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lunedì 11 novembre 2013

Il Dio mercato e le riforme agrarie



La domanda che mi pongo da un po’  di tempo è la seguente: Dove sono sparite le riforme agrarie appoggiate, orientate, stimolate o supportate dal mercato?

Eravamo un po’ più giovani, quasi una ventina di anni fa, quando apparse sulla scena agraria il mitico MERCATO. Non il calciomercato, semplicemente il mercato, quello che, nelle opinioni dei sostenitori, avrebbe risolto i problemi di concentrazione della terra nelle poche mani di sempre. Il Mercato con la M maiuscola era LA soluzione ai problemi agrari del mondo intero. Non state lì a chiedervi da dove fosse venuta questa idea: non credo abbiate bisogno di suggerimenti così banali. Noi scettici eravamo stati spazzati via dall’ondata dei giovani arrembanti e dagli specialisti latinoamericani del voltagabbana, quelli che da giovani facevano i rivoluzionari della riforma agraria e poi diventati adulti e presi dei posti di responsabilità nazionali ed internazionali saltarono come un sol uomo sul carro vincente. Il mercato della terra.

Con qualche riserva, anche il nostro capo suggerì di fare un giro su quella giostra. Orgaizzammo così alcuni studi in paesi latinoamericani dove le sirene avevano suonato fin da subito: Messico, Ecuador e Colombia. 

Andammo a vedere, discutemmo e pubblicammo i risultati. Delle Università nazionali e/o delle grosse e reputate ONG nazionali ci accompagnarono in quegli studi. Le risposte che trovammo furono abbastanza ovvie, direi. Il mercato era segmentato e funzionava bene fra ricchi, eventualmente funzionava bene dal sotto in su, cioè estraendo altra terra ai piccoli contadini, ma non funzionava assolutamente nel senso inverso, cioè come redistributore di terre.

Dato che noi contavamo meno di zero, l’ondata mondiale andò avanti, e dal semplice mercato delle terre arrivò la versione fashion: le riforme agrarie via il mercato. La ragione era molto semplice: i movimenti contadini nelle Filippine e nel Brasile erano riusciti ad imporre il tema della riforma agraria nelle agende nazionali, e bisognava correre ai ripari, per evitare che queste pressioni sociali che chiedevano alle istituzioni pubbliche di impegnarsi su questi temi, potessero andare a buon fine.

La riforma agraria via il mercato è stato un prodotto che si è cercato di vendere a tutti i costi: dalla Colombia al Brasile, dal Sudafrica alle Filippine per finire poi nell’imbottigliamento centroamericano. Gli specialisti, uno in particolare, di quella organizzazione che conosciamo bene, si dettero da fare per vendere la mercanzia, col solito trucco delle tre carte: guardate bene dove la metto, sotto qui, o di là.. insomma quando si andava a cercare i risultati positivi di queste promesse, non si trovava mai nulla. Ci andammo anche noi a fare il nostro compitino, nel nordest brasiliano, nello Stato del Cearà, ma i risultati confermarono le stesse ovvietà precedenti.

Si continuò così per anni, fino ad arrivare a nominare questi programmi come Community Based, cioè come se le comunità contadine avessero chiesto loro di fare venire il mercato per fare quelle riforme agrarie che le elites politiche rifiutavano di portare avanti.

Passata la tempesta dei movimenti sociali, che pian piano cominciarono a scendere a più miti pretese, anche il sogno delle riforme di mercato cominciò ad appassire. Non c’era più bisogno di spingere tanto su quell’acceleratore, che tanto non ci credeva nessuno ma soprattutto non c’era più nessuno che facesse pressione sociale per qualcosa di diverso.

I quattro gatti che eravamo rimasti, impacchettatici ben bene dopo la Conferenza di Porto Alegre, rimanemmo fra i pochi a ricordare queste tristi verità: il mercato non ha mai risolto un solo problema per quegli attori che ne sono sistematicamente esclusi. Le asimmetrie di potere erano forti prima e sono ancora più forti adesso. Di riforme agrarie non si sente più parlare, tanto oramai la moda è passata su altri temi, adesso ci si trastulla con la governanza (magari bisognerebbe chiedere a Daniele Silvestri di farne un’aria tipo La Paranza…vediamo: la governanza è una danza, che si balla sull’isola di Ponza, dove senza concorrenza, seppe imporsi a tutta la cittadinanza..).

La memoria storica non interessa nessuno, o quasi. Per colpa del mio professore francese, io insisto nel ricordare queste cose. Nella vita c’è chi sta da una parte e chi dall’altra. I fautori del mercato e delle riforme agrarie via mercato stanno seduti da un’altra parte, la dove non si trovano gli esclusi, gli indigeni, i pastori e gli altri piccoli attori qusi senza speranza. Noi stiamo invece seduti da quella parte e continueremo a ripetere lo stesso messaggio: più organizzazione sociale per fare più pressione, partire dai diritti collettivi per riconoscere anche quelli individuali; rafforzare le istituzioni dello Stato come ordinatori del territorio: non lasciare i beni comuni in mano al mercato e no alla privatizzazione. Vogliamo più Stato, ma uno Stato diverso come dicevamo a Porto Alegre, uno Stato aperto al dialogo, alla collaborazione.

Lo diciamo ancora una volta, adesso che stiamo cercando di far ripartire uno di questi momenti di riflessione internazionale su questi temi. A futura memoria.

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