da un lato, la necessità di riconoscere la presenza di una molteplicità di attori rurali e non, in competizione per l’accesso e l’uso di risorse scarse e limitate (e quindi un territorio come luogo di dialogo e negoziazione) e, dall’altro, la coscienza della necessità di cominciare a pensare a meccanismi diversi di fare politica per quanto riguarda lo “sviluppo” sia rurale che territoriale. Nella terza parte, sezione conclusiva, si presentano alcune considerazioni su queste sfide (territorio come nuovo contesto di dialogo o modi diversi di fare politica di sviluppo) che la comunità nazionale e internazionale deve affrontare e soprattutto sul “come” affrontarle partendo dall’esperienza della Conferenza Internazionale per la Riforma Agraria e lo Sviluppo Rurale (ICARRD) realizzata in Brasile nel marzo del 2006. Un elenco selezionato di testi sono riportati nella bibliografia in modo tale da offrire la possibilità al lettore interessato di approfondire gli argomenti trattati in seguito, li.

 

2. DALL’AGRICOLTURA ALLA TERRITORIALITÀ

 

2.1. Definizione di sviluppo rurale

Prima di entrare nel merito dell’evoluzione del concetto di ruralità, è importante riportare una definizione terminologica di cosa s’intenda per “rurale” secondo la FAO. 

“L’aggettivo rurale è stato usato per definire tutto ciò che fa riferimento alla campagna ed in modo generale alla vita campestre e quindi si trova fuori dagli agglomerati urbani e dalle città di una certa consistenza. Questo termine si usa spesso in opposizione a “urbano” che definisce tutto ciò che riguarda la città”. Secondo P. Georges (1990, 423), il significato del termine “rurale”  è più ampio del termine “agricolo”. Lo spazio rurale non è più soltanto il luogo delle attività agricole ma anche dell’industria, dell’artigianato e del commercio rurale[4]

Questa visione del rurale come più ampio dell’agricolo e come associato strettamente alla vita di campagna è stato ripreso più volte anche in diversi contesti linguistici[5]. Per esempio altre fonti chiariscono che lo sviluppo rurale comprende agricoltura, istruzione, infrastrutture, salute, costruzione di capacità per attività non solo legate all’agricoltura, istituzioni rurali e bisogni dei gruppi vulnerabili, ed ha come obbiettivo “[…] il miglioramento delle strategie di vita degli abitanti delle zone rurali in modo equo e sostenibile, sia da una prospettiva sociale che ambientale, attraverso un miglioramento dell’accesso al capitale fisico, naturale, umano, tecnologico e sociale[6].

 

 

2.2. Sviluppo rurale e riforma agraria

Quello che viene proposto nei paragrafi seguenti è una sorta di tracciabilità (?) della “ruralità” all’interno della FAO a partire dalle evoluzioni e dalle riforme istituzionali che hanno caratterizzato l’Organizzazione fin dai primi anni della sua creazione.

Le radici (e le origini) di quella che fino a dicembre 2006 era la Divisione dello Sviluppo Rurale[7] si  trovano nella Divisione[8] creata nel 1947 ed incaricata del “welfare” rurale. Questa Divisione “[…] fu pensata per essere la coscienza della FAO sulle questioni del benessere rurale, dedicare particolare attenzione alla sociologia rurale, al cooperativismo e al credito e impostare il lavoro della FAO in ambito di economia domestica”[9].

Col trasferimento della sede a Roma, nel 1951, questa divisione venne abolita e le sue competenze suddivise fra la Divisione della Nutrizione (per la parte relativa all’economia domestica) e la Divisione dell’Agricoltura che ereditò due unità tecniche: una incaricata delle istituzioni rurali e dei servizi, e la seconda del “welfare” rurale.

Nel 1959, come parte di una prima riorganizzazione generale, una nuova divisione denominata Istituzioni Rurali e Servizi, venne creata nell’ambito del Dipartimento Tecnico. Le unità tecniche afferenti a questa nuova struttura riguardavano: (i) l’educazione in agricoltura (che implicava i servizi di divulgazione) e l’amministrazione, (ii) il welfarerurale, (iii) i regimi fondiari e la colonizzazione. Fino ad allora il tema “terra” (regimi fondiari) era stato considerato come un settore dell’agricoltura con una visione abbastanza ristretta.  La riorganizzazione del 1959 riflette quindi la percezione di come la questione della terra (ed il problema della riforma agraria che cominciava ad attanagliare più di un paese in quel periodo storico), necessitasse di una nuova casa istituzionale, più amplia e ricettiva. Da lì emerse il legame ultradecennale che lega i due temi -riforma agraria e sviluppo rurale- alla storia istituzionale della FAO.

Nel 1962, di fronte al crescente peso economico che questi temi avevano acquisito nell’agenda mondiale, si decide il trasferimento della divisione all’interno del Dipartimento dell’Economia e degli Affari Sociali. Più tardi, nel 1970, le unità tecniche della divisione vennero rimodellate e se ne aggiunse una quarta relativa ai temi del marketing, del credito e delle cooperative. Nel frattempo l’unità dei regimi fondiari aveva preso il nome di Riforma Agraria, Sociologia Rurale e Istituzioni.

Nel 1972 la Divisione prese finalmente il nome di Risorse Umane, Istituzioni e Riforma Agraria che durò per oltre un ventennio fino alle riforme più recenti introdotte nel 1994. 

Dovendo riassumere il paradigma dei freni allo sviluppo, come era visto all’interno della FAO dell’epoca, pare opportuno citare cinque punti che un conosciuto autore e specialista del tema, ha così ricordato[10]:

i) eccessiva protezione del settore agricolo attraverso mercati chiusi, controllo sui prezzi, crediti sussidiati, canali statali per la commercializzazione ed esenzione dalle tasse del settore agricolo […]; 

ii) inadatto intervento da parte dello Stato nelle decisioni economiche dei produttori, con la conseguenza che molti segmenti dell’economia agro-zootecnica fossero gestiti come parte dell’economia statale; 

iii) innumerevoli regole ed ostacoli ai legami fra gli agenti sociali che avevano come obiettivo il mantenimento dell’economia contadina come una parte separata, quasi autarchica dell’economia […]; 

iv) immobilità del fattore terra e/o eccessiva regolamentazione dello stesso; ciò incoraggiava casi di abbandono e disinvestimento sulla stessa; 

v) ampia eterogeneità nel contesto agricolo, dove un numero ridotto di unità economiche si contrapponeva a una massa di piccoli e piccolissimi produttori familiari senza nessuna possibilità di sviluppo”.

In questo contesto di riferimenti fu organizzata la prima grande Conferenza Mondiale sulla Riforma Agraria e lo Sviluppo Rurale (WCARRD)[11] realizzata a Roma nel 1979 la quale rappresentò un momento di profonda riflessione e cambiamento della visione interna della FAO. Il programma d’azione adottato a maggioranza durante la WCARRD ha costituito di fatto il punto di partenza formale di una nuova visione dello sviluppo rurale attraverso il suo obiettivo principale definito come “crescita con equità e partecipazione”. La partecipazione popolare negli interventi di sviluppo che la FAO aveva già cominciato a mettere in pratica[12], riceve quindi la sua consacrazione come asse portante dello sviluppo rurale.

 

 

2. 3 Territorialità

La WCARRD va contestualizzata in un periodo storico, gli anni ‘80, che si caratterizzano per il travolgente dominio dell’ideologia neoliberista che, rapidamente, spazza via molte delle ipotesi di base su cui era stata costruita la conferenza ed il suo piano d’azione.

La centralità del mercato e la conseguente messa al bando dello Stato e delle politiche pubbliche d’intervento nell’economia, di fatto fa quasi sparire la tematica dello sviluppo rurale nell’accezione amplia e partecipativa che si cominciava a costruire. Tuttavia, gli scarsi risultati di queste politiche così caricate d’ideologia e la parallela comparsa sulla scena mondiale di organizzazioni contadine forti e capaci di influenzare le agende politiche di paesi importanti come il Brasile e le Filippine (entrambi tornati alla democrazia durante gli anni ‘80), fanno maturare anche all’interno dell’Organizzazione una riflessione sulla necessità di riprendere il filo interrotto. 

            Fra le prime critiche all’ideologia dominante vale la pena menzionare quello che si scriveva allora: “[...] Senza capacità di tipo politico e sociale [...], è prevedibile che, con le nuove condizioni dettate dalla mancanza di regole e con la flessibilità delle organizzazioni di produttori, gli agricoltori – senza la forza di forme di organizzazione e di partecipazione democratiche – si troveranno di fronte a nuovi svantaggi derivanti dalle liberalizzazioni in economia e dall’influenza dei poteri locali[13].

Riprendere il filo interrotto di una visione dello sviluppo rurale, a partire da meccanismi partecipativi, richiedeva non solo tempo ma anche forze intellettuali interne ed esterne.

Passata l’euforia degli anni ’80, il decennio successivo si apre con più speranze ma allo stesso tempo con la coscienza che il lavoro da svolgere è molto. Nuove tematiche in parte trascurate e sono pian piano diventate esse stesse pilastri portanti dei temi sopra evidenziati: tra queste, in particolare, la dimensione ambientale e la dimensione di genere che fino alla conferenza del 1979 erano solamente in nuce.

La fine dello scontro Ovest-Est, all’inizio degli anni ’90, lascia finalmente spazio a riflessioni meno dominate dall’ideologia e più radicate nell’analisi del territorio. Da questo punto di vista un’altra dimensione importante che comincia ad esser sempre più accettata è la diversità delle situazioni da affrontare, secondo l’accezione storica, politica, istituzionale, agronomica ecc., che obbliga gli specialisti a inventarsi un nuovo modus operandi diverso dal passato. 

Nasce così un’intensa riflessione interna a cui si accompagna un parallelo sforzo esterno non più solo di ricercatori universitari e/o governi, ma anche di organizzazioni della società civile e organizzazioni non governative. Una visione più sistemica che lascia intravedere fin dagli inizi i presupposti della visione attuale basata sul concetto di territorialità.  

            All’interno della FAO questa riflessione guadagna spazio nell’agenda a partire dal momento in cui viene promossa da funzionari con alta responsabilità. Per questa ragione possiamo indicare la metà degli anni ‘90 come l’inizio ufficiale di una nuova scuola di pensiero. L’allora direttore della Divisione dello Sviluppo Rurale insistette sulle possibilità di costruire un nuovo paradigma dello sviluppo agricolo in funzione di quello rurale e del tutto diverso dal vecchio modello. Inizialmente il punto di riflessione riguardava la tipologia di “nuove” istituzioni considerate necessarie per rendere più partecipativo lo scenario di formulazione ed implementazione delle politiche di sviluppo a livello micro e macro. “[…] In altre parole, è importante che la struttura e le pratiche delle istituzioni pubbliche riflettano la complessità della società rurale in modo tale da poter includere e qualificare la domanda degli attori sociali, in particolar modo di coloro che sono stati esclusi dalle riforme[14]

            A questa visione si aggiungono altre considerazioni relative al ruolo degli attori locali[15] e della società civile; la conclusione si può riassumere con un interessante articolo scritto da De Janvry e Sadoulet[16], nel quadro di una lunga collaborazione con la Divisione dello Sviluppo Rurale, che già nel titolo segnava chiaramente la linea di lavoro: Sette tesi in favore di uno sviluppo rurale di successo. Cosí le riassumono gli autori:

Tesi
Un contesto macroeconomico solido, raggiunto attraverso l’implementazione dei programmi di aggiustamento e stabilizzazione, è necessario ma non sufficiente per raggiungere un buon livello dello sviluppo rurale.

II Tesi
Il vuoto istituzionale creato dalla contrazione dello Stato è attualmente la preoccupazione  maggiore che limita gli incentivi all’investimento da parte dei piccoli proprietari.

III Tesi

La povertà delle zone rurali è stata causata principalmente dal controllo insufficiente che i poveri hanno esercitato sui loro mezzi di produzione.

IV Tesi

I poveri delle zone rurali sono fortemente eterogenei e quindi le soluzioni alla povertà devono corrispondere a questa differenziazione.

V Tesi

I programmi di sviluppo rurale devono basarsi sulla domanda dato che solo i poveri rurali, 

attraverso un’adeguata assistenza tecnica e organizzativa, hanno le informazioni necessarie 

per identificare le soluzioni che più si adattano e che più appartengono a loro. 

VI Tesi

Un approccio nuovo di sviluppo rurale implica un impegno forte e ben definito dello Stato in modo da permettere allo stesso di appoggiare ed integrare il ruolo assunto dalla società civile nei programmi di sviluppo rurale.   

VII Tesi

I problemi della povertà rurale e del sostentamento della popolazione delle zone rurali non possono essere risolti basandosi soltanto sul settore agricolo, anche quando il settore è molto sviluppato.  

            Continuando su questo filone di riflessione nutrita da vari progetti ed alimentata dal dialogo con le organizzazioni contadine, si è gradualmente arrivati allo spostamento dell’attenzione da un concetto di sviluppo rurale al concetto di territorialità. 

Sebbene il filone principale sia nato all’interno del Dipartimento dello Sviluppo Sostenibile (dove si trovava la Divisione dello Sviluppo Rurale), non va dimenticato il lavoro parallelo compiuto da altri dipartimenti, come quelli dell’Agricoltura e delle Foreste, che è risultato in una convergenza di principi, concetti e metodi. Valga a tal riguardo ricordare la piattaforma metodologica principale comune elaborata in questo contesto, chiamata Sviluppo Territoriale Partecipativo e Negoziato (PNTD) [17]

 

2.4. L’approccio di Sviluppo Territoriale, Partecipativo e Negoziato

Il PNTD è un approccio territoriale che ha come obiettivo principale il raggiungimento di un adeguato uso e gestione delle risorse naturali attraverso il dialogo e la negoziazione fra gli attori all’interno del territorio. Gli elementi principali su cui si basa sono:  i) il territorio, visto non solo come spazio fisico ma soprattutto come prodotto sociale in quanto risultato delle interazioni millenarie con i suoi attori; ii) gli attori tenendo ben presente l’eterogeneità che caratterizza i loro interessi e visioni sul territorio, iii) la partecipazione e la negoziazione. Il territorio viene considerato come uno spazio di negoziazione in cui si cerca di rafforzare il dialogo e la fiducia fra gli attori ed aumentare il potere di negoziazione di quelli più svantaggiati. 

La territorialità non pretende di essere esaustiva, ma non risulta opportuno focalizzare l’attenzione solamente sui singoli elementi costitutivi senza ragionare in una logica d’assieme; va considerata come un approccio sistemico che cerca d’integrare la dimensione socio-economica, politico-culturale ed ambientale degli attori sul territorio. Si può affermare quindi che questo approccio è sistemico in quanto assume la complessità di un contesto territoriale ed analizza il rapporto che si stabilisce fra gli elementi presenti in un territorio da una parte e le interdipendenze fra questi ultimi e gli altri territori dall’altra.  

La novità di questo approccio consiste nel fatto che l’enfasi è sull’interazione e sulla negoziazione fra gli attori (accettando il fatto che questa negoziazione possa non dare risultati positivi) oltre che sulla chiarezza dell’obiettivo politico, data la necessità d’impegnarsi per ridurre le asimmetrie di potere in modo tale che queste intenzioni si realizzino. 

Essendo nata sulla base delle riflessioni storiche citate anteriormente, questa visione della territorialità aveva già trovato applicazione in svariate esperienze realizzate sul campo. Un paio di queste sono riportate di seguito. L’enfasi posta sui temi della fiducia, della negoziazione e dell’umiltà di un approccio che accetti come postulato basico il riconoscimento della diversità, ha fatto sì che questa piattaforma fosse al centro delle discussioni della recente Conferenza Internazionale sulla Riforma Agraria e lo Sviluppo Rurale (ICARRD) realizzata in Brasile nel marzo 2006, 27 anni dopo la WCARRD. ICARRD riportava così i temi dello sviluppo rurale e della riforma agraria al centro del dibattito FAO.

            L’esperienza pratica riguardo all’implementazione dell’approccio territoriale è ormai decennale. In molti paesi come Honduras, Brasile, Filippine, Perù etc. sono stati implementati progetti che assumevano tale approccio. Anche in contesti geopolitica a noi più vicini, pensiamo ai paesi dell’Est, troviamo interessanti applicazioni in corso.[18]L’adattabilità di questa visione della territorialità in vari paesi del mondo è probabilmente da attribuirsi all’universalità dei suoi elementi principali sopramenzionati: comunicazione, dialogo e concertazione[19] fra gli attori. 

3. Esempi pratici: 

3.1. Filippine 

Il progetto Sustainable Agrarian Reform Communities-Technical Support to Agrarian Reform and Rural Development (SARC-TSARRD), attuato dalla FAO, mirava ad offrire supporto tecnico al Governo delle Filippine per implementare il Programma di Riforma Agraria (CARP) in modo da garantire un accesso equo alla terra e migliorare lo standard di vita degli abitanti.

La pianificazione per lo sviluppo delle comunità agricole (ARC)[20] esigeva vari interventi strategici e il coordinamento di diversi settori. In questo contesto il Farming Systems Development (FSD)[21] si è rivelato un approccio in grado di rispondere alla complessità delle società rurali facilitando un’analisi dei sistemi agricoli presenti sul territorio per poterne migliorare la  gestione e l’efficienza.

Coscienti delle lacune dei funzionari pubblici dei barangay[22] nel condurre un buon processo di pianificazione territoriale, il progetto creò gruppi locali di pianificazione composti da personale tecnico delle LGU[23], funzionari del Ministero della Riforma Agraria, rappresentanti delle organizzazioni popolari e delle ONG ed enti pubblici e privati. Tali gruppi sono stati formati per essere in grado di formulare progetti di pianificazione territoriale e gestirne l’implementazione, la gestione, il monitoraggio e la valutazione. 

Il target principale sono state le comunità agricole con particolare enfasi nei confronti dell’unità di base della società filippina: la famiglia. 

            L’intero processo si è articolato nelle seguenti fasi: i) formazione intesa come introduzione ai concetti ed ai principi dell’approccio FSD ed alle attività ed ai ruoli di ciascun soggetto nel progetto; ii) capacità di conduzione di un’analisi del contesto socio-economico della comunità, iii) sviluppo delle capacità per la formulazione di un piano territoriale in accordo con i principi FSD; iv) lavoro di campo ed applicazione della metodologia FSD in modo da generare informazioni dirette, v) finalizzazione di un piano di sviluppo; vi) implementazione, mobilitazione delle risorse, monitoraggio e valutazione.  

            Molti dei progetti relativi al miglioramento del settore agricolo e non agricolo, quali infrastrutture, assetto istituzionale, servizi sociali e pubblici, contenuti nei piani di sviluppo delle ARC sono stati realizzati. L’approccio FSD ha inoltre consentito di migliorare ed aggiornare un database con informazioni relative alle famiglie di agricoltori in molte zone rurali del paese, perfezionare la qualità dei piani di sviluppo, nonché le capacità tecniche e di pianificazione di  molti attori, anche nel rapporto fra il governo ed i suoi cittadini, etc. Si può dire che l’implementazione dell’approccio FSD ha permesso il raggiungimento di un equilibrio fra le necessità degli attori e le risorse disponibili nel loro territorio. 

            Le LGU, le agenzie del Governo centrale ed i donor hanno riconosciuto l’efficacia e la praticità dell’approccio FSD nello sviluppo delle comunità rurali nelle Filippine. 

 

3.2 Perù: un processo di partecipazione e di negoziazione per lo sviluppo territoriale della zona centrale della Provincia di Huancavelica (2003-2005)

Il Dipartimento dello Sviluppo Rurale della FAO, in collaborazione con il Centro Peruviano di Studi Sociali (CEPES), ha appoggiato un’iniziativa di sviluppo territoriale partecipativo nella zona centrale della Provincia di Huancavelica in Perù.  L’obiettivo principale di questa iniziativa è stato quello di stimolare il dibattito sulle politiche di sviluppo territoriale sostenibile nelle zone di montagna, attraverso un processo partecipativo basato sul dialogo e sulla concertazione fra gli attori coinvolti.

L’area d’intervento soffre di difficoltà dovute a) alle diversità socio-culturali, economiche, politiche ed ambientali, b) alla concentrazione del potere politico nella capitale che ha causato la marginalizzazione della zona, c) alla mancanza di politiche specifiche pensate per le zone di montagna, etc. Questo ha portato all’adozione di un approccio orientato non solo a valorizzare le risorse presenti nel territorio, ma anche a considerare l’insieme delle dinamiche che ne determinano lo sviluppo.

Per ottenere un uso efficiente delle risorse naturali, evidenziando le potenzialità delle zone di montagna e per garantire uno sviluppo sostenibile, si è cercato di creare un legame fra la situazione locale e le politiche di sviluppo ai livelli più alti. Tutto ciò è stato possibile grazie al coinvolgimento dell’insieme degli attori presenti nel territorio: istituzioni pubbliche, enti pubblici e privati, comunità rurali e organizzazioni locali.

Il processo ha portato all’identificazione delle problematiche della zona, delle cause di conflitto e di tensione da una parte, ma anche delle opportunità e delle potenzialità locali dall’altra. Inoltre le istituzioni locali hanno acquisito maggiore rilievo, in quanto durante l’intero processo sono state considerate come un punto di riferimento per orientare i cambiamenti e migliorare il coordinamento degli interventi fra i vari livelli decisionali . 

Gli attori coinvolti nel processo sono riusciti ad identificare in modo concertato alcuni degli elementi fondamentali per il buon esito del processo. Alcuni di questi elementi sono: 

-       una visione condivisa sui benefici delle associazioni locali, 

-       la legittimazione sociale dei promotori,

-       la diversità degli attori e dei loro interessi, la loro partecipazione attiva, 

-       l’apertura di nuovi spazi di dialogo per la risoluzione dei conflitti e delle tensioni, 

-       la distribuzione delle informazioni e la costruzione delle capacità. 

L’elaborazione di un piano di sviluppo territoriale e negoziato ha aiutato al ripensamento delle azioni pubbliche,  ha stimolato la maggiore partecipazione nei processi di decentralizzazione, ponendo una particolare attenzione all’agricoltura familiare ed alla sicurezza alimentare, alla conservazione della biodiversità, all’aumento del reddito, alla gestione integrata dei sistemi socio-territoriali, e, infine, a valorizzare la ricerca scientifica locale e la cultura andina.

L’esito dell’intero processo ha insegnato che attraverso il dialogo e la partecipazione attiva degli attori locali nella formulazione delle politiche è possibile aprire la discussione per riformare gli interventi pubblici nelle zone di montagna. 

 

4. Conclusioni

Nel 1979 WCARRD aveva cominciato a riconoscere l’importanza della partecipazione della società civile nelle dinamiche di sviluppo rurale. Ventisette anni dopo, la “visione” della territorialità proposta da ICARRD, riconosce la rilevanza fondamentale del dialogo e la necessità di nuove politiche per un accesso equo alla terra ed alle risorse naturali, come condizioni per pensare allo sviluppo futuro..

            Riportando nell’agenda internazionale il tema della Riforma Agraria e dello Sviluppo Rurale e promuovendo una piattaforma di dialogo aperto ai movimenti sociali, al settore privato e non governativo, alle associazioni ed ai sindacati, ICARRD ha posto questo insieme di attori di fronte alla responsabilità di tracciare linee forti di lavoro a partire dalle seguenti considerazioni: i) salvaguardia ambientale, ii) rafforzamento della dimensione di genere nella gestione delle risorse e iii) dialogo e negoziazione fra gli attori coinvolti. 

Partendo da quest’ultimo aspetto, si può dire che la FAO sente sempre di più l’esigenza di ripensare a nuove figure professionali che possano affiancare le professionalità tecniche già esistenti e portare come valore aggiunto una visione dello sviluppo di tipo sistemico basato sulla partecipazione ed il dialogo. E’ in questa logica che si sta lavorando alla caratterizzazione della figura e del processo di “facilitazione territoriale” che si occupa di supportare il processo di concertazione fra gli attori in un determinato territorio.  

Relativamente alla dimensione ambientale ed eco-sistemica vale la pena menzionare l’impegno ed il lavoro che si sta facendo per integrare le riflessioni sorte dall’insieme di progetti e programmi implementati in questi anni, in un’ottica di tipo ecologico, dentro una dimensione di sviluppo che cerchi di tenere assieme compatibilità sociali, economiche ed ambientali.

L’importanza della dimensione di genere, spesso trattata come un elemento indipendente e a se stante, di fatto è poco integrata nella visione che la FAO veicola sul terreno attraverso i suoi interventi. 

La necessità di uno sforzo integrativo è oramai patrimonio di molti cooperanti, per cui si conta di arrivare entro il 2007 ad un primo documento sullo sviluppo territoriale che riesca a mettere assieme l’insieme di queste riflessioni.

 

5. Bibliografia 

-FAO, G. Gordillo, 1996, The reconstruction of rural institutions, in Land Reform, Land Settlement and Cooperatives, FAO: Rome, Italy.  

- FAO, 2006, Organizing a process of participation and negotiation for territorial development in mountain areas: the experience of Huancavelica Central Area, Peru, FAO: Rome, Italy. 

- FAO, Seno-Ani, L. 2002. Participatory territorial planning: the farming systems development approach in community planning in the Philippines, 1995-2002, FAO 

- FAO, Rural Development Division, 2005, An approach to rural development: Participatory and Negotiated Territorial Development (PNTD), FAO: Rome, Italy. 

- FAO and UNESCO, Atchoarena D. and Gasperini. L, 2003, Education for rural  development: towards new policy responses, FAO: Rome, Italy, 

- FAO, 1986, Human Resources Institutions and Agrarian Reform Division 1945-1985, Mimeo.

- FAO, 2005, Thesarious multilingue du foncier, FAO: Rome, Italy. 

- Bonnal. J, 1996, Les acteurs et leurs stratégies vis-à-vis des ressources naturelles: Réflexion méthodologique, in Land Reform… FAO: Rome, Italy

- De Janvry, A. and. Sadoulet, E. 1996, Seven Theses in Support of Successful Rural Development LR.

- FAO 2006: Comunicação, diálogo e conciliação : DTPN mais que um método, uma estratégia  de integração e interação, FAO: Rome, Italy.  

 

 

 



[1]  Nota sugli autori Paolo Groppo è funzionario della Divisione Terra e Acqua, (NRL) (paolo.groppo@fao.org); Arta Alla è consulente in materia di sviluppo territoriale (arta.alla@hayoo.it)

[2] La FAO fu creata il 16 ottobre del 1945. Da allora guida gli sforzi internazionali per sconfiggere la fame. La FAO, al servizio sia dei paesi industrializzati che di quelli in via di sviluppo che di quelli in transizione, rappresenta un foro neutrale dove tutte le nazioni si incontrano alla pari per negoziare accordi e discutere linee di condotta su come modernizzare e migliorare l'agricoltura, la selvicoltura e la pesca, e per assicurare a tutti una buona alimentazione. La FAO è anche una fonte di conoscenza e informazioni.  (http://www.fao.org/UNFAO/about/it/index_it.html)

[3] Per maggiore informazione sul PNTD (Participatory and Neagotiated Territorial Developmenthttp://www.fao.org/sd/dim_pe2/docs/pe2_050402d1_en.pdf

 

[4] FAO, 2005, Thésaurus multilingue du foncier, FAO: Roma. 

[5] E’importante ricordare come all’interno della FAO e di organizzazioni simili, si siano portate avanti delle scuole di pensiero che facevano spesso riferimento a mondi linguisticamente differenti: il mondo anglofono e il mondo francofono si sono disputati (e per certi versi ancora lo fanno) una certa supremazia nella definizione terminologica e quindi concettuale, in modo poi dadi influire sui contenuti dei programmi di intervento dell’Organizzazione.

[6] FAO and UNESCO, 2003, Education for rural development: towards new policy responses, FAO: Rome, Italy, cap. 1, pag. 36.

[7] Con la nuova riforma, la cui implementazione è iniziata a gennaio 2007, il tema della ruralità, nella sua interpretazione più ampia di territorialità si trova all’interno del Dipartimento delle Risorse Naturali, NR (che ha sostituito il Dipartimento dello Sviluppo Sostenibile, SD), suddiviso in tre divisioni tecniche.  

[8] L’ordine gerarchico discendente vede il Dipartimento come l’entità superiore, la Divisione come entità intermedia e il Servizio o Unità come la vera cellula operatrice.

[9] FAO, 1986, Human Resources Institutions and Agrarian Reform Division 1945-1985, Mimeo.

[10] FAO, G. Gordillo, 1996, The reconstruction of rural institutions, in Land Reform, Land Settlement and Cooperatives, FAO: Rome.  G. Gordillo é stato direttore della Divisione dello Sviluppo Rurale creata nel 1994 e poi promosso Assistente Direttore Generale per l’America Latina ed i Caraibi fino a dicembre 2005.

[11] World Conference on Agrarian Reform and Rural Development fu organizzata dalla FAO a Roma. 

[12] Negli anni settanta la FAO implementa il People’s Participation Programme in molti paesi asiatici che poi si espande in tutti i suoi interventi. 

[13] Gordillo.1996 op. cit. pag. 4

[14] Gordillo, 1996, op. cit. pag. 5. 

[15] J. Bonnal, 1996, Les acteurs et leurs stratégies vis-à-vis des ressources naturelles: Réflexion méthodologique, in Land Reform… FAO : Rome

[16] A. de Janvry and E. Sadoulet, 1996, Seven Theses in Support of Successful Rural Development LR.

 

[17]  Sviluppo Territoriale Participativo e Negoziato (Participatory and Negotiated Territorial Development per maggiore informazioni:  http://www.fao.org/sd/dim_pe2/docs/pe2_050402d1_en.pdf

[18] Vedi ad esempio il progetto PLUD in corso in Bosnia Herzegovina www.plud.ba

[19] FAO, 2006, Comunicação, diálogo e conciliação : DTPN mais que um método, uma estratégia  de integração e interação, FAO: Rome, Italy

[20] Agrarian Reform Communities

[21] Il Farming Systems Development è un approccio di sviluppo di tipo olistico che ha come obiettivo l’aumento della produttività, del reddito e del benessere delle famiglie. Il processo comincia con l’identificazione delle neccessità delle persone, con l’analisi della loro situazione attuale e con la preparazione di un piano di sviluppo che faciliti l’accesso alle risorse disponibili per l’implementazione del piano. Per far funzionare il processo in un primo momento é necessario condurre uno studio accurato sulle problematiche che ostacolano le comunità e il miglioramento delle loro condizioni socio-economiche. Le famiglie degli agricoltori vengono incoraggiate a partecipare in modo attivo in tutte le fasi del processo di sviluppo.  

[22] Nelle Filippine barangay è l’unità amministrativa più piccola e corrisponde indicativamente ad un villaggio.

[23] Unità governative locali, sono suddivisioni politiche territoriali che includono province, città, municipi e barangay

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