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mercoledì 14 ottobre 2015

Il mio Pantheon personale




Sono figlio di molti padre spirituali, e ieri sera ho sognato fosse ora di ringraziarli di quanto sono riusciti a trasmettermi in tutti questi anni di vita professionale.

L’ordine è un po’ storico cronologico e un po’ casuale:

Solon Barraclough (1922-2002) “The man behind the land reform programmes in 1960s Latin America whose work became essential to the anti-globalisation movement” come venne definite dal Guardian nell’articolo in sua memoria http://www.theguardian.com/news/2002/dec/31/guardianobituaries
Lo conobbi negli anni 90 nel pieno della controversia sul modello di riforma agraria che la Banca mondiale voleva imporre al Brasile, mentre noi stavamo appoggiano una via diversa, più centrata sulla propria storia agraria del paese. La passione che metteva nelle discussioni, la dimensione storica che sempre veniva recuperata e usata per meglio capire le difficoltà presenti, fecero di lui una persona importante, un anglofono per giunta, per me che venivo dalla scuola dell’approccio storico dei sistemi agraria di Marcel Mazoyer, di cui parlerò dopo.


L’egiziano Riad El-Ghonemy, altro vecchietto terribile della generazione post-guerra, colui che creò la rivista della FAO dedicata alla Riforma agraria e che poi ebbi l’onore di servire per lunghi anni come redattore. Furono i preparativi della Conferenza Mondiale sulla Riforma Agraria e lo Sviluppo Rurale (ICARRD) realizzata nel Marzo 2006 in Brasile che me lo fece incontrare. Volevamo intervistare alcuni dei testimoni ancora vivi delle precedenti ondate di riforme agrarie e che ci raccontasse anche come si era svolta la precedente conferenza su questi temi celebrata nel lontano 1979. Curiosamente tutti e due furono chiamati a dirigere l’UNRISD a Ginevra.




Josué de Castro (1908-1973) non potei conoscerlo dato che era già morto quando cominciai ad interessarmi a questi temi. Ci arrivai per strade diverse, una a causa del suo famoso libro La Geografia della Fame http://www.amazon.it/Geografia-della-fame-J-DE-CASTRO/dp/B00BGT46RW, pubblicato per la prima volta nel 1946 e che dimostrava fin dall’epoca come la questione della fame fosse legata a filo doppio alla questione della (cattiva) distribuzione della terra. Ci arrivai anche grazie al mio primo capo servizio quando iniziai a lavorare a Roma, Marcos Correia Lins che era originario della stessa città di JdC e che mi fece conoscere il centro studi che venne costruito in sua memoria. Lottò per delle idee che gli fecero perdere la nazionalità, tanto che mor1i in esilio, a Parigi. Al giorno d’oggi che le questioni della fame e della terra sono più che mai all’ordine del giorno, la sua lezione storica resta di drammatica attualità. Marcos invece mi insegnò la pazienza, l’importanza del dialogo e del saper ascoltare. Credo che l’origine profonda dell’approccio che difendiamo da anni a questi complicati problemi legati alle terre, abbia avuto in lui l’ispiratore filosofico più profondo.
Marcos veniva dalla scuola profetica di Dom Helder Camara e di quel nordest brasiliano flagellato dalla fame e dalla siccità. La stessa regione che JdC aveva studiato per dimostrare che la fame non era un flagello divino, ma una costruzione sociale. Quando Marcos venne chiamato a lavorare a Roma, i suoi amici gli dissero che doveva incontrare una persona che avrebbe potuto spiegargli cosa stava succedendo alla paysannerie mondiale. Questa persona era Marcel Mazoyer, il mio vate. Io mi presentai a cercar lavoro da Marcos senza sapere di questo antecedente, e siccome Marcos non era riuscito ad avere Marcel come consulente, ripiegò sul più giovane allievo, che ero io. Spero, e credo, non averlo fatto troppo male.


Marcel Mazoyer è colui che ha strutturato il mio modo di vedere le questioni legate al sottosviluppo, che siano nel Sud o nel Nord del mondo. Successore di René Dumont alla cattedra di Agricoltura comparata e sviluppo agricolo a Parigi, ha dato una svolta storica a questi studi passando dal tono giornalistico divulgativo di Dumont, che ha avvicinato migliaia di persone a queste problematiche, a una visone strutturata attorno a concetti ben precisi e definiti. 



Restando ai giorni nostri, una parola non posso non dirla sull’unico mio “vate” interno all’organizzazione dove lavoro, Josè “Pepe” Esquinas. Il Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche, un documento giuridicamente vincolante per i paesi che l’hanno firmato e ratificato, e che si pone come obiettivo la salvaguardia della diversità genetica delle piante coltivate, un patrimonio di vitale importanza per le generazioni future, che si calcola però sia per tre quarti andato perduto nel corso dell’ultimo secolo. Lo approvarono nel 2004 e da lí iniziò il lungo cammino delle ratifiche nazionali. Il Trattato è figlio suo, nato dalla ostinazione, contro i poteri forti dentro e fuori il nostro mondo, con sagacia e capacità ha mostrato che si possono smuovere le montagne. La mia energia oggi è frutto di quella amicizia che mi onoro di avere con lui.



Più passa il tempo lavorando su questi temi più vedo il patrimonio comune fra tutte queste persone: l’impegno personale accoppiato con una riflessione non fatta di sola passione ma di ricerca storica e approfondimento sistematico, nonché la ricerca delle alleanze politiche necessarie per poter promuovere una visione diversa, venuta più dal basso e più democratica.


Lascio per ultima Winnie Weeks-Vagliani, l’unica donna di questo gruppo, colei che, quando giovane ricercatore mi iniziavo ai temi del sottosviluppo, mi fece conoscere la questione femminile e poi di genere. Era un tema che nessuno dei maschi precedenti aveva mai sentito veramente, per cui le mie prime timide apparizioni con domande pubbliche rivolte agli specialisti dello sviluppo, ne ricordo uno in particolare, l’alter ego di Marcel nella cattedra di Parigi, ricevevano sempre delle risposte degne dei maschilisti e ignoranti in materia quali erano. Oggi ringrazio ancora Winnie per avermi portato su questa strada, che mia figlia sta continuando ad approfondire con il suo dottorato. La foto di Winnie è molto particolare: nella sua vita aveva fatto tante cose, anche una piccola particina nel mitico film di Fellini La dolce vita.

Chiedo scusa ai tanti altri amici e consiglieri di questi lunghi trenta e passa anni dedicati a questo tema.

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