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martedì 23 maggio 2017

Un film, Manchester e altre vecchie idee che tornano…

Strana giornata questa di oggi. Tutte le fonti informative sono lì a ripassarci servizi da Manchester dopo l’attentato di ieri sera. Eppure la mia attenzione è stata più attratta da un film, Lo Stato contro Fritz Bauer, appena finito di vedere. E mi sono chiesto perché.

Il film ha il grande merito di ricordarci quello che abbiamo tendenza a dimenticare. Si applica alla Germania ma noi italiani non possiamo certo dirci esenti, e così pure altri paesi “occidentali” sono sicuramente passati per comportamento molto simili.

La storia ci racconta che i nazisti hanno perso la seconda guerra mondiale, e così pure i loro alleati dell’Asse. Ma la realtà ci dice invece un’altra storia, e cioè che molti di quei paesi perdenti non hanno mai voluto fare realmente i conti col loro passato. 

Lo Stato contro Fritz Bauer ci racconta di una Germania diventata “democratica”, atlantista e filo-occidentale dove l’essenziale dei gangli della sfera pubblica sono rimasti in mano ai funzionari e gerarchi nazisti. Usando il pretesto del caso Eichmann, ci viene descritto il clima di quegli anni (fine anni 50), dove era penalmente molto più pericoloso avere tendenze omosessuali che aver avuto un passato da gerarca nazista.

La realtà è che abbiamo voluto, o hanno voluto, raccontarci una storia, inventandola in buona misura, dove NOI, gli occidentali, eravamo i buoni e gli altri, i rossi, erano il male. Se ripensate bene, fatta l’eccezione particolare del caso ebreo, era la stessa visione manicheista che ha portato la Germania a dichiarare la guerra. Noi siamo nati e cresciuti in un clima di belle storielle, dove lo sviluppo e la pace erano ovvie conseguenze del fatto di essere noi i buoni. 

Ce l’hanno cantata così bene che alla fine gran parte delle masse ha finito per crederci. Il fatto che a casa nostra non ci fossero più guerre, e che quelle che avvenivano fuori dai confini del mondo sviluppato avessero sempre davanti quelli là, i rossi, cioè il male, ci rafforzava nella nostra visione bianca e nera. 

A un certo punto, il fiore del male ha cominciato a fiorire anche nelle alte sfere occidentali, per cui a forza di raccontarci che noi eravamo i buoni, abbiamo cominciato a credere sul serio di avere una missione civilizzatrice. Noi, l’occidente, dovevamo portare la democrazia altrove, da quei barbari che non conoscevano la vera fede, la nostra. Discorsi degni della Conquista spagnola, che giustificava la sottomissione dei popoli americani sulla base della nostra ovvia superiorità. Lo stesso abbiamo fatto nel sud del mondo quando ce lo siamo spartito fra di noi. E adesso si ricominciava. Fatti fuori i rossi ad Est, ecco apparire un altro tipo di Male, questa volta ammantato di valori religiosi. Gli storici ci diranno un giorno se abbiamo dovuto allevarlo noi quel Male chiamato Isis, Al-Qaida, Boko-Haram etc. etc., come un bisogno consustanziale al nostro modello ideologico, o se sia sorto da solo, provocato dalle continue pressioni ideologiche di un mondo individualista, conquista e che non rispettava altri valori che i suoi. Quel che è certo è che grazie a quel nemico possiamo tornare a stringerci attorno ai nostri valori, non negoziabili, come si sente dire ogni volta che succede un attentato. Ne abbiamo bisogno di momenti del genere, che rafforzino i sentimenti di unità e facciano tacere le voci critiche, più che mai adesso che il modello politico economico dominante sta mostrando la sua vera faccia. Una faccia che è fatta di distruzione del pianeta, distruzione sistematica del lavoro umano e, quando non succede, lo riporta a livelli di schiavitù degni del periodo pre-industriale. 

Allora ecco gli alti lai contro i terroristi. E ancora una volta la mente mi va a quella discussione mai conclusa alle nazioni unite per mettersi d’accordo su cosa si possa chiamare “terrorismo” e cosa no. Nessun accordo è mai stato trovato, per la semplice ragione che una serie di paesi chiave, tra i quali i nostri eroi Americani, non vogliono che si codifichi una pratica del genere per paura di finirci dentro per tutto quello che hanno fatto in giro per il mondo dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi. 

Le nostre care televisioni, indipendenti ovviamente, ci raccontano di questi gesti criminali e terroristici; peccato che dimentichino poi di parlare del terrorismo fatto dai nostri, i buoni, a casa degli altri. Bombardare facendo migliaia di morti civili, quello non è terrorismo, ma “vittime collaterali”. Lo stesso si potrebbe dire, cinicamente, di quei bambini morti a Manchester. Vittime collaterali di una guerra che non hanno voluto né dichiarato. Una guerra che abbiamo dichiarato noi per primi, ricordiamocelo, anche se continuiamo a voler raccontarci il contrario e cioè che sarebbero stati gli altri, prima i rossi e adesso gli islamisti, a decidere un bel giorno che dovevano attaccare noi, i buoni, proprio perché eravamo buoni.

Continuiamo a guardare la realtà con questi occhiali sbagliati e quindi mai e poi mai capiremo cosa sia in corso. Io da alcuni anni oramai ho scritto che penso stiamo correndo velocemente verso una nuova guerra mondiale, di tipo diverso, non solo asimmetrico, come oramai dicono tutti, ma una guerra con alti e bassi, cona lenze variabili in funzione di obbiettivi che possono cambiare nel tempo. Tutti contro tutti, come regola di base, sapendo che dietro, la vera questione, quella sì di civilizzazione, riguarda la capacità di imporre il modello di sviluppo economico-finanziario, concertatore di risorse economiche e distruttore di risorse naturali nelle mani di una élite sempre più ristretta. Questo è il vero vulnus, ma ovviamente non ci viene raccontato. Ad ogni elezione siamo sempre pronti a festeggiare lo scampato pericolo e l’elezione di banchieri a capi di stato, così da rafforzare ogni giorno di più la presa diretta del controllo da parte della casta finanziaria.

Il cittadino medio mi ricorda una vecchissima vignetta apparsa sull’Espresso credo una quarantina di anni fa, all'epoca della crisi del petrolio, dove un tipo diceva: che me ne frega a me che il prezzo della benzina aumenti, tanto io metto sempre mille lire.

Ecco, questa è la cecità che ci circonda. Oggi siamo tristi per Manchester come lo siamo stati per Charlie, per Nizza e per altri attentati. Nulla dentro di noi cambiato realmente, non abbiamo aumentata la nostra empatia nei confronti di simili azioni successe nel sud del mondo. Ci siamo fatti la scorza più dura. Guardiamo ai nostri morti, cerchiamo di rafforzare le mura di difesa contro i “nemici”, ma non ci viene nemmeno l’idea di chiederci se per caso la vita non sia solo bianco e nero, e se quei nemici che ci sembrano essere sempre gli altri, non siano in realtà molto più vicini di quanto pensiamo, magari quelli che noi votiamo seguendo pedissequamente quanto ci viene detto di fare, da buone pecore.


Arbore avrebbe chiuso dicendo: Meditate gente, meditate!

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