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lunedì 22 maggio 2023

Dall’operaio massa al/la contadino/a massa

 

Tronti, il padre dell’operaismo, così definiva l’operaio massa: quel lavoratore generico di linea, privo di competenze particolari, responsabile di una piccola funzione all’interno del processo produttivo automatizzato. 

 

L’operaismo di Tronti, in virtù della coappartenenza tra soggetto luogo ed epoca, si basa sull’unità tra classe operaia, fabbrica e modernità. A partire da qui si può generare il conflitto rivoluzionario, l’unico in grado di rovesciare il sistema capitalistico (https://effimera.org/la-classe-primo-secondo-operaismo-operaio-massa-operaio-sociale-confronto-daniele-ilardi/).

 

L’idea di fondo quindi era di appoggiarsi sulla mitica classe operaia, intesa come un unico insieme (di individui maschi) per rifare il mondo.

 

Oggi, nel mondo (non più solo agrario), assistiamo a un processo che ha alcune similitudini, ma anche molte differenze (in peggio).

 

Se l’operaio massa era e restava un generico lavoratore, per il/la contadino/a massa è ben peggio. Con un livello di indebitamento crescente, il/la contadino/a, inizialmente proprietario dei suoi mezzi di produzione (cosa che, agli occhi dei socialisti-comunisti ne faceva un capitalista), progressivamente ne perde la proprietà (che appartengono oramai alle banche) ma ne diventa schiavo. Senza quei mezzi di produzione, non esiste più il/la contadino/a. 

 

Possiamo inserire tra i suoi “mezzi di produzione” le sementi che, annualmente, venivano scelte tra le migliori varietà produttive dell’anno precedente, e ripiantate (così da realizzare anche un processo di miglioramento selettivo “on-farm”). 

 

Inoltre, il/la contadino/a, storicamente aveva delle conoscenze e quindi competenze molto allargate e specifiche. Per lui/lei era fondamentale occuparsi della biodiversità locale, dato che era alla base dell’equilibrio tra produrre e riprodurre.

 

Insomma, non si poteva inventarsi contadini/e, bisognava averlo fatto per lunghi anni, per conoscere il territorio, il clima, le sementi, gli animali, il mercato e tutto il resto. L’operaio non aveva nessuna competenza particolare: lo mettevi alla catena di montaggio e lì stava, a ripetere gesti consueti che non necessitavano un’intelligenza particolare.

 

Il/la contadino/a invece è stata progressivamente defraudato/a delle sue competenze, attraverso la progressiva standardizzazione delle varietà da produrre, degli itinerari tecnici, dei prodotti chimici da impiegare e dalle forme di accesso al mercato sempre più dominate da forze esterne. Inoltre, per la sua sola sopravvivenza, il/la contadino/a doveva cercare di aumentare la sua superficie produttiva nonché la produttività, dato che i prezzi che gli venivano riconosciuti hanno una tendenza più che secolare al ribasso.

 

Questo/a contadino/a massa, da sempre sfruttato più e peggio degli operai massa, è sempre stato cancellato dalle analisi politiche delle forze cosiddette “progressiste”, che fin dagli albori dei loro dibattiti, hanno dimostrato di non capirne nulla della specificità contadina (H.G. Lehmann, 1977. Il dibattito sulla questione agraria nella socialdemocrazia tedesca e internazionale: dal marxismo al revisionismo e al bolscevismo, Feltrinelli).


Ancora oggi nessun partito rilevante nell’agone politico nazionale o europeo, si preoccupa di capire cosa stia succedendo in questo mondo. Io ho cercato di sintetizzare i processi in corso dalla fine della seconda guerra mondiale nel libro sulla Crisi agraria ed eco-genetica pubblicato nel 2020 da Meltemi. Qui vorrei solo ricordare l’attacco attuale, sul quale magari ritornerò in futuro, quello che va sotto il nome della Digitalizzazione in agricoltura.


Come ce lo ricordano i ricercatori dell’ETC Monitoring Power and Technology, “affrontiamo la tempesta di crisi legate al cambiamento climatico, alla biodiversità e ai sistemi alimentari”. I patriarchi delle Big Tech (Gates, Bezos, …) sono alla guida della digitalizzazione e dell'agenda "technofix". 


Per capirci bene: una "technofix”" è lo sviluppo di un prodotto o di un intervento tecnologico di proprietà privata (e redditizio), che si suppone sia destinato ad affrontare un problema sociale o ambientale, ma che non risolve in alcun modo le cause alla base di tale problema, che di per sé può essere stato creato da un precedente fallimento tecnologico.


Sappiamo bene oramai che la pandemia legata al Covid ha gravato sulle donne e su altre persone in modi senza precedenti: le case sono improvvisamente diventate scuole e uffici, per quanto piccoli; l'economia dell'assistenza ha imposto oneri e responsabilità ancora più pesanti e spesso non ricompensati alle donne e ad altre persone che si occupano di assistenza in tutto il mondo, tra cui madri, casalinghe, insegnanti e infermiere; e la violenza domestica è aumentata vertiginosamente.


Allo stesso tempo, la pandemia ha avvantaggiato i settori della tecnologia digitale e dell'agricoltura e dell'alimentazione industriale. Nel 2020 la maggior parte dei maggiori colossi mondiali dell'alimentazione e dell'agricoltura ha visto aumentare le vendite e i profitti, mentre quasi un miliardo di persone soffriva la fame e i raccolti fallivano.


Ricordiamo che le più grandi tecnologie e piattaforme digitali del mondo sono state tutte fondate da uomini, la maggior parte dei quali bianchi e provenienti dal Nord globale (soprattutto dagli Stati Uniti). 


Le aziende tecnologiche digitali da loro fondate perpetuano il patriarcato, esaltando gli uomini come geni, imprenditori che si sono fatti da soli, mentre le donne rimangono in secondo piano come minoranza nella gerarchia aziendale. Queste aziende adottano anche un approccio estrattivo ai dati come risorsa redditizia.

Avendo quindi compreso che possono fare ancora più soldi attraverso la tecnologia digitale applicata in agricoltura, i miliardari della tecnologia, come Jeff Bezos e Bill Gates, si sono introdotti nei circoli politici che prima erano appannaggio dei politici governativi. Ciò ha permesso a questi tecnologi ultra ricchi di stabilire parametri per la risoluzione delle crisi che stanno iniziando a normalizzare l'approccio technofix come unica via da seguire nei negoziati intergovernativi.


Esempi del loro modo di fare sono parecchi. Ricordiamo il Fondo per la Terra di Jeff Bezos, dotato di un capitale iniziale di 10 miliardi di dollari, che vuole appoggiare l’obiettivo politico detto “30x30” della Convenzione per la Biodiversità (CBD). Questa operazione, che ignora completamente le gestioni e i diritti territoriali delle popolazioni indigene e comunità locali, è stata definita come il più grande Land Grab della storia.


L’operazione “digitalizzazione” promossa dai BigTech, ha bisogno di molta terra e moltissima acqua ed energia. Secondo la rivista scientifica New Scientist "un tipico data center, che può ospitare diverse migliaia di server, può consumare tra gli 11 e i 19 milioni di litri d'acqua al giorno, pari a quanto consuma una città di 30.000-50.000 persone ».


Traslare questo approccio nel mondo agricolo, dove i contadini/e hanno già perso il controllo dei mezzi di produzione, devono produrre cosa vuole il mercato, con le sementi e i pacchetti tecnologici dettati dalle industrie chimiche e sementiere (spesso le stesse), è cosa facile.


La digitalizzazione dell'alimentazione e dell'agricoltura comprende le sementi modificate geneticamente (che sono associate a un uso massiccio di prodotti agrochimici, esponendo così gli agricoltori a rischi per la salute ed erodendo la diversità genetica), la robotica e l'automazione, le piattaforme digitali, i droni e altre tecnologie digitali. Queste tecnologie minacciano di minare i diritti e l'autonomia degli agricoltori, trasformandoli in semplici fonti ed estrattori di dati e vincolandoli a pratiche dettate da potenti aziende digitali e agroalimentari. Ciò mina le conoscenze agricole degli agricoltori e la loro capacità di trasmetterle di generazione in generazione, anche a causa della standardizzazione forzata su un numero limitato di colture.


Quindi, ripetiamolo: l’analisi politica, per capire cosa stia succedendo nei temi interdipendenti di cambio climatico, riduzione della biodiversità e “malbouffe” dovrebbe partire da qui. Se vogliamo realmente pensare a un domani diverso e migliore, bisogna rimettere in piedi quell’equilibrio tra esseri umani e natura, fare in modo di invertire la rotta sulla quale transitano il/la contadino massa, oramai quasi ovunque diventati/e produttori/trici legati/e mani e piedi al settore dei business (agro, chimico, finanziario e della distribuzione), sempre in condizioni di sottomissione totale. Una rotta che porti a riconsiderare questo equilibrio con la natura, non limitandosi ai richiami della Laudato Sì di Papa Francesco, un ottimo documento per aprire il dibattito, ma andando oltre, centrandosi sulla sfera domestica e quella pubblica insieme. 


Bisogna che le forze politiche, penso al fumoso nuovo partito democratico di Elly Schlein, inizino a capire le basi del problema attuale, e non limitarsi a generici appelli contro il riscaldamento globale e per una alimentazione sana. Questo è tempo perso. Sono anni che dico e scrivo queste cose, ma ho ancora la forza di ripeterle. Senza capire la base del problema, non si costruirà mai nulla di solido.


(Un grazie a Deepl per l’aiuto nella traduzione)

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