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martedì 7 febbraio 2023

Se proprio vogliamo parlare di sviluppo


 Ricordiamo ancora una volta che il concetto di “sviluppo” è una invenzione occidentale (meglio, americana) del periodo appena successivo alla fine della seconda guerra mondiale (A. Escobar. 1995. Encountering Development – The Making and the Unmaking of the Third World, Princeton University Press). Dietro la parola c’era tutta una scuola di pensiero economico e politico che voleva mettere in chiaro due punti chiave:

-       Chi era sviluppato (qualunque cosa volesse dire), cioè NOI del nord, e chi non lo era (tutti gli altri, classificati come secondo o terzo mondo); il criterio base era il livello di reddito, cioè tutto veniva centrato esclusivamente sull’economia.

-       Quale fosse la strada per diventare “sviluppati”: mettere in atto le misure che noi – sviluppati, dunque esperti in materia – avremmo dettato loro.

 

Anni dopo, Franz Fanon ci avrebbe spiegato che “il linguaggio è uno strumento di oppressione” (F. Fanon. 2007. I dannati della terra, Einaudi), aiutandoci a capire come, grazie all’invenzione concettuale dello “sviluppo”, che portava con sé la “povertà” e le indicazioni da copiare per “svilupparsi”, il nord del mondo aveva creato la gabbia ideale nella quale rinchiudere il resto del mondo.

Quindi, se vogliamo pensare a un futuro migliore e diverso, bisognerà anche liberarsi di queste catene e concetti. Sarà una strada lunga, ma prima o poi dovremo intraprenderla. Per tutti questi decenni è stato chiaro che nemmeno le forze di sinistra o progressiste, hanno mai avuto il coraggio di intraprendere questa strada. Ma, come si dice, spes ultima dea.

Di conseguenza è abbastanza realista pensare che ci vorrà ancora parecchio tempo per spezzare queste catene, per cui possiamo provare a dare qualche suggerimento iniziale. 

A questo proposito, prendendo spunto dal famoso coefficiente di Gini (misura statistica della diseguaglianza che descrive quanto omogenea o diseguale il reddito o la ricchezza sono distribuite tra la popolazione di un paese. Il coefficiente assume un valore tra 0 e 1, ed un coefficiente di Gini più elevato è associato ad una più elevata diseguaglianza), potremmo cominciare a pensare a qualcosa di simile e nello stesso tempo di profondamente diverso, che ci aiuti a misurare più da vicino il grado di diseguaglianza di genere. 

L’idea di fondo è che una umanità con ridotta diseguaglianza di genere sarà più armonica, men tesa ai conflitti e più aperta alle diversità di tutti i tipi: in altre parole, più democratica. Ripetiamo ancora che non si tratta di far diventare uomini e donne uguali, dato che siamo e resteremo diversi, ma di intraprendere un cammino che, nella diversità, ci porti a vivere e crescere assieme.

Passeremo quindi dal misurare il reddito come unità di misura a una misurazione delle disuguaglianze sociali, patendo da quella più evidente e che mette di lato il 50% della popolazione mondiale.

Propongo quindi di pensare a un indicatore (coefficiente di Gin@), articolato su tre assi principali, come riportato nella figura qui sopra:

A.    un asse dedicato alla sfera domestica

B.    un altro alla sfera pubblica (a volte detta anche sfera produttiva)

C.     e finalmente una dedicata alla sfera culturale (in mancanza di un sostantivo migliore).

Ogni asse misura, a livelli crescenti, il livello di uguaglianza. Il coefficiente combinato di questi tre assi assume un valore tra 0 e 1, dove i valori più elevati indicano maggiore uguaglianza. 

Per la sfera domestica, potremmo prendere come spunto iniziale la griglia (iniziale) che ho postato pochi giorni fa (http://paologroppo.blogspot.com/2023/01/verso-una-vera-uguaglianza-manuale-duso.html), prendendo a prestito l’interessante libro di Eve Rodsky, Come ho convinto mio marito a lavare i piatti). 

Per la sfera pubblica, esistono sicuramente già una serie di indicatori sui differenziali di reddito, di pensioni, di accesso a beni e servizi, etc. etc. Si tratterebbe di elaborare di più questi indicatori in modo da arrivare poi a una sintesi unitaria. Penso che qualche amic@ econometrista (o statistic@) potrebbe aiutare su questo tema.

Infine la sfera culturale, dove possiamo inserire l’educazione (accesso) e tante altre tematiche, come il rapporto con la natura.

Il prodotto di queste tre variabili principali (A*B*C) ci darà un valore di quanto diseguali siano le società in esame, altresì indicando, scomponendo il coefficiente nelle sue tre componenti, le tematiche principali sulle quali lavorare. In questo modo lo “sviluppo” non sarà più quello (economico) voluto dal nord, ma un qualcosa da costruire dal basso.

Questo è un post per cercare di lanciare una discussione. Il vantaggio dei tre assi principali è quello dell’immagine di un cubo, facile da ricordare e da trasmettere. Inoltre si esce dalla gabbia economica e da quella dell’unico universo possibile, per andare verso un qualcosa di più complesso che prenda spunto dalla centralità umana, vista però nei suoi rapporti dinamici privati e pubblici e in funzione di una maggior armonia con la natura.

Spero che qualcuno si manifesti così da pensare a un gruppo di lavoro per i prossimi periodi.

 

 

 

 

 

 

 

 

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