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sabato 19 novembre 2022

Chiesa, pedofilia e violenza di genere: se non è Zuppi è pan bagnato

 

Non si può fuggire dalla Memoria. Prima o dopo bisogna fare i conti col passato.

 

Questo potrebbe essere il messaggio sintetico del romanzo che io e mio nipote abbiamo appena ripubblicato. Partendo da giovani tedeschi e argentini, che nulla sanno di quanto le generazioni dei loro padri/nonni hanno combinato, finiscono per scoprire gli altarini familiari, e la resa dei conti arriverà inevitabile.

 

Il libro è uscito lo stesso giorno quando la CEI ha pubblicato il suo rapporto sulla pedofilia nella chiesa cattolica italiana. Il tutto era partito, con anni di ritardo rispetto agli altri paesi europei, lo scorso 27 maggio, quando il nuovo presidente della CI, il cardinale Matteo Zuppi, annunciava un report da parte della Chiesa italiana sui casi e sulle attività di prevenzione che verrà pubblicato entro il 18 novembre (poi uscito il 17).

 

“Il pensiero è sempre per le vittime, il loro dolore è la prima preoccupazione”. Parole del cardinale Matteo Zuppi al momento della presentazione.

 

Appena si sono conosciute la metodologia e il periodo (limitatissimo) da prendere in esame, varie associazioni si sono manifestate pubblicamente per criticare l’impianto del lavoro. In particolare, il Coordinamento ItalyChurchToo contro gli abusi nella Chiesa, promotore di una linea di contrasto agli abusi clericali ben precisa, espressa articolatamente nella “Lettera ai vescovi” del 16 maggio scorso, giudica gravemente inadeguate e contraddittorie le scelte attuate dalla CEI (https://left.it/2022/07/02/egr-cardinal-zuppi-al-report-della-cei-sulla-pedofilia-manchera-proprio-la-serieta/). I punti di discordia, allora indicati, erano:

1) Presidente, i centri diocesani non sono indipendenti. Il Report in sé appare inadeguato a cogliere il dato quantitativo e qualitativo del fenomeno: in primo luogo perché in capo a una rete di servizi interna alla Chiesa e dunque non caratterizzato da quella terzietà necessaria per arrivare a una valutazione oggettiva e super partes del problema. 

2) Presidente, la statistica non è un opinione, è una scienza. Il comunicato della Cei non fa alcun riferimento all’altra componente dell’“indagine”, che dovrebbe avere come oggetto i dati provenienti dal Dicastero per la Dottrina della Fede (DDF) inerenti al ristretto arco temporale 2000-2021. Nel frattempo, però, il cardinale Zuppi definisce nell’intervista «oggettivi», «sicuri» i dati in possesso del DDF, ponendoli in contrapposizione con i risultati del Rapporto francese della Commissione CIASE, giudicando negativamente la loro natura di «proiezioni statistiche», e affidandosi alla valutazione di «tre inchieste di universitari» che «demoliscono il lavoro della commissione». Un giudizio grossolano sull’enorme lavoro di ascolto delle vittime della Commissione d’Oltralpe, durato due anni, che abbraccia un periodo di 70 anni e che ha messo all’opera personalità di alto profilo: è un sorprendente e ingiustificato attacco alla Chiesa sorella. Il cardinale sembra ignorare che le “proiezioni statistiche” utilizzate nel Rapporto CIASE sono uno strumento caratterizzato da rigore scientifico, come ribadito anche di recente da p. Hans Zollner, il quale ha sottolineato come «la metodologia usata dal gruppo è quella utilizzata dalle istituzioni come l’OMS ed è una metodologia valida. È una stima e un’estrapolazione, certo, che viene usata ad esempio per scoprire quante persone a Parigi sono malate di cancro della pelle. Non si conoscerà mai esattamente il numero, ma si avrà un’immagine dell’ampiezza del fenomeno». (Paris, Centre Sèvres, IV Conferenza del ciclo “Dopo la Ciase, pensare insieme la Chiesa”). 

3. Presidente, “metodo qualitativo” ha un significato preciso. Nell’intervista, lei parla di metodo “qualitativo” come metodo che consiste nel «distinguere i numeri grezzi, capire le differenze». Non è corretto. Il metodo qualitativo non rappresenta infatti un lavoro “di qualità” su dati quantitativi ma raccoglie elementi da interviste in profondità e storie di vita: proprio il tipo di lavoro compiuto dalla Commissione Ciase.

4. Presidente, quali e quanti dati possiede il Dicastero per la Dottrina della Fede? Per quanto riguarda l’arco temporale dei dati del DDF ai quali i vescovi intendono fare riferimento (2000-2021), curiosamente si tratta dello stesso periodo preso in considerazione nell’indagine permanente del settimanale Left, avviata a metà febbraio e consultabile da chiunque su chiesaepedofilia.left.it. Inoltre, altrettanto singolare è che tale operazione contraddirebbe l’affermazione di mons. Scicluna che, nel 2014, incalzato dalla Commissione Onu per i diritti dell’infanzia, dichiarò che i dati sugli abusi non sono nella disponibilità del DDF ma delle diocesi. 

5. Presidente, la Chiesa esamini se stessa. Sempre nell’intervista, lei mira a proporre il Report della Chiesa come strumento di prevenzione per «capire il fenomeno più vasto nella società, se non c’è pregiudizio». Anche questo elemento è irricevibile: la Chiesa non deve spostare il suo focus da ciò che accade al suo interno, e non è nelle condizioni di porsi come esperta o consulente in iniziative di carattere statale.

6. Presidente, qual è il suo concetto di “indipendenza”? Il Coordinamento ItalyChurchToo considera irricevibile la scelta dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza come istituzione “indipendente”, motivata dai vescovi con il suo ruolo pregresso di soggetto valutatore all’interno del progetto “SAFE”. L’Università Cattolica del Sacro Cuore, infatti, non soddisfa il requisito dell’indipendenza rispetto alla Chiesa: per statuto, come tutte le università cattoliche è regolata dal Codice di Diritto Canonico (can. 807-814), dalla Costituzione Apostolica Ex Corde Ecclesiae (15 agosto 1990), dalle Norme applicative delle Conferenze episcopali e dai suoi Statuti interni; la sua missione è di «servire a un tempo la dignità dell’uomo e la causa della Chiesa» (Ex Corde Ecclesiae, art. 4); la sua missione è svolta «in armonia con il magistero della Chiesa» (art. 11). 

Il rapporto è stato alla fine pubblicato e praticamente tutta la stampa indipendente, lo ha trovato molto deludente. Come riportato dal Post (https://www.ilpost.it/2022/11/17/report-cei-abusi-chiesa-italia/), “Nella Chiesa italiana ci sono sempre state enormi resistenze nei confronti di questa inchiesta. La prima parte del rapporto era pertanto molto attesa anche perché, negli ultimi anni, diverse Chiese nel mondo hanno realizzato queste indagini in modo approfondito e dettagliato: che avevano portato tra l’altro, come ad esempio in Francia, al riconoscimento ufficiale della responsabilità istituzionale della Chiesa per le violenze sessuali e gli abusi subiti da migliaia di persone negli anni, e al riconoscimento, anche, della «dimensione sistemica» di quelle stesse violenze. L’indagine presentata oggi in Italia è però di tutt’altro tenore.”

 

Ciliegina sulla torta, il cardinale Zuppi non era presente alla conferenza stampa di presentazione.

 

Forse Zuppi, che è considerato uno dei migliori interpreti della Chiesa come la vorrebbe papa Francesco, ha problemi con la Memoria con la M maiuscola? Eppure erano in tanti a sperare che, col suo arrivo alla CEI, entrasse finalmente aria nuova e che potesse iniziare un cammino nuovo, rivolto realmente ai poveri e ai bisognosi, come sembrava dimostrare il curriculum del nuovo presidente.

Ma allora, quando diceva che il suo primo pensiero andava sempre alle vittime (delle violenze), stava dicendo una bugia? Probabilmente l’ordine di non approfondire troppo il tema gli è venuto dal papa stesso, perché in fondo anche lui, da buon gesuita, preferisce il metodo del dire e non fare. In varie chiese del mondo, si scoprono violenze sistematiche, casi di pedofilia a non finire, violenze e schiavizzazione delle suore, e solo in Italia sembra che non ci sia nulla di cui preoccuparsi.

 

Se Zuppi fosse vissuto sul finire della seconda guerra mondiale, oppure se avesse frequentato l’Argentina dei generali, come il suo mentore, probabilmente sarebbe riuscito a farsi compiacere dai gerarchi nazisti e dai generali argentini, dato che sarebbe riuscito a dimostrare che le violenze erano state poche ed episodiche, nulla di sistematico. Forse avrebbe negato anche la Shoah, cosa che non può fare adesso, ma comunque si mette d’impegno per tappare con un dito la falla che porterà probabilmente all’autodistruzione della Chiesa Cattolica. 

 

Nulla da dire contro l’impegno di tante persone e associazioni che si battono in basso della scala gerarchica, laddove sono i poveri e gli esclusi. Qui il problema è rappresentato da una gerarchia corrotta, affarista (come sappiamo bene dagli scandali dell’Ambrosiano in poi), pedofila e violenta. Il papato di Francesco aveva fatto credere che qualcosa potesse cambiare e invece si è capito che dalle finanze alla trasparenza e adesso anche al tema gravissimo della pedofilia e delle violenze fatte a chi frequentava le parrocchie, fino allo scandalo delle suore violentate e usate come schiave e poi fatte abortire e espulse dagli ordini. Insomma, il papato si chiude male per Francesco. A questo punto nemmeno le sue dimissioni servirebbero a granché perché è evidente che il potere vero non sta nelle sue mani ma in quella cupola cardinalizia romana che cerca di tenersi stretti gli ultimi privilegi mentre attorno a lei le altre chiese europee e americane crollano pian piano sotto i debiti. 

 

Alla fine saranno i soldi che faranno chiudere bottega alla Chiesa. Perché, malgrado i tentativi di Zuppi, pian piano la macchina giudiziaria si metterà in moto, come ha fatto in America e altrove, e le richieste finanziarie di rimborso faranno quello che va fatto: una pulizia totale.

 

 

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