Visualizzazioni totali

lunedì 2 gennaio 2017

Un anno è andato via, della mia vita …


Già vedo danzar l’altro, che passerà … così scriveva Francesco da Pavana oltre cinquant'anni fa (album Radici, 1971). Lasciamo dietro un anno pieno di sventure, conflitti, cantanti morti e quant’altro, per avventurarci in questo 2017 indecifrabile, come è giusto che sia.

Cinque anni fa, un caro amico d’infanzia, di mestiere broker, mi diceva che la crisi di cui si parlava già parecchio, sarebbe durata ancora molto, e che si poteva cominciare a vedere la fine del tunnel verso il 2017. Ci siamo. Vediamo se quella profezia che, all’epoca, mi parve un tantino pessimista, non sia stata in realtà fin troppo ottimista.

Quando ascolto e leggo le parole dei cosiddetti leader mondiali, al governo o in qualunque posizione si trovino, qualche dubbio mi sorge. Le ragioni sono abbastanza semplici: da un lato qualcuno comincia a sentire che le radici stesse del nostro vivere assieme cominciano ad essere intaccate da una crisi che, nata nella speculazione finanziaria, ha trovato alimento in quell’individualismo promosso da decenni di ideologia neoliberale al comando dalla fine degli anni settanta. Ma una volta fatta la diagnosi, si resta fermi lì, all’interno di recinti mentali troppo angusti, presi dalle proprie paure di pensare alto ed essere quindi coerenti fra diagnosi e prognosi. Una crisi globale come quella nella quale siamo immersi, fatta di tante crisi che si stanno sommando casualmente (o no?) richiede una risposta globale, all’altezza delle sfide. Il problema è che siamo guidati da classi politiche mentalmente chiuse, prigioniere di schemi mentali e di patti col diavolo turbocapitalistico, che impedisce loro di andare alla ricerca delle cose da fare e di porsi alla testa di quel movimento mondiale di rinascita senza il quale non ne usciremo vivi.

Di crisi ne abbiamo tante, proviamo solo a ricordarle:
  • crisi ambientale, di cui si è tanto parlato fra la COP di Parigi del novembre 2015 e gli impegni di Marrakesh di quest’anno;
  • Crisi finanziaria dalla quale non siamo usciti e che, come vediamo a casa nostra, significa un possibile crollo del sistema bancario, oberato da una montagna di crediti inesigibili che potrebbero sfociare nel fallimento del Monte dei Maschi, la più antica banca del mondo, simbolo di quel fallimento più ampio che si annuncia;
  • Crisi del lavoro: da quando sono sento parlare di mettere il lavoro al centro delle preoccupazioni del governo. Ne sono passati una quarantina da quando ho cominciato a sentire questi discorsi, ma siamo sempre lì: lo sviluppo tecnologico taglia lavoro a livelli stratosferici e nulla indica che si pensi di tornare indietro da questa strada;
  • Crisi geopolitiche a profusione: dai vecchi conflitti tipo Israele Palestina, siamo passati a una miriade di conflitti a geometrie variabili, alcuni centrati sul controllo delle risorse naturali, altri di cui si è quasi perso il senso e poi tutti quelli nuovi che in modo molto approssimativo, e sbagliato, vengono ricondotti a uno scontro di civiltà fra i musulmani integralisti e i cattolici;
  • La summa di gran parte di queste crisi è quella crisi di valori, del perché vogliamo e dobbiamo stare assieme su quest’unica Terra che abbiamo. La crisi delle democrazie occidentali è il segnale di quello che abbiamo perso: non sappiamo più, e forse non vogliamo più, Stare assieme, ed eccoci lì a dividerci, a reinventare barriere che fino a pochi decenni fa volevamo a tutti i costi eliminare. Muri dappertutto, ma soprattutto dentro le nostre teste. Muri che ci impediscono di vedere al di là di casa nostra, per cui quello che ci viene proposto come risposta sono sempre soluzioni buone per il giardino di casa, e non oltre.

Abbiamo iniziato il 2017 così come abbiamo finito il precedente: un attentato a Istanbul, e l’ennesimo scandalo che vede coinvolto il Presidente della Commissione Europea Junker. In Siria, Iraq, Yemen e tutta la regione, gli scontri continuano, ai quali si aggiungono i segnali in arrivo dal Burundi, con l’uccisione di uno dei ministri del governo. Da mesi si parla del Burundi come del prossimo genocidio in preparazione, forse il 2017 sarà l’anno buono. Le finanze di casa nostra sono ridotte a brandelli, con un governo tutto teso a far pagare ai cittadini i costi della propria insipienza nella crisi bancaria nostrana. Nel frattempo ci viene dimostrato una volta ancora che a livello europeo siamo come nella situazione della volpe messa a guardia del pollaio. Junker, uomo del turbo capitalismo finanziario mondiale, ha fatto di tutto per proteggere quegli interessi che gli pagano il vero stipendio e ovviamente solo gli ingenui possono pensare che, una volta nominato a Bruxelles, il lupo possa aver perso il vizio.

Avremo probabilmente un anno ancora di bombe e attentati, anche se siamo qui ad attaccarci alla speranza che in Colombia l’accordo d pace diventi pratica di terreno reale e che il fragile accordo appena firmato tra i vari contendenti al potere nel Congo “Democratico” resista e vada avanti. In queste ore siamo lì ad osservare la tregue siriana promossa da Putin e Erdogan, e noi, quelli che una volta credevano nelle nazioni unite, siamo alla finestra a guardare l’ennesimo fallimento, l’ennesima dimostrazione di inutilità di queste organizzazioni tale e quale sono strutturate. Gli unici progressi significativi, cioè i due accordi di cui parlavo prima, Colombia e RDC, sono il frutto della diplomazia di Oltretevere, la longa manus di Papa Francesco, molto più potente e concreto di tanti altri. Putin e Erdogan, una coppia sulla quale pochi avrebbero scommesso, sono forse riusciti a promuovere una tregua dove brilla l’assenza non solo degli americani, ma ancora una volta, delle nazioni unite. 

Gennaio ci porterà la nuova presidenza americana, un segnale che ci ostiniamo a non voler capire. Il sonno della ragione genera mostri, questo lo sapevamo fin da piccoli, ma non è servito a nulla. L’ostinazione con la quale le forze politiche dimenticano il sano principio di “parlare come te magni”, cioè quel legame fondamentale col popolo dal quale traggono la loro legittimità, cosa particolarmente grave per quei partiti che si richiamavano a una tradizione progressista, sembra difficile da capire. Poi andiamo a vedere la piccolezza degli uomini che compongono la dirigenza di quei partiti e movimenti, la loro ignoranza, presunzione e, soprattutto, la loro voglia di “arrivare”, cioè di mettersi in tasca quei soldi, sporchi o puliti non fa differenza, che sono diventati l’unico metro che misura la riuscita di un individuo, e allora cominciamo a capire.

Pensare che sia possibile venirne fuori finché questa “accozzaglia” (come direbbe il non rimpianto ex-premier italiano) sarà lì a manovrare, a loro volta manovrati da interessi più forti, che si chiamano JP Morgan o altro, è una illusione dalla quale dobbiamo svegliarci presto.

Non ha nessun senso augurare buon 2017, perché non potrà essere un buon anno. Sarà un anno di disgrazie e conflitti annunciati, già scritti sulla carta, l’unica incognita resta il dove e quando, ma non la certezza che succederà. Andate a cercare le decisioni prese e i soldi veri messi a disposizione dal nostro governo (attuale e gran parte dei precedenti) per risanare il nostro territorio, metterlo in sicurezza, e fermare quel bagno continuo di cemento che è stato il marchio di fabbrica del “miracolo” italiano. Non troverete nulla, a parte le tante dichiarazioni di solidarietà e le visite ai terremotati. E allora, se non siamo capaci nemmeno di evitare di segare il nostro piccolo ramo italiano sul quale siamo seduti, ditemi voi perché dovrei sperare che il 2017 sarà migliore.

Dice il nuovo governo (Ministro Minniti, due giorni fa) che bisogna raddoppiare le espulsioni. La corsa a chi la spara più grossa è partita. Fra Grillo e Salvini, anche il governo vuole mettersi in mezzo. Parliamo dell’albero, e mai della foresta. Cacciamo gli immigranti clandestini, bene, bravo, bis. Ma qual è il disegno che l’Italia persegue a casa sua, in Europa e nel Mondo? Quali i valori che testimoniamo nel quotidiano, e che vorremmo esportare? Ci resta quel fondo di anima gentile e compassionevole, affidata oramai al terzo settore, alle parrocchie, mentre ai piani alti non si vede una persona capace di vedere al di là del proprio naso. Non possiamo consolarci dicendo che è così anche altrove, America compresa: è triste constatarlo, ma abbiamo lasciato che la finanza mettere ai posti chiave i suoi uomini, preoccupati di salvare il capitale, le banche, di aumentare la produttività del lavoro, cioè di continuare a tagliare posti di lavoro. Ciliegina sulla torta per chiudere il 2016 arriva poi la decisione della Corte di Cassazione (4 giorni fa) che afferma che è lecito licenziare per aumentare i profitti. Ecco riaffermata la sola verità che conta, la supremazia di Mammona, altro che balle.

Libro consigliato per il 2017, di Yanis Varoufakis: I deboli sono destinati a soffrire? La risposta è si!


Come si dice dalle mie parti, ‘ndasì in mona tuti quanti!

Nessun commento:

Posta un commento