Io capisco le tante persone che si interessano al tema, sia chi vuole aiutare sia chi, dalla parte opposta, si sente addirittura “minacciato” da questa “invasione”. Capire non vuol dire condividere, lo scrivo per chi avesse dubbi sulla mia collocazione.
Quello che capisco meno è lo scarsissimo interesse da parte di media, osservatori/trici, ricercatori/tri e chi più ne ha più ne metta, sulla questione chiave, e cioè: perché vengono in questi ultimi anni e non prima, anni 60 e 70.
Porci le domande giuste è fondamentale per indirizzare l’analisi e, successivamente, le proposte d’azione. Senza aver posto le basi giuste, secondo me si finisce solo a far confusione e polemica da bar sport.
Non che, avendo posto le domande fondamentali, ne discendano delle risposte facili, ma se non altro il quadro di riferimento diventa più chiaro e può servire per cercare alleanze politiche con altre forze interessate al problema.
Scrivo queste righe perché, ovviamente, un’idea sul perché questo succeda in questi ultimi, diciamo, due decenni, e non prima, ce l’ho.
I dettagli di cosa sia successo dagli anni 60 in poi, le ho spiegate nel libro La crisi agraria ed eco-genetica spiegata ai non-specialisti, pubblicato da Meltemi finale del 2020. La storia in realtà nasce dalla fine della seconda guerra mondiale quando i paesi occidentali uscivano dalla guerra con le pezze al culo e con un problema di fame evidente. A questo problema si sommava il rischio vero, da parte americana, che questo malessere potesse spingere la gente verso i partiti comunisti nazionali, come era il caso in Italia, e quindi spostare dei delicati equilibri geo-politici Est-Ovest.
Al di là del Piano Marshall, gli americani portarono da noi tecniche e tecnologie, nonché sementi e prodotti chimici, da loro prodotti e che avevano permesso un balzo nella produzione e produttività della loro agricoltura familiare. Essendo le condizioni agro-climatiche dell’Europa occidentale molto simili alle americane, il trapianto funzionò benissimo, tanto che, in soli 15 anni, i paesi europei dell’ovest (embrione della futura UE) avevano colmato il deficit alimentare e iniziavano a proporsi sul mercato mondiale via una nascente agro-industria alimentare.
Gli americani avevano ovviamente qualche anno di vantaggio, ma la battaglia per la supremazia dei mercati disponibili (e quelli che si potevano aprire, in un modo o nell’altro) iniziò subito e non si è mai arrestata. Tutti i grandi blocchi occidentali (americani, europei, giapponesi, australiani…) fecero lo stesso gioco di promuovere il libero mercato a casa degli altri, mentre aumentavano le protezioni, via sussidi e altre misure sanitarie, delle loro agricolture nazionali.
La quantità di soldi messa sul tappeto è stata e continua ad essere, enorme: tra i 560 e i 700 miliardi di dollari l’anno per le sovvenzioni.
Di fronte, c’erano i nuovi paesi indipendenti, in primis, per quanto ci riguarda, quelli africani.
Per vincere anche quei mercati, gli americani provarono ad esportare anche al Sud la loro ricetta che aveva così ben funzionato a casa nostra. Ma i suoli erano diversi, le condizioni climatiche lo stesso, per cui sementi, concimi, pesticidi e macchine agricole non provocarono nessun “sviluppo”, anzi.
Da parte loro, i governi dei nuovi paesi indipendenti, confermando la loro ignoranza totale del mondo agricolo, e una avversione anche ideologica verso le radici di un mondo comunitario, riuscirono ad accelerare la crisi agricola. Quando poi si sommarono gli interventi della Banca mondiale, via macro-progetti irrigui, la strada verso il disastro era già tracciata.
Mancava solo l’ondata neoliberale, inaugurata ufficialmente con l’arrivo della coppia Thatcher-Reagan nel 1980, che cambiò il paradigma economico, imponendo il libero mercato in tutti i paesi del Sud.
La rovina delle agricolture dei paesi del Sud era oramai sicura, nulla poteva fermarla.
Ma si poteva fare peggio, seguendo l’adagio della legge di Murphy. E così fu.
La necessità del capitale finanziario di trovare nuove possibilità di investimento, associato agli effetti dei programmi di aggiustamento strutturale (che avevano tagliato servizi basici come salute, educazione e appoggio tecnico agli agricoltori), nonché la ricerca spasmodica e crescente delle risorse del suolo (foreste) e sottosuolo (petrolio, diamanti, terre rare e tutto il resto), divenne, dai primi anni 2000 in avanti, una vera corsa verso le terre.
La migrazione, di fronte a governi corrotti e incapaci, era la sola via possibile. Ma nel casino crescente, aumentarono anche i conflitti, quasi tutti legati all’accesso e controllo delle risorse naturali). Conflitti che tutti i paesi produttori di armi (molti dei quali localizzati nel Nord del mondo) hanno sempre sobillato e finanziato, per la semplice ragione che, attraverso i conflitti aumentano i debiti per cui, chiunque vinca, alla fine dovrà accettare la tutela politica ed economico-finanziaria di chi gli ha prestato i soldi.
Quindi, le ondate di migrazione non avevano ragione di avvenire prima che si creassero le condizioni adeguate. Noi occidentali abbiamo fatto del nostro meglio (e continuiamo a farlo) per distruggere quelle agricolture e quell’ambiente.
Il fatto che, per il momento, gran parte delle migrazioni sia all’interno dell’Africa, e solo la punta dell’iceberg arrivi da noi, non deve farci sorridere troppo.
I partiti politici di sinistra, in tutta Europa, non hanno ancora capito cosa sia successo al mondo agricolo nostrano, con la scomparsa dei contadini e la trasformazione di chi resta in operai sul modello dell’operaio-massa descritto da Tronti agli inizi degli anni 60. A questo si aggiunga che non hanno capito che approvando la convenzione di Kyoto e i meccanismi compensatori, hanno contribuito ad accelerare la crisi del Sud e ancor meno capiscono cosa stia succedendo con le ruberie del materiale genetico in corso in tutti i Sud del mondo.
Detto questo, a me sta bene che qualcuno si preoccupi dei migranti quando arrivano. Ma mi interesserebbe di più se ci fosse dapprima una comprensione di cosa sta succedendo e perché, nonché di chi siano gli attori, anche a sinistra, che hanno contribuito a questo, dopodiché cominciare a riflettere su cosa potremmo fare, assieme.
Questo è quanto penso, dopo averci lavorato su questi temi dal lontanissimo 1983. Sono ovviamente aperto e interessato a discuterne.
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