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domenica 5 maggio 2013

La crisi europea dei debiti sovrani: possibili cause e interventi di politica economica


questo contributo di mia figlia mi è sembrato molto interessante, per cui ho deciso di condividerlo.

Con la crisi finanziaria scoppiata negli Stati Uniti nel 2007-2008, trasmessa al continente europeo sia per il tramite del canale finanziario che per quello reale, sono emersi molteplici problemi all’interno dell’Unione Economica e Monetaria europea (UEM) legati all’eccessivo indebitamento pubblico e privato dei suoi paesi membri. Al fine di stabilizzare i paesi con eccessivo debito pubblico e con un elevato tasso di finanziamento, legato all’incertezza sulla solvibilità del paese stesso, sia la Banca Centrale Europea (BCE) che le istituzioni dell’Unione Europea (U.E.) hanno messo in atto specifiche politiche economiche. Da un lato, la BCE, oltre ad attuare misure monetarie espansive convenzionali, ha attuato misure definite non-convenzionali quali la ricapitolazione delle banche commerciali e l’acquisto sul mercato secondario di titoli di stato. Dall’altro lato l’UE ha costituito specifici meccanismi atti ad aiutare i paesi con difficoltà di finanziamento. Nonostante le politiche attuate sino ad oggi, i paesi periferici rientranti nell’UEM, quali Cipro, l’Italia e la Spagna,  soffrono tuttora di elevato debito pubblico e rischiano un default totale. La crisi ha evidenziato come l’UE non sia un’area valutaria ottimale (si veda la teoria delle aree valutarie ottimali di Mundell 1961) , costringendo paesi vittime di shock asimmetrici ad un limitato uso degli strumenti di politica economica.

Al fine di comprendere la crisi dei debiti sovrani scoppiata in Europa a partire dal 2009 è necessario interessarsi alle cause che hanno portato diversi paesi dell’UE, quali la Grecia, l’Irlanda, il Portogallo e la Spagna, definiti periferici non solo per la loro posizione geografica ma anche rispetto al loro contributo economico rispetto all’intero Prodotto Interno Lordo (PIL) dell’UE, ad aumentare in maniera esponenziale il loro debito pubblico e privato. Paesi come la Grecia ed il Portogallo, negli anni precedenti la crisi del 2009, hanno vissuto periodi di crescita elevati. Le ragioni della crescita vanno riscontrate nell’importante aumento di spesa pubblica che permise l’aumento della domanda aggregata ( si pensi alla formula di domanda aggregata di Keynes AD= C+I+G+NX dove un aumento del consumo C, o degli investimenti I, o della spesa pubblica G o delle esportazioni nette NX fanno aumentare la domanda aggregata AD). Al fine di finanziare l’aumento della spesa pubblica e il deficit di bilancio conseguente, sia la Grecia che il Portogallo hanno emesso titoli di debito pubblico. La domanda di titoli sia greci che portoghesi rimaneva elevata vista la bassa rischiosità dei titoli, dimostrata dal loro rendimento moderato tuttavia superiore a quello dei titoli tedeschi. I maggiori acquirenti dei titoli di debito, oltre alle banche nazionali, erano le altre banche europee. 
Questo dettaglio si rivelerà essenziale per comprendere la paura della trasmissione della crisi da un paese europeo all’altro. Altri paesi quali l’Irlanda e la Spagna hanno vissuto prima dello scoppio della crisi statunitense un lungo periodo di crescita dovuto maggiormente all’incremento di investimenti e del consumo privati. In entrambi i paesi, anche se per ragioni diverse, si formò una bolla speculativa immobiliare che venne interamente finanziata dalle banche, comportando un aumento del debito privato e ad un innalzamento del rapporto di leva delle banche. Per rapporto di leva si intende il rapporto tra attività della banca e il suo capitale. Più è elevato il rapporto di leva, più il rischio di insolvenza della banca cresce. Questo rapporto si è rilevato fondamentale nel momento in cui negli Stati Uniti scoppiò la bolla speculativa immobiliare e il numero delle insolvenze dei cosiddetti subprimers cominciò ad essere tale da far scendere i prezzi di mercato delle obbligazioni emesse dalle banche, emettitrici del mutuo subprime. La diminuzione dei prezzi delle obbligazioni dei titoli definiti Mortgage Backed Security (MBS) – obbligazioni composte da diversi tipi di mutui venduti dalle banche commerciali al fine di cartolarizzare il mutuo acceso - e dei Collateral Debt Obligations (CDO) – titoli costituiti da una pluralità di MBS rivenduti dalle banche di investimento- essendo iscritti a bilancio con il loro prezzo di mercato, hanno comportato una drastica diminuzione delle attività delle banche commerciali creando seri problemi di solvibilità. Analizzare l’intero processo della crisi finanziaria americana sarebbe fuorviante. Ciò che è necessario ritenere è che la crisi fu trasmessa dagli Stati Uniti in Europa tramite due canali: quello finanziario e quello reale. Dal lato finanziario perché la generale incertezza che regnava sulla composizione dei titoli detenuti dalle banche ebbe come effetto di far diminuire il valore dei titoli stessi, facendo così diminuire il valore degli attivi delle banche commerciali causando rischi di insolvenza. Al fine di affrontare i default delle banche, il governo irlandese decise di nazionalizzarle garantendo i debiti privati assunti dalle banche. Per questo motivo gli economisti considerano simili gli effetti di un elevato debito pubblico e di un elevato debito privato, in quanto in caso di insolvenza delle banche commerciali, il governo, nazionalizzando gli istituti finanziari, trasforma de facto il debito privato in pubblico. La crisi statunitense si è inoltre propagata in Europa tramite il canale reale. Ciò è dovuto all’effetto della recessione – e quindi della diminuzione della domanda aggregata- sulla domanda di importazioni. La recessione, diminuendo il reddito della collettività, oltre a far diminuire il consumo privato ha comportato un’ importante riduzione della domanda di importazioni europee, ed in conseguenza riducendo le esportazioni nette europee nei confronti degli Stati Uniti, facendo ulteriormente diminuire la domanda aggregata europea.

La crisi europea si è poi inasprita nel momento in cui il governo greco annunciò di avere truccato i bilanci dello stato e di avere un rapporto di deficit/PIL ben più elevato del 3% - dato limite consentito dai parametri di Maastricht -, raggiungendo quasi il 15%. Dopo l’annuncio greco, la maggior parte degli istituti finanziari cominciarono a rivendere i titoli di debito greci, facendone aumentare l’offerta, diminuendone i loro prezzi e conseguentemente aumentando il loro rendimento – nell’UEM si fa spesso riferimento al termine spread che rappresenta il differenziale di rendimento fra i titoli di debito tedeschi, considerati i meno rischiosi, e quelli degli altri paesi dell’UEM. Al fine di contrastare questa crisi gli organi del sistema dell’Unione Europea attuarono specifiche politiche economiche. Da un lato verranno descritte le politiche monetarie convenzionali e non della BCE. Dall’altro lato le politiche dell’UE. La prima politica monetaria attuata dalla BCE al fine di arrestare la spirale recessiva sia reale che finanziaria fu quella di abbassare i tassi dell’interesse. La BCE, secondo il suo Statuto, ha il potere di fissare tre tassi dell’interesse. Il primo, definito tasso pavimento, è il tasso dei depositi che le banche commerciali ricevono dalla BCE. Il secondo, tasso tetto, è il tasso d’interesse che le banche commerciali devono ripagare alla BCE in cambio di un prestito. Il terzo, ed ultimo, è il tasso di rifinanziamento che individua quel tasso che la BCE ottiene nel momento in cui, dopo aver acquistato i titoli di una banca commerciale li rivende alla stessa banca in un periodo successivo, di solito di due settimane. La politica espansiva della BCE si rivelò però inefficace in quanto, nonostante un tasso di interesse notevolmente basso, gli investimenti non crebbero. Ciò può essere spiegato dal ruolo delle aspettative negative di profitto che rendono gli investimenti maggiormente rigidi alla variazione dei tassi di interesse. Essendo le politiche convenzionali poco efficaci, la BCE decise di effettuare diverse altre politiche legate principalmente alla ricapitalizzazione delle banche commerciali e all’acquisto di titoli di debito sovrani sui mercati secondari. Tra la varie iniziative della BCE vanno menzionate il Markets Securities Programme (SMP) del maggio 2010, il Long Term Refinancing Operation (LTRO) del dicembre 2011 e l’Outright Monetary Transactions (OMT) del novembre 2012. Il SMP è un intervento della BCE sui mercati secondari al fine di acquistare titoli di debito dei paesi periferici dell’UEM. E da notare che la BCE non può intervenire sul mercato primario dei debiti sovrani in quanto il suo Statuto non glielo consente. Questa prima manovra non fu sufficiente a stabilizzare i costi di finanziamento dei paesi vittime della crisi dei debiti sovrani. Per questo motivo, nel dicembre 2011 la BCE approvò un programma di finanziamento delle banche commerciali fino a 1000 miliardi di euro sterilizzati – non facendo pertanto aumentare la quantità offerta di moneta in circolazione- ad un tasso d’interesse all’1 %, al fine di incentivare gli istituti di credito ad acquistare ulteriori titoli di debito dei paesi periferici. Vedendo il default parziale della Grecia e la possibile propagazione di un’insolvenza degli altri paesi quali la Spagna , il Portogallo e l’Italia dovuta all’interconnessione fra le varie economie europee, il Presidente della BCE, Mario Draghi, annunciò nel settembre 2012 che avrebbe “fatto di tutto” al fine di risolvere la crisi europea. Questo annuncio fu un importante segno verso gli speculatori finanziari e portò ad un riequilibrio dei tassi di rendimento dei titoli di debito. L’intenzione della BCE di affrontare in modo più massiccio la crisi europea si risolse nella creazione delle OMT. Queste ultime sono degli interventi di acquisto di titoli di debito pubblico illimitati e sterilizzati della BCE, condizionati alla richiesta dello stato necessitante allo European Stability Mechanism (ESM, istituto di credito lussemburghese creato dall’UE) e alla firma di un Memorandum of Understanding che impegna lo stato ad una serie di piani di ristrutturazione economica.

Oltre ai numerosi interventi della BCE, anche le altre istituzioni dell’UE hanno attuato diverse misure al fine di superare la crisi dei debiti sovrani. Tra questi vanno ricordati gli strumenti che hanno permesso ai paesi colpiti di finanziarsi ad un costo inferiore rispetto al prezzo di mercato, quali l’EFSF, l’EFSM e l’ESM; e le misure atte a ristrutturare gli eccessivi debiti, quale il Six Pack e il Fiscal Compact. L’EFSF e l’EFSM nascono nel maggio 2010 come istituti di credito che, attraverso l’emissione di titoli – con notazione AAA, per nulla rischiosi – finanziano i paesi periferici soggetti ad alto debito pubblico. Fra i due meccanismi esistono due differenze: la prima è costituita dalla loro potenza di fuoco e l’altra dai destinatari potenziali. Per quanto riguarda il primo aspetto, l’EFSF può emettere titoli fino a 440 miliardi di euro garantiti dai bilanci degli stati membri dell’UEM, mentre l’EFSM può emettere titoli fino a 60 miliardi di euro, garantiti dal bilancio dell’UE. Per quanto riguarda il secondo aspetto, l’EFSF si rivolge ai paesi membri dell’UEM, mentre l’EFSM si rivolge ai paesi dell’intera Unione. Questi due strumenti verranno interamente sostituiti dall’ESM nel 2013. Questo istituto creato dalla UE e operativo dal luglio 2012, ha una potenza di fuoco di 700 miliardi di euro garantiti dagli stati membri. Al fine di ottenere aiuti finanziari da questo istituto lo stato richiedente deve firmare un Memorandum of Understanding dove vengono inseriti dei piani di ristrutturazione del debito e diverse altre riforme che la Troika – composta dalla Commissione europea, dall’UE e dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) – ha stabilito in diverse fasi di negoziazione. Oltre a questi meccanismi di finanziamento, l’UE è intervenuta al fine di obbligare gli stati ad alto debito pubblico a conformarsi al Trattato di Maastricht del 1992 e al Patto di Stabilità e Crescita (PSC) del 1996-1997. Secondo Maastricht gli Stati dell’UE non possono avere un rapporto deficit /PIL superiore al 3% e un rapporto debito/PIL superiore al 60%. Nel caso in cui il rapporto deficit/PIL fosse superiore, il PSC individua un meccanismo sanzionatorio. 
Questo atto legislativo dell’UE firmato da tutti i paesi membri è chiamato Fiscal Compact. Questo documento vincola gli Stati con un rapporto debito/PIL superiore al 60% a ridurlo di un ventesimo della differenza tra il rapporto effettivo e il 60% all’anno. Tra le altre clausole del Fiscal Compact va sottolineato che i paesi ad elevato debito pubblico non possono avere un deficit strutturale superiore allo 0.5%. Per deficit strutturale si intende il rapporto tra il deficit di bilancio e il PIL di pieno impiego. Inoltre il Fiscal Compact impegna gli Stati ad inserire il pareggio di bilancio all’interno delle proprie Costituzioni. Al fine di comprendere la “feasibility” della clausola del Fiscal Compact legata al rapporto debito/PIL, è necessario analizzare in che modo questo rapporto possa essere diminuito. Da un lato, si può ridurre il debito o tramite la riduzione della spesa pubblica – o un incremento dell’imposizione fiscale – o tramite la riduzione del tasso di finanziamento che lo stato deve ripagare ai suoi creditori. Dall’altro lato, si può far aumentare il PIL o tramite un importante aumento dell’inflazione o tramite politiche che incentivino una crescita sostenuta. Come si può notare dalle varie politiche effettuate dall’UE, la linea prevalente al fine di sormontare la crisi europea è stata quella definita de”l’ austerity”. Questa visione, rappresentante il pensiero rigorista tedesco, promuove politiche restrittive al fine di diminuire il debito pubblico e risanare i conti pubblici. Il limite di queste politiche è stato quello di inasprire la recessione ormai in atto dal 2009 in Europa e di non stimolare la crescita. Economisti quali Blanchard, chief economist del FMI, hanno ammesso di aver sottovalutato gli effetti recessivi del moltiplicatore economico che le politiche di austerity hanno provocato sulle economie nazionali. Per questo motivo la linea tedesca viene ormai bilanciata con la linea “greca” che propende a favore di politiche espansive in caso di recessione economica. Questa nuova linea tende invece ad evitare qualsiasi politica economica e lasciar agire gli stabilizzatori automatici che, tenderanno a far aumentare la spesa pubblica e conseguentemente il debito pubblico ma in modo non eccessivo.

Sia le politiche monetarie della BCE che le politiche dell’UE non hanno permesso all’UEM di uscire dalla crisi dei debiti sovrani. L’ultimo esempio di ciò è il caso cipriota che, qualche giorno fa, ha richiesto aiuto all’UE al fine di evitare il default delle sue due maggiori banche Laikia e la Bank of Cyprus. Questa mancata efficacia delle politiche economiche a livello sovranazionale è dipesa dal fatto che l’UEM non è un’area valutaria ottimale. Nonostante fosse uno degli obiettivi ricercati nel 1999 quando fu creata l’UEM, secondo la teoria di Mundell del 1961, per ottenere un’area valutaria ottimale bisogna avere una flessibilità dei prezzi e dei salari; una perfetta mobilità dei fattori produttivi; una struttura della produzione simile fra paesi; un’unione politica “federale” e un’unione fiscale “federale. Secondo i dati empirici, l’UEM difetta non solo di una flessibilità dei prezzi e dei salari in quanto sono flessibili verso l’alto ma rigidi verso il basso; ma anche della mobilità del fattore lavoro dovuto alla diversità di lingue e culture; e soprattutto di un’unione politica e fiscale. In questo contesto, in un’area valutaria non ottimale, i paesi possono essere vittime di shock asimmetrici e possiedono limitati strumenti al fine di ristabilizzare la situazione. Prendendo l’UEM come esempio, un paese che subisce una crisi recessiva asimmetrica – il che significa che gli altri paesi dell’UEM non la stanno subendo – non potrà attuare politiche monetarie nazionali in quanto la sovranità monetaria è stata deferita alla BCE. La BCE, inoltre, non attuerà politiche espansive che portano ad un aumento dell’inflazione se gli altri paesi non subiscono crisi recessive perché un aumento dell’inflazione in suddetti paesi comporterebbe ulteriore instabilità economica. Dal lato delle politiche di bilancio lo stato vittima dello shock asimmetrico non potrà aumentare la propria spesa pubblica se troppo indebitato, in quanto dovrà rispettare i parametri di Maastricht e del PSC. Mentre a livello europeo, i paesi in surplus che potrebbero finanziare i paesi in deficit tenderanno non volerli finanziare se il deficit diventerà perenne. L’ultimo possibile strumento sono le politiche dal lato dell’offerta. Queste politiche hanno il pregio di stimolare la crescita di lungo periodo in quanto sono favorite dal progresso tecnologico, da maggiore produttività, o minori costi di markup per le imprese.  Il problema è che questo tipo di politiche ha effetto nel lungo ma non nel breve periodo.

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