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lunedì 12 aprile 2010

Localismo, malattia infantile del razzismo?

Sará stata l’avanzata della Lega in Italia, oppure risultati simili raggiunti da altri partiti e movimenti in altri paesi europei, ma mai come adesso si sente parlare di localismo, presentato come una specie di soluzione ai problemi che le societá moderne incontrano, ed eventualmente come un contraltare alla globalizzazione, cosí da attirare un pubblico sempre piú vasto.

Difficile scappare da queste discussioni, cosa per cui ho deciso anch’io di dire la mia. E come mi è giá capitato in altre occasioni, lo spunto riflessivo lo prendo dal territorio dove vivo, Formelluzzo on Arrone, 30 kilometri a nord di Roma.

Si tratta di un paese di agricoltori e qualche raro pescatore che ha sopravissuto nei secoli ai margini della grande storia; contadini che lavoravano nei latifondi della Chiesa prima e poi privati, con un orizzonte che raramente andava al di lá delle mura cittadine, tanto che, ancora nel secondo dopoguerra, il viaggio a Roma, una volta nella vita, rappresentava quasi un miraggio per molti paesani. Pochi erano i paesani, un migliaio furono contati nel censimento fatto a metá del ‘800, e di molto non dev’essere cambiata la cittadina se le lotte per la terra di inizio ‘900 vedevano tutto il paese schierato, assieme al Sindaco, per occupare le terre dei padroni, e si contavano un po’ piú di ottocento persone attive.

Si conoscevano tutti quindi, nel bene e nel male. Gli stranieri entravano molto difficilmente, tanto che con quelli di Trevignano (uno dei tre paesi del lago, oltre and Anguillara e Bracciano) non si parlavano (il dialetto trevignanese era incompatibile con l’anguillarino) e le donne di Anguillara non si dovevano sposare con questi foresti.

Il boom economico italiano ha poi portato vari romani a cercare casa fuori cittá, potendosi muovere con mezzi pubblici e soprattutto privati che permettevano loro di risiedere anche fuori porta. Lí i paesani scoprono che i foresti possono anche portar soldi, per cui cominciano le prime lottizzazioni illegali in modo da vendere pezzettini di terra per costruire case che poi saranno sanate col tempo.

Questo modello è andato avanti per decenni: da un lato offrire terre e case (in realtá soprattutto case, perché avevano capito subito che era meglio farle costruire dalle ditte locali e vendere il prodotto finito) a quelli da fuori, a prezzi certo non stracciati ma nel contempo mantenere il controllo politico del paese nelle mani degli indigeni, dato che quelli da fuori erano visti come potenziali portatori di problemi.

Una societá chiusa, dove ci si sposava in famiglia, con pochi apporti di sangue esterno, non ha potuto cambiare ed anzi ha esacerbato un localismo di rapina sul territorio. Questo diventa piú evidente quando, con la ricchezza che comincia a girare, i lavori piú umili non li vuol piú far nessuno e quindi vengono gli immigrati a farli: dall’agricoltura all’edilizia, interi settori stanno in piedi grazie a stipendi bassi che vengono accettati quasi esclusivamente da quelli di fuori.

Questo localismo trasversale è il modello che abbiamo davanti agli occhi adesso: destra e sinistra lo hanno portato avanti assieme, spartendosi la torta finché è stato possibile, alternandosi, ogni tanto, al potere locale, ma senza che si notino modelli di sviluppo diversi che ci sia su un partito o un altro. E’ il localismo che tiene sotto controllo i politici locali. Una classe politica di non alto livello culturale, condizionata dalle famiglie e dai famigli, che non riesce ad esprimere altro che non sia questo vendere il territorio, prendere i soldi e metterli in banca (guardate il numero di sportelli che si sono aperti negli ultimi 15 anni dalle nostre parti) oppure tentare la via commerciale, con negozi che durano lo spazio di un’estate.

Questo è il modello di localismo che hanno in mente quelli da Varese e dintorni. Fare affari con chi capita, sfruttare chi sta sotto ma soprattutto mantenere il controllo politico nelle mani dei “locali”. Solo che è un modello malato intrinsecamente, dato che porta a sottolineare quella linea di frattura fra Noi e Voi, dove il Voi sono tutti gli altri, che non devono poter accedere alla categoria del Noi. I Voi devono portare soldi e mano d’opera, e i Noi devono poterne beneficiare. Finché la torta aumenta tutto puó stare in piedi, solo che quando cominciano le prime avvisaglie della crisi, allora ci si rende conto che i Voi sono tanti (dato che li avete voluti per far star in piedi il vostro modello) e quindi pian piano cominciano le parole velate, le differenze, i pregiudizi diventano piú forti e da lí il passo seguente è quello che porta ad un razzismo sotto traccia prima e poi sempre piú evidente.

Noi siamo nella fase di transizione: la quantitá di stranieri che vivono in paese è aumentata moltissimo, e gli “indigeni”adesso sono una piccola minoranza, che peró controlla ancora il potere. Solo che la torta non cresce e la crisi comincia a battere. Sarebbe stato bello poter discutere di questi temi, cominciare ad affrontarli prima che le cose iniziassero a peggiorare, e proprio per questa ragione avevamo fatto prima un film (Quando gli albanesi eravamo noi), poi una festa in piazza, stranieri-anguillarini, con un secondo video sulla festa stessa. L’idea era, con una giunta di sinistra, sindaco giovane e promettente, con un’economia in crescita e buoni rapporti tra gli uni e gli altri, di usare questi esempi per aprire un dibattito pubblico, guidato da una classe politica che fosse all’altezza. Si sperava che ci fosse una capacitá di usare il locale come radice di un processo di sviluppo, ma con politici in grado di capire le sfide superiori e quindi fare un lavoro pedagogico, di educazione e orientamento della base elettorale, in modo da far avanzare la democrazia. Questo è il localismo che ho in mente. Purtroppo la dimostrazione della pochezza dei nostri politici locali è stata evidente. Non si è mai voluto affrontare il tema, e quando la stessa demanda la posi al candidato (sconfitto) dell’ultima tornata elettorale, del perché non spendeva una parola sulla questione, per lanciare almeno il dibattito (considerando che anche Fini si era espresso a favore del voto locale agli immigrati), di dire qualcosa che potesse far pensare che le forze progressiste erano capaci di uscire dalle solite logiche di potere locale, e che avevano deciso di proporre una visione del territorio, una visione dove gli attori, tutti, avrebbero avuto la possibilitá di esprimersi, di esser protagonisti, ecco.. nulla di questo è successo …

Capisco quindi che non è questione di Lega, PDL o PD. La Lega ha capito prima degli altri che poteva metter radici in questo localismo senza futuro, dove si guarda avanti con gli occhi dietro la testa, sognando (anzi inventandosi) un passato idilliaco mai esistito nella realtá; ma tanto la gente ha bisogno di sogni per cui invece di farli crescere era piú semplice sfruttare questi lati piú limitati dell’essere umano. Il problema è che dall’altra parte non si è mai capito che cosa volesse dire partire dal locale per guardar lontano. Si è fatto come si faceva a destra, copiando un modello che peró geneticamente non gli apparteneva, per cui a quel punto meglio stare con la lega che almeno è grezza, localistica, senza visione di futuro, avara e profondamente razzista. Ci aspettavamo una capacitá di elaborare piú grande da parte dei partiti di sinistra, forse magari troppo idealistica, ma invece ci troviamo davanti lo stesso affarismo, senza un afflato di visione futura. Il problema è che dimentichiamo che la nostra economia sta in piedi se riesce ad esportare, cioè se qualcuno la fuori ci compra i nostri prodotti; non abbiamo la forza delle nostre ambizioni; il nostro mercato interno da solo non ci fa stare in piedi, per cui o esportiamo e portiamo a casa i bigliettoni, o non andiamo da nessuna parte. Questo per dire che avremmo interesse ad esser noi i primi ad avere una visione che vada al di lá dei confini del campanile di casa nostra, per proteggere il nostro territorio e far venire i turisti a visitarlo e portare risorse. Dovremmo essere aperti agli altri, per sperare che poi questi “altri” ci comprino le nostre tecnologie, le nostre macchine e i nostri design. Invece ci prepariamo un futuro gretto, chiuso, con i campanili trionfanti e con le proposte di sottotitolare le fiction in dialetto invece di imparare le lingue straniere.

Buona giornata a tutti

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