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giovedì 14 ottobre 2010

rieccoci in Colombia

Domani mattina (oggi per chi legge) partiamo per il dipartimento del Nariño dove stiamo cercando di far funzionare un progetto con 4 agenzie delle nazioni unite dentro di una idea chiamata Finestra di Pace.

Per capirci, come mi hanno detto oggi, si tratta di una zona che, fino a pochi anni fa, era relativamente tranquilla. Poi le pressioni dello Stato, militari nella vicina regione del Putumayo, hanno prodotto il classico risultato dei vasi comunicanti: la produzione di coca si é spostata, entrando in forze nel Nariño che, avendo un accesso al mare, diventa ancora piú appetibile.

Le forze locali sono anche riuscite ad eleggere un governatore progressista, ex del M-19, ció nonostante la cruda realtá parla di gruppi residuali del ELN a cui disputano il territorio pezzi delle FARC e, sopra di loro, ben tre gruppi di neo-paramilitari: la ONG (Organizacion Nueva Generacion), il gruppo del Rastrojo e le Aguilas Negras. Nessuno ha la forza di eliminare gli altri, meno di tutti le forze statali, e quindi tutti sparano a tutti.

Noi arriviamo lí nella finzione che si tratti di una zona di post-conflitto (con la presidenza precedente non esisteva conflitto, per cui il massimo che accettavano era che tout va bien madame la marquise, avanti col post-conflitto.

Ogni organizzazione si arrangia come puó, dimostrando che le pratiche del liberalismo accattone pian piano entrano anche da noi: adesso domina il principio di ESTERNALIZZARE il rischio. Quando leggete della guerra in Irak o altrove, chi la fa sono privati, ingaggiati da compagnie che fanno il lavoro sporco in nome e per conto dei governi. Bene il principio é lo stesso: si contrattano delle ong, in modo che loro vadano a farsi vedere sul posto, in modo che la agenzia ONU possa dire che sta lavorando sul terreno quando in realtá sul terreno non civa, manda gli altri.

La congiura dell'ipocrisia. Poi capita che rapiscano le controparti colombiane. Richiesta di riscatti, minacce di morte, per loro e, novitá, anche per il pacchetto UN. Che fare? Andare o scappare? Essere o non essere avrebbe detot l'altro. Nel caso nostro, se non andiamo noi, UN, a cercare di aiutare un processo di pace che non vuol ancora chiamarsi cosí.. chi puó andarci?

Scappiamo e contrattiamo una ONG per fare il lavoro e poi facciamo uno studio euna pubblicazione? Molti collghi farebbero questo: la scelta piú facile.

Intanto andiamo a vedere domani e poi ne riparleremo.

Tempo fa ne parlavo con alcuni cari amici, che forse leggeranno queste righe. Il dilemma é che chi sta sopra di te non ti da mai delle direttive chiare; non ci sono compagnie aeree che arrivino fino alla zona piú esposta, anzi ce ne sono, ma non sono agreed dalle nazioni unite, per cui se vai chi rischia é la tua agenzia che timanda.. insomma tutto per non rischiare; meglio stare sulla terrazza a prendere il caffé... pensare a quelli che muiono di fame e intanto chiedersi cosa faremo stasera: cinema, teatro o cena fra amici? Questi intanto muoiono sul serio, le comunitá indigene ti chiedno di non andartene, lavorare assieme é roba complicatissima, le minacce per i nostri sul terreno ci sono, vere, non balle.

Onestamente a noi tocca ancora la parte facile: arrivare vicino alle zone a rischio, ma non andiamo nelle comunitá sulla costa; ma dovremo discutere e decidere qualcosa, intanto certi miei colleghi continueranno col caffé sul terrazzo. Discutere dei grandi sistemi, lontani da ció che succede sul campo, é tremendamente facile. Se un giorno voi o i vostri figli decideranno di mettere in gioco la loro vita per questi temi, ecco, l'unico messaggio che posso lasciar loro é quello di guardarsi allo specchio tutte le mattine, ed avere il coraggio per andare avanti.

Il vecchio (ma sempre abile) Francesco da Pavana continua a cantare: ... e ho ancora la forza ....

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