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giovedì 1 agosto 2019

FAO: e la fame continua a crescere …



Finalmente è arrivato il primo di agosto 2019. Da oggi la FAO si è liberata dallo sconclusionato direttore generale brasiliano, arrivato con propositi magniloquenti (eradicare la fame nel mondo) e adesso partito lasciando dietro di sé le rovine di un mondo dove da tre anni la fame continua a crescere.

Che si trattasse dell’uomo sbagliato al posto sbagliato l’ho spiegato in dettaglio nel mio ultimo libro https://www.elmisworld.com/libro/a-mana/), ma forse val pena ricordare alcuni degli aspetti più controversi di questo ayatollah Grazianhi.

Figlio di un famoso agrarista brasiliano, conosciuto per il suo lavoro sulla riforma agraria nel Nordest del Brasile durante l’epoca militare (eh sì, il Brasile è terra di stranezze, tipo questa), il padre, vecchio amico di Lula da molti anni, venne da questi incaricato di preparargli la parte agraria del programma presidenziale per il suo primo tentativo di accesso alla magistratura suprema. Insomma, nel mondo della sinistra brasiliana, interessata ai temi agrari, tutti conoscevano il padre José Gomes da Silva. Il figlio, nato in America ma con una scarsissima propensione per lingue straniere, come hanno notato tutti in questi anni, si è portato dietro fin da piccolo un complesso nei confronti del padre che lo ha portato a scalare a qualsiasi prezzo la vetta del mondo universitario agrario, per cercare di mettersi in luce più e meglio del padre. 

La necessità di smarcarsi dalla figura paterna lo ha portato a negare l’importanza della riforma agraria fin da subito, preferendo la via agro-industriale che gli pareva l’unico cammino possibile. Lungo questa strada è arrivato, logicamente, a negare importanza all’agricoltura familiare, un settore che, parole sue, non aveva “espressione politica”, cioè era inutile perder tempo con loro.

Graziano riuscì in qualche modo a farsi largo nel mondo accademico e a diventare il Mandarino supremo, quello da cui dipendevano le carriere di innumerevoli professori nel paese. Ci scontrammo con lui fin dai primi anni novanta, quando col nostro progetto, di cui ero il funzionario responsabile, invitammo la nostra controparte (all’epoca l’INCRA) ad interessarsi anche al mondo dell’agricoltura familiare. All’epoca era un concetto quasi sconosciuto, malgrado fosse una realtà evidente per (quasi) tutti in molte regioni del paese, soprattutto in quelle di emigrazione italiana e tedesca. La squadra che avevamo montato comprendeva molti professori brasiliani, nonché esponenti del mondo delle ONG e movimenti contadini. La precondizione più dura non fu tanto di convincere l’istituzione, ma il Mandarino, dato che i nostri consulenti chiedevano che gli venisse dato un semaforo verde da lui e che questo lavoro non gli creasse problemi di carriera successivi.

Fu così che arrivammo a sentire questa famosa frase: l’agricoltura familiare non ha espressione politica. Ma, bontà sua, accolse la richiesta degli altri professori e così potemmo andare avanti. La storia si riassume con la sigla PRONAF, il maggior programma di appoggio all’agricoltura familiare che un governo latinoamericano abbia mai messo in atto. Il tema divenne, negli anni, così importante, che le nazioni unite decisero di dedicarci un anno speciale, il 2014, chiedendo quindi all’ayatollah di darsi da fare. Immaginate la sua rabbia. Aveva fatto cilecca su due temi chiave: la riforma agraria, che noi FAO, assieme alla Via Campesina, riportammo nell’agenda mondiale nel 2006, e poi l’agricoltura familiare che divenne tema centrale per le nazioni unite, e questo contro il suo pensiero.

In quegli anni, morto il padre, era riuscito a prendere il suo posto come consigliere di Lula, cercando di allontanarlo da quei temi di cui parlavo prima. Forse è per questo che Lula, una volta arrivato al potere, si dette da fare per fare il contrario di quanto aveva promesso in campagna elettorale (e per cui aveva ricevuto i voti delle masse diseredate), e cioè la riforma agraria. Come ho già scritto in un articolo pubblicato dalla FAO nel 2012, Lula è passato alla storia come l’uomo che ha ucciso la riforma agraria in Brasile. Forse avrei dovuto aggiungere: grazie ai consigli dell’ayatollah.

Lula al governo, la lotta alla fame divenne la bandiera nazionale e mondiale e il nostro arrivista fece fuoco e fiamme per far sì che il suo amico Lula gli creasse un ministero speciale per lui, in modo da dirigere tutto l’ambaradam. Il carattere scontroso, l’incapacità di fare squadra e l’assoluta chiusura mentale fecero sì che dopo poche settimane dalla sua nomina, esponenti di spicco del partito dei lavoratori, dicessero pubblicamente tutte le loro riserve su questo ministro. Pochi mesi furono sufficienti perché la sua sostituzione diventasse materia presidenziale e così, dopo nemmeno un anno, venne cacciato via. Nel frattempo il brand “Fome Zero” era diventato virale, come lo Spritz Aperol, per cui nel mondo intero tutti iniziarono a riempirsi la bocca, senza ovviamente sapere di cosa parlavano.

Questa fama permise a Lula di trovargli un lavoro presso la FAO. Erano gli anni d’oro del Brasile e tutti guardavano a quel presidente che faceva miracoli, peggio di Padre Pio. Una volta riusciti a piazzarlo ai piani alti della FAO, il Fome Zero tornò ad essere quello che era prima di Lula, e cioè il programma Bolsa Familia che continua anche adesso, con i soliti scarsi risultati.

Non essendo stato capace di risolvere minimamente il problema della fame a casa sua, anche per la conosciuta volontà di battersi contro la riforma agraria (precondizione necessaria, soprattutto nel Nordest, secondo il premio nobel Josuè de Castro, autore del famosissimo Geografia della Fame, uscito nel 1946), Graziano venne addirittura nominato direttore generale della FAO. Gli imbrogli stile berlusconiano, che permisero la sua vittoria sono conosciuti, così come il debito morale contratto col Perù che diede il voto finale in sua favore. Il maldestro tentativo di offrire un posto dirigenziale alla moglie dell’ex-presidente, una primera dama finita in prigione, così come il famoso ex-presidente, fecero di Graziano un personaggio mondialmente conosciuto per i suoi traffici.

L’assoluta ignoranza del mondo non latinoamericano, unito ai difetti congeniti nel personaggio, fecero sì che una volta eletto non avesse grandi idee sul cosa fare e come farlo. La sua passione per il grande agri-business (nel quale era impelagata parte della sua famiglia, con piantagioni di canna da zucchero a San Paolo che, se potessimo andare a vedere le origini dei titoli di proprietà, ho pochi dubbi che troveremmo quelle manovre che hanno valso la copiatura della famosa parola “grilagem”), lo portò a dire fin da subito che bisognava puntare su quel settore e non fare una priorità l’agricoltura contadina che nel mondo intero era sotto gli interessi politici ed economici di un mondo di affaristi che manteneva nella fame un miliardo di persone.

Non sapeva come fosse fatto il mondo, per cui lasciò perdere la questione fondiaria (dove lavoravo io), e cioè i diritti delle comunità contadine, popoli indigeni, nomadi, donne, pescatori etc. Fece perdere una quantità di tempo (e risorse) siderali per discussioni inutili su nuovi obiettivi che dovevano marcare in modo indelebile il suo periodo di comando. Fin da subito poi si lanciò in una campagna per far cambiare la costituzione della FAO che era appena stata emendata, per limitare a due i mandati possibili di un DG, ridotti a quattro anni l’uno. Trasformò il tema della comunicazione allo sviluppo, uno dei temi dove la FAO aveva fatto dei grandi lavori, in un ufficio di propaganda degno dei nazisti degli anni 30. 

Iniziò subito ad offendere i suoi funzionari, le donne in particolare, e dedicò buona parte delle energie rimastegli, a distruggere il morale delle truppe, cioè l’unica forza viva sulla quale poteva contare. 

L’autismo intellettuale lo portò a circondarsi di una banda di incapaci, brasiliani, italo-brasiliani, cileni, spagnoli, peruviani, italiani e così via, che battezzammo i “ribelli senza causa”. Gentaglia che senza l’aiuto del capo mai avrebbero passato una selezione internazionale per una agenzia ONU. Ovviamente adesso che è partito li ha sistemati, un po’ nell’ufficio regionale per l’America latina in Cile, il “buen retiro” dove ha pianificato ritirarsi dato che in Brasile i tempi sono cambiati e rischierebbe grosso, vista la fine del suo mentore Lula; altri li ha piazzati negli uffici paese, a fare i rappresentanti tipo in Sudafrica, o i vice-rappresentanti (tipo Haiti). 

Essendo riuscito  a sminuire le capacità tecniche dell’organizzazione, e avendo tolto qualsiasi impulso al lavoro politico vero, quello che consiste nel parlare direttamente con i ministri con i quali si lavora per dar loro dei suggerimenti che non siano la solita retorica generale, la FAO è diventata un’agenzia irrilevante, con personale senza più motivazione e il cui ruolo è sempre meno chiaro nella situazione mondiale attuale. Basti pensare che Graziano, arrivato ai piani alti della FAO nel 2006, ha necessitato ben 10 anni per rendersi conto del problema mondiale dei conflitti legati alle risorse naturali. Fu così che solo a fine 2016, su istigazione del segretario generale delle nazioni unite Ban Ki Moon, decise di far preparare un documento corporativo sul posizionamento della FAO su questi temi. All’epoca, giusto per ricordarlo, io ero l’unico funzionario esperto sui temi fondiari, che lavorava su vari progetti di questo tipo (l’approccio metodologico che io e i miei consulenti avevamo elaborato da oltre un decennio si ritrova infatti citato nel documento corporativo): la decisione di Graziano fu di mandarmi in esilio a Bangkok, per evitare che potessi continuare a lavorare su questi temi e far sì che dentro FAO nascesse un gruppo di lavoro capace di pensare, fare, e elaborare. 

Lui adesso se ne è andato e il tema dei conflitti è di fatto scomparso, prima ancora di diventare una questione centrale. Il collega che se ne occupa, un inglese che, a parte la buona scrittura, non ha nessuna esperienza sulle questioni chiave, terra e acqua, ha contribuito da par suo, assieme ai suoi capi, a far sì che la FAO perdesse anche questo treno. Uno dei tanti …

Ha poi dell’incredibile la faccia tosta con cui l’ayatollah manda messaggi sulle opere da lui compiute, a testimonianza che il problema è realmente di tipo psicologico. Per chi conosce il portoghese brasiliano e le sue espressioni, io gli ho augurato di “andar a rogar bingo!”. Alla domanda posta a un ex-ambasciatore latinoamericano presso la FAO di come sia stato il periodo di Graziano, la risposta non poteva essere più chiara: “La cagò!”.


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