Visualizzazioni totali

domenica 26 giugno 2016

Brexit: il perchè sono contento


La vittoria del Leave meritava di essere festeggiata, e per varie ragioni.

La prima riguarda banalmente la fine di un trattamento di favore ai britannici, cosa che ci costa la bellezza di 6 miliardi di Euro che Bxl rimanda indietro in virtù dei recenti accordi di febbraio. 1,2  sono pagati dagli italiani e 1,4 dagli spagnoli. Miliardi, non bruscolini.

Secondo elemento da considerare è l’atteggiamento tenuto da quando sono entrati, contrari a qualsiasi tentativo di costruire una europa politica che andasse al di là del semplice mercato libero. Il grande spazio commerciale è da sempre il sogno del capitale, finanziario e industriale, e questo cozza con tutta l’agenda di  diritti che avremmo potuto costruire per far sì che il sogno europeo di Spinelli e gli altri, diventasse realtà. E qui arriviamo al punto cruciale. Da tempo mi sforzo di far capire, anche nella organizzazione per cui lavoro, l’importanza delle percezioni. Siamo talmente oppressi da informazioni di tutti i tipi, in quantità mostruose che, come dice l’adagio, troppa informazione uccide l’informazione. E quindi ci si fida sempre di più delle proprie percezioni. Qui non conta discutere se siano giuste o sbagliate. Quel che conta è che il voto popolare a favore dell’uscita conferma quanto da tempo si va dicendo sull’incapacità dell’Europa di crescere e diventare un sogno positivo per i milioni di appartenenti.

Al contrario, la percezione crescente, ovviamente accellerata dall’inizio della crisi finanziaria del 2008, è che la sola preoccupazione di chi sta ai comandi sia di salvare le banche e tutti quelli che stanno in prima classe, lasciando che la seconda classe (la classe media) si impoverisca e ritorni a far parte della terza classe che sta affondando sempre più velocemente.

Questa sensazione ce l’abbiamo tutti, inutile nascondercelo. E dato che il 75% delle leggi nazionali riguardano l’applicazione di direttive europee, è ovvio che alla fine ci si incazzi sia con chi ci governa, una classe politica di una mediocrità assoluta, ma anche e soprattutto con il simbolo dei simboli, cioè Bruxelles.

Che poi le prime reazioni dopo la proclamazione del voto siano state l’idea di rifare il referendum scozzese, per staccarsi dall’Inghilterra e chiedere di aprire un negoziato per far sì che la Scozia entri nell’Unione, e il segnale mandato dal Sin Feinn di una possibile apertura della discussione sulla unificazione dell’Irlanda, beh questi sono ulteriori elementi per cui valga la pena festeggiare.

Capiamoci bene: sono contento che l’ Inghilterra, questa Inghilterra, esca, ma sono ancor più contento per il segnale che manda agli altri paesi membri. Il rifiuto inglese, che ovviamente ha molte ragioni, può e deve – a mio giudizio - essere letto come un rifiuto di un modello che ci è stato imposto dal capitale, dove l’essere umano non conta più nulla, può tornare ad essere uno schiavo, e quel che importa è far fare sempre più soldi ai più ricchi. Un modello che da noi significa lo smantellamento dello stato di diritto, sempre con le stesse inevitabili giustificazioni mercantili, un lavoro sporco che viene fatto fare a governi di centro sinistra in molti casi, in modo che sia chiaro che non c’è spazio per modelli alternativi. E allora la gente comincia a dire basta.

Il voto dell’altro ieri si lega a filo doppio alla questione della immigrazione e dei crescenti conflitti che abbiamo davanti casa nostra. I milioni di rifugiati hanno già votato, e continuano a farlo ogni giorno, con le loro gambe. Fuggono da paesi dove impera la versione estrema del modello che ci hanno imposto anche a casa nostra: libertà di capitali, zero diritti e ognuno per sè. A Roma, Parigi, Berlino, Bruxelles non l’hanno voluto capire, e difatti le risposte ridicole dei vari paesi membri sono state risposte di paura, di chiuderci in casa, tirar su muri. Bene, adesso abbiamo visto cosa succede quando si abbandona il mondo della politica e la si lascia in mano ai banditi di Wall Street. Cominciamo forse a capire che a quei banditi interessa solo il far soldi per i cavoli loro, sbranandosi come lupi se necessario, ma sempre pronti a fare gruppo contro il resto del mondo. Il famoso slogan di OccupyWS, 1% contro il 99%... è sempre lì, valido come non mai. L’un per cento comanda, ma a forza di tirare la corda, il 99 restante comincia a reagire. Questo è un primo passo, al quale ne seguiranno altri se continuiamo a non far Politica con la P maiuscula.

Non si tratta di piccoli aggiustamenti, perchè questi solo potranno postergare una crisi maggiore. Bisogna riprendere in mano l’ABC del rapporto umano, che si tratti dell’Europa ma, ovviamente, va al di là dei nostri confini. Quello che bisognerebbe fare è abbatsanza semplice, nella sua complessità. Ridurre lo spazio dei mercati, metterli sotto stretto controllo di istituzioni demcoratiche, e ridare una centralità a quelle istituzioni democratiche, nazionali o sovranazionali che possano guidare questi fenomeni. Ripartire dall’essere umano, dal patto sociale che ci lega, vuol dire cambiare le caste politiche che abbiamo fatto eleggere nei paesi del sud per proteggere i nostri interessi, vuol dire cacciar via la massa di incompetenti che ci guidano attualmente, e ridare spazio a meccanismi popolari, magari anche da inventare, perchè dobbiamo ripercorrere all’indietro una strada che ci porti lontano dall’individualismo sfrenato, per ricercare un senso comunitario dell’essere umano, che diventa quindi essere sociale, parte di una natura non da depredare ma con cui convivere, nel rispetto mutuo.

 Qualcuno queste cose le ha scritte, per cui non mi sento solo. Diverso il discorso sulla fattibilità di tutto ciò, soprattutto pensando che le nostre sorti siano nelle mani di questi governanti. Ma siccome non voglio dar ragione a George Soros che considera questo voto come l’inizio dell ineluttabile fine dell’Unione Europea, chiudo dicendo che ce la possiamo fare, una volta di più ricominciando a far società dai nostri luoghi di vita e lavoro. Riapprendere ad andare verso gli altri, cercare assieme modi di con-vivere e di crescita, non solo economica, ma anche ecologica e spirituale. I cambiamenti che si sono manifestati anche nelle nostre recenti elezioni, al di là dei pregi e difetti dei nuovi eletti, sono un altro segnale che il cambiamento va iniziato dal basso. Sarà difficile, sarà lungo, ma non è che possiamo restare qua ad aspettare che un futuro migliore ci piova dal cielo. Guardando fuori dalla finestra, con un cielo così limpido, non credo sarà oggi che scenderà la manna dal cielo. Quindi, sotto, tocca a tutti noi.


Nessun commento:

Posta un commento