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mercoledì 23 settembre 2015

2015 L42: La garçonnière - Hélène Grémillon

Ce roman est inspiré d'une histoire vraie. Les événements se déroulent en Argentine, à Buenos Aires. Nous sommes en août 1987, c'est l'hiver. Les saisons ne sont pas les mêmes partout. Les êtres humains, si.

Poche parole per presentarlo ma ci vorrebbe molto tempo per parlarne. Ho trovato l'inizio difficile, ero lí quasi per lasciarlo, poi ho superato le secche iniziali e la storia ha cominciato a prendermi. Quando é venuto fuori che uno dei pazienti di Vittorio era uno dei torturatori della Junta militare, mi son detto che il libro diventava sempre piú interessante. La salita all'Olimpo ha continuato quando l'amico Miguel ha detto aVittorio che lui aveva riconoscuto la voce di uno dei psicologhi che instigavano i torturatori.. e l'autrice lascia planare il dubbio che fosse proprio Vittorio.. per questo Miguel abbandona l'Argentina...
poi parte la parte poco comprensibile del libro.. la crisi di gelosia di Lisandra, spiegata nei dettagli al vecchio professore di tango senza che ce ne sia una ragione chiarissima... questo fa sparire tutto il tema desaparecidos.. Miguel che quindi dopo aver capito che Vittorio stava coi torturatori se neva .. uno pensa che sia sparito per sempre... Eva Maria che ha capito che Vittorioé lo psicologo di torturatori (lei ha perso una figlia nelle torture dei militari), uno si immagina che insomma questo provocherá discussioni, abbandoni... insomma una tragedia.. e invece il libro prende una strada sensa senso, con il venditore di giocattoli, saltato fuori dal nulla, sul quale Lisandra vuole vendicarsi per una violenza da bambina, che non centrava nulla con dittatura o tutto il resto...  e cosí lo attira in casa e si butta dalla finestra per fargliela pagare.. francamente sembra quasi che l'autrice abbia preso a pretesto la storia dei desaparecidos argentini per attirare pubblico, per servirci poi una storia  che, anche se vera, non sta proprio in piedi, cioé é scritta male e si arriva alla fine sperando proprio che finisca e passare al prosismo libro.

venerdì 18 settembre 2015

2015 L41: L'affaire du tarot - Pieter Aspe


"Tu te souviens de l’affaire du tarot ?". Pour meubler une période de calme, Van In et son fidèle acolyte Versavel décident de reprendre une enquête jamais élucidée : 20 ans auparavant, un colonel, un père catholique et un membre du conseil d’Etat avaient chacun été retrouvés assassinés de trois balles, trois crimes signés d’une carte de tarot. Entre une guerre des polices qui refait surface, des scandales institutionnels autour des victimes et de sombres intrigues familiales, l’enquête s’annonce particulièrement complexe. Lorsque le meurtrier au tarot frappe à nouveau, Van In comprend qu’il a ouvert la boîte de Pandore… Intrigue palpitante et passions humaines révélées, écriture soignée et personnages attachants, Aspe prouve avec talent qu’il est capable de se renouveler, pour le plus grand plaisir du lecteur.

Ero partito con tante speranze ma pian piano ho trovato la storia molto ingarbugliata, personaggi un po' troppo caricaturali a volte... sembra quasi maniacale l'attenzione per il sesso da parte dello scrittore e alla fine la storia finisce lasciandoti un po' cosí, come avrebbe detto Paolo Conte....

lunedì 14 settembre 2015

2015 L40: Meurtre à Tombouctou - Moussa Konate

Trois coups de feu. Et dans le silence qui suit : « Sales Français, vous allez tous mourir. Qu'Allah vous maudisse. » Habib, chef de la brigade criminelle, et Guillaume, responsable de la cellule antiterroriste française au Mali, sont dépêchés à Tombouctou où, quelques heures avant les tirs, un jeune Touareg a été assassiné. Dans ce climat délétère, Habib sait qu'il va devoir agir avec prudence.


Moussa Konaté est né à Kita, au Mali, en 1951. Cofondateur du festival Étonnants Voyageurs à Bamako, il était aussi dramaturge et éditeur. Il s'est éteint à Limoges en 2013.

Non male la storia, si lascia leggere con leggerezza...

sabato 12 settembre 2015

Je suis Corbyn

La giornata sta finendo e mentre il nostro “cialtrone” (cito l’aggettivo affibiatogli da un lettore della rubrica di Michele Serra sul Venerdì della Repubblica) se ne va a New York a farsi bello con gli sforzi altrui (la finale Pennetta-Vinci dell’Open di Ne York) (un po’ come dicono qui a Roma: fare il frocio col culo degli altri), lui va a mettere il suo cappello sullo sforzo degli altri (mica che gli sia venuta la fregola di andare a New York a vedere le semifinali, quando le due ragazze potevano perdere, no! Lui ci va adesso che sicuramente una delle due italiane vincerà), ecco mentre l’Italia fa la sua solita figuraccia politica, l’Inghilterra dimostra di non essere solo fatta da figli di buona donna benvestiti e fregoni. Corbyn alla guida del Labour è come il sole dopo un temporale anzi, di più, è come la pioggia dopo una siccità di decenni.

Andare sempre più a destra ha portato al potere i fascisti in Ungheria, i protonazisti sono lì vicini al potere in Germania, per non parlare del resto del Nord Europa. Ecco, forse i popoli cominciano a svegliarsi, non il nostro che dorme. Allora finchè uno va a New York, uno dei suoi ministri, di un ministero totalmente inutile per un paese come l’Italia, il ministero del Turismo, decide di tagliare il personale da musei e biblioteche. Qualcuno un giorno, per sbaglio, ha pensato che Franceschini fosse uno di sinistra. Sinistro forse, ma di sinistra neanche morto. Uno che taglia i posti su quei settori che dovrebbero essere la punta della nostra economia, dimostra senza bisogno di altri gesti che fra lui e il governo di Berlusconi e il suo mitico ministro dell’ economia, Trecarte, non c’è nessuna soluzione di continuità. Trecarte diceva che con la cultura non si mangia, Franceschini non lo dice, lui fa chiudere i musei e le biblioteche.

Che poi ci siano ancora degli italiani che votino per gente del genere, fa parte di quei misteri che nemmeno a Fatima riescono a tenere così bene.

Forza Corbyn, forza Podemos, chissà che finalmente rusciamo a mandare al macero questi politici di terza classe, infeodati al capitale e alla finanza, gente che ci porta alla rovina non solo a casa nostra ma a livello mondiale. Basta leggere e ascoltare cosa dicono sui migranti. Non ne trovi uno, neanche a pagarlo, che riesca a dire due cose intelligenti su questi temi. Il nostro modello di sviluppo crea queste povertà, i nostri interessi sono quelli che creano questi conflitti, per cui finchè non si cambia completamente di modello di vita e di modello politico economico, non c’è nulla da fare. Ne avremo sempre di più, speriamo qualche decina di milioni e allora forse capiranno che ci siamo noi dietro alle forze che li fanno venire qua. Gli idioti alla Salvini sono lì a gridare, tanti idioti su FB sono lì a lamentarsi... ma non ne vedo uno che dica che il nostro modello non va... sveglia... il terzo mondo lo abbiamo creato noi del Nord.. ricordiamocelo.
PS. La speranza è che a New York, chiunque vinca, decida di non farsi fotografare col TinTin... spes ultima dea

giovedì 3 settembre 2015

Sistemas agrarios: hacia un nuevo enfoque territorial?



Sistemas agrarios: hacia un nuevo enfoque territorial ?
Higuerote, Venezuela, 18 de Junio de 2001

Paolo Groppo,
Servicio de la Tenencia de la tierra (SDAA)
FAO

1.         Introducción

El considerar los sistemas agrarios como productos históricos, ha sido seguramente un avance importante en la sistematización de las dinámicas agrarias en el espacio y en el tiempo. Sin embargo, paralelamente a la contextualización histórica de los sistemas agrarios, es importante hacer el mismo esfuerzo con los instrumentos de trabajo, los métodos de diagnósticos sistémico como el DSA, para comprender un poco más sobre su génesis, evolución y progresiva substitución.

Este texto pretende ayudar un poco esta reflexión, aportando unos primeros elementos para el debate metodológico de los próximos días. Siendo ser un borrador para estimular la discusión, les pido sea considerado como una provocación, meditada, pero siempre algo que todavía necesita mucho trabajo para ser consolidado.

2.         Un poco de historia de la visión sistémica dentro los grandes acontecimientos de este siglo

Aun cuando la teoría de sistemas pueda considerar de tener sus abuelos en el siglo pasado (von Berthelaffy), es también indudable que, particularmente en lo referente al sector agrícola, lo esencial de la elaboración sea bastante reciente, los últimos 50-60 años más o menos.

2.1.Los elementos determinantes del mundo moderno alrededor de la década del 30-40

No es un misterio para nadie que en esa época nos encontrábamos en el pleno de un enfrentamiento entre dos grandes sistemas: el socialista (representado por la Unión Soviética) y el capitalista representado por Inglaterra y Estados Unidos. Como lo recuerda muy bien Hobbsbawn[1], las dudas sobre la posible superioridad del modelo Soviético eran muy presentes en el espíritu de los mayores economistas occidentales. El modelo productivo tenía bastante similitudes en los dos campos, siendo basado en el papel central del Estado-Nación con su poder reconocido de controlar los flujos productivos y un modelo fordista de organización del trabajo, con la única, grande diferencia, que en el mundo occidental, la componente sindical era seguramente más autónoma que en los correspondientes países "socialistas".

Esquematizando, desde una perspectiva fordista, tratándose de un sistema intensivo en mano de obra,  era importante una buena organización del trabajo y de los trabajadores, debido a la estrecha correlación con los niveles de productividad. Por el lado de las fuerzas de izquierda, era importante mantener compacto la masa de trabajadores, en función de sus objetivos políticos "revolucionarios". Al centro de estas dos visiones había lo que, posteriormente, habría sido denominado el obrero-masa (Negri). La masa, la comunidad: en ambos modelos, la tendencia era a privilegiar los aspectos que "juntaban" en contra de los que dividían.

Otro característica clave de este periodo, y que se mantuvo por muchísimas décadas, tenía que ver con las relaciones de las potencias coloniales con sus colonias y/o sus poblaciones indígenas. Allí dominaba un paradigma conservador. Los indígenas eran excluidos de toda acción en favor de la preservación del medio ambiente. La hipótesis era que las poblaciones locales, debido a sus prácticas inadecuadas, no eran capaces de asegurar un buen manejo de los recursos naturales y que para eso era fundamental excluirlos de esas áreas[2].

Finalmente, en lo agrícola, las crisis alimenticias de este periodo en Unión Soviética[3], deja automáticamente el "modelo" del farmer  norteamericano como el mejor ejemplo a seguir, aun cuando, la incompleta dominación norteamericana (estamos todavía en la fase de asunción de la primacía mundial, que hasta pocas décadas antes era claramente en las manos de Inglaterra) dejaba mucho espacio a declinaciones/matizaciones nacionales.

El sistema agrícola norteamericano estaba pasando por un cambio a gran escala hacia la motorización y mecanización, (que en Europa solo se dio después de la guerra), la que ha sido definida como la segunda revolución agraria de la época moderna[4].

Por último, aun cuando haya sido un evento menor, algunos historiadores franceses (particularmente Bloch, Faivre, los de la Escuela de los Anales) salían al aire con una nueva impostación de la historia que habría revolucionado de ahí a poco años, la forma misma de leer y analizar los hechos históricos.

Es en este contexto, al finalizarse la guerra, que los intentos de formalización de una visión de sistema agrícola se producen, por parte de la potencia más importante, Estados Unidos. Es evidente como, a la luz de cuanto dicho anteriormente, el modelo que surgía debía presentar las características siguientes:

-           apuntar a una visión de apropiación del recurso natural, sin mucha preocupación para la sostenibilidad (habiendo en la cabeza el modelo de la frontera abierta)
-           una visión hacia futuro, más que hacia el pasado; la historia no importaba mucho porque el "farmer" la estaba creando en ese mismo momento
-           una importancia evidente hacia la tecnología, debido a los logros obtenidos con la recién ultimada revolución agraria
-           todo esto moldeado dentro de una visión "científica" donde se aplicaban la economía y la estadística como ciencias complementares a la agronomía.

No había necesidad de decir lo obvio, o sea la importancia del "safety net" representado por aquellas fuerzas centrípetas en favor de todo lo que agregaba el grupo y hacía comunidad. Esto porque era parte constituyente de la sociedad norteamericana y europea de la época.

Es este el modelo que se va imponiendo progresivamente, acompañando los logros de la agricultura norteamericana y el rápido recupero de las agriculturas europeas después de la guerra. De allí viene el "Farming System Approach" (FSA).

2.2. Del Farming System Approach al enfoque de Sistemas Agrarios

Paralelamente a la declinación del FSA en todas las salsas, se venía imponiendo, dentro de una rama científica que poco tenía que ver con la agricultura, un modelo nuevo de análisis; se trata del método histórico de la escuela de los Anales antes recordada. El impacto de los estudios publicados por Marc Bloch[5] de repente no habría salido de un restricto circulo de iniciados si estos libros no hubiesen caídos en la mano de unos expertos en desarrollo agrícola que, a la luz del proceso de descolonización que empezaba a realizarse, se interrogaban entorno de las herramientas de análisis y de programación de las nuevas economías agrícolas que andaban surgiendo.

Una influencia inicial importante la tuvo Réné Dumont quien fue responsable de los primeros documentos sobre el problema del subdesarrollo agrícola tanto en las colonias francesas, en varios otros países y en la misma Francia. El producto más relevante de su experiencia, el Prof. Dumont lo destiló en la creación de la Cátedra de agricultura comparada del Instituto Nacional Agronómico (INA), donde se empezada a trasladar al sector agrícola el método comparativo que ya se utilizaba en otras disciplinas científicas.

La introducción del método del análisis comparado fue un gran paso adelante, junto con la progresiva incorporación de la historia como elemento clave para entender las diferencias entre los distintos "sistemas agrarios". Es aquí donde se sitúa el aporte central de Mazoyer, discípulo de Dumont[6], que pasa a conceptualizar estos elementos, dentro de los "limites" de aquella época histórica (final de los 60 y década del 70).

Algunas de las características tanto del periodo como de los profesores que más contribuyeron para la nueva formalización (aparte Dumont, M. Mazoyer, M. Sebillotte y M. Dufumier) merecen ser recordados, debido a que el producto (concepto de sistema agrario) no es ajeno a estas influencias.

Por encima de todo estaban las orientaciones socialistas de estos profesores, lo que ayuda a comprender el porque de la introducción en el concepto de "sistema" del elemento de la relación a las necesidades sociales (o sea, el sistema agrario es un producto histórico adaptado a las necesidades sociales del momento).

En este mismo sentido recordamos como en este periodo estábamos en pleno auge de las tendencias "com", comunitarias, comunistas; en la sociedad dominaban las fuerzas centrípetas para juntar los grupos. Esto era cierto tanto en las fabricas, como en las escuelas, en los Partidos políticos, en la Iglesia etc... o sea, la comunidad era la célula social básica de la sociedad que se construya (o que se pretendía cambiar). El postulado de la importancia de la dimensión de sociedad era tan evidente que fue considerado inútil agregarle esta dimensión en la conceptualización del sistema agrario.

Finalmente, aun cuando las tendencias hacia la urbanización ya eran evidentes, la importancia preponderante de las actividades agrícolas en el mundo rural era indudable. Es por eso que la "traducción" práctica de este concepto se daba en dirección del mejoramiento de los sistemas de producción agrícola, dejando de lado las demás actividades, no agrícolas  y/o no rurales que les permitían a los hogares más pobres del campo de sobrevivir.

Como resultado, tenemos el concepto de sistema agrario, formalizado en los primeros años 80, definido como:

“un sistema agrario es un modo de explotación del medio ambiente,
históricamente constituido y durable, un sistema de fuerzas de producción
adaptado a las condiciones bioclimáticas y a las necesidades sociales del momento” (Mazoyer, 1985)

Continuando con Mazoyer: "Consiste por lo tanto, en un modo de explotación del medio ambiente cultivado surgido de las transformaciones sucesivas sufridas históricamente por el medio original, utilizando una combinación apropiada de medios, equipos y herramientas. Esta combinación conforma un sistema, porque el medio cultivado está generalmente compuesto de sub-espacios explotados de maneras distintas y complementarias y los medios de trabajo están constituidos por un conjunto de máquinas y herramientas, necesario y suficiente para manejar los cultivos y el ganado de forma compatible con el estado del medio. Este conjunto de máquinas y de herramientas es necesario y suficiente para reproducir en forma durable las condiciones de producción, es decir, la fertilidad y la manutención de la infraestructura necesaria para la producción.

Sin embargo, esta coherencia interna del modo de explotación del medio lleva a considerar condiciones técnicas económicas y sociales de producción más amplias. Los medios de producción, las máquinas y herramientas, son producidos, mantenidos y reproducidos debido a una división del trabajo específico que corresponde al estado de las fuerzas de producción".

Un análisis más fino de este concepto, nos permite hacer las siguientes consideraciones:

-           dentro de una visión esencialmente agrícola, domina la convicción implícita que el centro del problema sea la fase productiva[7] (se vende lo que se produce); de allí la importancia del análisis histórico de las prácticas agrícolas miradas a mejorar los itinerarios técnicos y el sistema de producción
-           la fuerza motriz sigue siendo considerada la económica (o sea, el control de los recursos naturales entendido como modo de control social)
-           la historia como elemento central del método analítico, soportado por un análisis económico (primeras modelizaciones); el sistema agrario siendo un producto histórico tiene límites temporales y espaciales, no existen modelos universales para todos países y para todos tiempos
-           empiezan a introducirse preocupaciones de sostenibilidad del sistema
-           aun cuando no sea explicitado, existe un cierto determinismo histórico, con la idea subliminal que la substitución de un sistema agrario por otro sea implícitamente inscrita dentro de un camino de peor a mejor
-           finalmente, es evidente la preocupación para que utilizándolo de la forma apropiada, este concepto permita identificar los cuellos de botellas de los sistemas de producción y elaborar propuestas técnico-económicas que le permita a los "tipos" de agricultores de mejorar su productividad y su bienestar económico[8]

En definitiva, se trata de un modelo interpretativo elaborado esencialmente a partir de la experiencia histórica europea, donde por primera vez se reconoce la diversidad y la temporalidad de las situaciones/propuestas, la necesidad de abrir las ciencias agronómicas a otras ciencias (aparte las económicas), dentro de una visión comparada de los acontecimientos históricos.

Que este concepto sea esencialmente pensado en función del "productor arquetípico" (que no es muy alejado de la idea de los "model farmers") y no en función de las necesidades del "grupo", de la comunidad parece muy evidente cuando se vea el silencio absoluto de estos autores cuando aparece en la arena científica el texto de Hardin sobre la tragedia de las comunales[9]. La influencia nefasta que esta visión determinó tanto en el ámbito de investigación cuanto en el ámbito de los interventores en el desarrollo, es conocida y no merece ser tratada aquí, sin embargo es importante notar como los elaboradores y utilizadores del concepto de sistema agrario no entraron nunca en este debate. Es posible que esto sea fruto de un malentendido histórico que acomunó derecha e izquierda en sus juicios sobre los sistemas consuetudinarios que pasaron a ser llamados de "tradicionales" y que subliminalmente pasaban a representar una etapa pasada, que no merecía mucha atención. Además que, siendo más gestores que productores directos, difícilmente la conceptualización sistémica se adaptada a esta compleja realizada de tenencia de la tierra.

Podemos pensar que la preocupación de Mazoyer era, esencialmente, como modular el individuo, dentro de una estructura comunitaria que era considerada si una red de protección (safety net) pero también un freno al desarrollo, de allí la importancia de entender las lógicas técnicas y económicas de los tipos de sistemas productivos (que se aplican a grandes grupos de actores) pero con propuestas miradas a responder a las necesidades individuales.

La conceptualización propuesta por Mazoyer, siendo más respondientes a las condiciones históricas de ese momento, pasó a ser progresivamente conocida, apreciada y aplicada en varios países, particularmente en América latina y en algunos países africanos de habla francesa. Una síntesis entre las dos visiones, la des Farming system y la  de la escuela francesa  no se da por mucho tiempo debido a que los principales autores no comunican en un idioma común, francés por un lado e ingles por el otro, llevando varios años antes que algún otro sistemista empiece a comparar los conceptos que se habían elaborados en las dos escuelas[10]. Por mi propia experiencia personal creo sea posible agregarle  que era opinión compartida que la nueva elaboración francesa representaba un nivel superior de complexidad y de articulación social (cuando comparada con los métodos anteriores existentes), lo que la ponía a un nivel claramente más adelantado si comparada con lo que existía en materia de Farming System Approach.




2.3. La década de los 80: cambio de paradigma económico y "fin de la historia"

La llegada al poder de la ideología neo-liberal en los dos bastiones del occidente, Inglaterra (Thatcher) y Estados Unidos (Reagan) ha marcado de forma significativa el cambio de visión económica hacia un enfoque neo-liberal, mucho más marcado por el mercado que anteriormente. En pocos años hemos pasado de una visión donde "se vendía lo que se producía", a una donde "se produce lo que se vende", para un mercado cada día más segmentado, lo que está teniendo implicaciones considerables en las economías agrícolas de muchos países.

La década del 80 que se abre con este cambio epocal, se termina con otro cambio aun más importante, la caída del Muro de Berlín y la desaparición de la Unión Soviética, lo que lleva a un conocido escritor a teorizar el fin de la historia[11].

Las implicaciones de estos hechos no han aparecido rápidamente a los sistemistas y al revés, podemos decir que estas dos décadas (80 y 90) es cuando más se aplicaron los diagnósticos con base en la escuela de sistemas agrarios (desde los programas de vulgarización hasta los programas de reforma agraria).  Algunos límites han venido apareciendo progresivamente, a medida que el DSA pasaba a ser utilizado como herramienta de diagnóstico y para apoyar la formulación de políticas. Por un lado, la atención exacerbada al análisis técnico-económico de los sistemas de producción, donde no había nunca espacio para analizar las dinámicas internas a los hogares (dimensión de género) ni para preocuparse realmente de la dimensión de la sostenibilidad; por el otro lado, la atención a los "tipos" de sistemas de producción (y, posteriormente, a su inserción en el mercado), no le dejó mucho espacio al análisis de las instituciones, formales e informales, con quien los actores se relacionaban, y como lo hacían (subordinados, dominantes...);  también podemos decir que al postular la dimensión productiva (y por ende el proceso de acumulación, de poseso) como clave interpretativa del sistema, esta conceptualización no lograba entrar en aquellos sistemas agrarios basados en otros postulados, más de gestión de los recursos naturales, de preservación del ambiente más que de uso, donde la dimensión comunal (sin necesariamente ser comunitaria) era y es central.

O sea, progresivamente, para los expertos del tema, se ha venido evidenciando unas crepas, que merecía mayor atención de lo que se le había brindado en el pasado, si el método pretendía mantenerse como algo novedoso y útil.

Con la pérdida de importancia del FSA, que no logró nunca recuperar su papel protagónico que tuvo al comienzo, otras herramientas empezaron a circular concurrenciando la visión de sistemas agrarios. En particular aparecieron los varios métodos de diagnósticos rápidos donde la dimensión de la "participación" era considerada como el elemento central para captar las problemáticas locales, de-contextualizadas y de-historicizadas. A pesar de los limites que estos métodos siempre han tenidos, en particular el hecho de no tener ningún substrato teórico serio detrás, convirtiéndose como herramientas no para entender una dinámica dentro de una visión comparada, sino como métodos para identificar rápidamente un listado de necesidad mínimas sentidas por las poblaciones (en muchos casos convirtiéndose en una shopping list acrítica), los métodos tipo DRP tuvieron el mérito de colocar al centro del debate algunas dimensiones que la visión sistémica francésa había dejado de lado. Por un lado el tema de la participación (aun cuando sea criticable la forma que asumía esta participación dentro del DRP) y, sobre todo, la importancia del COM en la comprensión de las dinámicas territoriales. Uno de los limites más evidentes de los DRP siempre fue el de haber caído en el otro extremo, casi mitizando la COMunidad como célula básica central para toda dinámica de desarrollo.

En el ámbito de la economía mundial, este periodo histórico y los hechos anteriormente mencionados iban confluyendo progresivamente hacía cuatro puntos claves:

(i) la tendencia al individualismo, con  la disgregación de todo lo que representaba algo comunitario (perdida del capital social). La ideología es la de "liberar" las fuerzas productivas del individuo que supuestamente la dimensión "COM" tiene amarrado quitándole toda posibilidad de volar[12] 

(ii) la economía pasa a ser cada día menos vinculada a un medio físico y más a un medio virtual, esquematizado hoy por la red Internet.

(iii) la multifuncionalidad del territorio pasa a ser la tónica; se habla cada día más del "Nuevo Mundo Rural" y de la complementariedad entre actividades agrícolas y rurales no agrícola[13]. El discurso se va desplazando hacia la integralidad del territorio y del uso competitivo entre distintos actores[14].

(iv) la importancia creciente que asume el mercado (y la constatación que el nuevo perfil que tiende a asumir la producción agrícola va hacia mercados específicos y segmentados)  hace que sea más estratégico controlar otros renglones del proceso productivo y de la consumación; el control del recurso natural pasa a ser menos estratégico y la tierra progresivamente vuelve a ser considerada como una mercancía como otra (programas de mercados de tierra).

Dicho de forma simplificada:

de un paradigma donde el control de los recursos naturales era visto como modo de control social, (por eso que las luchas de los años 60 se daban para el control de la tierra: quebrar esta manomuerta del latifundio era lo central de todas propuestas de reforma agraria progresistas);

pasamos a un paradigma donde el control social (el control directo sobre no solo el mercado sino, posiblemente, los consumidores, de forma a poder dirigir las demandas futuras) pasa a ser la clave para controlar los recursos naturales (y de allí los beneficios que de ellos se pueden tirar)[15].



2.4. Del sistema agrario hacia una visión de sistema del tema tierra

Contrariamente a lo preconizado por Fukuyama, no solo no terminó la historia sino, en lo referente al tema tierra, a partir de 1992 hemos asistido a la resurgencia de las demandas, procedentes de todos los continentes y tocando todas las tres grandes dimensiones del tema:

i -         acceso
ii -        regularización (formal/informal)
iii -       uso/gestión

Mientras que el DSA se ha aplicado esencialmente como herramienta de trabajo para la tercera componente, hemos tenido que empezar a preocuparnos también con la dos primeras. Es allí donde el acceso a la tierra que estaba viviendo todavía en la diacría Estado/Mercado, se ha ampliado abriendo un espacio cada día más importante para el tema del reconocimiento de los derechos de los pueblos originarios[16]. Por su lado, la regularización de la tierra demanda intervenciones combinadas y coherentes entorno de las instituciones territoriales tipo catastro, sistema de registro predial, además de un sistema legal/jurídico que funcione (leyes, tribunales y mecanismos para lindar con conflictos).

Pasar de una dimensión DSA a una dimensión territorial es el reto en el cual estamos trabajando actualmente que involucra una serie de actores que están fuera de la dimensión "diagnóstico" tal como lo estamos planteando actualmente.

Sin embargo el punto central de estas tres etapas es la pregunta siguiente: para que necesitamos preocuparnos con el tema del acceso, de su regularización (formal/informal) y con el uso/gestión que se le está dando a los recursos naturales? La respuesta es que lo que se pretende es de mejorar estas tres dimensiones, para llegar a un ordenamiento del territorio más participativo, en línea con el papel actual del Estado en lo referente a dictar política agraria (mayor descentralización) y que permita, frente a la mayor injerencia y determinismo del mercado, de centrar el foco de la acción sobre las "reglas" del juego, de forma a que los distintos "jugadores" puedan participar de forma razonablemente equitativa.

Es de allí donde ha surgido la preocupación para una readecuación conceptual, una mayor abertura hacia otros aportes conceptuales que van progresivamente transformando un enfoque de sistemas agrarios (esencialmente dirigido al mejoramiento de los sistemas de producción de productores cada día más subordinados a mercados diversificados y segmentados) en un enfoque más preocupado con la integralidad de los actores que compiten por el recurso natural tierra y por el recurso humano existente en aquellas áreas.

El camino es todavía largo, pero podemos empezar a vislumbrar algunas implicaciones en términos metodológicos, particularmente en lo referente a la etapa de diagnóstico.

3. Implicaciones para una metodología de diagnostico

Lo que hemos presentado hasta ahora puede ser resumido así:

-           los sistemas agrarios son productos históricos, de tiempos y espacios propios; cuya complexidad es generalmente bastante difícil percatar; esto implica que un sistema agrario no es eterno: se origina, se consolida, expande, entra en crisis y es progresivamente substituido por otro más respondiente a las nuevas condiciones;

-           para esto se ha necesitado elaborar conceptos que permitan traducir esta complexidad dentro de un modelo más fácilmente visualizable, que permita de operacionalizar estos conocimientos en términos de lineamientos de políticas;

-           estos conceptos son, a su veces, productos históricos, fruto de la experiencia histórica, de los conocimientos de los que los han elaborado en aquella época; esto implica que al mudar las condiciones históricas, ellos necesitan ser revistos para ver su grado de coherencia y aplicabilidad en las nuevas condiciones;

-           las condiciones que se daban cuando fue elaborado el concepto de FSA probablemente no permitían llegar a un producto distinto de lo que se obtuvo; al aceptar las incursiones de otras disciplinas dentro del mundo agrícola, fue posible conceptualizar una visión de sistemas agrarios mucho más adaptadas a las condiciones históricas de estas décadas recientes;

-           sin embargo, en estos últimos años se está concretando un cambio profundo, una inversión de dirección de las fuerzas motrices, de centrípetas a centrifugas, con una externalidad (el mercado) que determina cada día más la dimensión productiva interna al sistema y que se revela de difícil internalización.

Estas consideraciones nos llevan a la pregunta siguiente: el concepto de sistemas agrarios tal como ha sido formulado en los 80s y lo hemos venido aplicando, es todavía pertinente para el análisis y formulación de lineamientos de políticas de intervención en el sector rural? Mi respuesta es, a la luz de las condiciones externas actuales, parcialmente negativa. Se hace necesario un replanteamiento del concepto mismo para poder pasar a mejorar la metodología.

Como lo dice Mazoyer, analizar y explicitar un objeto complejo en términos de sistema significa antes que todo delimitar, o sea trazar una frontera (teórica) entre este objeto y el resto del mundo; más particularmente, significa distinguirlo de otros objetos de la misma naturaleza, pero que son suficientemente diferentes para ser considerados como pertenecientes a otra especie.

Analizar y explicitar un objeto en términos de sistema significa igualmente estudiar su dinámica evolutiva a través del tiempo y las relaciones que este sistema mantiene con el resto del mundo en sus distintas etapas de evolución. Estudiar la evolución temporal de las múltiples formas de agriculturas del pasado, identificables en un lugar cierto, nos lleva a clasificarlos en unas tantas etapas, especies, sistemas, que sean necesarias para determinar la sucesión histórica.

Nosotros nos inscribimos dentro de esta visión, sin embargo, tenemos un problema con la primera parte del concepto, allí donde se dice que un SA es un "modo de explotación del medio ambiente", lo que pone el acento sobre las fuerzas de producción (modo de producción, técnicas aplicadas, como producto histórico de una progresiva evolución y mejoramiento tecnológico). Las razones tienen que ver con todo lo que hemos dicho anteriormente. La multifuncionalidad de los territorios rurales, la aumentada complejidad de las estrategias de sobrevivencia de los actores rurales, la inevitabilidad de profundizar el análisis a nivel de los distintos actores, aun dentro del hogar, y su relacionamiento con la institucionalidad, buena o mala que sea y, finalmente, el tipo de relacionamiento de estos actores al medio ambiente, no limitado al uso, sino de gestión y preservación del mismo, nos obligan a replantear esta primera parte.

Por eso proponemos de substituirlo con "modo de organización social en función de la relación al medio ambiente[17]". O sea, no es la organización social per sé que nos preocupa, sino la expresión de esta organización social en el territorio y en particular con el acceso, uso y gestión de los recursos naturales.

El enfoque histórico se mantiene central, aun  cuando no es más la historia de las prácticas agrícolas que nos preocupa, sino la historia de la formación de las cosmovisiones de los actores actuales, de sus estrategias de vida, dentro y fuera del sector agrícola. Es aquí donde el enfoque de sistemas agrarios le propone un puente a las recién elaborada propuesta de "sistemas de vida sostenibles[18]" que parece todavía sufrir de sólidas fundamentas teórico-conceptuales.

Es también evidente que darle más importancia a la dimensión humana y a la revalorización del capital social tiene que ver con la constatación que en muchos casos es aquí donde se sitúa el cuello de botella más grave, no tanto en el conocimiento técnico apropiado para un uso gestión del medio ambiente, sino realmente la necesidad de reforzar el capital humano y sus capacidades de negociación/articulación con el sector institucional y demás actores.

Claramente, este cambio hacia los actores[19] reenvía a otras reflexiones, como las que se preocupan de las organizaciones campesinas y el capital humano, (concepto de reforzamiento -  empowerment). De forma general, este proceso está definido como "un proceso a través del cual las personas toman conciencia de las causas de su pobreza y/o explotación y de allí se organizan para usar sus capacidades colectivas, energías y recursos para modificar estas situaciones. Dicho de otra forma: se trata de personas capaces de organizarse e influenciar el cambio sobre la base de su acceso al conocimiento, a los procesos políticos y a recursos financieros, sociales y a recursos naturales. Un acercamiento al reforzamiento de la gente es así la manera para buscar caminos para movilizar recursos locales, estimular distintos grupos sociales en el proceso de toma de decisiones, identificar modelos (patterns) que eliminen (reduzcan) la pobreza y contribuyan a construir consenso y accountability. O sea, empowerment visto tanto como un fin que como un medio"[20].

Es evidente que nuestro propósito va exactamente en la dirección de buscar puentes conceptuales/metodológicos y por eso se interesa de las reflexiones que otros cientistas están desarrollando, en particular sobre el concepto de capital social: "...por analogía con las nociones de capital físico y humano - instrumentos y capacitación que estimulan la productividad individual, el capital social se refiere a características de la organización social, como redes, normas y confianza que facilitan la coordinación y la cooperación para un beneficio mutuo. El capital social estimula los beneficios de la inversión en capital físico y humano"[21] (Putnam, 1993).
En términos prácticos, las implicaciones metodológicas son las siguientes:

A.        Unidad de Análisis e informantes claves: siendo el objetivo de entender la organización social y su relación al medio ambiente (uso/gestión/explotación), para entender qué tipo de expresión territorial surge de esta interrelación, no será la familia campesina el punto de observación, sino tres niveles distintos: las comunidades y demás grupos de grandes actores, casos individuales (arquetípicos) para detallar puntos específicos y representantes arquetípicos de las instituciones con quien se relacionan estos actores.

-           Las comunidades y demás grupos de grandes actores: la elección aquí se dirige a aquellos actores que por su poder histórico, político, tienen una determinación fuerte sobre la marcación del territorio; pueden ser comunidades agrícolas, forestales, grandes latifundistas, inversionistas externos etc....

-           Casos individuales: al igual de siempre, nos preocupan los casos arquetípicos, los que puedan permitir de sintetizar de manera sencilla las grandes tendencias que aparezcan con la observación de los de arriba, sean productores agrícolas o menos, lo importante es que sus trayectorias impacten sobre el territorio y sus recursos naturales.

-           Arquetipos institucionales: debido a que estos actores no operan en el vacío, no podemos evitar de observar como las instituciones operan en el territorio, para tener una idea concreta de las interrelaciones posibles entre estos grupos de actores.

Como se hace y que se pretende con este primer paso?

-           Por un lado pretendemos identificar cuáles son los actores que tienen relevancia para las zonas y/o los grupos metas que nos preocupan. O sea, en un contexto social y económico cada día más interdependiente, no es suficiente escoger, a priori, el grupo "agrícola" como si fuese causa y efecto único de su trayectoria.

-           Por otro lado, es necesario que lleguemos a una comprensión adecuada de las visiones y estrategias que estos distintos actores tienen relativamente al recursos natural (control territorial) y al recurso humano (necesidad de mano de obra, etc.). Se trata de entender como el territorio está conceptualizado en términos económicos, sociales, religiosos, por parte de estos actores, sean individuos o grupos/comunidades y llegar a mapear las tendencias en acto.

-           Finalmente, debemos aclarar las modalidades de relacionamiento con las instituciones, formales e informales que operan en la zona (de subordinación, dominación, neutralidad, etc.).

Los resultados serán útiles para saber, para cada actor (tipo de actor): - i - el peso de las actividades agrícolas (y en cual renglón está más metido - productivo, transformación, comercialización, venta...-); - ii - las implicaciones  geográfico-territorial de las estrategias de estos actores (expansión, neutra, retracción) y - iii- las implicaciones vis-à-vis los demás actores/instituciones

B.        Zonificación: normalmente con esta operación se plantea la subdivisión del territorio en zonas homogéneas desde el punto de vista de la problemática observada; es una operación que se hace en las fases iniciales del diagnostico y que debería ser de utilidad para la implementación de las propuestas. En realidad, en muy pocos casos las propuestas son moduladas en función de esta variable.

Aquí lo que pretendemos es intentar darle una utilidad más concreta, de la forma siguiente:
en lugar de las dos dimensiones que normalmente se utilizan en este ejercicio, agregarle una tercera dimensión, dejando la bi-dimensionalidad para las estrategias de ocupación física del territorio y la tercera dimensión para identificar los distintos niveles de inserción (subordinada/dominante) desde la fase productiva hasta la fase de transformación, comercialización y mercadeo.

            B.1.     Mapear el estado actual

Realizaremos un primer mapa de los distintos actores en su fase actual, a partir de los resultados de la fase anterior. El análisis histórico del origen y formación  de los actores y de sus estrategias nos va a servir para localizarlos en el espacio tri-dimensional. En la dimensión horizontal tendremos los distintos actores ("tipos") caracterizados en función de su estrategia pasada (su origen histórico) y de su visión actual (dominancia de la dimensión acumulativa o preservativa del recurso natural).  Un cierto nivel de sobre posición existirá, en la medida en que este mapa refleja la situación actual, que puede ser una situación de conflictos ya existentes, para usos competitivos del mismo recurso limitado.

En la dimensión vertical se dará el nivel de inserción en el proceso productivo (desde el punto 0, esclavitud y subordinación total, hasta un máximo de control de la totalidad del proceso). Es obviamente posible tener actores que solo se colocan en la dimensión vertical y no en la horizontal, debido a una estrategia que se centra en el control del mercado y/o de las fases finales del proceso, dejando la competición para el recurso natural a niveles más bajos de actores (tipo agricultura de contrato).

En los dos niveles, los actores deberán ser caracterizados también en cuanto a sus relaciones con la institucionalidad (formal/informal).

            B.2.     Mapear e las tendencias

El trabajo de investigación con los informantes claves de cada grupo debería permitirnos no solamente entender el estado actual, sino también sus proyecciones y tendencias futuras, tanto en lo referente al recurso natural (expansión, retracción) cuanto al recurso humano.

Enseguida, a la luz del trabajo de investigación sobre las estrategias de cada actor (individuo/grupo) se identificaran áreas de sobra posiciones posibles, con competencias para usos competitivos del recurso natural y/o del recurso humano.

La utilidad de esta herramienta es para mejor focalizar la acción (debido a las limitaciones de tiempo y dinero, no es nunca posible profundizar el análisis a todo el territorio y a todos los actores).  Las áreas de sobre posición representaran, de esta forma, las áreas prioritarias donde profundizar la reflexión para darle respuesta a los posibles problemas que surjan. Parece inútil recordar que, dependiendo de la importancia que tenga la actividad agrícola para los distintos tipos de actores, la profundización en términos de análisis de sistemas de producción como ya sabemos hacerlo, será necesaria.

C.        Tipología: ya hemos dicho en muchas oportunidades que las "tipologías" responde a una necesidad practica, que es la de reducir la diversidad existente dentro de un numero aceptable (para fines de elaboración de propuestas) los "tipos" existentes, y que, dependiendo del problema a ser enfrentado, existirán varias modalidades de realizar la tipología.

En este caso, más que una tipología de los actores (que, de forma resumida, ya se hace al identificar los actores y sus estrategias, en la primera actividad) se trata de traer las consecuencias de la sobre posición tri-dimensional de estas distintas estrategias y de la identificación de las áreas de sobre posición (conflicto): así identifíquesenos una tipología de problemas relativamente a la competición por el territorio y por el recurso humano. Los conflictos más comunes tendrán posiblemente que ver con el uso competitivo del recurso tierra entre agricultores y no agricultores (sean urbanos o rurales, tipo el desencuentro entre comunidades indígenas y pequeños agricultores) y/o entre agricultores y agricultores (latifundio/minifundio, o sin tierras). La identificación, clasificación y caracterización de estos desencuentros es importante para poder pasar a la fase de elaboración de propuestas.

5.         Conclusiones: del diagnóstico al pacto territorial

Caracterizados temporalmente y espacialmente los actores, sus estrategias y las áreas de superposición, hemos así identificado los puntos más frágiles del sistema, cuya tridimensionalidad es ahora clara. No solo competencia por el recurso natural sino también competencia entre modos de organización social e inserción en el proceso productivo.

La caracterización de estos desencuentros no significa necesariamente que existan posibilidades para lindar de forma satisfactoria con todos ellos. Sin embargo, es necesario llegar a una tipificación y caracterización porque, a la luz del análisis histórico realizado anteriormente sobre estos actores, sus estrategias y visiones, podemos pensar de articular propuestas de intervención a ser puestas en una mesa de negociaciones y pactizadas entre ellos.

El resultado final de este proceso parte del reconocimiento de la incapacidad del estado-nación de regular los flujos financieros/económicos e imponer su autoridad en la economía. Ni siquiera los estados naciones más importantes deberían ser considerados como autoridades supremas y soberanas, ni fuera ni dentro de sus confines[22]. De allí que esta incapacidad se traslada a nivel local en un ordenamiento del territorio que no se realiza, una políticas agrícolas sectorializada que no responde al conjunto de problemas, a veces conflictivos, de los varios actores sociales.

Partir de esta constatación, y pensando que exista una voluntad para reinventar el papel de las instituciones en el agro, podemos pensar en nuevas formas de pacto social trasladado al territorio, o sea un Pacto Territorial donde el ordenamiento del mismo, dentro de los límites de las acciones que el Estado y demás actores pueden responsablemente asumir, pasa a ser un trabajo conjunto, con responsabilidades, derechos y deberes de toda la comunidad de actores.

Para poder concretarlo es fundamental reforzar la capacidad de negociación de los actores, particularmente de los más fragilizados, las comunidades campesinas, sometida a presiones evidentes en favor de una individualización derompiente. Reforzar este capacidad[23] es un trabajo de largo alcance, cuyas directrices concretas debería resultar del trabajo de diagnostico renovado.

Para poder negociar pero es también necesario conocer la naturaleza de  los problemas ( de ahí el trabajo de la tridimensionalidad de los desencuentros) y la flexibilidad de cada uno de los interesados (una vez más la trayectoria histórica nos puede ayudar).  El papel del experto en diagnóstico en este caso pasa a ser progresivamente el de quien apoya la identificación de estos elementos, y capaz de elaborar unos escenarios futuros, donde se darán las negociaciones.

Al final, si se logra un encuentro entre los actores y una solución satisfactoria para todos, su implementación también será responsabilidad del conjunto de actores. No podemos a priori saber cuál será el futuro del sistema agrario en cuestión: más urbano, más informático, menos violento etc... esto es la materia del acuerdo territorial; sin embargo, por el método, participativo, por la atención a reforzar los más débiles antes de entrar a negociar, por la atención también a las razones y posibles reacciones de todos los interesados, es posible pensar que el acuerdo que salga será un paso adelante hacia un sistema de mayores responsabilidades.







[1] Hobbsbawn, Il secolo breve, Rizzoli
[2] D. Chatty, 1996; esta visión era el producto  de las teorías evolucionistas y modernistas que no entendían la relación de pertenencia reciproca entre los factores sociales y los factores ambientales. La hipótesis básica, derivada de una visión cartesiana, positivista y racionalista del mundo era que existe solo una realidad y que el objetivo de la ciencia es de descubrir, predecir y controlar esta realidad.
[3] 1933, l'année noire. Témoignages sur la famine en Ukraine, présentés par Georges Sokoloff, Albin Michel,                Paris, 2000, 491 pages,
[4] Mazoyer, M; Roudart, L. Histoires des Agricultures du Monde, Seuil, Paris, 1999
[5] Marc Bloch, Storici e storia, Einaudi 1997
[6] ver a este propósito el libro Agricultura y Socialismo,  Dumont R.; Mazoyer M., Seuil, 1969
[7] para los que han visitado nuestras oficinas FAO en Roma, habrán visto los manifiestos en las paredes, datados de la epoca de los 80, cuando los slogans eran: Lo importante es producir (Día Mundial de la Alimentación, FAO, 1983)
[8] esta consideración es más evidente a la lectura de los raros artículos y informes de consultorías realzados por Mazoyer donde, a parte la identificación y caracterización general del sistema de producción, a nivel de propuestas la dimensión micro-económica es predominante, véase el texto sobre Costa de Marfil
[9] Hardin, G, The tragedy of the Commons
[10] Ph. Jouve, no me recuerdo el articulo
[11] Francis Fukuyama, El fin de la historia. En otro texto más recién, La gran ruptura, Ed. B. Barcelona, 2000, el autor sostiene que la llegada de la era postindustrial, que tiene por eje la información y el conocimiento, ha ido unida a un empobrecimiento del capital social.

[12] En América latina probablemente el momento más emblemático ha sido la revisión del articulo 22 (o 27?) constitución mexicana, de 1992, que "liberó" los campesinos de la opresión del ejido.
[13] ver R. Abramovay, Agricultura familiar y desarrollo territorial, "Reforma Agraria, colonización y cooperativas", FAO, 2000 vol. 1
[14] Verso una nuova ruralitá per le aree periurbane del sud del mondo, G. Franceschetti, FAO-=Universidad de Padua, 1999, mimeo
[15] Nuestra impresión, para decirla todas, es que el segundo paradigma en realidad ya era operante anteriormente y que la interpretación economicista anterior impedía verlo. En efecto, desde los romanos el control de la tierra no era la causa del control social, sino el efecto: accedía a la tierra quien conseguía ser ciudadano romano. O sea, el elemento central era el poder superior de quien podía decidir o meno de dar esta ciudadanía. Igualmente, la desposesión de las tierras de los indígenas en América latina con la llegada de los españoles: el control sobre la tierra era simplemente imposible, lo que se controló, con un rigidísimo control social fueron las poblaciones que pasaron a ser de segunda o tercera categorías. La promociona categorías superiores no podía ser efectiva nunca a través de la acumulación económica, sino a través de una aceptación social cuyas reglas eran determinadas por "los de arriba".
[16] S.Nichols y M. Rakai:  Land Reform Canadian Style: An Overview of Aboriginal Rights and Land Claims Settlements, en FAO, Reforma agraria, colonización y cooperativas, 2001/1

[17] Esta relación no necesariamente conlleva una "explotación “del MA. Esto es función de lo que podríamos llamar la fuerza motriz del sistema. Generalizando podríamos dividir en dos grandes categorías: las sociedades (individuos) que se mueven según un principio del poseso (de la envidia); la acumulación como motor de la historia; por otro lado otra categoría donde el motor seria una redistribución de la acumulación individual a través de mecanismos redistributivos.
[18] FAO-DFID.   Inter-Agency Experiences and Lessons.  From the Forum on Operationalizing Sustainable Livelihoods Approaches.  Pontignano (Siena) 7 – 11 March, 2000.
[19] ver, a este propósito, J. Bonnal, Les acteurs et leurs stratégies vis-à-vis des ressources naturelles:  Réflexion méthodologique, Reforma agraria, colonización y cooperativas, FAO, 1996

[20] People's Empowerment - Grassroots Experiences in Africa, Asia and Latin America. IRED Nord, 1997, Roma, Italia
[21] Putnam, R. 1993 The Prosperous Community: Social Capital and Public Life - The American Prospect, N. 13
[22] M. Hardt, T. Negri,  Impero ...
[23] hacer que las COMunidades pasen a ser DOT.COMunidades....