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lunedì 26 settembre 2016

Colombia, Sud-Sudan e Nigeria

dato che comincio ad avere problemi di memoria, scrivo questo post essenzialmente per me.

Giornata importante oggi per la Colombia: alle 5 del pomeriggio, ora ocale, si firma lo storico accordo di pace tra il governo e le FARC. Anni di negoziazione su tutta una serie di questioni chiave, la prima delle quali riguarda il problema delle terre.

Nel Sud-Sudan uno dei capi guerriglieri ha invitato alla ripresa della guerra, probabilmente scontento della ripartizione delle prebende politiche fra il governo attuale e le opposizioni. Paese che non ha mai conosciuto un giorno di pace da quando è diventato indipendente, soffre di problemi storici dovuti alla presenza di petrolio nel sottosuolo, nonchè a storici conflitti legati alle terre e all’acqua tra i vari gruppi etnici, pastori e contadini.

La Nigeria del nordest, lo stato di Borno in particolare, è al centro di una delle nuove grandi crisi umanitarie. Se ne parla ancora poco, malgrado il clamore del rapimento delle oltre duecento studentesse in una scuola a Chibok. Grattando un po’ sotto la superficie, ritroviamo quel conflitto crescente tra pastori e contadini che, nel solo caso della Nigeria, ha già fatto migliaia di morti negli ultimi anni.

In comune questi tre paesi hanno il fatto che la comunità internazionale (e le nazioni unite in particolare) sta cominciando ad accettare l’idea che bisogna occuparsi delle “root causes of conflict” (le cause profonde del conflitto), che in tutti e tre i casi vede la questione delle terre e altre risorse naturali, come problema centrale.

Anche la mia agenzia sta cominciando a muoversi, in particolare attraverso il gruppo di lavoro sulle resilienze e sulle crisi prolungate (http://www.fao.org/emergencies/emergency-types/conflicts/en/). Non si tratta solo di provare a fare qualche passo avanti sul terreno, sempre e quando sia possibile, ma anche di sensibilizzare in maniera crescente gli altri attori che intervengono sulla questione umanitaria e sviluppo, nonchè costruire una piattaforma politica internazionale che permetta di lavorare anche sui piani superiori del problema: politiche, legislazioni etc.

Per ragioni che non sto qui a spiegare, da oltre quindi anni lavoro proprio su questi temi. Al momento del precedente tentativo di dialogo fra governo e FARC in Colombia, fummo chiamati a formular eun programma di sviluppo per la pace, e a me in particolare fu data la responsabilità per il tema terra. Più recentemente sono stato invitato a parlare al congresso nazionale del maggiore sindacato degli impresari agricoli, interessati a conoscere le nostre esperienze in materia di terra e conflitti e l’anno scorso fu il comune di Bogotà ad invitarmi a parlare di questi stessi temi durante il forum mondial dell’arte e cultura per la pace. Con quest antecedenti non è quindi una gran sorpresa se sono stato contattato dai miei colleghi sul posto per una missione urgente in appoggio a un progetto che lavorerà sul post-conflitto.

Quanto al Sud-Sudan, da oltre un anno siamo alle prese con un tentativo di promozione di un dialogo e negoziazione fra comunità pastorili in conflitto in un territorio al sud del Darfur, attualmente contesto tra il Sudan e il Sud-Sudan. Siamo in piena zona di guerra, già una volta i miei consulenti hanno dovuto evacuare la zona, ma abbiamo iniziato a creare un senso di fiducia attorno a quello che stiamo facendo, che ci viene riconosciuto dai leader delle varie comunità. Di fatto stiamo cercando di replicare in zona quanto abbiao fatto pochi anni fa più a nord nel Darfur (http://www.fao.org/nr/tenure/land-tenure-journal/index.php/LTJ/article/view/60/0). Dovrei andarci fra qualche settimana sia per fare il punto sulla situazione attuale sia per discutere l’evoluzione di questo progetto verso un possibile programma regionale che vada anche al di là del Sud-Sudan.

Quanto alla Nigeria, il tentativo di mettere sul tavolo anche le questioni di conflitto per le terre tra pastori e contadini va avanti. Anche in questo caso è stata richiesta una mia missione per provare a proporre queste tematiche direttamente sul psoto, col governo, donanti e con le comunità locali.

Il fatto che le richieste arrivino a me si deve semplicemente al fatto che sono praticamente l’unico esperto di terre e conflitti nella mia agenzia. Da anni cerco di formare dei consulenti che portino avanti un approccio basato sul dialogo e la negoziazione, nel rispetto delle diversità etniche, religiose e di genere, contando sul (piccolo, ma esistente) potere che le nazioni unite possono avere.

Da oltre quindici anni abbiamo pubblicato le cifre riguardanti la decrescente disponibilità di (buone) terre ed acqua in tutto il mondo. Questo ben prima che apparisse il fenomeno del land grabbing e senza che incrociassimo i nostri dati con quelli demografici. Tutto questo per dire che gli scenari futuri saranno fatti di sempre più conflitti, crisi che si prolungheranno e che diverranno più complicate da gestire, dato anche il prezzo descrescente delle armi a disposizione.


Questo è il mio lavoro attuale e, penso e spero, futuro. Capire il perchè in questo momento di crescente bisogno di specializzazione su questi temi, io venga mandato in Asia, lasciando perdere tutto quanto abbiamo in corso, resta ancora poco chiaro per me. 

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