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sabato 7 marzo 2015

Privato è meglio?



Veniamo da una lunga storia di gestione delle risorse naturali fatta attraverso istituzioni comunitarie. Ne restano ancora molte in Italia, vestigia di un mondo rurale che è andato scomparendo con la gioia di tutti. Di tutti? Beh, direi di no. Il movimento che ha spinto per la privatizzazione delle terre, a partire dalle enclosures inglesi tra il 17 e il 18 secolo, si è pian piano spinto altrove. Ha conquistato il mondo occidentale, ha affrontato grosse resistenze all’Est finchè, con la caduta del Muro e la scomparsa dell’URSS è potuto dilagare anche da quelle parti.

Verso il sud del mondo ci ha messo più tempo, e non ha ancora finito. Gli argomenti usati in inghilterra dovevano essere aggiornati per diventare appetibili, per cui il buon Hardin ci pensò su e scrisse un testo, apparso nel 1968, che ha posto una delle basi per l’accaparramento a cui assistiamo oggi. Il mondo liberale e neoliberale ci si è buttato sopra: la scusa che le terre gestite in modo comunitario fossero sprecate economicamente era troppo ghiotta per lasciarla passare. Ecco perché da allora, chi si occupa di questioni legate alle terre, prima o dopo incappa sempre in questo maledetto articolo. Non si può nemmeno dire che lo abbia scritto sotto dettatura, ma è bastata l’ignoranza di chi non era mai andato a studiarli da vicino questi commons (bastava venire in Europa senza arrivare fino alla calda Africa), per capire la flessibilità e la molteplicità degli arrangi istituzionali che stanno dietro alle pratiche comunitarie. Ma soprattutto ci voleva una libertà di pensiero, che lui non aveva, obnubilato dall’homus economicus, per capire che esistono altre realtà umane che non necessariamente misurano tutto sulla base del profitto.

Questa ragione spiega molto dell’ansia di portare avanti le tesi sostenute da Hardin. Negli stessi anni quando usciva quell’articolo, diventava chiaro che il tasso di profitto del dopoguerra era oramai irrangiungibile e continuava a scendere. Tragedia degna di Zio Paperone: cosa fare? Dove trovare delle possibilità di far soldi? La questione della terra si pone  a partire da quel momento.

Ma va detto che la terra non era l’unico bene a cui ci si interessava. L’acqua e l’aria, per non direi dell’ambiente in senso lato, entrarono nella linea di mira dei lupi di wall street.I momenti salienti della distruzione del corpo sociale che teneva ancora in piedi una parvenza di vita comunitaria si possono riassumere, a grandi linee con:
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 L’affermazione che l’unica moneta che contava era il dollaro, quello vero ma anche quello virtuale che si comincia a creare a grande scala con la rottura del sistema del Gold Standard. Fino ad allora, la parità fissa oro-dollaro e monete attaccate, garantiva stabilità a tutti. Con la rottura decisa unilateralmente dagli americani, ognuno ha dovuto imparare a nuotare nel mare magnum dell’imprevisbilità economica, con alti e bassi e, soprattutto, con la possibilità, venduta come una necessità per parare i colpi dei cicli di alti e bassi delle diverse monete, di creare moneta fittizia. Infatti i mercati dei features vengono creati immediatamente dopo la rottura. Con i futures si comincia a vender o comprare al futuro, quindi con una moneta virtuale, che si pagherà al momento della consegna. Si può quindi cominciare a speculare, cosa che prima era praticamente impossibile dati i rapporti fissi tra le monete.
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 Poco dopo arrivano al potere, dopo esser stati adeguatamente allenati, i neoliberali. In America e in Inghilterra Reagan e la Thatcher cambiano il mondo. Privatizzare tutto quello che sia possibile, imporre misure draconiane ai paesi africani – per primi – poi seguirono gli altri, attraverso i Programmi di Aggiustamento Strutturale, vennero tolti lacci e lacciuoli alle regole ambientali e soprattutto si spinse sull’acceleratore dell’individualismo puro. Il celebre epitaffio di quel periodo è una frase attribuita alla Iron Lady: La società non esiste. Io vedo solo individui e famiglie.
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 Con l’accelerazione delle spese militari (fatto al doppio scopo di espandere il controllo americano su un mercato in crescita e di obbligare i russi a rilanciare nell’eterna partita a poker dei due Blocchi), fecero saltare il banco oltre cortina. La Russia si arrese e le praterie dell’Est si aprirono.
-          La teorizzazione economica era sostenuta sia dal mondo universitario, sia dalle organizzazioni finanziarie internazionali, come la Banca Mondiale, l’FMI, l’OCSE etc.

-          Il nuovo millennio arriva quindi con il trionfo di un modello economico che ha chiuso gli occhi di tanti, come fosse oramai l’unico possibile. Ancora una volta è stata la Natura a ricordarci che non siamo ancora arrivati a sottometterla. Le abbiamo inferto molti danni (che ci siamo ostinati a non voler riconoscere) e a un certo punto ci è stato presentato il conto. 8 su 10 delle catastrofi naturali più grosse al mondo (da quando esistono strumenti per misurarle, cioè primi anni 70) sono successe dal 2000 in poi. Catastrofi sempre più care, che se da un lato ci dicono che i tentativi degli stregoni umani di mettere la mano sulla Natura ci fanno correre dei rischi enormi, dall’altro lato della barriera questo ha provocato una accelerazione delle finanziarizzazione dell’economia.

-          La ragione dietro è sempre la stessa: si vuol ragionare solo in termini economici e di profitto. Quest’ultimo è naturalmente destinato a calare se non si trovano nuove frontiere. Le catastrofi, col loro peso economico (per Katrina, 2005 New Orleans, si parla di un costo totale di 150 miliardi di dollari) pesano sui costi del sistema economico mondiale, cioè fanno ridurre i profitti. Quindi bisogna cercare altrove.

-          Le tensioni crescenti sui prezzi delle materie prime hanno spinto ad accelerare la ricerca di terre buone. La scusa è legata alla demografia e alla “necessità” di quasi raddoppiare la produzione alimentare mondiale. Per cui tutta la batteria delle vecchie scuse viene riaperta: ci vuole una agricoltura moderna, che vuol dire chimicizzata, ci vogliono gli OGM (dato che le varietà normali non riescono più ad aumentare di produttività), ci vogliono le migliori terre e ci vuole una organizzazione industriale. Ecco perché, anche se non c’era più il bisogno antico di manod’opera da mandare in fabbrica, ragione per cui si svuotavano le campagne, adesso si mandano via i contadini per far posto a chi ci sa fare. L’agricoltura industrializzata ci viene presentata ogni giorno sui telegiornali, sulle riviste specializzate etc.. Non ci vengono mai mostrati quelli che vengono mandati via… come se le terre che vengono prese fossero delle terre libere, una specie di paradiso a disposizione del primo arrivato. Ma non è vero: uno studio recente ha dimostrato che, su oltre settantamila casi esaminati, tra il 93 e 99% degli “investimenti” erano fatti in zone popolate. Cioè si caccia via la gente che ci viveva, grazie a dei sistemi di governanza locale debolissimi dove basta un po’ di sana corruzione per farci avere titoli per dimostrare la nostra legalità.
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Nuovi argomenti sono stati tirati fuori per giustificare ancor di più queste privatizzazioni e ruberie: i servizi ecosistemici. La nuova religione, perché di questo si tratta, è sempre quella del profitto, ammantata sotto l’idea che per proteggere la natura dobbiamo valorizzare i servizi che lei rende a noi, quindi dandogli un prezzo e mettendoli sul mercato. Lo slittamento semantico sembra preoccupare pochi. Prima parlavamo della Natura con rispetto, lei stava sopra tutti noi, animali, umani e vegetali. Adesso è finita la cuccagna. Siamo noi a dominare e la Natura diventa strumentale al nostro benessere. Quindi quello che lei “produce” per noi val la pena di salvarlo (via il mercato), il resto possiamo buttarlo nel cesso così caro a Bossi.

-          Quindi ci vendiamo tutto.. abbiamo privatizzato anche l’aria, con i crediti carbone, manca poco perché si cominci a riflettere sul prossimo bersaglio. Io un’idea ce l’ho e ne parlerò al Festival della Pace di Bergamo e in un articolo che sto cominciando a preparare.

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