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giovedì 21 luglio 2022

La Banda Bassotti va al governo?


 

La frittata è fatta oramai, per cui a poco serve piangere sul latte versato. Lo scenario che abbiamo davanti è quello di un’elezione che sembra già vinta dai tre partiti di ladri e delinquenti che si spartiscono l’ala destra di Montecitorio: Lega, Forza Berlusconi e Fratelli (non sorelle) d’Italia.

 

Che siano capaci di mettersi d’accordo sulle candidature, trovando delle persone con la fedina penale pulita, cosa che da quelle parti è sempre più difficile, è questione che li riguarda.

 

Dall’altro lato abbiamo quegli altri partiti e partitini che, in nome di un non chiaro sentimento progressista, si cercano e soprattutto cercano una offerta politica che possa permettere loro di (almeno) pareggiare le prossime elezioni.

 

Ovvio che se in questo settore dovesse prevalere l’idea di mettersi assieme a Renzi, Calenda e Di Maio e Casini meglio lasciar perdere e tornarsene al mare il giorno delle elezioni (che è la mia scelta by default). Ma separarsi dalla zavorra non è abbastanza, è arrivato il momento di fare molto di più.

 

L’architrave, secondo me, è quello di genere. Da decenni questi partiti pseudo progressisti continuano a portare avanti politiche dirette solo alla metà maschile dell’elettorato, centrate su una idea di famiglia che gli viene dall’800, e con un paternalismo e un patriarcato nelle caste direttive che spiega perché le nuove generazioni, più sensibili alle questioni di uguaglianza, partendo da quella di genere, se ne siano allontanate.

 

Sono partiti e partitini che hanno solleticato da sempre la presenza di intellettuali da salotto, narcisisti ed individualisti, che più che portare voti hanno sancito la separazione tra l’Italia vera, quella che sta sotto, nel lavoro, nei campi, nelle case ad occuparsi degli anziani, e quell’altra così ben descritta nel film “Come un gatto in tangenziale”, ovvero l’Italia che disquisisce dell’artista bielorusso all’ultima biennale, della tendenza dei colori per l’estate, quell’Italia che già il film “Caterina va in città” aveva messo alla berlina.

 

Ma le nostre sinistre, comprese LeU, Sinistra Italiana e altri gruppetti, non lo hanno mai voluto capire. Ancora oggi sono lì ad organizzare riunioni mettendo in scena vecchi arnesi degli anni 70 e 80, pensando che ripescando gli sconfitti di ieri porterà le nuove generazioni ad avvicinarsi alla politica. Metterci un po’ di ecologia non serve a nulla, soprattutto quando non si è analizzato la presa di potere interna al movimento ecologista da parte degli uomini di potere, come Rutelli, a scapito degli sforzi che donne ecologiste dal basso stavano costruendo. 

 

I decenni sono passati, ma la forma mentis di chi fa politica a sinistra non è cambiata. Io sto ancora aspettando la discussione sui famosi 101 del PD che votarono contro Prodi, e anche quella sul come mai il PD sia passato dal 41 al 14-15% con Renzi. Certo non ce l’ho solo con loro. Le organizzazioni alle quali partecipo, in Italia e in Francia, soffrono degli stessi difetti: il dialogo vero, franco e aperto non esiste. Esistono i leader, che guidano, come novelli Timonieri, un gruppetto che è ogni giorno più sparuto, verso un avvenire che non rappresenta nulla.

 

La discussione sulla questione di genere la sto proponendo da anni all’interno del gruppo di base francese che lavora sulle questioni della governance delle risorse naturali, terre, acqua e foreste. Il tutto senza risultati, ecco perché me ne sono allontanato. Mi sono avvicinato all’iniziativa del Papa, The Economy of Francesco, dove con un gruppo di giovani latinoamericani, eravamo riusciti a proporre la questione dei diritti delle donne sulla terra come una delle questioni centrali da discutere nell’incontro conclusivo. Il Politburo, cioè l’organo di controllo composto dai focolarini, ha messo tutto in un angolo. Allora ho provato con un’altra associazione, che nella composizione sembrava più di sinistra, con persone esperte. Ma anche lì, il silenzio regna sovrano. I loro leader vengono invitati alle riunioni di SI a Roma, per discutere, ma di discutere dentro l’organizzazione non se ne parla.

 

Forse sono io che non capisco questa Italia, che non si interessa delle donne, che non cerca di cambiare le carte in tavola e far sì che gli uomini cambino anche loro, così che il peso del “care” diventi un compito realmente condiviso. Sono io che sogno che i vari responsabili dei partiti e partitini progressisti dicano: da oggi si cambia. Mettiamo delle donne ai comandi, le scelte strategiche vengono discusse in assemblee non teleguidate e tutto deve passare per un control-check di genere da affidare a organismi femministi esterni. Magari presentandosi con una offerta politica che riguardi uomini e donne, qualcosa potrebbe cambiare. Se invece si vuol continuare a parlare di grandi sistemi, di transizione ecologica e compagnia bella senza affrontare la questione strutturale dell’asimmetria di potere da uomo e donna, allora andate avanti da soli.

 

Perderete le elezioni, e vi starà bene.

 

 

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