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martedì 2 maggio 2017

L’Italia in libertà vigilata: qualche elemento per ricordarlo

Ieri sera abbiamo rivisto il bel film di M.T. Giordana Romanzo di una strage, riferito alla strage di Piazza Fontana nel lontano 1969. Per la generazione dei fratelli più vecchi e in parte anche per me, quello è stato l'inizio dell'avvicinamento alla politica. Cose di cui all'epoca eravamo dottissimi, e discutevamo assai nelle riunioni fra amici e anche in classe -ricordo ancora quando il 9 marzo 1978 fui convocato - io, rappresentante di Istituto - urgentemente dal Preside per informare me e gli altri rappresentanti dell'incredibile rapimento di Aldo Moro.
Mi rendo conto che gli anni sono passati, e che la memoria storica tende a rilassarsi. Essendo stati anni molto complicati, dai quali non sappiamo nemmeno se ne siamo veramente venuti fuori, ho deciso di buttar giù questo post, così, per rinfrescare le idee.

Che l’Italia uscita dalla seconda guerra fosse come un detenuto in libertà condizionale, era chiaro a tutti quelli della generazione dei nostri genitori e nonni. Il fatto che un forte Partito Comunista avesse, nei fatti, capeggiato la lotta partigiana, e che questo stesso partito fosse popolare tra tutte le classi proletarie dell’epoca, nonché infeudato alla casa madre russa, preoccupava assai i nostri grandi fratelli dell’ovest, a partire, ovviamente, dall’ America.
Fu pero necessario che tutto questo venisse ricordato al nostro primo ministro De Gasperi, e per questo fu convocato per il suo primo viaggio alla Casa Bianca, il 3 gennaio 1947. Il problema, secondo gli americani, era che il suo governo aveva imbarcato anche i comunisti, in particolare il suo capo riconosciuto a Roma (e a Mosca), Palmiro Togliatti, affidandogli l’incarico di Ministro della Giustizia. Il fatto che Togliatti fosse stato l’artefice della proposta di amnistia con la quale si volevano evitare ulteriori bagni di sangue e vendette postume, promuovendo quindi uno spirito di collaborazione e fedeltà ai principi repubblicani per cui si erano battuti, non era soddisfacente per gli americani.
Tornato in Italia, De Gasperi estromise i rossi dal governo (primavera del 47, in tandem con il governo francese che fece lo stesso praticamente negli stessi giorni). Il primo maggio, a Portella della Ginestra, viene ricordato a tutti, ma soprattutto alle sinistre, che non si scherza col potere terriero siculo, una delle basi solide del nascente potere democristiano. La mattanza del bandito Giuliano lascia intuire che i rapporti fra il banditismo e settori dello Stato non fossero poi cosi chiari. Da lì in poi l’area grigia tra servizi deviati, alcuni membri delle alte sfere militari, movimenti politici fascisti o neo-fascisti, il tutto con appoggi ben dentro la democrazia cristiana, avrebbe cominciato a far ballare la fragile democrazia italiana.
L’anno seguente si rischio l’insurrezione quando a metà luglio spararono a Togliatti. Il clima era propizio a qualsiasi svolta ma, grazie alla forza della comunicazione-propaganda, fu possibile controllarne gli effetti potenzialmente devastanti sul quadro politico. Gino Bartali vinse proprio quel giorno una memorabile tappa del Tour distruggendo le speranze francesi dell’epoca. Ancora una volta, il “circense” permise di ridurre la pressione politica montante.
L’idea di governo che gli americani avevano dell’Italia era una in linea con quella dei settori più conservatori della DC, e cioè non solo mantenere gran parte dei funzionari del vecchio regime fascista, ma anche dare un chiaro orientamento conservatore alle politiche governative. Ci provarono col governo Tambroni, il primo governo della repubblica approvato con i voti determinanti dei fascisti riuniti sotto la bandiera del Movimento Sociale Italiano.
Le violenze contro i partiti di sinistra e i movimenti operai accelerarono, cosi come la reistenza popolare a quel governo considerato “fascista”. La mattanza di Reggio Emilia (ascoltate la canzone di Fausto Amodei su quei fatti: https://www.youtube.com/watch?v=WmFYVEiXGyA) fu la spinta decisiva che fece dimettere il governo.
Passarono pochissimi anni e nel 1964 si arrivò al primo tentativo di “colpo di Stato”, guidato dal generale dei carabinieri De Lorenzo. Il piano a cui questo “golpe” faceva riferimento, era stato formulato nel 1961 in seguito alla crisi di Berlino (la decisione sovietica di chiudere la parte orientale della città dietro un muro) ed era molto dettagliato: internamento di 731 persone tra cui molti dirigenti del Pci e della Cgil, intellettuali di sinistra e qualche socialista (http://www.ilmanifestobologna.it/wp/2012/10/il-golpe-del-1964-il-memoriale-moro-e-la-seconda-repubblica-cosa-non-si-e-capito-e-non-si-e-fatto/).
Il “rumore di sciabole” favori, nei fatti, una svolta conservatrice che si materializzo con l’accantonamento di tutte le proposte riformiste che il Partito Socialista di Nenni voleva portare avanti come socio del governo democristiano.
Arrivo poi il 1968, con un certo ritardo in Italia, dato che di fatto tutti ci ricordiamo del famoso “autunno caldo” per gli scioperi e le lotte operaie, che avvenne però nel 1969. Sarà stato il sentore di queste forze rivoluzionarie e giovanili che in altri paesi scombussolavano un modo di fare e di essere oramai non più rispondente alle dinamiche sociali del tempo, sta di fatto che gruppi fascisti iniziarono a mettere bombe un po’ dappertutto. La prima fu alla Fiera Campionaria di Milano, il 25 aprile del 1969, seguite da quelle del 8 e 9 agosto su diversi treni. L’operazione era stata ben montata con l’appoggio di servizi segreti deviati, settori di destra delle forze pubbliche e gruppetti fascisti vari. Lo scopo era quello di montare una campagna contro i rossi, ma a farne le spese furono i movimenti anarchici verso i quali furono indirizzate le indagini.
Il 12 dicembre 1969 l’Italia entra ufficialmente nell’era del terrorismo moderno, con la bomba alla Banca nazionale dell’Agricoltura a Piazza Fontana, Milano. Svariati tentativi di indirizzarne le colpe verso gli anarchici, “suicidi” mai chiariti e fortissime pressioni governative, il tutto per nascondere le evidenze sempre più forti che dietro tutto questo c’erano forze di destra non solo fascista ma anche con forti diramazioni all’interno delle istituzioni.
Le capacita di insabbiamento di tutte le inchieste e processi contro gli esponenti della destra hanno fatto sì che oggi, a 48 anni da quei fatti, colpevoli non ne esistano.
Le forze di matrice popolare e operaia scaldavano i muscoli e battevano le piazze, per cui la reazione conservatrice e fascista non fece altor che innalzare il tono della risposta.
La strage di Piazza Fontana non fu sufficiente per dichiarare lo stato d’emergenza e sospendere le libertà democratiche, malgrado settori del governo (e si dice lo stesso Presidente della Repubblica, Saragat, detto “rosso antico” per la sua passione alcolica) sostenessero questa tesi. E allora l’anno successivo il Principe nero Junio Valerio Borghese mise in scena un altro tentativo di colpo di Stato. Anche su questo non si è mai arrivati a nessun chiarimento in tribunale. Il ruolo degli americani è stato spesso accennato ma non si è mai riusciti ad andare fino in fondo.
Di fronte a questo inasprirsi della lotta politica, settori della sinistra extra parlamentare iniziarono a organizzare la risposta. La battaglia di Roma, all’ateneo di Valle Giulia, marzo del 1968 ‘e considerata come la data fondante di quelli che sarebbero diventati i famosi “anni di piombo”.
Il contributo fascista (e l’appoggio politico di settori di destra della DC) a quelle tragedie fu immenso. Nel 1970 la Strage di Gioia Tauro (attribuita ai fascisti del MSI), quella di Peteano del 1972 (una delle poche con responsabili chiari e condannati), servirono politicamente per indirizzare la strada da seguire dai governi democristiani dell’epoca. Nel 1973 i servizi provarono a rieditare lo schema di Piazza Fontana, con una bomba alla Questura di Milano che sarebbe stata messa da un anarchico (rivelatosi poi essere un informatore dei servizi segreti italiani). Anche se indagini successive permisero di identificare i veri esecutori, ancora una volta i fascisti di Ordine Nuovo, resta il fatto che il messaggio politico venne recepito subito. La bomba era destinata al ministro Mariano Rumor, che doveva trovarsi in Questura in quei momenti, colpevole di non aver voluto proclamare lo stato d’assedio dopo la strage di Piazza Fontana (quando era Primo Ministro).
Non contenti, la coalizione movimenti fascisti e servizi segreti deviati si rimise al lavoro e un anno dopo, maggio del 1974, realizzarono la strage di Piazza della Loggia (ascoltate la canzone di Claudio Lolli:https://www.youtube.com/watch?v=5rIi5Irdo74).
Il mese dopo, giugno 1974, arrivarono sulla scena anche le Brigate Rosse, con l’omicidio di due militanti in una sede del MSI a Padova.
Passarono pochi mesi e nell’agosto dello stesso anno il duo fascisti-servizi mise un’altra bomba sul treno Italicus fece oltre 12 morti. Indagini svolte successivamente permisero di appurare che per un disguido (un ritardo del treno) la bomba scoppiò prima dell’arrivo del treno in stazione a Bologna, dove era previsto il botto.
Le BR decisero allora di passare alla fase dura, cioè di attaccare lo Stato colpendone i suoi rappresentanti, definiti “servi dello Stato”. Cominciarono allora una lunga serie di gambizzazioni e omicidi con lo scopo di portare “l’attacco al cuore dello Stato”.
Altri movimenti sorsero in quegli anni, spesso in concorrenza con le BR, come fu il caso di Prima Linea.
Il 1978 resterà per tutti l’anno del rapimento del Presidente del Consiglio Moro, l’uccisione della sua scorta, le lunghe trattative, l’intervento del Papa e la scoperta del cadavere in via Fani a bordo della R4 rossa. Per molti quello fu l’apogeo delle BR ed anche l’inizio della loro sconfitta.
Quel che è sicuro è che la vita politica di quegli anni non si faceva più in Parlamento, ma attraverso la forza, a volte manipolata, di movimenti e gruppuscoli vari. Per rendere ancor più torbide le acque ci si mise anche un giudice di Padova, Guido Calogero, e il teorema che imbasti secondo cui i grandi vecchi delle BR erano i professori e assistenti della Facoltà di Scienze Politiche di Padova, facenti riferimento a Toni Negri.
Mentre l’Italia discuteva se finalmente il terrorismo era finito grazie all’arresto di gran parte degli intellettuali che lo ispiravano (la retata fu fatta il 7 Aprile del 1979), i fascisti e i servizi segreti corressero l’errore di mira della bomba dell’Italicus e questa volta la misero direttamente in stazione a Bologna, provocando la strage più grande della nostra storia repubblicana con 85 morti (2 agosto 1980).
Una parte dell’’Italia aveva provato a liberarsi dei gioghi culturali del passato: il 1974 il referendum sul divorzio mostro che esistevano dinamiche sociali che sfuggivano oramai alla Chiesa e alla DC; il tutto si confermo, anche se con maggiori difficolta, nella successiva lotta per l’aborto. Pian piano anche l’Italia iniziava a raggiungere standard comunissimi nelle democrazie occidentali transalpine, ma questo ovviamente collideva con le visioni politico-societali delle forze conservatrici.
La strage di Bologna da un certo punto di vista chiuse un periodo storico. Il terrorismo di sinistra pian piano spari, malgrado colpi di coda ancora micidiali, ma la lotta per il controllo del potere cambiò forma.
Oramai i neo-liberali erano arrivati al potere formale negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, e le loro tesi economiche erano già state sperimentate nei paesi del sudamerica che, grazie a ben guidati colpi di Stato, erano stati rimessi sotto il controllo dello Zio Sam. Dal 1980 in poi il controllo teleguidato delle politiche non aveva più bisogno di mostrare i muscoli direttamente, bastava agire sull’economia. Cosa che fecero molto bene, ma questa storia la conoscete già perché ci siete tutti dentro.

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