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giovedì 21 agosto 2014

Da dan, dan dan; da dan dan dan …



Penso questo post finchè guido tornando verso casa dopo una settimana di ferie in Francia. Poche canzoni sono così facilmente riconoscibili come quella del titolo, basta fare un paio di accordi e cantare da dan, dan dan, da dan dan dan… e tutti in coro .. “torno a casa siamo in tanti sul treno…” della mitica Equipe 84. 

Forse solo il La Mi Re Mi di Battisti e la sua canzone del sole… chissà…

Torno a casa e ripenso a quanto ascoltato e letto in questi giorni di cieli plumbei, fresco da credersi a fine autunno, pioggia che rende il paesaggio di un verde intenso, irreale per ferragosto. Il vantaggio semplice di andarsene all’estero è che ci si può estraniare dalle estenuanti discussioni sulle riforme italiane, cosa che all’estero non sembra interessare nessuno. Si può alzare lo sguardo, od abbassarlo se vogliamo, per sentire altre storie, altri problemi e cercare di fare il punto.

Jacques Attali è un personaggio pubblico molto conosciuto in Francia, soprattutto per essere stato l’uomop dell’ombra (anche se non tanto) di Mitterand. Produttore di idee e riflessioni, con una carriera all’altezza delle sue (grandi) ambizioni che lo ha portato a dirigere la banca europea degli investimenti, e poi a rimanere sempre attento ai giochi di potere, nazionali ed internazionali. Può non piacere, perché il suo “moi, Je…” è troppo presente nel suo modo di parlare e di essere. Fatto la tara, val sempre la pena di ascoltarlo. Le sue parole hanno fatto eco con quelle che in questi giorni abbiamo sentito sempre di più, alla radio, alla televisione e sui giornali. Il tema: la prossima, forse inevitabile guerra.

Attali sembra abbastanza convinto che ci stiamo dirigendo velocemente verso questo scenario. Nel mio piccolo anch’io da tempo la penso così. Che poi anche vari altri giornalisti sentiti per radio, nel tragitto Francia-Italia, discutessero dello stesso scenario, mi ha fatto pensare. Ciliegina sulla torta: le dichiarazioni del superiore del Domenicani sulla “guerra giusta” da condurre contro gli islamisti. Lo slalom del Papa per evitare di usare la parola “militari, forze armate” nel suo accorato appello alla necessità di fermare questa barbarie faceva tenerezza, ma anche riflettere assai, dati i problemi etici che ci stanno venendo incontro.

La Patria dei diritti dell’uomo si ritrova per l’ennesima volta a discutere di guerre da portare in nome dei superiori valori occidentali. Sembra di sentir parlare George Dublaiù Bush ai tempi di Saddam. Il bello delle guerre passate, se di bello si può parlare, era la relativa facilità di comprensione degli schieramenti: chi stava di qua e chi di là (a parte ovviamente l’Italia che aveva la tendenza a cambiare squadra una volta la partita iniziata, forte del motto: l’importante non è partecipare, ma stare coi vincitori). Ogni campo si presentava come il campo del bene, dello sviluppo e del futuro. Poi si mandava la carne da cannone a farsi macellare e uno dei due campi vinceva. La Francia è riuscita meglio di noi a sedersi al tavolo dei vincitori e guadagnare anche un seggiolino al Consiglio di Sicurezza dell’Onu grazie alla partecipazione allo sbarco di liberazione, della Francia ovviamente. Lo sbarco mai tanto celebrato come quest’anno, si riferiva allo sbarco dell’agosto 44 nel sud del paese, realizzato per fare scopa con quello di Normandia. Truppe francesi, circa trecentomila, hanno partecipato, spesso perdendo la vita, a quello sbarco che venne monetizzato molto bene. Val la pena ricordare come l’80% (ottanta per cento) di quelle truppe da sbarco fossero africani inseriti nell’esercito francese grazie a bastonate e carote (la promessa di un riconoscimento alla fine del conflitto) che non vennero mai mantenute. Faceva pena vedere quei capi di Stato africani a fianco del Presidente francese sulla portaerei ad ascoltare l’ennesimo discorso sui valorosi combattenti.. e nessuno di loro che osasse alzare la voce per dire che senza gli africani oggi sulla Croisette ci sarebbero si i tedeschi, ma non come turisti… come padroni.  

La Francia discute sulle troppe riduzioni di budget a cui è stato sottoposto l’esercito. Proprio adesso che ce n’è ancor più bisogno. Bisogna mantenere la pace in tutta l’Africa francofona che sta esplodendo, bisogna poi pensare a far qualcosa in Libia dove, grazie ai bombardamenti di Sarkozy, seguiti dal nulla di visione strategica, si è riusciti a creare un casino, a mio avviso inestricabile, come l’attuale. Penso che la Libia finirà per spaccarsi almeno in due. La crisi dello Stato nazione arriva, lentamente all’inizio, così come fu lento il processo di decolonizzazione, per poi accellerare di colpo. Di candidati alla separazione ne abbiamo parecchi, alcuni in Africa ma molti di più, e più pericolosi, nel medio oriente. Stiamo riuscendo a perdere la Turchia come alleato in una zona incasinata, spingendola su posizioni sempre più conservatrici e basate su scelte religiose contrarie alla parità uomo donna. Ma siamo contenti di questo, perché se avessimo agito in maniera diversa, facilitando l’avvicinamento della Turchia alla EU, oggi avremmo la guerra ai nostri confini e questo è insopportabile, soprattutto quando non si ha la minor di idea di cosa fare. Almeno finchè le guerre sono lontane stiamo tranquilli. Lontane? Ho detto lontane? Ma l’Ucraina è lontana? E il nostro interesse strategico, per quanto riguarda lo sviluppo di un mercato integrato, per l’accesso alle risorse naturali etc.., ci dice che dobbiamo fare la guerra o la pace con la Russia? Siamo sicuri che spingerla verso Est, nelle mani della Cina sia realmente quello che conviene ai nostri interessi? Io penso di no, e penso che facendo così alzeremo il livello dello scontro senza avere una strategia né le forze per partecipare sul serio alla negoziazione.

Ieri ascoltavo Rai3, la radio, ed anche lì la persona che interveniva, di cui non ricordo il nome e me ne scuso, ricordava come i futuri conflitti avranno sempre di più una componente legata alle popolazioni locali, le loro richieste e le risorse naturali. Esatto.

Ma allora che razza di guerra sarà? Chi starà da una parte e che dall’altra?

Credo dobbiamo toglierci dalla testa i modelli del passato. Sarà un conflitto a molti livelli, con alleanze a geometria variabile, gli stessi che si faranno la “guerra” da una parte, saranno “alleati” su un altro teatro. Lo scenario sarà misto, dato che la comunicazione anzi, diciamolo, la propaganda, avrà un peso fondamentale per far credere agli uni e agli altri di essere dalla parte giusta. Siccome le nostre vite ci sono care, ovviamente più care di quelle della gente del sud, noi non vorremo fare la guerra fisica. Tecnologia e carne da cannone presa là dove si trova, fra i poveri e i reietti del mondo, cioè le periferie e i ghetti americani, poi quegli europei e per il resto abbiamo una riserva disponibile nel sud del mondo. In molti saranno d’accordo anche senza dirlo su una guerra che elimini grandi quantità di persone: siamo già in tanti adesso, e non riusciamo a stare assieme, cosa faremo con gli altri due miliardi in arrivo? Ma queste cose non bisogna dirlo, perché l’importante è che muoiano gli altri, non noi. Quindi ci batteremo per “aiutare” i paesi del sud a risolvere i problemi a casa loro, cioè che si facciano la guerra sul posto e non vengano a portarla a casa nostra. Vedete il caso Ebola: l’unica cosa che interessa sono le misure sanitarie negli aeroporti, per controllare che qualche potenziale ammalato non riesca a passare i filtri ed arrivare da noi. Lo stato deplorevole delle strutture sanitarie del sud nopn interessa nessuno. Avete sentito gli alti responsabili delle Nazioni Unite, OMS e compagnia ricordare questa banalità? Cioè dire alto e forte che senza una ricostruzione seria e strutturale dei servizi sanitari pubblici nei paesi del sud, la questione Ebola potrà forse essere controllata oggi, ma rispunterà domani con un altro nome… Nessuno lo dice, tutti zitti, nel consenso ipocrita di non dire le verità che fanno male ai comandanti del vapore. Dire queste cose vorrebbe dire che bisogna rimettere in questione il modello economico, centrato sul mercato… e ritornare a una centralità del servizio pubblico… Nemmeno il Papa lo dice, occhio… anche lui gira al largo dai temi che farebbero male ai piani alti… E allora avanti col mercato… a quanto è quotata la vita umana a Londra, New York o Shangai?

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