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domenica 19 agosto 2018

L’Europa che non vogliamo più



Domani la Grecia “esce” dal commissariamento della Troika dopo otto anni di terapia di lacrime e sangue.  In realtà è un’uscita simbolica, dato che il post-salvataggio obbliga il paese a rispettare dei limiti altissimi, impossibili da tenere: un avanzo primario del 3,5% fino al 2022 e del 2,2% fino al 2060. Il debito resta ancora la mina vagante, dato che non è stato tagliato, con il rischio (la certezza secondo il fondo monetario) di vederlo esplodere nel 2032 quando Atene dovrà riprendere a pagare gli interessi oggi congelati.

La domanda retorica è: questa terapia era quella dura ma necessaria per “salvare” la Grecia? 

La risposta è negativa. Come ha dovuto ammettere a denti stretti, la non casualmente francese presidente del fondo monetario internazionale, “Noi e la UE abbiamo sottostimato l’effetto recessivo di alcune delle misure imposte al paese”. Tradotto in volgare: il paziente è stato costretto a prendere una medicina durissima che ne ha aggravato le condizioni di salute. Anche alla Banca Centrale Europea sono stati costretti ad ammettere che “il programma è stato troppo duro. Non avevamo tenuto in conto il crollo della speranza e delle aspettative”.

Dal 2010 fino ad oggi, solo quattro paesi, Libia, Venezuela, Yemen e Guinea Equatoriale, sono cresciuti meno di Atene!

Ma come mai tutto questo è successo? Semplice, da un lato i governi greci, fino al 2009, avevano truccato i conti per continuare a ricevere prestiti e tirare avanti la baracca. Una volta scoperto il trucco, i vecchi partiti sono stati spazzati via, e nuove forze politiche sono arrivate al potere cercando di salvare il salvabile. Il salvataggio era possibile, e a costi infimi rispetto alla situazione attuale. Il problema era un altro: il grosso del debito greco era debito privato, di banche tedesche, francesi essenzialmente, che detenevano qualcosa come 90 miliardi che rischiavano di diventare carta straccia.  Si poteva ristrutturare subito il debito, come hanno ammesso quelli del fondo monetario; unico problema le banche francesi e tedesche avrebbero perso tutto. E i due soci forti dell’unione europea (Merkel e Sarkozy) hanno obbligato l’Europa a prendere tempo, avviando l’era dell’austerity. L’operazione è servita per liberare le loro banche da quei debiti oramai inesigibili e passarli allo stato greco. La ristrutturazione è iniziata solo nel 2012, quando le banche tedesche e francesi non avevano più in tasca un solo titolo. Con questa operazione, costata finora 273 miliardi, l’essenziale dei soldi è entrato e uscito subito dalla Grecia per andare a rimborsare interessi e rate alla UE, BCE e FMI.

Lo scandalo è noto da tempo, ma ancora oggi c’è gente che sproloquia parlando bene della Merkel. Sarkozy è stato tolto di mezzo dai francesi, e forse un giorno sarà finalmente trascinato in tribunale per uno dei tanti scandali nei quali si è trovato in mezzo. Ma la Merkel è ancora lì. Ricordiamocelo.

Il problema è che quando quei due hanno “convinto” l’UE a non ristrutturare subito il debito a causa delle loro banche private, hanno potuto farlo perché sono i soci grossi, quelli la cui massa economico-finanziaria è molte volte più grande degli altri membri della UE.

Sono gli stessi paesi che, per primi, non hanno rispettato le regole di Maastricht sul debito che la UE si era data, ma nessuno ha osato né potuto fare nulla.

Eccolo lì il problema: un’unione europea costruita su asimmetrie di potere così grosse non potrà mai funzionare. Aveva un senso politico all’inizio perché c’era un sogno di una unione politica, che non è mai avvenuta. Siamo rimasti sul terreno economico e finanziario e lì le regole non sono uguali per tutti. 

Come si ostinano a ripetere giornali pro-europei come La Repubblica, nel mondo attuale la massa dei contendenti è tutto: da un lato l’America, dall’altro la Cina e, in mezzo, la UE, troppo piccola per competer con gli altri. Lo stesso problema che abbiamo dentro la UE. Finché quei due lì, Germania e Francia, resteranno nell’UE, non ci saranno mai condizioni basiche per un approccio democratico. 

Il futuro della UE passa dall’uscita della Germania e della Francia. Saremo più piccoli, ma saremo più omogenei!


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