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domenica 23 febbraio 2020

Anguillara: falliscono anche i 5S, e adesso?


Premetto di non essere anguillarino, dato che ci vivo da poco più di un quarto di secolo. Detto questo, per ragioni personali mi sono dedicato a conoscere un po’ la storia del paese, particolarmente dalla fine dell’800 ai giorni nostri, partendo dall’angolo a me più familiare, quello legato alla terra.

Grazie a letture qualificanti, come “Autobiografia di un paese” di Angela Zucconi, incontri con vecchi testimoni che, dalle ultime invasioni del secondo dopoguerra in poi, hanno avuto la disponibilità di raccontare cosa fosse e come stesse cambiando il paese e la sua popolazione, ho messo a disposizione questo piccolo capitale con una serie di documentari liberamente disponibili sulla rete.

L’idea che mi sono fatto è che la questione della terra sia stata centrale nel rapporto degli anguillarini al loro paese. Poveri in canna com’erano, la decisione di privarli anche degli usi civici che permettevano loro di spigolare, raccogliere legna e quant’altro, li portò a una serie di invasioni fin di primi del 1900, guidati dagli amministratori dell’epoca. Lotte dure, per un bene che consideravano loro, non nel senso di gretta proprietà, ma un bene “comune” per i lavoratori del campo. Erano in tanti, e queste lotte lasciarono il segno, malgrado i molteplici tentativi dei latifondisti dell’epoca, spalleggiati dai loro sodali nei tribunali del Regno, di confermare la logica eterna che il Padrone ha sempre ragione e fa quello che vuole. 

Fu la prima guerra mondiale a incendiare gli animi, con la promessa fatta dal governo del Regno di dare terra ai contadini in cambio del loro impegno sotto le armi. Molti morirono, ma molti tornarono, ricordandosi la promessa fatta. Inutile dire che il Re non aveva nessuna intenzione di redistribuire la terra dei latifondisti ai reduci della guerra. Ecco perché le lotte ricominciarono, più forti di prima: a queste si aggiungevano voci lontane che parlavano di rivoluzione socialista in Russia.

Come diremmo ai giorni nostri, la paura cambiò di campo, e dai poveri contadini si spostò nel campo degli agrari. La reazione fu la creazione del Partito Fascista ad Anguillara, con lo scopo di combattere in modo violento le giuste recriminazioni dei poveri. I Fasci riuscirono a bloccare le giuste rivendicazioni, ma una volta finita anche la seconda guerra, la questione ritornò in superficie e le invasioni, a Vigna di Valle in particolare, ricominciarono.

La soluzione democristiana del problema fu di concedere, attraverso la riforma agraria di De Gasperi, delle terre che, in realtà, appartenevano da tempo agli anguillarini, come mi spiegò con dovizia di particolari il mio vicino di casa, che quegli anni li ha vissuti. Cornuti e mazziati diremmo oggi.

Gli anni 50 portarono un sapore di “sviluppo”, con una domanda crescente di terre da parte di “stranieri”, impiegati dell’Enea o altro. Il valore delle terre, agricole, aumentò velocemente e non credo di sbagliare nel dire che molti paesani videro in quel commercio la possibilità di uscire dalla povertà endemica contro la quale lo Stato centrale sembrava non fare nulla.

Fu un periodo caotico, ovviamente senza strumenti pianificatori e senza una visione d’assieme. Più lontane erano queste terre dal Comune, minori i controlli, dato che i tecnici non avevano a disposizione nemmeno una bicicletta. Fu una trasformazione caotica verso l’urbano, e i segni sotto tutti disponibili per chi volesse farsi un giro del territorio.

Sono quegli gli anni quando due figure emersero nella disputa politica locale. Vico Catarci, missino, e Augusto Montori, comunista. Ancor oggi sono figure ricordate dai vecchi del paese, malgrado le loro note divergenze ideologiche. Il punto comune, iniziato dal primo e portato avanti dal secondo, fu il tentativo di governare questo cambiamento frenetico che stava travolgendo il paese.

Compito difficile, improbo forse, ma resto convinto che sarebbe necessario ritornare a quelle esperienze, per capire i dilemmi nei quali si battevano e per capire le risposte che vennero date. Le difficoltà si originavano dal solito dilemma tra teoria e pratica. L’Italia di quegli anni privilegiava, non da sola, un approccio programmato e pianificato allo sviluppo. Praticamente tutti i paesi occidentali usciti dalla guerra, così come già faceva la Russia dall’altra parte, decisero che l’economia andasse governata attraverso meccanismi di programmazione di medio lungo periodo, per non lasciare il libero mercato imporre le sue leggi. L’idea era ottima, ma questo significava anche pensare a degli strumenti pianificatori locali, i PRG, che contenessero la domanda di suolo, in modo da salvaguardare una cultura contadina e degli spazi che rappresentavano la nostra storia precedente. Le riflessioni che venivano fatte a livello centrale (Roma), dovevano essere quindi seguite anche nei piccoli comuni. Il credo era abbastanza simile tra tutte le forze dell’arco costituzionale, per cui anche il Partito Comunista chiedeva ai suoi possibili futuri amministratori locali di seguire quelle regole.

La realtà però seguiva strade diverse. L’urbanizzazione - con la vendita di piccoli lotti, quasi mai urbanizzati, ai nuovi richiedenti “anguillaresi” - procedeva a passo spedito. Vien da dire che la povertà procedente e la voglia di vivere meglio e dimenticarsi la fame, fosse il motore che mandava avanti questo meccanismo. Il documentario: Anguillara - Il senso del crescere, che copre il periodo dal primo dopoguerra alla fine degli anni 70, racconta questo passaggio chiave.

Augusto Montori si trovò davanti a questa disgiuntiva: un Partito che gli chiedeva una fedeltà a principi illuminati, e cuoi concittadini, con i quali era cresciuto e con i quali aveva condiviso la fame e la povertà - come ci ha raccontato suo fratello nel libro dedicato a “Tempesta” pubblicato l’anno scorso grazie alla dedicazione dell’amica GraziaRosa - che esigevano dell’altro. Tentativo difficile, che alla fine produsse il primo piano regolatore.

Al di là del risultato, fu il metodo che mi interessò e mi interessa ancor oggi. Ascolto, dialogo, negoziazione, a volte baruffe e minacce, portarono a una concertazione che fece approvare il piano. La storia racconta poi come finì l’avventura di Augusto, politica e personale, ma non è questo lo spazio per riaprire quelle pagine.

Son passati gli anni, i decenni, e la questione territoriale resta ancora lì, invitato di pietra di cosa si voglia fare o non fare di questo paese. Come è giusto che sia tante persone hanno lanciato proposte, ovviamente provenienti da visioni anche politiche diverse. Io resto personalmente convinto che, al di là di temi critici, irrisolti dalle ultime tre amministrazioni, di destra, sinistra e grillina, come l’incredibile stato delle nostre strade, la discussione vera è e sarà attorno al destino del territorio di Anguillara. Dubito che sia possibile evitare queste tematiche e non credo personalmente che una nuova lista civica possa essere la soluzione. 

In cuor mio penso che bisognerà studiare meglio l’esperienza di “Tempesta”, per ispirarsi nella necessità di organizzare un metodo pubblico che permetta alle diverse visioni di presentarsi, e che la cittadinanza possa esserne parte attiva. Se non si scioglie questo nodo, rischiamo di continuare a non capire perché anche le future amministrazioni non riusciranno a guidare il futuro del paese ma finiranno impelagate nelle solite beghe partitarie. 


Vecchi testimoni di quell’epoca ce ne sono ancora in vita. Da loro partirei. 

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