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lunedì 25 luglio 2016

Tana liberi tutti


Ilvo Diamanti sulla Repubblica di oggi ricorda il lungo elenco di attentati che hanno toccato vari paesi europei (in particolare Francia e Germania) negli ultimi due anni. Manchiamo ancora noi italiani, ma é probabile che sia solo questione di tempo. Se a quella lista aggiungiamo la ancor più lunga lista di attentati compiuti lungo la linea del fronte della guerra contro gli islamisti di varia fede, avremmo bisogno di molte più pagine.

La questione per1o non è solo quella di allarmarci e sensibilizzarci, ma è quella di cercar di capire da dove proviene tutto ciò e che scenari abbiamo davanti a noi.

Torno quindi sul tema, con un breve riassunto storico di quei fatti che, a mio avviso, hanno contribuito a creare la situazione nella quale ci troviamo e dalla quale non so bene come ne usciremo.
I punti comuni degli attentati e delle guerre in corso nella dorsale di fuoco, riguardano da un lato la fragilità e a volte non esistenza dello Stato e delle sue istituzioni e, più in generale, di una governanza debolisima anche fuori dai confini statali. A questo si aggiunge l’immagine proiettata dal nord del mondo di un modello di società molto distante dai canoni locali, un modello dove a fianco di alcuni spaz privilegiati di diritti individuali riconosciuti, resta un margine enrome tra i valori promossi e le azioni concretamente portate avanti. Da un lato noi “esportiamo” democrazia, libertà, fraternità e uguaglianza, dall’altro, in pratica, portiamo avanti un dominio sempre più incontrastato delle forze di mercato private, non sottoposte a nessun controllo, un accaparramento delle risorse naturali degli altri degno del Far West e uno spregio totale per qualsiasi cultura diversa dalla nostra. Il risultato è una percezione crescente in vasti strati della popolazione che da parte nostra sia in atto un vero e proprio attacco al Sud del mondo e questo venga portato avanti da un vasto magma di “infedeli” e miscredenti, tutti confusi nello stesso calderone di essere nordisti.

Visto dal sud, non importa molto che la concentrazione del potere stia accelerando in mano a conglomerati finanziari di sempre più incerta proprietà, estesisi oramai ben al di là dei tradizionali confini degli stati nazionali, capaci di dettare le agende mondiali su quasi ogni settore e riducendo, se non annulando, tutti i diritti che decenni di lotte avevano portato alla nascita e crescita di una grossa classe media che, di fatto, ha fatto la gran differenza fra il passato e il presente. Che queste dinamiche di imporemineto siano all’opera anche al Nord, con partiti politici oramai tutti infeodati allo stesso credo monetarista e neo liberista, non interessa nella percezione semplificata che se ne ha dal sud.
L’inizio di questo percorso può ragionevolteme essere posto nel momento in cui gli americani hanno rotto il sistema del Gold Standard (1969), rompendo il sistema di parità monetarie che di fatto impediva l’esistenza dell’inflazione e che assicurava una stabilità certa a quei paesi, occidentali, ancorati al dollaro. Sul perchè gli americani lo abbiano fatto potremmo disquisire un bel po’. Alcuni pensano che la progressiva riduzione del tasso di profitto degli investimenti, dal dopoguerra agli inizi anni sessanta, fosse stata la vera ragione. Da quel momento si inizia la guerra del “ognuno per sè”, con monete in libertà a cercare di imparare come navigare nel mare magnum dell’economia mondiale, e col dollaro che stabiliva le regole, per cui alla fine era come quel detto calcistico per cui il calcio é uno sport dove giocano due squadre e alla fine vince la Germania. La rottura dell’equilibrio monetario ha portato anche alla nascita dell’inflazione come l’abbiamo conosciuta nei primio anni settanta, erroneamente attribuita ai paesi arabi, quando in realtà era il frutto della decisione americana del 1969.

Eravamo all’apogeo della supremazia americana. Tutti noi, indipendentemente dalle nostre visioni politiche, siamo cresciuti con quel sogno. Che però ha iniziato a sfilacciarsi. Quello che non capivamo da piccoli, quando Nixon firmava quel decreto di uscita dagli accordi di Bretton Woods, era che un’altra battaglia era stata dichiarata, che sarebbe diventata palese una decinna d’anni dopo. E cioè il progressivo rimpiazzo di una visione economica centrata sullo Stato e le sue istituzioni, con una centrata quasi esclusivamente sul mercato, il nuovo Dio che doveva rimpiazzare tutto il resto. Con l’arrivo di Reagan e della Dama di Ferro, nel 1980, si accellera questa trasformazione epocale che, per molti paesi africani, ancora fragilmente alla ricerca di un loro cammino post-indipendenza, significò l’inizio della fine. La mannaia dei Programmi di Aggiustamento Strutturali cadde su di loro, con ordini perentori di tagliare le spese pubbliche, nell’educazione, la salute e i sussidi all’agricoltura contadina.
Il periodo degli anni 80’in America Latina é diventato conosciuto come quello della “decada perdida”, ma lo stesso si può dire dell’Africa (anche se non si limitò a un decennio), e lo stesso toccò al Giappone nel decennio successivo. Anche noi europei entrammo nei periodi di austerità, e da lì non ne siamo più usciti.

L’America trionfante vagheggiava di un Nuovo Ordine Economico (Bush Senior) dopo aver spazzato via l’Unione Sovietica. Fukuyama teorizzava addirittura la fine della storia. Invece quello che stava succedendo era l’inizio di un mondo nuovo, ma non come se lo aspettavano gli americani.
La guerra di liberazione dell’Afghanistan, se da un lato era servita per eliminare l’influenza russa, aveva mostrato alle forze religiose disperse nella regione che, uniti, potevano cambiare i destini di paesi interi. Nello stesso periodo in Algeria gli islamisti radicali, riuniti sotto la sigla del GIA, arrivarono al potere democraticamente. Il primo segnale non fu percepito nelle nostre capitali, il secondo sì. Venne data carta bianca all’esercito algerino per far partire una guerra civile interna che fece almeno 20,000 morti, pur di “estirpare” il pericolo islamista.

Sotto le ceneri per1o il fuoco covava. I regimi al potere nei paesi africani avevano sempre meno margini di manovra economica per stabilizzare le loro dittature. Dovettero anche far finta di diventare democratici quando, sul finire degli anni novanta, gli occidentali decisero di dar loro una bella ripulitura di facciata. Elezioni dappertutto, ma sempre le stesse facce a vincere. Passata la febbre democratica, restavano sistemi di governanza in via di disfacimento, e un fuoco che cominciava a covare, alimentato dall’unico punto comune, nella diversità culturale, che li teneva tutti assieme: la religione.

Settembre 2001 segna un punto di svolta chiave: il Vietnam aveva mostrato che si poteva sconfiggere l’America sul terreno, adesso invece si dimostra che si può portare l’attacco al cuore del nemico. In termini di galvanizzazione delle truppe, l’effetto del 9-11 si produrrà ancora per lunghi anni. Lo Stato americano, oramai sempre più sotto il controllo della Finanza, non riesce a trovare delle risposte adeguate, banalmente perchè gli strumenti culturali per capire cosa stia succedendo non vengono usati, dato che non interessano una visione sempre più verticistica e tendente alla normalizzazione del pensiero unico.

L’individuo oramai la fa da padrone, nella teoria; in realtà la frammentazione del corpo sociale rende tutti i singoli più fragili e più facili da sottomettere, ma nello stesso tempo rende sempre più difficile una risposta di tipo “corporate”.

Le strampalate idee di esportare la democrazia, accompagnate da bombardamenti e vittime collaterali, nonchè una corruzione crescente nei ranghi politici del nord rendono sempre meno appetibile il prodotto che si vuol vendere al sud. Un prodotto che suona falso, che più che aiutare a risolvere problemi sembra generarne ogni giorno di più e soprattutto un prodott che è mille miglia lontano dagli standard culturali in voga al sud. Per cui, invece di accompagnarne una lenta evoluzione verso standard di diritti più alti, provoca l’esatto contrario: l’esempio del nord è un esempio da non seguire perchè rompe la società in tanti individui, per cui mina la tradizione e non la sostituisce con nulla di migliore. Se almeno questo “modello” permettesse una vita agiata nel Nord, creando lavoro per tutti, allora magari avrebbe qualche possibilità di sopravvivere. Ma non è più cosí. La continua rivoluzione tecnologica porta a una fase avanzata di distruzione di posti di lavoro, quindi con tassi di disoccupazione giovanile e non, altissimi, e con gli unici lavori che restao, quelli più umili, che vengono coperti da frotte di immigrati, clandestini o meno, dato che nesusno dei nostri si abbassa più a fare quei lavori.

Ed eccoci al giorno d’oggi. Dopo aver visto che gli attentati si possono fare anche a casa del padrone, diventa moneta corrente organizzarli anche nei paesi satelliti, giusto per portare la sfida e l’insicurezza anche da noi. Le lotte di supremazia al sud fra i vari movimenti, Al Qaida, Isis, Boko Haram e quant’altro, incitano a farne sempre di più di attentati, per mostrare chi sia il migliore nel compiere queste efferatezze. Adesso poi che nel mondo del mercato libero e virtuale, tutto si può trovare, basta un nulla per far s1i che una persona leggermente depressa e/o squilibrata, si metta in testa di farsi una bombetta in casa e vada a farsi esplodere. Tanto il valore della vita umana è sceso a livelli cos1i bassi che il nostro stupore di fronte a tali comportamenti, il nostro ragionamento che “ma non si rendono conto che vanno incontro alla morte certa?” non li puó toccare, dato che oramai non c’é nulla che li faccia sognare.

Ricordo durante la campagna elettorale per le presidenziali francesi del 1995, vinte da Chirac, una serata dei Guignols de l’Info dove il suo Primo Ministro, Eduard Balladur, appena dichiaratosi candidato contro Chirac, veniva interpellato, nella stessa trasmissione di pupazzetti, da un esemplare di teppista di periferia, che gli chiedeva: Fait moi rever! Fammi sognare... E Balladur rispondeva, inorridto di fronte a un personaggio uscito dal filmdi Scola Brutti... Mon Dieu (Mio Dio). L’incomunicabilità era arrivata al culmine. Chirac, vecchia volpe politica, ne fece il suo cavallo di battaglia, insistendo sulla Frattura Sociale. Lo votarono in tanti perchè sapeva icantare la gente, quella volta toccando ua corda sensibile già allora. Poi non fece assolutamente nulla, dato che anche lui era espressione di quell’elite che si giovava della frattura.

Oggi la frattura è evidente in tantissimi paesi, e nessuno più ci fa sognare (a parte il Papa forse).
Non abbiamo nulla da offrire ai nostri giovani, e ovviamente ancor meno ai giovani del sud. Questo perchè oramai non comandiamo più nemmeno a casa nostra, ma non per colpa degli immigrati, come tanti sempliciotti credono, ma perchè oramai comandano le banche e le istituzioni che loro hanno creato. Comanda Zonin a Vicenza, e ne mette 120mila sul lastrico. Comanda Draghi a Francoforte, e comandano i burattini che abbiamo nei governi, il cui unico discorso continua a essere: salviamo le banche.

Questo è il cammino sicuro per più attentati, più stragi e più immigrati. Se non cominciamo a cambiare modello culturale, e Dio sa se di tempo ce ne vorrà, non riusciremo più a riequilibrare questo pianeta. Ma bisogna incominciare, e l’inizio deve essere il capire cosa sta succedendo e il perchè delle cose, altrimenti è tempo perso.

Lo scenario peggiore comincia ad avverarsi: tana, liberi tutti, ognuno per sè e dio contro tutti. Uno si alza male la mattina, se la prende col mondo e va a farsi saltare...






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