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mercoledì 15 agosto 2018

Crollo di Genova



E’ come risvegliarsi dopo una sbronza memorabile. Adesso però bisognerebbe (il condizionale è d’obbligo nel Belpaese) riflettere sul serio sul nostro passato e sul nostro futuro.

Per me, nato negli anni del boom, l’Italia è come una squadra di bassa classifica che, per ragioni incredibili riesce a vincere il campionato e si trova a giocare la Champions con i migliori campioni. Noi abbiamo vinto il campionato a fine anni 50, e da lì abbiamo iniziato a disputare non una ma varie Champions, tanto da arrivare a credere che anche noi fossimo come il Real Madrid. Abbiamo allevato generazioni successive con questo mito, della potenza italiana, di essere uno dei paesi la cui economia è importante nel mondo e, seguendo la frase celebre di Mike Bongiorno, abbiamo pensato di andare Sempre più in alto!

Risvegliarsi da questo sogno non piace a nessuno. Tutti vorremmo credere che lo “sviluppo” continuerà e che porterà frutti sempre migliori per le prossime generazioni. Il distacco dalla realtà si fa ogni giorno più grande e questo renderà ancora più traumatico il risveglio.

Noi non siamo il Real Madrid. Abbiamo avuto un periodo fortunato, venuto dopo una tragedia immane, ricordiamocelo e, passata la festa, il dio del benessere ha cominciato ad andare altrove, lasciando dietro di sé quella realtà che tanti scrittori, da Piovene a Pasolini a Levi, avevano raccontato. Stiamo riscoprendo che dietro la patina del benessere passato c’era un pressappochismo, un fare truffaldino, mezzo mafioso, dove sparivano i soldi ma tutti erano felici.

Adesso non ci sono più i soldi (per la gente, perché per salvare le banche pericolanti per gli affari fatti in Turchia state certi che li troveranno), e ci ritroviamo, ogni giorno che passa, con le pezze al culo. Genova è solo l’ultimo disastro in ordine di tempo, pochi giorni dopo Bologna, ma anche pochi mesi dopo gli altri crolli (ricordate il viadotto della Palermo Agrigento crollato 4 giorni dopo l’inaugurazione?). Insomma, le grandi opere le abbiamo fatte male, troppe volte. Ma così come non abbiamo rispettato le regole basiche per costruire, abbiamo malmenato il territorio in lungo e in largo. In altre parole, abbiamo agito fregandocene di tutto e di tutti, pensando che quel che contava era il tutto e subito, poi per chi verrà dopo si vedrà.

Qualcuno ha anche continuato a pensare che la cuccagna potesse continuare, e il caso della TAV è emblematico: un’opera nata vecchissima, utilissima per rubare soldi a palate, con costi al chilometro che nemmeno la Ndrangheta oserebbe far pagare. 

Bologna prima e Genova adesso potrebbero farci svegliare e ricordarci che siamo stati fortunati a mettere via un po’ di benessere passato ma che davanti a noi lo “sviluppo” sta portando solo i frutti marci, perché quelli buoni sono andati verso altri mercati. Riaprire gli occhi e accettare di volare basso, di concentrare quel po’ di risorse che esistono (e tutte quelle che vanno recuperate dalle mafie e dai banditi in doppiopetto) per rimettere a posto i danni che noi, ripeto noi, non gli immigrati, abbiamo causato al nostro territorio. Potremmo così lasciare in eredità un’Italia meno altezzosa e più terra terra, un’Italia dove sia ancora possibile vivere in condizioni più umane, ridando fiato alle comunità locali e lasciando perdere la Champions. 

Spes ultima dea


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