Visualizzazioni totali

giovedì 24 febbraio 2022

Non ci resta che piangere


L’invasione è iniziata ma la guerra non è dichiarata. Sono i giochi linguistici della diplomazia. Intanto cerchiamo di fare qualche riflessione. La prima è che da quello che poteva essere un problema minore, la non adesione dell’Ucraina alla NATO, cosa che tutti gli esperti intervistati nelle televisioni dicono non essere stata all’ordine del giorno (ma senza che su questo ci fosse una parola pubblica di qualche capo di Stato o di Governo occidentale, o del Segretario Generale della stessa Nato), si è arrivati all’invasione del Donbass e a un passo dalla guerra aperta.

 

Resto convinto che da parte nostra, occidentale, si sia sottovalutata l’importanza della raccomandazione russa che da mesi ripeteva il mantra “no Ucraina nella Nato” e che, alla fine, Putin abbia deciso di battere i pugni sul tavolo, stante la mancanza di risposta chiara e scritta, con impegno vincolante da parte occidentale e dell’Ucraina stessa, per cui ha deciso l’invasione.

 

Il fiammifero che ha acceso il fuoco data di una trentina d’anni, cioè da quando, sbriciolata l’URSS, gli americani fecero la promessa di non allargare la NATO verso Est, così da rispettare una zona, mai dichiarata, di “rispetto”, quella che in gergo chiamiamo un “buffer”, tra paesi NATO e Russia. Una specie di finlandizzazione, sulla scorta del principio, che ho già ricordato, che gli americani avevano imposto a Cuba all’epoca della crisi dei missili. Una specie di Dottrina Monroe russa.

 

Riporto qui quanto sintetizzato da una rapida ricerca sulla rete: Questa dottrina fu presentata nel suo messaggio al Congresso del 2 dicembre 1823: in essa Monroe proclamò che le Americhe dovevano essere libere da future colonizzazioni europee, così come dovevano essere  libere dall'interferenza europea negli affari delle nazioni sovrane.

 

Nulla di trascendentale nel mondo della RealPolitik, che non ha patemi d’animo a passar sopra le volontà popolari delle popolazioni interessate, in nome del bene supremo della pace mondiale.

 

Le interpretazioni correnti spingono a pensare che, stante la crisi economica, politica, militare e oltre, della Russia agli inizi anni 90, si sia imposta, grazie ai Neo-Con americani, l’idea di dare un colpo finale e mettere al tappeto l’Orso russo, accettando le domande “spontanee” dei paesi dell’ex Patto di Varsavia di entrare nella Nato.

 

Ricorderete che nel discorso di Putin di lunedì sera, a un certo punto ha detto una cosa nuova, di cui pochi erano a conoscenza, e cioè che lui stesso, in un colloquio personale con il Presidente americano dell’epoca, avrebbe chiesto “perché non fate entrare anche noi nella Nato?”, domanda che rimase senza risposta, dato che la Nato era nata proprio contro gli interessi sovietici prima e russi dopo.

 

Quindi, dal 1991 in poi, per ondate successive, la Nato si è allargata verso i confini russi, senza nessuna reazione particolare, tanto il paese era impegnato a rimettersi in piedi e, successivamente, a far la guerra in Cecenia. Da parte nostra, europei, aprimmo le braccia per accogliere tutto un pacchetto di paesi nuovi, provenienti da Est, che uscivano da oltre 40 anni di dittatura e dove l’idea di democrazia con pesi e contropesi era abbastanza sconosciuta. Li abbiamo voluti dentro per aumentare il peso economico del nostro mercato, senza preoccuparci da un lato della governanza (principio dell’unanimità) e dall’altra dei pesi diversi delle varie economie, alle quali stavamo proponendo di creare una moneta unica calcata sul peso del Marco tedesco, cosa che avrebbe creato problemi a non finire per tutti i paesi deboli, noi compresi, fino ai giorni nostri ed oltre.

 

Putin si è preso il tempo necessario per capire con chi aveva a che fare. Mentre da un lato consolidava la sua presa di potere personale finché sarà in vita, dall’altra parte ha visto passare schiere di capi di stato e di governo perlopiù interessati a farsi gli affari propri, come la Germania, oppure interessati alle cene eleganti come l’amico Berlusca. 

 

Dopo aver sistemato la Cecenia e aver messo il naso in Georgia e Azerbaigian, ha cominciato a spingersi oltre: l’appoggio a Bashar in Siria è stato emblematico (grazie ai russi Bashar è rimasto al potere e adesso sono gli occidentali a dover trovare il modo di riaprire un dialogo con lui), così come gli invii dei suoi mercenari in Libia, Repubblica Centrafricana, Mozambico e, adesso, in Mali. Il colpo più grosso l’ha comunque fatto in Crimea dove, senza sparare un colpo, si è ripreso quello che considerava un territorio russo da sempre (e senza che ci fossero manifestazioni contrarie delle popolazioni locali).

 

Le timide reazioni occidentali, limitatesi alle sanzioni, gli hanno permesso di consolidare la sua percezione di un occidente mollaccione, un po’ il gatto col topo, per cui forse poteva andare oltre. Ha avuto tutto il tempo per de-dollarizzare l’economia russa, vendendo le sue riserve in dollari e comprando euro, yuan e oro, di aumentare il grado di autarchia, tanto i cittadini russi non possono protestare e si è preparato a giocare un’altra partita, quella dell’Ucraina. Con il presidente fantoccio che aveva fatto eleggere in Ucraina, Putin era convinto di poter ripetere il modello bielorusso tale e quale, ma la rivolta popolare lo ha sorpreso. Non sospettava che ci fosse tanta resistenza, e ha dovuto accettare (o almeno fare finta di) la nuova Ucraina pro-occidentale. A questo punto, soffiando sul fuoco della presenza di frange neofasciste e naziste fra i rivoltosi ucraini, ha fatto insorgere i “ribelli” russofoni, creando il caos nell’Est.

 

La reazione del governo ucraino, di includere nella nuova Costituzione (2019), il principio dell’adesione alla Nato, gli ha fatto saltare la mosca al naso. A quel punto si è reso conto di aver perso definitivamente la guerra popolare nella parte centro-occidentale dell’Ucraina, e a questo punto bisognava trovare un’altra strada.

 

Arriviamo quindi ai giorni nostri quando, passata un po’ l’epidemia Covid, ci si è potuti riconcentrare sulle questioni internazionali. L’idea dell’adesione alla UE e alla Nato è ritornata nei titoli dei giornali, e quindi Putin, forte dei suoi successi militari in giro per il mondo, ha deciso di mettere in chiaro la sua linea rossa e cioè l’impossibilità che gli ucraini aderiscano alla Nato. Questo era pubblico a dicembre, il che vuol dire che le varie diplomazie lo sapevano ben da prima.

 

Due erano le possibili vie d’uscita: dire di si o dire di no alla pretesa russa. Dire di no, da parte americana, era un po’ complicato, dato che gli inventori di quel principio, che applicano in qualsiasi parte del mondo gli interessi, sono proprio loro. Ma neanche dire di sì era facile, dato che, per un Presidente democratico, avrebbe significato scavarsi la fossa a casa sua.

 

Si è probabilmente scelto di usare il metodo Andreotti, cioè di tirare a campare, sperando che qualcosa di buono succeda. A un certo punto, una decina di giorni fa, sembrava che la fortuna avesse la meglio e che si iniziasse una riduzione militare e si andasse verso un accordo. Poi è tornato il gelo e alla fine Putin ha deciso il riconoscimento delle repubbliche bananiere e lanciato l’invasione. 


Adesso siamo tutti nella merda. Putin sa benissimo che deve stare attento a come maneggia questo tema dell’appoggio agli independentisti, perché il suo “alleato” cinese tutto è salvo un fautore di questo principio. La paura che, usando quel principio, anche gli Uiguri cinesi facciano lo stesso preoccupa assai. La stessa paura si è sentita immediatamente a Istanbul, da dove è partito il più feroce attacco contro Putin da parte di Erdogan che vede in quella mossa la possibile giustificazione per la minoranza curda a casa sua.

 

Ma Putin deve stare attento anche a dove vuol andare a finire. In queste ore molti osservatori pensano che lui voglia annettersi tutta l’Ucraina, per farla sparire dalla mappa dato che lui la considera un paese che non esiste (come disse nel suo sproloquio). Questo però vorrebbe dire portarsi in casa un problema di resistenza popolare molto grosso, con milioni di ucraini pro-occidentali che non resterebbero lì a guardare. Sarebbe quindi obbligato di applicare il metodo ceceno, cioè un vero e proprio genocidio (parola che piace molto a Vladimiro, per cui la usiamo anche noi). Ma se andasse fino (e oltre) Kiev, l’occidente sarebbe costretto a reagire sul serio.

 

Questa prima serie di misure fanno ridere i polli. Non toccano assolutamente nulla degli interessi veri di Vladimiro e del suo clan. Noi abbiamo paura che chiuda i rubinetti del gas, cosa per noi traumatica mentre per lui potrebbe non essere un problema, dato che i cinesi hanno già dichiarato che possono comprarlo loro il gas che era destinato a noi (in questo modo ridurrebbero anche l’uso del carbone, per cui le loro emissioni di CO2 si ridurrebbero e farebbero anche bella figura a livello internazionale). Noi invece staremmo qua a disboscare monti e boschi, per avere un po’ di legna per scaldarci…

 

Quindi, che faremo? In questo momento critico, brilla per la sua assenza, il mitico Super Mario, che non ha ancora messo la faccia su questa crisi, tanto da farsi criticare dai suoi giornali amici come il Wall Sreet Journal. L’Italia pensava di poter fare da mediatore, ma sembra incredibile pensare che qualcuno ai piani alti possa davvero pensare che con uno come Di Maio agli Esteri, l’Italia possa fare qualcosa di diverso dalla solita brutta figura. 

 

Per ora, si continua a parlare di sanzioni, più dure, durissime, che però, come visto dopo gli 8 anni dall’invasione della Crimea, non hanno spostato di una virgola il problema. Quindi, se non bastano le sanzioni, vien da pensare che rimangano solo due strade: una che porta a Roma (oltretevere) e l’altra … la guerra. 

 

E’ probabile che oltre al digiuno di mercoledì, il Papa abbia mobilitato i suoi canali diplomatici, anche usando i buoni rapporti con la chiesa ortodossa. Se questo dovesse funzionare, lo scenario finale sarebbe che le regioni dell’Est (non solo le porzioni attualmente sotto controllo dei “ribelli” ma le intere regioni) passerebbero alla Russia, che probabilmente chiederebbe, per fermarsi, un impegno scritto a riconoscere questo stato di fatto, includendo anche la Crimea nel pacchetto. Essendo in una posizione di forza, potrebbe farcela. Ovviamente l’idea del resto dell’Ucraina nella Nato andrebbe a farsi friggere, come da richiesta iniziale.

 

Quindi, l’occidente avrebbe perso tutto, potendo solo dire di aver evitato una guerra in piena Europa (grazie alla diplomazia vaticana). Ma questo potrebbe costare caro in termini di equilibri interni occidentali. Chi, come Orban, appoggia Putin, farebbe ancor di più la voce grossa, e lo stesso farebbero quei movimenti nazionalisti e fascisti, da Fratelli d’Italia alla Lega a Marine Le Pen, Zemmour e compagnia nei vari paesi europei. Da noi Draghi perderebbe definitivamente il controllo di questa armata Brancaleone che chiamiamo governo, per cui si accelererebbe la fine della legislatura, con elezioni dagli esiti imprevedibili e possibili svolte autoritarie anche a casa nostra. Macron correrebbe un grosso rischio nelle sue elezioni, dato che la destra estrema, se fosse capace di mettersi assieme, arriverebbe al secondo turno con possibilità di vittoria (il fatto che Le Pen e Zemmour siano pro-Putin importa poco al francese medio; a loro interessa il nazionalismo di questi due, per cui, un giro di valzer e diventerebbero anti-Putin anche loro).

 

Se non funziona la diplomazia sottotraccia, resta la malaugurata possibilità che sia necessario mandare una risposta molto più decisa alla Russia, non escludendo la soluzione militare, a cui nessuno vuole arrivare ma che comincia a profilarsi come la famosa “luce in fondo al tunnel”.

 

 

 

  

 

 

Nessun commento:

Posta un commento