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giovedì 9 febbraio 2023

Eva, Adamo e le (possibili) origini del patriarcato

 

(post ironico)

 

Da quando siamo piccoli ci raccontano che tutto cominciò con Eva e Adamo. Stanotte ho sognato come sia andata, immaginandomi un fumetto come Tex Willer.

 

Scena 1: panorama sull’Eden, questo paradiso dove la temperatura è sempre mite e dove terra, acqua e aria non sono inquinati dalle concerie di Valdagno, dal petrolchimico di Porto Marghera o dai PFAS.

 

Scena 2: vediamo apparire questi due personaggi, nudi perché con la temperatura che fa non hanno bisogno di vestirsi. Son un po’ particolari, perché non hanno idea di essere i primi abitanti umani di questo Eden, e non hanno ricordi della loro infanzia (che non c’è stata).

 

Scena 3: chi li ha creati (maschio o femmina che sia), spera che, adesso che sono umani, si rendano conto di due cose: devo trovare da mangiare e poi imparare a riprodursi, così che da 2 diventino 3, 4 e poi tanti altri.

 

Scena 4: non succede nulla, finché a un certo punto, la donna, che chiameremo Eva, decide de prendere in mano la situazione. Prende un frutto da un albero (mela o pera o pesca non importa) e, chiamando l’altra persona (di cui non conosce il nome), glielo porge:

-       Ciò ti, mona, ciapa qua! (Eva era probabilmente di origine veneta)

-       Cossa xeo/a? (risponde il mona, o gnocco che dir si voglia)

-       El xe un pomo (seguendo la tradizione che ci è stata insegnata), magna e tasi!

-       Va ben, ciò! (e mangia il frutto, così ingerendo un po’ di energia).

 

Scena 5: Eva, che è gentile, raccoglie altri frutti, ne mangia una parte e porge il resto al mona. Lui, tutto contento, la guarda e dice: E vaiii…

Lei, non capendo bene cosa dica, sente solo la prima parte - E…va – e siccome il suono le piace, decide di considerarlo come il suo suono personale, che la identifica, insomma, il suo nome.

 

Scena 6: Eva, che adesso ha deciso di chiamarsi così, si rivolge all’altro:

-       Ciò ti, come te ciamito? Mi son Eva, capissito? E ti?

Il mona ci mette un po’ a capire, e scontento che sia sempre lei a trovare le cose nuove, le risponde in malo modo:

-       A dar via er … (con un suono decrescente di cui Eva capisce bene solo la prima parte – A…da…)

-       Te ciamito Ada cosa? Adar, Adam … non go capio ben?

Basandosi ancora sul suono, Adam suona meglio di Adar secondo Eva, per cui decide di chiamarlo Adam, che col tempo diventerà Adamo.

 

Scena 7: I due sono distesi sull’erba, con la pancia piena e cercano di immaginare cosa devono fare dopo. La creatrice, maschio o femmina che sia, non ha detto nulla in maniera esplicita, ma ha lasciato qualche piccola sensazione nel loro istinto.

Ancora una volta è Eva a prendere in man la situazione. Si rivolge a Adamo in maniera gentile e sorridente:

-       Ciò, Adamo, ma chel bigolo lì che te ghe in mezo ae gambe, cosa serveo? Meo feto tocare?

Adamo, che è un po’ gnocco (o mona, in veneto), risponde di sì.

 

Scena 8: la scena successiva è facile da immaginare, e qualche tempo dopo la pancia di Eva comincia a ingrossarsi e i due si rendono conto che dentro c’è una nuova creatura.

Adamo si mette a pensare. Ha due strade davanti a sé: la prima è quella di riconoscere che questa Eva è più sveglia di lui, ha capito come risolvere il problema della fame, poi ha inventato i nomi per loro due e adesso gli ha anche mostrato come si fa a riprodursi, ed è lei che porta in pancia la nuova creatura. Questa strada porterebbe a una armonia tra i due e i futuri discendenti, basandosi sui fatti concreti accaduti all’inizio. La seconda strada è molto diversa: Adamo, che senza saperlo si porta dentro il gene della gelosia e della superbia, non vuole accettare questo dato di fatto. Vuole essere lui a comandare, come un bambino viziato.

 

Scena 9: risultato delle riflessioni di Adamo, decide di inventare dei meccanismi per mettere in chiaro che è lui a comandare. Prima cosa, inventa la religione. Una squadra di supereroi, tutti maschi (Dio, Noè, Mosè, Gesù, Pietro, Paolo, i re Magi, il vecchio Giuseppe e tutti gli altri) che si autodefiniscono come i “padri” della chiesa (da lui inventata). Eva, che considera Adamo come un vero mona, un bambino viziato che non riesce a crescere, lo lascia fare, pensando che prima o dopo gli passerà.

 

Scena 10: i supereroi iniziano a dettare regole e a un certo punto Adamo va da Eva e le dice: queste sono le regole, adesso devi accettarle. Comando io e sarà così per sempre. La prima cosa è chiarire chi fa i lavori di base: il gruppo iniziale era cresciuto negli anni, adesso Eva e Adamo erano diventati nonni, c’erano tanti figli e figlie e la comunità cresceva sempre di più. Adamo aveva imposto che dovevano coprirsi, e qualcuno doveva quindi fare i vestiti. Bisognava anche mangiare, pulire la grotta dove vivevano, occuparsi dei bambini, insegnar loro le cose di base, lavarli, pulirli e fare loro dei vestiti. Insomma, una quantità di lavoro che cresceva ogni giorno e che, secondo le regole di Adamo e dei suoi supereroi, toccavano a Eva e alle sue discendenti.

 

Scena 11: Eva guarda verso i lettori/lettrici del fumetto e dice:

-       El me gà ciavà! In fin dei conti no gliera mia un mona, solo un cojon!

Il patriarcato era nato!

 

Scena 12: secoli dopo, siamo nell’Inghilterra del XIX secolo in mezzo alla nascente rivoluzione industriale.

Siamo a casa di un signore barbuto tedesco che vive a Londra. E’ figlio del suo tempo, forgiato dal mona-cojon de Adamo, per cui le donne non contano molto.

Lui pensa e scrive tutto il giorno: il suo tema centrale sono gli operai, i padroni e questo misterioso plus-valore. Ogni tanto, quando è proprio stanco, chiama sua moglie:

-       Femena, vien chi che te doparo! 

Il risultato, dopo nove mesi, è un’ennesima creatura della quale dovrà occuparsene lei, ovviamente.

 

Scena 13: Questo signore, assieme a suo genere, diventano famosi e le loro parole guidano rivoluzioni in giro per il mondo. 

Le donne continuano a stare in casa, salvo poche che iniziano a dire che la fregatura vera non è il plus-valore sottratto agli operai in fabbrica, ma il non riconoscimento di tutto il lavoro fatto da loro nella sfera domestica, così da garantire la “riproduzione della forza lavoro” (usando le parole del barbuto e di suo genero) a costo zero per il capitale. 


Scena 14: laddove le rivoluzioni hanno portato al potere seguaci del barbuto e di suo genero, le condizioni di vita peggiorano sempre più. Ma nessuno di quei maschi viene da pensare che forse c’era qualcosa di sbagliato all’inizio.

Altre donne, e qua tornemo nel Veneto, continuano a ribadire che el problema vero el xe dentro casa. Fin quando non se riconosse el lavoro fato dae femene, e fin quando l’omo non scomissierà a fare anca lù la so parte in casa (lavare, stirare, portar fora le scoasse, far da magnare, spareciare, broar su, spassare, far la spesa, lavorare a maja per fare vestiti novi, ocuparse dei veci e dei tosi picoli e tuto el resto), xe inutie andare in giro a parlare de rivolussion.

 

Scena 15: siamo nel 2023 … e spetemo ancora che qualcosa suceda. 

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