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mercoledì 14 agosto 2019

Pastori, conflitti e il perché la FAO non fa nulla


Da parecchi anni rifletto sul perché così tanti governi, partiti politici, movimenti religiosi o persone singole abbiano un livore che rasenta l’odio nei confronti dei popoli nomadi. 

A mano a mano che io e i miei consulenti ci siamo messi a lavorare sulla questione dei conflitti legati alle risorse naturali (terra e acqua in primis), è parso evidente come fosse necessario uno sforzo nuovo e diverso dal passato per capire come affrontare queste realtà. Sempre più spesso ci trovavamo di fronte a dispute e conflitti che vedevano contadini e pastori contrapposti in maniera sempre più violenta.

Senza esagerare possiamo dire che l’essenziale dei conflitti in corso nella fascia sahariana e sub-saheliana, dalla Mauritania alla Somali, vedono queste parti come attori principali. 

Le nostre origini tecniche e professionali venivano dal mondo dei regimi fondiari (land tenure), chi con un bagaglio più giuridico, chi agronomico, chi economico e altri più antropologico, o un miscuglio di queste specialità. Il focus del nostro lavoro per anni era stata la terra, le regole di accesso, le forme di amministrazione e poi le forme di uso e gestione. 

Con queste basi avevamo iniziato una serie di progetti, in Africa e altrove, che ci servivano non solo per “fare” ma anche per “riflettere” sul come stavamo lavorando e sulla necessità di mettere dei dubbi all’interno dell’epistema che ci guidava. Il problema del rapporto pastori-contadini si rivelava più difficile del previsto, cosa che ci fece cercare delle alleanze con le altre unità tecniche della FAO che, in teoria, lavoravano sul tema dei pastori nomadi. In realtà, come scoprimmo ben presto, l’interesse era sempre sugli aspetti tecnici, cioè lo stato sanitario degli animali e lo stato delle risorse vegetali disponibili, senza mai entrare a studiare tutto il resto del problema. 

Pian piano cominciammo a comprendere che bisognava spostare il centro della nostra attenzione: dalla risorsa fisica (terra o acqua che sia), alla risorsa umana. Porre al centro dell’approccio gli esseri umani significava cercare le ragioni dei conflitti a partire dalle loro logiche non solo produttive ma anche sociali ed ecologiche. Questo ci portò a sviluppare un approccio che chiamammo di negoziazione territoriale, dove entravano una serie di variabili nuove, in particolare l’analisi delle dinamiche di potere e le sue asimmetrie, la ricerca delle condizioni di base per far partire un dialogo che sfociasse poi in una vera e propria negoziazione e, se possibile, una concertazione finale sulle cose da fare.

Il caso più conosciuto in questi ultimi anni è quello di Abiey, una zona contesta tra i due Sudan. Uno dei nostri consulenti della nuova generazione riuscì a tradurre in pratica questi principi e far ripartire un dialogo, una negoziazione e una concertazione finale tra comunità in lite da parecchio tempo. L’articolo lo potete trovare qui:   . 

Sulla base di questo lavoro, nonché sulle prime riflessioni elaborate a partire da alcune missioni tecniche nel nordest della Nigeria, zona di conflitto in corso con Boko-Haram, e dove ancora una volta la questione soggiacente era (e resta) quella tra pastori e contadini, proponemmo all’unità tecnica delle Emergenze della FAO, nonché ai rappresentanti FAO in quei paesi, di fare uno sforzo ulteriore per ottenere fondi e appoggio politico (sia dai governi che dalle altre agenzie ONU), per passare al livello superiore e pian piano avvicinarci alle sfere politiche principali.

Non siamo mai riusciti a ottenere una risposta positiva. Al contrario, gli sforzi iniziali che avevamo portato avanti, sono stati diluiti in modo tale che di quanto fatto e quanto proposto non è rimasto praticamente nulla.

Da parte mia ho insistito molto con i dirigenti della divisione delle Emergenze, soprattutto perché pensavo avere degli amici e non solo dei colleghi. Sono passati tre due anni, e non si sono più fatti sentire. Anche i miei giovani consulenti sono stati tagliati fuori, e la FAO Emergenze ha lasciato perdere il tema dei conflitti, in particolare quelli con i pastori, in tutta l’Africa, preferendo limitarsi a scrivere degli articoli, contrattare delle università e niente altro. Insomma, il solito adagio di Nanni Moretti: faccio cose, vedo gente.

In questi giorni ho ripreso in mano un libro di Eric Hobsbawm, Bandits, e ho trovato una frase che ha confermato i miei sospetti di fondo. Una frase  che, detta da uno specialista come lui, vale più di una conferma:
Se i contadini sono le vittime dell’autorità e della coercizione, lo sono non tanto a causa della loro vulnerabilità economica - in generale riescono a sopperire ai loro bisogni - quanto a causa della mancanza di mobilità.

Eccola qui la vera questione. Il controllo sociale da parte delle élite politiche si esercita molto meglio sulle popolazioni stanziali, che possono essere ridotte in schiavitù, povertà estrema e soprattutto indotte a fare solo quello che chi comanda ordina. Chi sfugge da questo controllo, perché é nomade, diventa un pericolo.

Ed ecco allora che si capisce meglio come mai la FAO, in particolare la divisione delle Emergenze, voglia evitare a tutti i costi di intervenire su questi conflitti. Perché se lo facesse dovrebbe entrare all’interno di dinamiche di potere che non piacciono a chi governa i paesi e ancor meno a chi governa la FAO o a chi vuol fare carriera al suo interno. Meglio, molto meglio, limitarsi a portare un po’ di aiuti, riempire pagine di dichiarazioni retoriche, cercare fondi per qualsiasi altra cosa che non sia il centro del conflitto e cioè la terra (e le altre risorse), le regole di accesso, uso e gestione, con tutte le dimensioni ecologiche, sociali, istituzionali e politiche che questo comporta.

Il risultato l’abbiamo sotto gli occhi: i conflitti aumentano, i pastori sono abbandonati e nessuno cerca di portare avanti uno sforzo serio per attaccare le radici dei problemi. 

Nella nostra ingenuità avevamo creduto a colleghi che, nei corridoi e nelle pause caffè, ci dicevano di essere assolutamente d’accordo con noi e che presto sarebbero arrivati i fondi e gli appoggi necessari. Ci sono voluti anni, ma alla fine abbiamo capito che quella che manca è la volontà, perché quello che interessa è la carriera. 

Come ho già augurato una volta in uno dei miei ultimi messaggi alla direzione delle Emergenze, dovete anche voi guardarvi allo specchio la mattina quando vi lavate. Io, e chi ha lavorato con me, possiamo farlo; voi, non ne sono sicuro.



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