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venerdì 26 febbraio 2010

Addio o semplice arrivederci Katmandu?

Nel mese di Falgun 2066, abbiamo passato tre intensi giorni a discutere di politiche fondiarie, di processi, di priorità, del come e del quando. Non c’è stato tempo per andar a visitare il palazzo reale (di quella monarchia che sulla fine del regno dette segni di pazzia con quel massacro rimasto incompreso di vari membri della famiglia da parte di uno dei figli). Discussioni intense, con i nepalesi con i loro berretti neri o colorati intesta, quasi simili (alcuni) ai berretti dei puffi. Ambiente calmo, anche se uno si chiede come facciano con quell’aria irrespirabile che hanno in città. Traffico terribile, come ogni capitale asiatica insegna, con il solito mix di moto, tricicli, bici-taxi, macchine, camion tutto uno sopra l’altro ma che, miracolosamente riescono a non toccarsi mai.
Dibattiti lunghi, ma si sente che il tema gli appartiene. Lo hanno detto e lo ripetono: la questione delle terre è stata una delle cause scatenanti il conflitto armato, e il rischio è ancora lì ad incombere sulle loro teste. Nulla assicura che riusciranno a venirne fuori, sono storie e strutture prodottesi nei secoli, con rapporti di forza consolidati in favore dei più ricchi. In più qui non siamo in presenza di una di quelle situazioni tipiche, con pochi latifondisti che controllano gran parte della terra. Esiste si una gran massa di senza terra, dovuta anche alla inesistenza di fonti alternative d lavoro per cui tutti cercano quel pezzetto di terra per loro. Anche chi va all’estero a lavorare, ci dicono, quando torna con un po’ di soldi, non ha molte alternative di investimento per cui cerca di comprarsi un po’ di terra. Siamo riusciti a far si che vedano in noi dei partners che possono aiutarli. Gli ho raccontato alcune delle esperienze fatte altrove, dalla Bosnia al Mozambico, dalle Filippine al Paraguay, dal Sudan all’Angola, perché capiscano quanto tempo ci vorrà, la pazienza e perseveranza necessarie, ma anche il bisogno di avere una visione e capire che questo problema è nazionale, non del governo, che fra l’altro sembra molto fragile. Sul giornale di ieri un rappresentante di uno dei partiti forti della coalizione al potere diceva che, visti i tempi stretti per arrivare a finire il testo sulla nuova Costituzione e la necessità di lavorare assieme (la Costituzione ha bisogno dei due terzi dei voti per essere approvata e i maoisti controllano, da soli, il 40% dei voti nel Parlamento pur essendo partito di opposizione), tanto valeva fare un governo di unità nazionale e eventualmente dare la carica di primo ministro ai maoisti se la vogliono. Devo dire che questa non l’aveva mai sentita, forse sono proprio allo sbando.
Alcune linee di lavoro sono state tracciate, anche se non sono del tutto sicuro che riescano a vedere al di là dell’immediato. Forse la paura del ritorno del conflitto, che è stato molto violento, li attanaglia per cui pensano all’adesso. Ma quando ti dicono che fra 25 anni la popolazione sarà raddoppiata, si capisce subito, secondo me, che bisogna cominciare ad associare, immediatamente, la questione demografica all’agenda Terra. Già adesso, che piaccia o meno, non c’è terra per tutti, salvo pensare a una microstruttura agraria polverizzata che non avrà nessuna viabilità economica (ricordo che hanno una media di 0.6 Ha a famiglia). Bisognerà anche associare altri ministeri, del lavoro, del turismo a questa agenda perché bisogna offrire altre opportunità di lavoro, sia nelle zone rurali che nelle città. Continuando così i nepalesi stanno segando il ramo su cui sono seduti: pian piano distruggono l’ambiente, foreste, acqua (un gran problema in Nepal), hanno una capitale invivibile che non invoglia certo i turisti a venirci. Per cui invece di far soldi con l’industria del turismo, anche ecologico, come fanno quelli del Costa Rica, qui danno l’impressione che non gliene importi molto. Non siamo usciti molto da Ktm, ma ci dicono che la plastica regna sovrana lungo le piste di trekking, così come la fogna a cielo aperto che rappresenta il fiume che attraversa Ktm sono emblematici del problema.
Alla fine siamo tutti contenti, stanchi ma con l’impressione che ci sia una “window of opportunity”. Che la paura di tornare indietro sia il miglior stimolo per andare avanti è molto utile in questo momento. Anche i donanti, al sentire il coordinatore delle nazioni unite, sentono che il rischio esiste e che le questioni legate alle terre sono strategiche e che per questo c’è il bisogno che qualcuno, da parte nazioni unite, prenda in mano il tema, per accompagnare il cammino delle forze nazionali, chè devono essere loro a guidarlo. Forse per questo siamo piaciuti: siamo venuti portando esperienza, non soluzioni, possiamo facilitare il lavoro, dando consigli, ma a tirare la carretta devono esser loro. E’ finito col ministro che ci da una “prova d’amore” come hanno detto, ed io vestito alla nepalese, (non sarò mica diventato il Ganesh di Formelluzzo?) e poi le tradizionali corone di fiori alla partenza (che però non abbiamo potuto portare in aereo). Sto volando fuori dal Nepal, sensazione di un lavoro di squadra ben fatto, con F. e L. c’è stata una buona intesa e credo che, in questa Playstation infinita dei problemi fondiari, nel capitolo Nepal siamo riusciti a passare il Level 0: da qui in poi sarà solo più difficile, ma ci proveremo.

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