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domenica 15 novembre 2015

I pezzi del puzzle

Cerchiamo di mettere ordine, dopo l’emozione di questi primi momenti. Gli elementi che dobbiamo considerare, a mio giudizio, sono i seguenti: il substrato molle in permanente crescita, chi ci mette la faccia e chi ci mette i soldi, il tutto condito dalla solita domanda: perchè lo fanno.

Io continuo ad interrogarmi sul primo livello, lo stagno dove nuotano ed anzi crescono i pesci che poi passano all’azione.

La questione del gap nord-sud non è più solo un gap economico (poveri e ricchi), ma è anche un gap culturale in senso lato. Il gap economico, malgrado quello che provano a dirci, continua a aumentare. Qui non si tratta solo di chi soffre la fame o la malnutrizione, ma di quanti non arrivano a mettere assieme meno di due dollari al giorno, cioè la metà dell’umanità. La massa potenziale quindi è enorme. Gran parte di questi hanno un livello di educazione formale bassissimo e l’unica risposta che trovano ai loro problemi è quella di incamminarsi verso nord, cioè verso luoghi dove ci siano maggiori possibilità di lavoro. Questo nord non è esattamente il Nord come lo immaginiamo, sono tanti nord che diventano tali quando rappresentano una fonte di vita migliore dell’esistente. Quindi il Sudafrica rappresenta un nord per molti mozambicani che vanno lì a cercar lavoro nelle miniere. L’Angola sta diventando un nord anche per il suo ex paese colonizzatore, il Portogallo, perchè fino a qualche tempo fa l’economia petrolifera dell’Angola cresceva molto di più, per cui erano i portoghesi a cercare di ottenere visti per andar a lavorare laggiù. Noi europei o, per aprire maggiormente i cancelli, noi paesi OCSE, rappresentiamo globalmente un nord di ricchezza, o almeno percepita come tale, ma anche una regione del mondo dove non ci sono così tanti conflitti come nei paesi del sud. Quindi una prima risposta alla mancanza di lavoro, di educazione, di salute, insomma di avvenire, consiste nel mettersi in cammino. E’ ovvio che le ragioni che spingono ad avventure come quelle che vediamo quotidianamente, ad affrontare quelle violenze e quei pericoli devono essere molto ma molto forti, e finchè non saremo intervenuti sul serio su quelle cause, il flusso non potrà far altro che continuare, che ci piaccia o meno.

Da quel flusso di poveri, può saltar fuori una avanguardia molto più arrabbiata. Gli africani neri per il momento si sono dimostrati più interessati a un livello locale o al massimo regionale di conflitti e guerre. Ai nostri venditori d’armi andava bene così. Diamanti, petrolio, risorse minerali rare contro armi e appoggio politico hanno fatto prosperare una casta locale a cui tutto è permesso e dall’altra parte hanno ingrossato i flussi finanziari verso le nostre banche.

Forse agli africani neri mancava il collante, un qualcosa che potesse trasformare le querelle locali in qualcosa di più grande, una vera rivolta contro chi li aveva colonizzati e, dall’indipendenza in poi, li teneva sotto scacco in modo più sottile ma non certo meno efficace. Negli anni sessanta i movimenti di ispirazione socialista ci avevano provato, lo stesso Che Guevara era andato a far proseliti in Africa ma senza successo. La dimensione tribale ed etnica limitava il raggio d’azione di questi attori e i loro interessi.

Lo scontro con le popolazioni arabe del nord era limitato, per via della presenza dei deserti. Gli arabi avevano a disposizione una serie di elementi che erano e sono meno presenti nella parte nera del continente. Innanzitutto una tradizione scolastica, universitaria presente da moltissimi secoli, che fa delle loro elite una parte integrante dell’elite mediterranea e mondiale. C’era, e c’è, una classe media non solo mediamente ricca in beni materiali, ma anche partecipe alle grandi correnti di pensiero. La differenza è che mentre da noi il secondo dopoguerra vede la nostra classe media e l’intelletualità entrare nel giro del potere e capace quindi di influenzare l’evoluzione delle nostre società (lo sbocciare della tematica dei diritti è un frutto tipico di questa primavera intellettuale, ostacolata dalle forze conservatrici, religiose, militari o economiche). In questo movimento si inserisce il rafforzamento del sindacalismo operaio, uscito dal modello delle Gilde corporative fasciste per prendere parte attiva nella difesa di una classe in transizione dalla campagna alla città. A tutto ciò si somma una presenza forte e organizzata di partiti politici che, pur nelle loro diversità e nei loro scontri continui, portano avanti un disegno che è certamente più democratico delle società europee dell’anteguerra.

Questo non succede aldilà del mediterraneo o in medio oriente. Le decolonizzazioni, fortemente volute da questa nuova classe media che non accetta più il mondo arcaico precedente (e questo senza essere necessariamente di sinistra), restano comunque degli spazi di libertà limitati e, come dicevo ieri, la casta che viene messa al potere deve rispondere innanzitutto ai precedenti interessi coloniali. Non si arricchisce una classe media e non si integrano gli intellettuali nei circoli di potere. Restano ai margini oppure emigrano da noi, per scrivere, cantare, dipingere e raccontarci la vita dall’altra parte del mare come fossimo fratelli. Ma non lo siamo, il gap inizia ad aumentare. Da noi le battaglie per diritti accellerano su vari fronti, tipico l’esempio della legge sull’aborto in Francia portata avanti da una donna ministro di un governo di destra. Questo gap culturale lo troviamo oggi di fronte a noi. Da noi miglioravano le condizioni medie del cittadino lambda, da loro non succedeva. Le frustrazioni aumentavano, soprattutto in società ancora molto maschiliste che difficilmente potevano assistere alla “liberazione della donna” come succedeva al nord. Se questi erano i segnali della modernità, chi controllava quelle società non aveva nessun interesse a farli propri, con il rischio di perdere il controllo. D’altronde non c’erano forze sociali organizzate, come lo erano da noi i partiti, i sindacati e pian piano i movimenti ribelli e antagonisti. Da loro eravamo ancora fermi al sindacati corporativi, creati dal governo per assicurare la stabilità del governo. Lo stesso per i partiti politici e la pseudo democrazia. La società veniva imballata, e i giovani erano i primi a pagarne il prezzo.

Il collante arriva con la religione, meglio con una interpretazione manicheista e estremista dell’islam. Ma ricordiamoci che la colla prende se si sono delle superfici pronte all’uso. In Algeria è quello che succede con il GIA. Alle prime elezioni libere, il ras-le-bol dei giovani porta alla vittoria l’unico partito nuovo e diverso, gli islamisti. La reazione occidentale è di stupore e subito dopo di paura. Gli estremisti islamici al potere in un paese che interessa a noi, questo era impossibile. Pertanto i militari vengono pregati di fare il lavoro sporco, a cambio del mantenimento dei loro privilegi. Lo stesso schema succedutosi in Egitto poco tempo fa. I Fratelli Mussulmani, da sempre tenuti in carcere da Mubarak e i precedenti Rais, alla prima occasione vincono democraticamente le elezioni. Anche questo è inaccettabile. Per cui si richiamano i militari, con l’appoggio di tutto l’occidente, e i fratelli mussulmani e il loro presidente si ritrovano o in galera o fatti fuori.

Non ricordo manifestazioni nelle piazze europee per difendere i risultati delle elezioni libere in quei paesi. La politica dello struzzo continuava.

In fin dei conti ci dicevamo che queste erano battaglie interne fra sciiti e sunniti, quel casino che in medio oriente significa una guerra dietro l’altra che a noi interessano molto poco. L’importante è che non tocchino i nostri affari. Questo fu l’errore dell’amico Saddam il quale non avesse deciso di andarsi a prednere il petrolio con le armi in Kuwait, paese amico degli americani e di noi europei, sarebbe ancora qui a giocare il ruolo di pacificatore. La guerra contro di lui permise di mostrare che non avevamo capito niente di quella regione e nemmeno della regione tibetano-himalayana. Abbiamo iniziato delle guerre che non riusciremo mai a vincere, mostrando così che al di là delle chiacchiere, i nostri eserciti sono battibili, basta volerlo.

Capito che la supremazia occidentale stava poggiando su basi di vetro, che l’antico potere sovietico era troppo preso dai problemi interni per poter occuparsi del resto del mondo, e che le nuove potenze BRICS quella parte del mondo era terra incognita, qualcuno ha deciso di provare a giocre la partita.

Lo scontento sociale era ed è crescente, dall’Africa al medio oriente e continua verso est nella fascia dei paesi tibeto-himalayani e anche più a sud. La religione islamica è quella che può fare da collante, sempre che si riesca una operazione di indottrinamento accellerato. Per le armi non ci sono problemi perchè i mercanti di armi sono da sempre amici con chi ha i soldi per comprare. L’intellettualità repressa, quella che ha deciso di non accettare l’evoluzione del nostro mondo sempre più complesso, dove a fianco della dominazione dei finanzieri ci sono spazi di libertà individuale inconcepibili in contesti di società ancora patriarcali, quell’intellettualità dicevo si mette a disposizione, in particolare nelle uniche scuole che i piani di aggiustamento strutturali, l’arma fatale usata dal Nord per distruggere quelle economie, non sono riusciti a toccare: le Madras, le scuole coraniche. Ed è così che si cominciano ad allevare milioni di giovani studenti il cui unico libro preso in mano sarà il Corano, interpretato non da insegnanti delle scuole pubbliche e laiche, ma da teologi sciolti, molti dei quali sono facilmente recrutabili per avventure come le attuali.

La storia delle torri gemelle con gran parte degli attentatori aventi passaporto saudita, non ci ha fatto cambiare politica. Siccome sono ricchi, continuiamo a fare affari con loro, pur sapendo che il loro credo politico religioso è quanto di più conservatore ci sia al mondo. Al confronto l’Iran di Khomeini fa quasi figura di debosciato. Ma siccome noi occidentali abbiamo bisogno del petrolio saudita, allora i sauditi sono i nostri amici e gli iraniani (essendo sciiti, contro i primi che sono sunniti) diventano i nostri nemici.

Le evidenze che i soldi per il terrorismo arrivino da quella parte del mondo non riesce proprio a smuoverci. Loro hanno dietro un bacino di reclutamento in forte espansione, oramai le nostre periferie ne fanno parte da quando quelle zone sono Res Nullius, terra di nessuno dove lo Stato non osa più avventurarsi. Povertà, miseria economica e culturale, ne fanno un brodo di cottura dove i predicatori estremisti hanno vita facile, come gli spacciatori di droga alle Vele di Scampia a Napoli.

Il perchè questo succeda è, come spesso succede, materia opinabile. Io penso che ci siano una serie di fattori, alcuni strutturali ed altri più casuali storicamente. Fra questi ultimi metterei proprio l’evidenza che noi del nord non abbiamo più voglia di fare la guerra e non vogliamo vedere i nostri figli morire in guerra e quindi quando dobbiamo andarci siamo poco preparati e quindi battibili. Un altro mondo, multipolare, diventa quindi possibile, ma non quello sognato dai movimenti, un mondo di macroregioni dove varie potenze, espressione di inteerssi vari, possono avere un ruolo egemonico. Lasciamo l’Asia alla Cina, l’America Latina agli americani, ma qui nel nordafrica (e magari anche nell’Africa nera) e nel medio oriente (e chissà fin dove si possa arrivare nella parte bassa dell’Asia, magari potremmo prnderci l’Indonesia, il paese mussulmano più grande al mondo). Ecco come devono pensare questi sceicchi ultraconseratori. Il nostro modello può farcela a prendersi in mano questa fetta del mondo, agli europei lasceremo l’altra sponda del mediterraneo, purchè sia chiaro che alla prima cazzata che fanno, gli mandiamo una serie di attentatori suicidi per scatenare l’opinione pubblica. Penso sul serio che sia a questo che puntano. E per questo hanno bisogno di portare la sfida da noi, per impaurirci e farci capire che è meglio pensare agli affari nostri e basta. Dall’altro lato hanno il problema della divisione con gli sciiti, e su questo la partita è ancora aperta. Certo che se non vincono contro gli sciiti, cioè contro l’Iran, tutto il piano rischia di venir giù.

In tutto questo l’elemento che secondo me sottovalutano maggiormente riguarda la loro capacità di controllare il bacino di reclutamento. Le ragioni per cui i giovani se ne vanno a combattere, prima di essere di tipo religioso, cioè una attrazione per qualcosa che conoscono solo superficialmente, è la forza che li spinge via da casa loro, cioè la crisi economica, ecologica e sociale. Tatticamente in questo momento possono far parte delle brigate di Daech, ma al fondo del problema resta che la degradazione dei loro territori, il depredamento delle loro risorse, la mancanza di scuole, ospedali, cinema e teatri, fa sì che la massa di incazzati aumenti, ed è una massa anarchica. Se fosse solo una questione di supremazia regionale con le potenze del golfo, un accordo alla fine si troverebbe, dato che anche loro hanno bisogno di noi così come noi di loro. Ma io credo che vada ben al di là di questo, che il vulcano che si sta scaldando sia molto più complicato, potenzialmente alleabile con chi in un certo momento può essere utile, una Idra dalle tante teste che non si lascerà ricondurre facilmente alla ragione.

La vera questione è saper quando cominceremo a fare il contrario di quanto facciamo da oltre trent’anni, e cioè politiche pubbliche di sviluppo, rispetto degli altri paesi e ricerca di collaborazione economica reale e non basata sulla sopraffazione, mettere sotto stretto controllo finanze e banche perchè sia chiaro che la mano pubblica deve riprendere il comando delle operazioni. Tagli drastici ai budget militari e investimenti massicci, anche in deficit, sul sociale, partendo proprio dalle zone più deficitarie, nel sud come da noi. Solo così potremo difendere sul serio i “diritti”  di cui i nostri politici si riempiono la bocca.

 

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