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sabato 8 maggio 2010

Quasi bomba a Times Square: spunti di riflessione

Quasi bomba a Times Square: spunti di riflessione
L’unica cosa certa di questa quasi bomba, bomba artigianale, autobomba che dir si voglia, è che il responsabile, proprietario dell’auto o cos’altro, insomma quello additato come l’Attentatore) oltre che essere un pakistano è soprattutto uno cresciuto negli States. Faisal Shahzad, questo il suo nome, padre di due bambini, naturalizzato americano un anno fa, sposato ad un’americana, informatico e con tanto di Master “appartiene a quella categoria di gente che non si notano, che un giorno decidono di ammazzare a caso delle persone innocenti. Questo è quello che più inquieta le autorità americane” (così viene descritto nella stampa francese).

Ma se provassimo a spingere un po’ più in là la riflessione dovremmo magari partire da un altro punto di vista. La domanda ovvia è PERCHE’. Perché uno si alza un giorno, decide di tornarsene in Pakistan a fare una specializzazione in terrorismo e affini, torna a casa e, grazie al Manuale delle Giovani Marmotte, mette assieme una bombetta e cerca di ammazzarne un sacco. Una quindicina di anni fa, io e Paolo T., un bravo e giovane consulente con cui lavoravamo e discutevamo sul concetto di agricoltura periurbana, un programma nuovo che la mia organizzazione voleva lanciare (food for the cities o roba del genere), arrivammo alla questione: cosa fa “urbano” al giorno d’oggi, ossia cosa differenzia la città dalla campagna. Non è più una questione di chilometri, come nelle prime interpretazioni dell’ottocento, ma qualcosa di diverso.

Quando ne parli con i giovani che stanno in campagna ti diranno che la città è, soprattutto, son et lumiere – suoni e luci. Illusione del paradiso, i rumori, i suoni, i negozi i cinema, i ristoranti, le piazze, la gente in giro a camminare senza far nulla e con tante borse della spesa piene di tutto. La città si porta dietro il sogno che, chi più chi meno, tutti abbiamo dentro: avere! Su questo si innesta l’accelerazione imposta dal capitalismo negli ultimi decenni: comprare, comprare e comprare. Il sogno di tutti i pubblicitari: arrivare a mettere in testa alla gente quello che deve desiderare di comprare, prima ancora di saperlo. Condizionarli, condizionarci fin da piccoli a vestirci così, mangiare colà, desiderare quel telefono, quella macchina, quelle scarpe … tutto oramai svincolato dalla necessità. Come dicevo nel documentario sulla Cusmano, non più cogito ergo sum ma compro, dunque sono. Finchè abbiamo un soldo in tasca in qualche modo partecipiamo a questa giostra; più difficile diventa gestire i figli che, pur non avendo i soldi, hanno i desideri (imposti): le Nike, il telefonino e tutto l’ambaradam qui ava avec. Tutti siamo passati per questa fase difficile di gestione della crescita dei figli e della gestione patrimoniale e dei valori da mettere in testa in sostituzione di quelli che entrano via televisione…

Se a questo assieme di desideri imposti li chiamiamo “caratterizzazioni dell’ urbano” e pian piano caratterizzazioni della NOSTRA società, occidentale, che ci da tutto, e ascoltiamo e crediamo alle favole che ci raccontano in televisione, nei giornali, che da noi si sta meglio, che siamo superiori agli altri etc etc.. pian piano succede che forse una parte dei nostri ci crede, ma soprattutto una parte potrebbe “provare a crederci”. Provare a credere vuol dire mettersi a giocare a questo gioco anche se non hai le carte per farlo; non hai i soldi e te li procuri, in un modo o nell’altro. Legale o illegalmente. Non conta l’origine dei soldi, nemmeno averli, quel che conta è spenderli. In quel momento ti realizzi, diventi parte dei Nostri.

Il problema dei Nostri è che, necessariamente, ha bisogno di uno specchio dove vedersi: lo specchio sono quindi gli ALTRI. Abbiamo bisogno di questi altri, che per definizione sono quelli che non ce la fanno, e stanno sotto. Essere dei nostri diventa fondamentale. Gli altri li denigriamo, non hanno dignità, non possono nemmeno comprarsi le Nike, che razza di uomini sono?
Uno ci prova a giocare, ma poi succede che un giorno comincia a chiedersi il perché di tutto questo. Non tutti lo fanno, alcuni lo fanno magari perché non ce la fanno più a star dietro alla giostra incessante dei nuovi bisogni, sempre più veloci e a consumazione sempre più rapida. C’è anche chi pensa da prima che questo gioco può distruggere i valori della tua comunità, della tua società, delle tue tradizioni e comincia a organizzare un firewall, un muro di sbarramento, magari di tipo religioso dato che la religione è ancora (parzialmente) fuori da questo gioco di mercato.
Quindi arriva il momento che i Voi e Noi diventa evidente. Vista dall’altra parte il Noi è costituito da chi si difende dall’intrusione di questa società del consumo e che cerca argomenti per rafforzare il muro: noi non giochiamo più, stiamo fuori. Alcuni semplicemente dicono, lasciateci in pace: gli Amish per esempio. Altri, che si sentono più minacciati, o semplicemente più incazzati, reagiscono violentemente e cominciano a seminare il terrore, simbolicamente là dove batte il cuore del consumo: nelle piazze e nei mega mall.

Sono i contraltari naturali del nostro modello, e più acceleriamo verso questa società di consumi e non più di valori, sempre più uniformata, più daremo legna al fuoco di chi rifiuta questa uniformizzazione, vuol mantenere altri mondi in vita. Che poi dietro ci siano anche giochi di potere, è ovvio. La società dei consumi ha dietro un disegno politico di controllo dell’essere umano e questo non ammette deroghe. Leggetevi il Rapporto Lugano e lo capirete meglio. Quindi starne fuori rischia di non essere possibile: se sei ai margini non ti lasceranno in pace, ti faranno fuori. Se non compri le scarpe alla moda, il vestitino, il libro alla moda etc. i primi a trovarti strano sono i tuoi amici, chi ti sta intorno. Inizia l’isolamento e non sono in tanti ad avere la forza per sopportare. Quindi ti pieghi o ti allontani e ti deprimi. E lì trovi poi chi reagisce. Zona d’ombra che si nutre non necessariamente di odio, ma di risentimento, di isolamento del nulla fatto sistema. Non più Zero Tituli come dice il Mou, ma Zero valori. La reazione diventa innanzitutto individuale e quindi anche chi sta fisicamente dentro al sistema, un giorno può mettersi a reagire e, sempre grazie al Manuale delle giovani marmotte, farsi una bombetta in casa. Il peggio è quando, come diceva Lenin, qualcuno la raccoglie questa disperazione individuale (canzone proposta Angoscia Metropolitana – Claudio Lolli) e la mette assieme: diventa sistema, più forte ma anche (relativamente) più facile da controllare.

Abbiamo un bel futuro davanti, prepariamoci a trovarle anche nelle nostre piazze queste reazioni.

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