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domenica 25 aprile 2010

Sotto traccia – Maputo, cena dall’Alentejano

MS ha fatto parte anche lui del vareigato mondo della cooperazione; fin dai primi tempi in Mozambico, quando i murales rivoluzionari riempivano i muri piú delle pubblicitá onnipresenti di adesso; tempi in cui non c’era nulla da mangiare, anche i cooperanti avevano la tessera per mettersi in fila alle due di notte per una gallina. Non c’erano peró bimbi per strada a chiedere l’elemosina e nemmeno tanta prostituzione. Solo un mondo diverso, con una guerra incombente, molto forte e pesante.

MS aveva, ed ha, una passione, o forse piú di una. Sicuramente le montagne sono qualcosa di molto importante nella sua vita, legate ai suoi ricordi Ampezzani. Ancora adesso, in missione in Afghanistan, é partito con altri colleghi ed amici a farsi un trekking in montagna. Cose da pazzi verrebbe da pensare, ma il metro di giudizio per chi ci é nato nelle montagne é diverso.

L’altra passione che sempre si porta dietro é quella di mettere una macchina fra il suo occhio e la realtá circostante, di preferenza Nikon anche se, per tutte le evenienze, ha sempre una piccola Canon che lo accompagna. Le fotografie spesso ssono lo specchio dell’anima e nel suo caso, dopo aver visto e rivisto il suo libro di fotografie, il suo reportage sul Sud Sudan, volevo capire meglio cosa e come, il perché di quelle foto fatte cosí.

Dovreste comprarvene una copia, anche se non so dove si venda, proveró a chiederglielo stasera e domani agigorneró questo blog con i dati. E’ un libro che forse non ti aspetti da qualcuno che per decenni oramai é stato in mezzo a questo Sud del mondo, girando parecchi paesi e vedendo sempre le stesse tristi realtá di fame e morte, malattie ed ingiustizie.

MS é uno sottotraccia; timido secondo me, che mi ricorda altri Cimbri delle nostre montagne; ha un fondo tremendamente positivo nei confronto dell’uomo, e questo é il messaggio centrale che ha voluto portare da Juba, capitale del sud Sudan, dove ci ha passato cinque anni. Anni difficili, di tende e bivacchi, non di hotel e aria condizionata, ma di latrine difficili da gestire, strane e pittoresche a volte che, da sole, meriterebbero un piccolo reportage fotografico dice lui. Ma ancora da fare.

Il reportage lo ha fatto invece nei campi dei pastori, nei raggruppamenti delle popolazioni dislocate dalle guerre, negli incontri fortuiti o no con questo e quello, politici, militari, contadini e contadine, bambini ed adulti. E gli é uscito il sorriso: il libro é tutto un messaggio positivo, e senti che dietro c’é qualcuno che, pur non essendo un credente nel senso stretto, ha una fede nell’uomo.

Il Mozambico se l’é vissuto dentro, per molti, lunghi anni, finendo per metersi con una mozambicana che, diremmo noi maschi, di palle ne ha quattro. M. L’ho conosciuta poco, torna oggi dal nord del paese col resto della truppa, bimbi e bimbe e forse stasera staremo lí a soffrire assieme le peripezie della Roma. Fa il medico, chirurgo per la precisione, con una forza e dedizione che solo una donna puó avere. Laureata e specializzata in chirurgia nelle nebbie milanesi, un sogno che lei rincorreva fin da quando aveva cinque anni. Questo voleva fare, e questo ha fatto, per aiutare il suo popolo. Impossibile farle cambiare idea. Una donna d’altri tempi, chissá se definirla rivoluzionaria le piacerebbe o no.

MS e M fanno una coppia particolare, una volta che li hai conosciuti non li dimentichi. Ricordo la prima volta che ci siamo conosciuti con MS, a Luanda, e il suo parlar schietto e senza giri di parole é sempre stato bello, onesto e chiaro. Inutile girarci attorno, pan al pan e vin al vin, cosí si dice su dalle nostre parti.

Hanno visto cambiare il paese, il loro paese, in modo cosí rapido che gli é difficile capirlo adesso: quando venne qui la prima volta se ne innamoró; adesso, mi dice, uno che venga in quello che é il Mozambico attuale, piú ricco, piú moderno, non so se si innamorerebbe di questo posto. Si sta meglio adesso, sicuramente, ma si respira anche qua lo stesso vento individualista che chissá dove ci porterá.

M. continua a dirgli “perché non fai un libro di foto sul Mozambico? Ne hai migliaia, anzi decine di migliaia di foto fatte...” La stessa domanda che gli ho fatto io, mangiando un pernil de porco con patate al forno, annaffiato da un bianco leggero e ben secco in quel ristorante che da quando sono arrivato é diventato la base delle mie refezioni, l’Alentejano, vicino al Polana shopping (ve lo consiglio, se non gli si brucia la cucina, cosa che succede un po’ troppo spesso, é ottimo per il rapporto qualitá/prezzo; ancor di piú se siete fumatori perché lí potete godervi in santa pace una sigaretta dopo il pranzo, oppure, chi non fumasse, una amandoa amrga...). Un libro sul Mozambico ha bisogno di sentire un amore come quello che fu negli anni scorsi, e che non é piú lo stesso oggi. Il paese cambia, non piú sogni, e cerca di reinventarsi poco a poco. Forse lo fará sto libro, ma intanto godetevi i sorrisi del Sudan.

PS. Proprio ieri pomeriggio, grazie ad un altro amico di lunga data che vive qui, PdW, siamo andati a conoscere un giovane artista plastico mozambicano, di soli 23 anni ma una testa piena di idee e di cose fatte molto interessanti. Ne parleró un altro giorno, per dirvi che nel reinventarsi questo paese ha ancora delle energie interne molto interessanti da liberare. Vado a farmi un caffé adesso.

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