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martedì 2 novembre 2010

Nepal - la parola del giorno: sanskar


In Nepal la parola sansa vuol dire rito di passaggio. Concetto antico ma ancora molto vivo fra gli Indu, Buddisti e tutti gli atri influenzati da loro. Questo è il periodo nel quale sta vivendo il paese da quando, nel 2006, venne firmato il cessate il fuoco.

Un passaggio che ha un inizio ma non ha ancora chiara la fine. Il nostro avvicinarsi al Nepal è chiaramente influenzato dai nostri modi di pensare e vedere, pregiudizi che ci portiamo dietro anche quando diciamo (e crediamo) di essere obbiettivi.
Ci aspettiamo quindi un paese che, all’uscire da una guerra pesante per durata e morti, abbia chiaro il ruolo di ognuno nella ricostruzione morale ed economica dello stesso. Non solo abbiamo un generico anteguerra e un postguerra (da definire), ma passiamo da un medioevo incarnato dai monarchi che governavano fino a pochi anni fa ai dibattiti “moderni” sullo Stato federale, comunitarismo, decentralizzazione. Un salto che solo delle istituzioni forti potrebbero reggere, ma qui siamo in un paese dove la guerriglia che combatteva per la giustizia sociale (i maoisti) voleva essenzialmente distruggere questo Stato e le sue istituzioni.

La stessa sopravalutazione che abbiamo noi, agenzie UN e donanti, quando chiediamo loro, a queste istituzioni deboli e fragili, di prendere in mano un processo che non hanno neanche mai visto prima. Di fatto si vuol creare uno Stato nuovo, una nazione nuova, una passione che ha preso piede anche in altri paesi, vedi l’Irak. E solo dopo anni si comincia a rendersi conto che così non si fa. Ma la vera domanda non è come si dovrebbe farlo, ma che senso ha pensare di costruire uno Stato nuovo?

Le istituzioni locali, i leaders politici nepalesi vengono considerati da chi interviene da fuori, come dei protagonisti. La stessa vista corta che abbiamo normalmente noi “cooperanti”. Ma protagonista non lo diventi perché lo ha deciso una comunità di donanti. Guardandoli meglio, a come le istituzioni locali, incluso il sistema dei partiti nel suo assieme, siano sopravissuti al conflitto, e che alla fine sono gli stessi maoisti a cominciare a cambiare, per entrare in questo mondo reale, in queste istituzioni fatte così, con i loro limiti, ecco allora l’indicazione di come dovremmo muoverci, da dove partire. Capire chi sono, il loro modo di vedere le cose, come base per degli obbiettivi realisti, meno intrisi della nostra (implicita) ideologia, e più a portata di mano.

I leaders politici si vedono più come dei purohits, delle specie di preti Indu, piuttosto che dei protagonisti attivi. Sono dei custodi di valori e tradizioni antiche piuttosto che innovatori. Meglio non considerarli come degli eroi perché non lo sono. Nel dubbio meglio non far nulla, e la gente accetta (o sembra accettare) questo modo di governare. Anche i maoisti stanno cambiando e la loro retorica di cambiare il mondo va pian piano cambiando. Discussioni interne sono in corso e questo spiega perché non arrivano ad un accordo su nulla: non sanno cosa vogliono e ogni giorno scoprono delle faccettature che non conoscevano prima.

Capire come andrà a finire fra quelli che preferiscono lo status quo, l’ andreottiano tirare a campare (che è sempre meglio del tirare le cuoia) e chi vuol provare ad andare avanti, e fino dove.. ecco il tema del prossimo futuro. Noi lottiamo lì in mezzo, cercando di capire come costruire un percorso che esca dal non far nulla e cominci ad avere il coraggio di toccare la dove duole. Chissà se ce la faremo.

una foto al giorno: lo facciamo per lui e per i piccoli come lui.

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