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sabato 26 agosto 2017

2017 L36: Carlo Lucarelli - L'estate torbida

Einaudi Stile Libero 2017

Cosa fa, lui, dopo? Mi è successo cosí dopo il primo romanzo che ho scritto, Carta bianca: mi sono chiesto dove andava il commissario De Luca, cosa faceva da quel momento in poi, perché sí, certo, l'assassino lo aveva scoperto, il giallo era chiuso, ma la vita, con i suoi conti da regolare, andava avanti e io volevo saperne di più.

Continuo a leggere i primi libri di Lucarelli e sono simpatici, per l'estate vanno benissimo

2015 L35: Giancarlo De Cataldo - Nell'ombra e nella luce


Einaudi Stile libero, 2014

«Lui era lí, chino su di me, come quella prima sera. Vedevo la sua bocca dalla piega amara, a stento coperta dal becco argenteo. La sua voce era quella di sempre: calda, profonda, educata. Posso riferirti esattamente le sue ultime parole: "Non è ancora tempo di morire, signor Saint-Just. Sarò io a decidere quando"».

A me è piaciuto, quindi lo consiglio.

domenica 20 agosto 2017

2017 L34: Marie Van Moere - Petite Louve



Pocket - La Manufacture de Livres, 2014

Marseille, aujourd hui; une mère est confrontée au drame que chaque parent redoute. Sa fille, à peine adolescente, a été enlevée sur le chemin de retour du collège et violée. Son couple n'y a pas survécu. Son mari a pris la fuite. Mère et filles vivent ensemble. Lorsque le suspect de l'agression est libéré sur vice de procédure, la mère renonce à la justice des hommes. Elle décide de se venger, simplement et brutalement. La chirurgienne sans histoire va donc assassiner un homme. Cet homme, celui qu'elle considère comme un monstre, c'est aussi un fils, un frère. En l'occurrence, il est issu d une famille de gitans sédentarisés défavorablement connus des services de police comme on dit pudiquement. Une famille, elle aussi, avec son histoire et ses drames, une famille à laquelle on ne s'attaque pas impunément. Voilà la mère criminelle, et un crime ne peut rester impuni. Les frères de la victime vont poursuivre mère et fille, parties dans une fuite qui commence à Marseille pour se poursuivre sur les routes de Corse. Là les deux femmes vont croiser d autres êtres humains au lourd passé. Tandis que sur leur piste, une fratrie sème la violence, une mère et une fille vont se découvrir. Mais qui sont les proies, qui sont les victimes? Qui sont les forts et qui sont les faibles ? L'humain se loge parfois dans des endroits obscurs.

Primo libro dell'autrice. Sconta ovviamente qualche peccatuccio, e una certa evidente difficoltà a ingranare all'inizio, ma se riuscite a prenderci gusto, va avanti in crescendo. Si legge con piacere.

Cile: una rappacificazione ancora inconclusa


Questa settimana ci sarebbero state vari spunti da commentare, legati o meno all’attualità quotidiana. Ovviamente l’attentato di Barcellona verrebbe in testa alla lista, ma non è di quello che voglio parlare. Ho già scritto parecchie volte su questi temi e pur comprendendo tutta la retorica sul fatto che questi “terroristi” vogliono cambiare le nostre libertà e il nostro modo di vivere etc. etc., non posso fare a meno di pensare che il “nostro” modo di vivere è fatto di intromissioni continue a casa d’altri, per andarci a prendere tutto quel che ci serve, non solo le risorse naturali ma anche le risorse umane di qualità da impiegare nei settori dove siamo deficienti. In fin dei conti, ricordo, siamo “noi” ad avere le basi militari imposte a casa loro, che siano francesi, americane e, fra poco, anche cinesi, e non viceversa. Siamo noi ad andare a prendergli, con le buone o con le cattive, l’uranio, il petrolio e gas, le foreste e tutto il resto. Quindi quando sento i leader europei, in particolare la sopravvalutata Merkel, dire che non cambieremo il nostro stile di vita per colpa loro, allora penso che dobbiamo prepararci a un futuro fatto di attentati più frequenti e disperati. 

Comunque su questo non voglio dilungarmi. Non parlerò nemmeno del film documentario che ho guardato ieri sera, (des abeilles et des hommes) sul difficile rapporto tra le api e il mondo umano. Ricordo solo che varrebbe la pena vedere questo documentario solo per i pochi minuti girati in Cina su quello che si preannuncia come il futuro prossimo: in una regione dell’interno, a forza di trattamenti chimici in agricoltura, hanno fatto sparire tutte le api. E quindi, direte voi? Ebbene, a quel punto non resta che l’impollinazione manuale. Uno a uno, fiore per fiore, i contadini vanno a spargere il polline. Auguri a questa umanità che ci stiamo preparando.

Allora, andiamo al tema del giorno, anzi, del passato, quasi remoto per molti giovani.

Un vecchio amico cileno, Octavio S., che guida con buoni risultati l’istituto nazionale incaricato di aiutare i piccoli contadini, ha preso parte a una cerimonia in ricordo dei 50 anni della legge di riforma agraria fatta dal governo democristiano Frei nel lontano 1967. Dopo tre anni gli successe Allende, che radicalizzò la riforma agraria, con risultati alquanto dubbi va detto, e tutto si fermò lì perché gli americani organizzarono un colpo di Stato, guidato formalmente da Pinochet ma orchestrato dal Dipartimento di Stato di Kissinger (un terrorista quindi?).

Sono passati 50 anni, grazie al cielo Pinochet è morto e sepolto, ma altrettanto non si può dire delle ferite profonde che dividevano e dividono ancora adesso il paese.

La riforma agraria, come ha scritto un conosciuto esperto locale, ha rotto gli antichi equilibri quasi pre industriali sui quali si reggeva il Cile. Una società quasi settecentesca basata sul concetto onnicomprensivo della Hacienda, un modello produttivo ma anche di rapporti umani ben gerarchizzati, con una libertà quasi nulla per chi stava in basso e con qualsiasi diritto in mano a chi stava sopra, ovviamente includendo il ius primae noctis quando gli andava. Insomma era un paese feudale, che il residente precedente, Alessandri, sulla scia dell’Alleanza per il Progresso di Kennedy, aveva cercato di cambiare, facendo anche lui una riforma agraria stile gattopardesco, cioè in modo che nulla cambiasse. La sua riforma passò alla storia come la riforma del macetero, dei vasi da fiori, tanto piccoli erano i pezzetti di terra espropriati e dati ai contadini. Nessuno si è mai sognato di farne un anniversario, perché il Cile di prima e dopo era rimasto lo stesso.

Dovette arrivare un democristiano per rompere tutto ciò. L’uomo di mano fu Rafael Moreno che se ne occupò per tre anni, diventando così uno dei nemici storici, combattuto ancora oggi, dalla destra sciovinista nostalgica dell’epoca, e poi, arrivato Allende al potere, diventato senatore e feroce oppositore della continuazione dell’opera portata avanti da altre teste pensanti, come Jacques Chonchol, ministro dell’agricoltura di Allende.

Sta di fatto che il sistema di relazioni industriali, con le sue violenze ma anche con le sue dovute aperture al mondo, entrò in Cile e il paese non fu più lo stesso. Belli i discorsi che sono sati fatti, dalla Presidente Bachelet ad altri, interessanti i commenti sui giornali, e più ancora i commenti, in particolare quelli letti sul Mercurio, il giornale che fu il braccio intellettuale in appoggio al colpo di stato.

Al di là dei pregi e difetti di quel processo, che in realtà furono due e ben diversi, è impressionante notare come, 50 anni dopo, e con uno sviluppo che ha comunque rafforzato una classe media, anche se ancora precaria, ha dato impulso all’economia del paese, una attenzione all’ecologia sempre più pronunciata  

Poche settimane fa, il ricordo di quegli anni e di quelle trasformazioni riuscì a mettere assieme, sullo stesso palco, sia gli eredi di Frei, Rafael Moreno in primis, sia quelli di Allende, nella persona di Jacques Chonchol. La Società Nazionale di Agricoltura ne ha approfittato (http://www.sna.cl/wp/wp-content/uploads/2016/06/Reforma%20Agraria%2050%20anos.pdf) per riproporre un discorso degno degli anni della dittatura. La cosa incredibile non è tanto il rivendicare i privilegi storici che la casta agricola cilena pensa di aver perso, ma il fatto che trovi ancora una eco forte nella società. 

Mi hanno fatto pensare quei commenti pieni di un livore che ritorna dal passato, come fosse ieri. E per fortuna che il paese sta economicamente meglio di quel periodo. Insomma non si soffre la fame, anzi il Cile è un paese che ha fatto molti progressi, anche se resta ancora indietro su tanti temi legati ai diritti delle donne e al diritto ad una educazione pubblica universitaria di qualità. Quanto ai popoli indigeni, magari avrebbero qualcosa da ridire, ma resta il fatto che sforzi enormi sono stati fatti dai governi di centro sinistra, della Concertaciòn, per fare pace fra gli uni e gli altri. Eppure, cinquanta anni dopo, grattando sotto la superficie, il fuoco bolle ancora.

Per chi, come me, lavora sul tema die conflitti e post-conflitti, è un segnale da prendere in serissima considerazione. La nostra esperienza professionale più lunga, il Mozambico, dove abbiamo iniziato ad occuparci del tema agrario fin da subito dopo la firma degli accordi di pace nel 1992, ci ricorda che la situazione è quanto mai precaria ancora oggi, e che il rischio che si ritorni a prendere in mano le armi è più vivo che mai. 

Il Cile ci porta a una dimensione storica ancora superiore, e alla necessità di non considerare conclusi processi che di fatto hanno orizzonti storici ben più lunghi. 

Tutte le evidenze disponibili portano a considerare che gli anni a venire saranno anni di conflitti crescenti, in gran parte legati alle risorse naturali anche quando ci si spalmi sopra una mano di vernice religiosa. Al fondo è uno scontro di civiltà che si profila, ma non come lo intendeva Huntington: si va verso uno scontro fra una visione del mondo dominata da una casta ridotta di esseri umani, che usano tutti gli strumenti possibili nonché quelli nuovi che inventano ogni giorno (in particolare il mondo della finanza, assicurazioni catastrofe e quanto altro) per appropriarsi di quanto rimanga di buono su questa terra. Da una parte stanno loro, organizzati anche se in competizione reciproca, e dall’altro troviamo tutti gli altri, tanti e divisi su tutto: ecologisti, animalisti, sinistrorsi, nazionalisti e quanto vogliamo metterci.

Il tutto si gioca su un terreno di scontro, l’ambiente di questa terra, che, comunque vada a finire, resisterà a noi e sarà ancora qui, diverso, mezzo distrutto, quando noi avremo compiuto il hara-kiri finale.

Il caso cileno mi ha fatto pensare a quanto sia difficile per noi esseri umani fare un gesto di umiltà e riconoscenza verso gli altri. Se 50 anni non sono stati sufficienti, e 25 anni non lo sono in Mozambico per calmare gli spiriti ardenti, mi vien da pensare a quante poche speranze abbiamo davanti a noi. I paesi del Nord non sono più capaci di avere un orizzonte etico e di valori da portare ad esempio nel mondo, ma anzi reimportiamo l’odio verso il differente, lo sfruttamento sempre più forte, come se fossero questi i veri valori fondanti di una società. 


Un tempo avevamo sogni ed energia per lottare credendo a un futuro migliore, e ci credevamo come collettività. Oggi siamo qua, individui persi davanti ai nostri schermi di computer, a raccontare la fine della speranza. Non è un bel giorno.

mercoledì 16 agosto 2017

Fra Kim Jong-Un e Maduro qual è il problema più grande?


Domanda trabocchetto. In realtà non credo che nessuno dei due sia realmente la priorità geopolitica principale né per gli americani, né per gli europei e nemmeno per russi e cinesi.
Dal mio punto di vista la questione chiave riguarda cosa sta succedendo nel nord della Siria. La mappa qui sotto, presa dal sito liveumap e aggiornata al 15 agosto, ci dà una idea delle forze in campo: in giallo troviamo le Forze democratiche siriane, una coalizione la cui componente principale sono i curdi siriani, i più attivi sul terreno e che contano anche con l’appoggio aereo degli Stati Uniti. La parte in grigio rappresenta il territorio ad oggi rivendicato dallo Stato Islamico; quello in rosso rappresenta il territorio controllato dal regime di Assad, in verde chiaro i ribelli e finalmente il pezzettino in verde scuro la zona controllata dalla Turchia e i suoi alleati.


Tutto quello che sta a nord della parte gialla è la Turchia. Come forse ricorderete, la bestia nera di Erdogan sono i curdi del PKK. Erdogan considera i curdi siriani come una emanazione dei curdi turchi del PKK (quindi tutti terroristi).
La Turchia è entrata nel conflitto siriano l’anno scorso proprio per evitare che i due pezzi di territorio riconquistati dai curdi siriani si ricongiungano ad Aleppo, la zona verde scuro sotto controllo turco. Succedesse questo, il passo successivo (non certo, ma possibile) sarebbe la richiesta dei curdi siriani di sedersi al tavolo dei vincitori per la futura spartizione della Siria. Considerando la situazione fragilissima del vicino Iraq, e il controllo de facto che i curdi iracheni hanno sulla parte di territorio da loro abitata, il rischio che dalle ceneri di queste guerre rinasca il sogno di un Kurdistan indipendente è cosa ovvia (vedi mappa sotto).


Questo sarebbe il passaggio alla scala superiore del conflitto regionale, dal quale sarebbe difficile che americani, russi, iraniani e financo i cinesi, nonché arabi e israeliani, possano restarne fuori.
La dinamica sul terreno spinge in quella direzione. Nessuno dei paesi vicini o lontani vuol mandare truppe sul terreno. Gli unici a farsi il mazzo sono i curdi ma non è affatto certo che ce la facciano a far fuori Assad. Quindi secondo me ci si avvia, lentamente, a una sconfitta per l’ISIS/Daech, senza che questa diventi realmente definitiva, perché più il tempo passa e più sarà il problema curdo a diventare centrale. Dato che Assad non cede, la negoziazione alla fine si dovrà fare aprendo più spazi a tavola. Diretta o indirettamente ci sarà anche lui, e a quel punto diventerà realmente complicato non far sedere i curdi. Se riescono a chiudere la tenaglia al nord, il futuro sarà bollente. I turchi avrebbero interesse non solo a tenere la zona di Aleppo, ma anche di spingere per far sì che ISIS/Daech sia smantellato rapidamente, e che le negoziazioni iniziassero presto, questo finché i curdi non hanno una legittimità territoriale integra.
Che casino, vien da pensare. E soprattutto verrebbe da dire: ma come avete fatto a infilarvi in una storia del genere?
Quindi può essere utile se ricapitoliamo un po’ la storia recente.
Siccome i turchi, anzi gli ottomani, persero la prima guerra mondiale, l’impero venne smembrato e spartito fra le “potenze” vincitrici, Inghilterra e Francia. Lo fecero con negoziazioni segrete finché arrivarono a mettersi d’accordo con quello che è conosciuto come l'accordo Sykes-Picot, firmato nel maggio del 1916.  Con quel patto i governi francese e britannico concordarono che: (vedi mappa)

·         Francia e Regno Unito sono pronti a riconoscere e proteggere uno Stato arabo indipendente o una confederazione di Stati arabi sotto la sovranità di un capo arabo. Nell'area A la Francia e nell'area B la Gran Bretagna avranno la preminenza su diritti d'impresa e sui prestiti locali. Nell'area A solo la Francia e nell'area B solo la Gran Bretagna potranno fornire consiglieri o funzionari stranieri in caso di richiesta da parte di uno Stato arabo o di una confederazione di Stati arabi.
·         nella zona blu alla Francia e nella zona rossa alla Gran Bretagna verrà permesso di istituire un controllo o un'amministrazione diretta o indiretta a loro piacimento e a seconda se ciò possa armonizzarsi con uno Stato arabo o una confederazione di Stati arabi.
·         nella zona marrone potrà essere istituita un'amministrazione internazionale la cui forma dovrà essere decisa dopo essersi consultati con la Russia ed in seguito con gli altri alleati ed i rappresentanti dello sceriffo della Mecca.

La Siria si trova nella zona A. Ma in realtà anche la Siria era un concetto astratto (vedi mappa sotto). Divisa fra lo stato di Aleppo, lo stato di Damasco e lo stato Druso, senza contare gli altri vicini teorici, la Siria era una terra di lotta di influenze, con i sunniti al centro, alawiti a ovest, drusi al sud e curdi nel nordest. Solo una mano di ferro militare poteva riuscire a tenere sotto controllo questo miscuglio senza pace.

Va ricordato che l’accordo Sykes Picot arrivava giù fino alla Palestina. Rimettere mano alla creatura uscita da quell’accordo significava affondare le mani direttamente nel vulcano primordiale. Quello che esisteva prima dell’accordo era ovviamente frutto di violenza e sopraffazione, ma quello era un altro mondo. Sykes Picot hanno fatto quello che gli veniva chiesto, in una epoca quando a nessuno veniva in mente di pensare che le popolazioni locali potessero avere qualcosa da dire in proposito. Ma il fuoco era già vivo sotto la cenere, basta guardare alla sotria dei primi decenni di indipendenza della Siria.
Eccoci arrivati quindi al probabile capolinea di quel mondo. Cosa uscirà fuori dalla guerra attuale in Siria e Iraq non è prevedibile. Ma quello che è sicuro è che sarà un mondo diverso. Se tutti mettessero un po’ di saggezza magari si potrebbe venirne fuori bene, ma tutti in realtà difendono potere (che hanno, o che vorrebbero). Ognuno gioca per conto suo e la logica delle grandi potenze oramai non conta più in questo frangente. Non ci sono più russi e americani a tenere sotto controllo gli esaltati locali, da qualsiasi parte si trovino. L’interesse curdo è ovvio, ma collide con l’interesse turco, nonché siriano e iracheno (per quello che contano in questo momento). Per l’Iran un kurdistan indipendente potrebbe essere sia una buona che una cattiva notizia. Buona per contenere i turchi, cattiva perché rischierebbero di non avere più accesso diretto al mare via gli amici attuali siriani e libanesi. Si perché se cade la Siria, come oramai sembra probabile, rischia di infiammarsi di nuovo il Libano. E chi dice Libano ovviamente pensa anche al confine sud, cioè Israele. Se i sunniti perdono la Siria, l’Arabia saudita diventerà matta per paura che l’Iran sciita prenda il potere.
Insomma, abbiamo davanti un futuro molto più complicato, e pericolo, dei due soggetti citati all’inizio.

2017 L33: Carlo Lucarelli - Carta Bianca



Einaudi 2014

Aprile 1945. Col finire della guerra il commissario De Luca vuol prendere le distanze dal proprio passato nella polizia politica e adesso indaga proprio su quei crimini comuni, che in tempi di dissoluzione di un regime passano senz'altro in secondo piano. Ma le cose non vanno come ci si aspetta. 

Primo libro di Lucarelli,si legge con piacere e invito i lettori a cui piace lo scrittore, di spendere due soldi anche per questo. Un pomeriggio estivo passa ancor più velocemente.

lunedì 14 agosto 2017

2017 L32: Bernard Mathieu - Carmelita

Gallimard, Folio, 2003

On a tué l'homme qu'elle aimait.
Ivre de chagrin, Carmelita quitte Brasilia et se jette dans la folie grouillante de Rio comme on se fiche à l'eau. Son fils aîné de seize ans l'accompagne. Lorsqu'ils descendent du bus, ils ont le sentiment de débarquer dans un ailleurs indéfinissable. La ville est immense, violente, imprévisible et dévore ses enfants. Logés dans le bidonville qui domine le vieux pénitencier où pourrissent des milliers de détenus dont on entend les voix comme autant d'âmes damnées, Carmelita et Emerson comprennent que pour survivre il leur faudra mettre les mains dans la boue noire du crime.
Carmelita est mêlée à un sequestro tandis qu'Emerson est enrôlé dans la guerre qui déchire les orgas criminelles des favelas... Une superbe tragédie carioca, un livre inoubliable.

Scoperto casualmente, la scrittura di BM è proprio di alta qualità. Terzo libro di una trilogia chiamata Il sangue del capricorno, appena torniamo devo comprare i primi due volumi, Zé e Otelo. Raccomandatissimo, nessun dubbio che sarà nella Top dell'anno.

domenica 13 agosto 2017

Assicurazioni catastrofe (verso la fine) Post 8

Come funziona l’assicurazione contro i rischi climatici
Se in una certa regione del paese le piogge arrivano troppo tardi rispetto al ciclo colturale, i contadini possono perdere tutto il raccolto. L’ideale sarebbe che la pioggia arrivasse quando serve. L’esperienza storica serviva ai contadini per immaginare quando fosse meglio seminare le loro varietà in funzione del periodo previsibile della pioggia. Con questo “cambio climatico” i periodi di pioggia possono cambiare, e parecchio, per cui il rischio lo devono assumere completamente gli agricoltori. Se perdono tutto il raccolto, il governo deve intervenire per evitare che muoiano di fame, ma non avendo molte risorse alla fine si va a chiedere ai donatori e alle organizzazioni internazionali tipo il PAM di mandare aiuti di emergenza.
Da questo problema reale nasce l’idea di provare a usare strumenti finanziari tipo questi derivati climatici (Cat-Bond o simili).
Ovviamente bisogna mettersi d’accordo su cosa si vuole assicurare, dove, per quanta gente, e per quale periodo. Poi, dettaglio non insignificante, bisogna sapere come misurare l’evento (o l’assenza di evento). Sarà questo ultimo fattore a decidere se l’assicurazione pagherà oppure no.
Essendo uno dei primi tentativi, il PAM ha cercato di associare anche altri agenzie. Il paese a cui è stato proposto era l’Etiopia, per l’anno 2006. L’indice che doveva misurare la “siccità” nella zona interessata era stato messo a punto nei due anni precedenti, allo scopo di quantificare il rischio siccità. L’agenzia nazionale di meteorologia avrebbe ricevuto delle formazioni specifiche per rafforzare le loro capacità. Ma, per essere più sicuri, venne associato anche un provider di dati indipendente (MDA Federal). Un gabinetto di avvocati specializzati, con esperti del settore, prepararono la struttura del derivato da immettere sul mercato. Nove compagnie assicurative parteciparono al concorso e la vincente fu AXA Re, che firmò il contratto che doveva coprire il rischio fra l’11 marzo e il 31 ottobre del 2006.
L’area coperta dal rischio riguardava 258 villaggi, con una popolazione stimata attorno ai 17 milioni. La copertura finanziaria avrebbe riguardato 62,000 famiglie (circa 300 mila persone). Il valore assicurativo stabilito fu di poco più di 7 milioni di dollari. Il costo dell’assicurazione era di poco inferiore a 1 milione di dollari (pagati principalmente dall’agenzia di sviluppo americana USAID, interessata, assieme alla Banca mondiale e al PA
In termini produttivi, il 2006 è stato un anno buono per l’Etiopia. L’indice di siccità, calcolato e controllato congiuntamente dall’agenzia nazionale e da quella privata, è sempre stato molto lontano dal livello al di sopra del quale sarebbe scattata l’assicurazione. Come si vede nel grafico sotto, la linea rossa indica il livello inserito nel contratto: se la siccità avesse raggiunto la linea rossa, AXA Re avrebbe pagato i 7 milioni. Questo non successe e loro intascarono il milione di dollari.



Il problema principale riguardò la calibratura del modello, per la quale si usarono degli itinerari tecnici delle colture locali calcolati sulla base degli standard nazionali elaborati dalla FAO. Il problema fu che ovviamente i contadini, dipendendo dalle loro zone produttive specifiche, usavano delle varietà diverse che dovevano rispondere alle caratteristiche climatiche storiche di ogni località che avevano date di semina e di durata del ciclo diverse da caso a caso. L’indice quindi non era ben calibrato e, alla fine della fiera, il rimborso non scattò.
Pochi anni dopo lo schema venne replicato in Cina, nella contea Changfeng, provincia Anhui. Tra gennaio e maggio 2009 venne disegnato il modello di indice di siccità. Con l’accordo delle autorità venne testa nel villaggio Yanhu, per la copertura di 85 Ha di riso coltivate da quasi 500 famiglie. Lo schema prevedeva che contro il pagamento di 2 dollari per parcella coltivata da ogni famiglia, l’assicurazione avrebbe coperto un rischio pari a 50 dollari. Essendo una fase pilota, i contadini pagarono solo una minima parte, il resto venne messo sussidiato in altre maniere.  Ancora una volta le condizioni metereologiche non fecero scattare il premio, per cui i contadini non videro il becco di un quattrino.
Poco tempo fa, si riuscì a convincere il governo del Malawi a provare lo stesso schema e comprare quindi una polizza assicurativa per la stagione 2015/2016 messa a punto dalla compagnia African Risk Capacity (ARC). Il Malawi pagò quasi 5 milioni di dollari per questa assicurazione. La ragione di questa proposta risiede nel disastroso periodo precedente quando sia alluvioni che siccità toccarono il paese nello stesso anno con effetti molto severi sulla sua produzione e autosufficienza alimentare. 
Il modello elaborato dall’ARC prevedeva che se la siccità avesse colpito più di 1,390,000 persone con un costo globale  calcolato vicino ai 60 milioni di dollari (soglia – trigger che faceva scattare l’assicurazione), il Malawi avrebbe ricevuto un rimborso parziale delle perdite incorse per un ammontare massimo di 30 milioni.
I modelli proposti da ARC usano dati satellitari per stimare le necessità d’acqua richieste da modelli colturali di riferimento (teorici). In caso le piogge non siano state sufficienti, ARC usa delle informazioni statiche relative alla popolazione vulnerabile per stimare il numero delle persone interessate all’evento. Una soglia di riferimento, calcolata caso per caso e inserita nel contratto, definisce poi se il rimborso scatterà oppure no.
ARC è una iniziativa fortemente sponsorizzata dai paesi ricchi del nord, Germania e Inghilterra in testa. All’inizio erano i paesi donatori a pagare il premio assicurativo annuale così da convincere i paesi del sud ad entrare nel programma. In poco tempo la situazione si è rovesciata e adesso quasi l’80% dei premi è pagato direttamente dai paesi sottoscrittori e solo il 20% rimanente viene sovvenzionato dai paesi del nord.
Aprile 2016: il Presidente del Malawi dichiarò lo stato d’emergenza causata dalla siccità indotta da El Niño. Si stimò inizialmente che circa 6,5 milioni di persone fossero state interessate da questo evento. Il costo totale delle perdite venne stimato a quasi 400 milioni di dollari, ben al di là della soglia che faceva scattare il rimborso. Venne quindi chiesto il rimborso all’assicurazione ARC la quale obiettò che secondo i loro calcoli, solo 20,594 persone erano state realmente interessate dall’evento. La cosa inizio a fare rumore sulla stampa locale che si scatenò contro il governo, il quale inizio a fare pressioni su ARC e alla fine riuscì ad ottenere circa 8 milioni, molto meno di quanto servisse e molto meno di quanto stipulato nel contratto. ARC fu “costretta” a pagare quando venne fuori che le coltivazioni tipo usate nel loro modello usavano delle varietà sbagliate di mais, per cui il modello, ancora una volta era calibrato male (e sempre a favore della compagnia assicuratrice ovviamente). Voci locali, riportate nel rapporto di Action Aid qui sotto, dicono che la Banca mondiale entrò a fare pressioni su ARC in modo che pagasse qualcosa per non danneggiare la reputazione della strategia finanziaria.
Tre indizi non fanno una prova, ma dovrebbero indurre tutti i grandi attori, in particolare le nazioni unite, a chiedersi cosa sia in gioco realmente. Sembra realistico pensare che alla lunga i paesi donatori del nord vogliano trasferire direttamente ai governi del sud e al settore finanziario mondiale l’onere principale di occuparsi di eventi climatici sempre più frequenti i cui costi non cessano di aumentare. Una strategia che permette di evitare di analizzare le cause globali di questi “cambiamenti climatici” e quindi di far pressione per far prendere decisioni serie ed obbligatorie alla comunità internazionale e non rimanere ai livelli delle (buone?) intenzioni come gli accordi di Parigi. Spezzettando il problema in tanti eventi nazionali o locali, si prepara il terreno per una ulteriore espansione della finanziarizzazione della natura. Le assicurazioni e il settore finanziario sembra voler entrare nello schema il che ci porta alla seconda domanda: perché lo fanno? Il loro scopo è ben diverso da quello dei paesi che fanno “Cooperazione allo sviluppo”, loro lo fanno come business, per far soldi e non per rimetterci. Quindi se entrano in gioco è perché hanno abbastanza elementi per pensare che il gioco valga la candela, cioè che loro ci guadagneranno. Quindi se loro guadagnano, qualcuno dovrà pur perdere.  Vediamo se io e voi pensiamo la stessa cosa …

venerdì 11 agosto 2017

Assicurazioni catastrofe (continua) Post 7

Post 7: algoritmi e agenzie di rating
Allora, ricapitoliamo da dove siamo partiti e dove siamo arrivati: col finire della seconda guerra, iniziò un periodo di boom per gli investimenti di capitale. La cosa andò avanti per decenni, noi europei riuscimmo a venir fuori dalla povertà antica e la nostra scelta di campo occidentale sembrava quindi più giustificata che mai.  Pian piano pero le opportunità di far soldi in modo classico iniziarono a ridursi, nonostante le nuove opportunità fornite dai paesi che accedevano all’indipendenza nel sud del mondo. 
Gli americani decidono quindi di mettere mano al meccanismo chiave che aveva assicurato una certa tranquillità e stabilità al sistema economico mondiale: la parità dollaro-oro. Da quel momento ogni paese (e ogni moneta) devono imparare a giocare per conto loro, e soprattutto a trovare modi di limitare i nuovi rischi di inflazione che questa decisione ha portato con sé. Possiamo considerare che quella sia stata la prima grande discriminante tra i periodi storici: il mondo della finanza e della speculazione entra dalla porta principale. Gli resta davanti un solo ostacolo, che per quanto vecchio e imbolsito, sembra ancora reggere lo scontro: parlo dell’Unione Sovietica e del suo favoleggiato mondo comunista. Basta che arrivi un giocatore di poker incallito come Reagan e il bluff viene visto rapidamente. L’Unione Sovietica deve ammettere di non riuscire a stare in piedi e, nei fatti, sparisce dalla scena mondiale (fino ai giorni nostri), lasciando campo libero alle forze neoliberali più conservatrici.
A quel punto si accelera l’attacco all’altro grande tema che potrebbe far fruttare i soldi dei capitalisti (privati e pubblici): l’ambiente. Siamo all’inizio di una trasformazione tecnologica che sta cambiando il mondo del lavoro in modo radicale, creando opportunità di business in settori che prima nemmeno esistevano, ma restano sempre opzioni limitate. Il vero tema è come fare soldi con l’ambiente. Cioè come privatizzare un bene pubblico, trarne profitto e poi socializzare le perdite. 
Si tratta da un lato di ridurre le difese istituzionali, di preparare una base intellettuale servile a questo scopo, finanziando quei centri e quelle persone che si incaricheranno di portare la buona novella ovunque e dall’altro cominciare a inventare forme di sfruttamento dell’aria, della biodiversità e di tutto quello che sia possibile far fruttare.
Con i servizi ecosistemici e con i “crediti carbone” si è fatta una parte importante della strada: l’importante è inventarsi un meccanismo che permetta di vendere al pubblico (ignorante) mondiale, quello che si sta facendo, riuscendo a convincere che sia per il bene dell’umanità. Il meccanismo, come già detto nei post precedenti, è quello della compensazione.
La natura viene spezzettata, se ne vendono sul mercato dei pezzetti separati e qualcuno li compra perché i soldi – che sembrano soldi buttati via – in realtà permettono di comprare diritti di inquinare in altre parti del mondo ripulendosi la fedina penale.
Il mondo delle assicurazioni segue il movimento, per cui comincia a diventar difficile capire dove finisca la finanza e dove inizia l’assicurazione. Tutti e due questi mondi speculano su un qualcosa che non è sicuro, quindi possono, in teoria, perdere o guadagnare. Finché restiamo nel gioco teorico, siamo tutti d’accordo. Poi però passiamo alla realtà dei fatti. Quando si comincia a parlare di cambio climatico e quindi ambiente, entriamo (ancora una volta) in un “sistema” che conosciamo poco. Siccome il mondo finanziario-assicurativo non ama troppo le incertezze, i prodotti che cominciano ad essere pensati (da offrire liberamente sul mercato) devono essere precisi. Non necessariamente chiari per chi li compra, ma precisi per chi li vende. Ed ecco apparire il mondo degli algoritmi.  Sfido chiunque legga questo post a spiegare in due parole cosa siano gli algoritmi senza andare prima a cercare su qualche motore. Io non lo sapevo, per cui ci sono andato. Mio cugino omonimo, che ne ha bisogno per il suo lavoro, li ha studiati e quindi li conosceva già. Un applauso a Paolo Groppo (cugino) e un “vai a studiare” a Groppo Paolo (io).
Dunque, sti algoritmi: trascrivo di seguito quanto trovato su wikipedia: Un algoritmo è un procedimento che risolve un determinato problema attraverso un numero finito di passi elementari. L'algoritmo è un concetto fondamentale dell'informatica, anzitutto perché è alla base della nozione teorica di calcolabilità: un problema è calcolabile quando è risolvibile mediante un algoritmo.
Ai venditori di prodotti finanziari legati all’ambiente servono degli algoritmi. Ed ecco che arriviamo a AIR (Applied Insurance Research); Eqecat e RMS (Risk Management Solutions), i tre grandi che si spartiscono il mercato. Non più “ghe pensi mi”, ma “i ghe pensa lori”. Gli algoritmi vengono fatti, inseriti nelle clausole contrattuali, e chi firma non sa bene cosa succederà, come e quando. In base a questi algoritmi, qualcuno poi dirà se quei prodotti finanziari-assicurativi sono di una certa categoria (rischio e rendimento basso) oppure di un’altra (alto rischio e alto rendimento). Chi si occupa di questo sono le agenzie di rating, quelle che dci porteranno alla crisi attuale (Standard & Poor…).
Quindi io compro un prodotto (per esempio una assicurazione contro le tempeste o gli uragani), pago un premio annuale e se per caso l’evento (contro cui mi sono assicurato) succede, allora mi verrà restituito un capitale (in funzione al premio pagato). Questi prodotti hanno una durata, non tropo lunga di solito, e se non succede nulla io perdo i soldi che ho pagato anno per anno, se invece succede, mi sento tranquillo perché sarò rimborsato.
Tutto bene sembrerebbe. Poi succede che nel dicembre del 1999, la Francia viene colpita da un uragano. Danni enormi, ma per fortuna la Francia è assicurata. Quindi le compagnie pagano. Ma succede un colpo di scena: il servizio meteorologico francese stabilisce che gli eventi erano due, rispettivamente Lothar e Martin, succedutesi a intervalli ravvicinatissimi, con traiettorie molto vicine, ma sono e restano due. Di conseguenza la Francia chiede non un rimborso, ma due. La storia è andata a finire in tribunale. A noi non interessa come sia finita, ma le implicazioni successive. Le compagnie finanziario-assicurative hanno capito che esiste un punto debole che non avevano previsto all’inizio: non tanto il fatto che manchino sistemi affidabili tecnicamente per misurare gli eventi assicurati (problema che viene continuamente messo in avanti in questi anni recenti quando l’assalto della finanza-assicurazioni si è fatto sempre più stringente), ma il fatto che i servizi metereologici, che devono dare il responso finale, rischiano di non fare il gioco delle assicurazioni-finanziarie e magari, quando si tratta di grosse somme in ballo, magari preferiscono difendere il governo dal quale dipendono.
Per noi nel nord del mondo sembra un problema minore, ma in realtà ha una sua logica. Se vendo a un paese (tipo Etiopia o simili) una polizza contro la siccità per un periodo che va dalle ore 0.00 del giorno tale alle ore 24.00 del giorno tal altro, con condizioni tali come decise dal mio algoritmo (di cui l’Etiopia avrà difficoltà a capire i dettagli, che non vengono resi mai completamente pubblici) che spiega che il fenomeno siccità si intende se in quel lasso di tempo è piovuto meno di X millimetri di acqua per un periodo continuativo di Y ore, in certe zone specifiche che uso come campione, ecco se poi succede veramente che piova poco e ci possa essere il dubbio se ci sia stata la siccità o meno, allora i dati dal servizio meteorologico diventano la chiave del problema: se vanno a favore dell’assicurazione, ci rimette lo Stato, se vanno a favore dello Stato, paga l’assicurazione. Vuoi vedere che a quei livelli di soldi, al ministro responsabile non venga la tentazione di ricordare al capo del servizio meteorologico chi gli paga lo stipendio? E quindi influenzare la decisione? Il rischio esiste, perché le istituzioni del sud del mondo sono deboli (grazie anche alle famose politiche di aggiustamento strutturale che i nostri amici della banca mondiale e del fondo monetario hanno portato avanti per decenni, cosi da preparare il terreno per la situazione attuale.
La soluzione, per evitare di trovarsi in situazioni come quella francese, diventa quindi di spingere per una privatizzazione dei servizi metereologici (come potete vedere il risultato è stato ottenuto: usate qualsiasi motore di ricerca e troverete migliaia di siti che propongono dati sulla meteo). A quel punto il gioco è abbastanza chiaro. Giochiamo a briscola, io e te. Ma io sono di mano e decido cosa giocare, poi mi ritrovo ad avere sia l’Asso (l’algoritmo), che il Tre (l’agenzia di rating che ti ha certificato quanto buono sia il mio prodotto), che il Re (i servizi che certificheranno se è piovuto o meno li decido io e lo metto nel contratto, scegliendo ovviamente quelli che sono più carini con me). E adesso giochiamo… e vinca il migliore…

martedì 8 agosto 2017

Assicurazioni catastrofe (continua) Post 6

Post 6: Emergono i servizi ecosistemici.
(i post precedenti sono tutti nel mese di luglio)
Noi vecchi eravamo cresciuti sentendo parlare di una cosa chiamata biodiversità. A dire il vero, ai tempi dell’università, questa parola nemmeno esisteva dalle nostre parti. C’era un professore che insegnava una cosa strana, ecologia, ma il 99% di noi studenti di agraria non avevamo idea di cosa fosse. Si cresceva così, poi i casi della vita ti portano a conoscere un tipo, poi un altro e finisci che cominci a capire la centralità del tema. 
Biodiversità: un bene comune da difendere, dato che la nostra stessa vita dipende dal suo mantenimento. Conobbi uno spagnolo impegnato 24 ore al giorno a portare avanti queste lotte. Pepe era (ed è) il suo nome. Mi fregio di poter dire di essere amico suo. Pepe riuscì perfino a portare questi temi dentro la FAO e a farne uno dei grandi successi di sempre di questa organizzazione, attraverso il Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche e l’alimentazione (http://www.minambiente.it/pagina/trattato-internazionale-sulle-risorse-fitogenetiche-lalimentazione-e-lagricoltura)
Imparammo pian piano ad essere guidati da due principi molto semplici: il rispetto della vita in tutta la sua diversità e la necessità di gestirla in termini di bene comune. La biodiversità era un sistema, complesso, difficile da capire in dettaglio, sia in tutte le sue componenti che nelle loro tantissime interazioni. Le parti non si addizionano, ma si moltiplicano. Temi complicati, che avrebbero bisogno di essere insegnati fin dalle scuole elementari. Era una bella favola, cominciare ad occuparsi seriamente della biodiversità fuori dagli intrighi di potere e dalla dominazione neoliberale del mondo.
Ci volle del tempo, ma il dio mercato arrivò anche da quelle parti. Con l’arrivo del nuovo millennio l’operazione sostituzione concettuale poté compiersi e un nuovo jargon iniziò a sostituire la biodiversità: il verbo dei servizi ecosistemici. Fummo ingenui, come capita a tanti, per cui all’inizio seguimmo anche noi il pifferaio magico. Venivano aggiunte delle piccole specificazioni ai principi precedenti. Dettagli che sembrano innocui, e noi, non ricordandoci gli insegnamenti del saggio Andreotti, ci abbiamo messo del tempo a capire che il diavolo si nascondeva nei dettagli.
Il primo diavoletto riguardava il principio del rispetto per la vita: si aggiungeva la postilla dell’utilità per gli umani. In questo modo, come capimmo dopo, cambiava diametralmente la prospettiva: nella filosofia della biodiversità noi agiamo per proteggere la biodiversità come un sistema, un valore assoluto. Adesso invece noi diventiamo l’oggetto da proteggere, per cui della biodiversità rispettiamo (solo) quello che serve a noi (e il resto?). La giustificazione deriva direttamente dalle politiche di aggiustamento strutturale: soldi non ce ne sono, bisogna concentrarsi sulle priorità, e cosa più prioritario di noi esseri umani? Ecco quindi il bisogno di scegliere, nel mare magnum della biodiversità, cosa sia più importante adesso e cosa possa attendere. Tutti i dubbi degli specialisti che spiegavano come la biodiversità sia un sistema di interazioni, che non riusciamo a capire e meno ancora a modellizzare, venivano spazzate via e sostituite dalla filosofia del “ghe pensi mi”. 
Da questo ne discende, oh che sorpresa, la proposta di monetizzare la natura, per rendere più facile la transazione (oh, scusate, la protezione) dei servizi ecosistemici che la natura mette a nostra disposizione. 
Corollario da ripetere: io decido che alcune componenti dell’ambiente sono importanti per noi umani, le altre e le loro interazioni, che non capisco perché troppo complicate, le lascio perdere, domani si vedrà.
Diventiamo noi il deus ex-machina: d’improvviso ci ergiamo a decisori finali di cosa meriti di essere protetto e cosa no. Ci facciamo Dio. E il mercato è lì per aiutarci.
La sostituzione terminologica tra biodiversità e servizi ecosistemici può essere capita meglio col grafico che mostro qui sotto, che illustra come dal 2005, quando i servizi ecosistemici diventano oggetto del Millennium Assessment, il numero di articoli pubblicati, che servono di supporto al lancio mondiale del tema, è aumentato in maniera iperbolica. Guardatevi e soprattutto ascoltate attorno a voi: ogni volta che sentirete parlare di questi temi, la parola d’ordine è servizio ecosistemico. Se qualcuno parla ancora di biodiversità di sicuro è un/a comunista.
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Qualcuno di voi conosce la speciesbanking.com? Sono banche speciali, del futuro, verrebbe da dire: si comprano e vendono azioni relativi a pezzi di ecosistemi da salvaguardare. Due domandine: a chi c..o verrebbe in mente di mettere soldi per comprare un’azione del Bakersfield Cactus (Opuntia Treleasei) specie in pericolo in California? In altre parole, cosa ci guadagno a mettere soldi miei dentro questo fondo? O sono un altruista speciale oppure questa domanda ha un senso. Seconda domandina: qualcuno mi sa spiegare le interazioni di questa Opuntia col resto dell’ecosistema dove vive? Cioè se io caccio soldi miei per “proteggerla”, cosa mi garantisce che sto aiutando a proteggere tutto l’ecosistema? E cosa succede con tutte le altri parti dell’ecosistema che non sono sul mercato?
La seconda domanda non vale un c…o, perché tanto non frega niente a nessuno di conoscere tutte le interazioni e soprattutto è troppo complicato “vendere” al cittadino lambda una protezione generica di un ecosistema, questo perché non sappiamo valutarlo nel suo complesso. Siamo ignoranti, ma non vogliamo ammetterlo.
La prima domanda rimanda al meccanismo di cui parlavo nel post numero 3: la compensazione. Quello che guadagno è legato ai danni che farei da qualche altra parte. Comprando buone azioni posso andare a far cazzate altrove.
Domandina finale del giorno: ma oltre alle piante e animali, arriveremo un giorno a trovare che queste “banche” mettono in vendita anche popolazioni indigene da proteggere? Risposta: penso che gli Human Bonds non siano molto lontani.

domenica 6 agosto 2017

Venezuela: crisis agricola y conflictos - post final


Post anteriores publicados el:
2 de agosto (post 1)
3 de agosto (post 2)
4 de agosto (post 3)

A finales de enero de 2010, tuve la oportunidad de retornar a Caracas. El Ministro encargado de tierra estaba todavía convencido que su gobierno implementaba una “revolución” agraria, y nos pidió que yo y otro especialista de política, nos fuéramos a preparar el terreno para algunos estudios que, en su expectativa, debían mostrar lo bueno de esa revolución.
La organización de la logistica se quedó con el Instituto de Tierras (INTI) del gobierno, lo que permitió realizar algunas entrevistas con su Presidente además de visitas de campo en Barquisimeto y Portuguesa. Me llevaron a los asentamientos “Ana Soto”, “La Estancia” y a la empresa socialista de producción “La Productora”. 
De todo esto lo que resultó fue lo siguiente: después de la entrada en vigor de la Ley de tierra, hubo un periodo (muy político) de “recuperaciones” de grandes cantidades de tierra (recuerdo que el INTI, heredando las tierras del antiguo IAN, ya era el mayor latifondista del país). Esto duró hasta 2006 más o menos.  A partir de allí posiblemente se lanzó una reflexión más profunda (y una desaceleración) de las “recuperaciones” con el fin de analizar más en profundidad “que hacer” con estas tierras. Este punto era clave porque en la primera etapa no se había realmente considerado que, una vez recuperadas las tierras y vueltas al patrimonio del Estado, el problema siguiente era de meterlas en producción de manera rápida y con resultados alentadores, para evitar críticas nacionales e internacionales. 
Mientras el gobierno se preocupaba de “recuperar” tierras, el país seguía perdiendo brazos en el campo. La población rural no había cesado de reducirse desde más de un siglo atrás, llegando a ser alrededor del 7% al momento de nuestra misión. Si a esto se le suma que muchos de estos rurales ya no eran campesinos en el sentido pleno de la palabra, la pregunta clave que debían ponerse (y que no hicieron) era  para quien están recuperando tierras considerando los pocos campesinos que hay?
Una de las razones del porque cada día menos campesinos querían quedarse en el campo, a pesar de la retórica oficial, me lo explicaron los responsables mismos de las fincas que me llevaron a visitar (fincas, repito, escogidas por parte del INTI, así que podíamos imaginar que no eran las peores).
Las conversas de campo me informaron de los campesinos tenían una preocupación clara con la dimensión económica (costos de producción respeto a los precios recibidos), e que no sabían cómo manejar el tema. Debido a su fe en el proceso revolucionario, entendían que el gobierno quería mantener precios de abastecimientos bajos para las ciudades. Por el otro lado, en cuanto productores que debían vivir de su propia tierra del asentamiento, pagaban los insumos a precios crecientes (hacia precio de mercado pleno), lo que reducía al mínimo (o, mejor dicho, anulaba completamente) sus ganancias. Uno de los responsables llegó a decirme, públicamente, que si el año siguiente el Ministerio no hubiese subido los precios que les pagaban, él se habría ido a la ciudad como hacían todos los demás.
En otro asentamiento “recuperado”, de una superficie agrícola aprovechable inicial de mis de 300 Has, solo una décima parte estaba en producción al momento de la visita. Le pregunté si no se daban cuenta que, de esta manera, le daban argumentos a la oposición, que criticaba estas recuperaciones diciendo que el gobierno llevaba el país al hambre, y nadie supo que contestar. No tenían recursos mecánicos ni manuales (mano de obra), así que esto era lo que podían cultivar con lo que tenían.
En los años siguientes, la respuesta al problema de la falta de mano de obra el gobierno pensó de resolverla dándole grandes extensiones de tierra a empresas de países “hermanos” (de la Alianza Alca y también de otras regiones del mundo como Irán  http://www.correodelorinoco.gob.ve/acuerdos-cooperacion-agricultura-buscan-alcanzar-soberania-alimentaria/). Entre tanto, como escribió un sostenido del proceso, no completamente obnubilado por la ideología, los problemas iban creciendo: “la debilidad estructural y operacional que presentó el INTi en sus inicios rinde sus frutos en la actualidad debido a que ha generado un nuevo fenómeno de latifundio, entre la elite política regional en los estados que tienen una alta actividad agrícola. Situación que ha generado una serie de desequilibrios, que pueden atentar contra el proyecto político liderizado por el presidente Hugo Chávez, entre los cuales destacan: a) la conflictividad por la tierra que ha generado una confrontación base a base en el sector campesino como consecuencia de procedimientos administrativos no acorde a la visión socialista; b) la construcción de estrategias de conflictos orientadas a promover invasiones de predios productivos; c) la práctica de procedimientos en predios con ocupación histórica irrespetando el derecho consagrado en la LTDA referido a la permanencia y generando conflictos con actores externos (cooperativas); d) la persistencia del asistencialismo(3) en los proyectos institucionales del INTi que impiden el desarrollo del potencial humano de esa minoría campesina y e) la falta de alineación política del nivel central con las oficinas regionales de tierras originando mala praxis e intereses particulares en los funcionarios.”   http://www.scielo.org.ar/scielo.php?script=sci_arttext&pid=S1515-59942010000100014
Estas fueron las bases, y los resultados están allí para cada observador atento de la realidad económica, más allá de los eslogan del gobierno y de una cierta izquierda internacional que pretende defender “el pueblo” defendiendo Maduro y sus acólitos.
Es una pena que  no se tome el tiempo de analizar antes de hablar. Como lo expliqué en los post anteriores, fue evidente la racionalidad ideológica detrás de la politica agraria: eliminar el grupo de empresarios, en particular en la zona del Lago, esencialmente porque eran enemigos de la revolución, sin haber una idea ni de la demanda histórica de tierra, ni de los problemas institucionales acabados por el IAN y que el INTI heredo sin resolverlos, ni de la imposibilidad de hacer cuadrar precios impuestos (y bajos) a los productores, con precios internacionales (alto) de insumos. A esto se le suma la idea de imponer las producciones “necesarias” al país, reduciendo a nada la libertad de los productores de decidir en función de las calidades de las tierras. Que hubiesen problemas era evidente desde antes, y eran grandes, sin embargo la improvisación politica, la inconsistencia de las medidas tomadas y una falta de conocimiento del campo, lograron una baja de la producción que hoy en dia se le carga al “embargo” y a los “enemigos” del interior y/o internacionales. 

Recordé antes que un intelectual de la izquierda agraria venezolana fue convidado a la reunión preparatoria final en Brasilia en vista de la Conferencia internacional de reforma agraria que organizamos en Porto Alegre. El gobierno de Lula quería mostrar su complacencia hacia los movimientos campesinos, y darle también una exposición (y apoyo) internacional. Como ocurre en muchos casos, los organizadores les pidieron a los amigos de los amigos, y así resultò que la persona convidada era cierto venezolana, y de izquierda, sin embargo no era un ideologo chavista, sino un conocido especialista. Fue así que cuando explica, en 2005, que en Venezuela no había seguridad alimentaria porque los mismos datos del gobierno apuntaban a una crisis creciente, nadie en la sala, organizadores del gobierno y/o movimientos sociales locales, supieron que decir. Fue un silencio “imbarazzante” como diríamos nosotros. Cuando volví en 2010 me mostraron algunas estadísticas interna, que decían como el grado de autoabastecimiento interno había bajado al 7%. O sea, el país importaba el 93% de sus productos alimenticios. La estadística no fue nunca publicada, lo que quedo fue la guerra de cifras entre gobierno y oposición, y una realidad de hambre creciente.

venerdì 4 agosto 2017

Venezuela: crisis agricola y conflictos (Post 3) Un análisis de la visión del problema agrario y la nueva LTDA

Un análisis de la visión del problema agrario y la nueva LTDA

1. Recordatorio de los problemas por enfrentar

Al asumir el gobierno, el nuevo Ejecutivo heredó los problemas antes mencionados, a los cuales se sumaba una baja productividad del agro venezolano, confirmada por la caída a veces vertiginosa del crecimiento que traía el sector en los años hasta las reformas de 1989, tanto en rubros fundamentales (maíz blanco, sorgo, caraota) cuanto en lo referente a mano de obra ocupada (Soto, p. 77).

Estos retos debían ser asumidos dentro de un contexto de:

(i) urbanización muy elevada (cifras oficiales hablan de un 86% de población urbana, aun cuando hay que considerar las dudas respecto a los criterios censales);
(ii) pobreza generalizada en el país (cifras oficiales dan más del 80% de la población bajo la línea de pobreza, FAO, 2002)
(iii) falta de información territorial básica, tanto para un catastro-registro como para fines de ordenamiento territorial y/o de elaboración de una política de tierras
(iv) debilitamiento evidente en las instituciones vinculadas con el tema agrario, tanto en el ámbito central como en los Estados
(v) una inseguridad alimentaria que había venido aumentando durante los últimos diez años, afectando a los estratos más pobres de la población, entre los que se encuentran la mayoría de los pequeños productores agropecuarios 
(vi) fuentes de financiamiento muy reducidas para el agro (menos del 10% de los productores accedían al crédito vía ICAP)
(vii) un aumento del índice de analfabetismo preocupante en el campo.
Otros elementos que han de ser considerados:

(i) las fuerzas de izquierda que apoyaban el nuevo gobierno eran las mismas cuya visión anti-latifundista había sido marginalizada al implementarse la LRA; ellas traían consigo una mística "comunitaria"/colectiva que no presentaba antecedentes positivos en el país;
(ii) todos los gobiernos que se han sucedido desde 1958 han mantenido constante la voluntad de no alienar las tierras públicas, lo que lo hacía aún más improbable por parte de un gobierno "revolucionario"
(iii) resultados desastrosos de la política de apertura comercial realizada anteriormente (para el agro) y que solo habían favorecido el sector agroindustrial sin ninguna mejora en términos de precios ni de calidad para el consumidor final, según expertos independientes (Soto)
(iv) proporción creciente de trabajadores rurales en las fronteras, constituidos por colombianos
(v) recursos nacionales disponibles, particularmente los humanos, manifiestamente insuficientes para acatar todos los problemas mencionados.

De acuerdo a experiencias de la FAO a nivel rural en Venezuela, se puede agregar que estos problemas del sector rural fueron comprobados por el proyecto de cooperación técnica implementado entre los años 2000 y 2001, en tres estados: Anzoategui, Apure y Tachira; cuyos resultados reflejaron lo siguiente:

(i) Falta de participación de los productores (as) en los programas y planes de desarrollo local, con una repetida implementación de planes y programas en una orientación de arriba hacia abajo, con el consecuente fracaso por la forma impositiva de aplicación;

(ii) Altos niveles de pobreza en el sector rural, donde las familias generalmente no cubren sus necesidades básicas con los ingresos generados por la actividad agrícola, lo que genera una dispersión de la mano de obra hacia otras áreas más competitivas, así como un proceso migratorio hacia los centros urbanos;

(iii) Diversidad de tipologías de productores / as, que van desde capitalizados hasta los descapitalizados que degeneraron en trabajadores rurales Sin – Tierras, a saber:

-          Los Productores “Capitalizados”, que trabajan tierras obtenidas por herencia, y que se pueden permitir la ampliación de su frontera agrícola a través de capital externo, que no son consecuencia de las políticas agrícolas del estado. La ampliación de su frontera es también consecuencia de la reconcentración de tierras.
-          Los Productores “en vías de Capitalización o descapitalización”, referidos a aquellos que se encuentran, en una situación intermedia entre los capitalizados y los descapitalizados. 
-          Los Productores “Descapitalizados”, que en muchos casos se originan de las políticas agrícolas de monocultivismo; de la falta de una adecuada integración al mercado que los hace más sensibles a las variaciones y caídas de precio de sus productos; de la inexistencia de organizaciones que les permitan  participar del desarrollo; de la falta de capacidad de gestión; y de la escasez de recursos económicos para lograr la adecuada explotación de su  tierra, recurso del cual algunos fueron dotados vía reforma agraria, pero sin crear condiciones para poner en marcha explotaciones agrícolas que les permitieran la obtención de un mejor nivel de vida.
-          Los Trabajadores “Sin Tierra”, resultado del progresivo deterioro de los productores descapitalizados, como consecuencia de las inconstantes e incoherentes políticas implementadas a través de la historia.

iv) Falta de coordinación e integración entre las diversas instituciones del sector;

(v) Alto grado de precariedad existente en cuanto a la propiedad de la tierra, con consecuencias de minifundizaciónes y/o concentraciones de la propiedad;

(vi) Evidentes deficiencias en los procesos involucrados en las cadenas de producción y distribución de los productos generados en las actividades agrícolas, con una distorsión en la comercialización y mercadeo de los productos agrícolas;

(vii) Deficiente infraestructura física en los espacios rurales, así como servicios de salud, educación, transferencia de tecnología, organización, capacitación, asistencia, financiamiento, y ausencia de la equidad de género en los programas administrados por las diversas instituciones;

(viii) Un sistema de catastro bajo dos tipos de actividad: un Catastro Nacional del Ministerio de Agricultura y un Catastro Parcelario del IAN; este último fue siempre uno de los problemas que afectaba el cumplimento de las funciones del IAN, basado en un sistema inadecuado, realizado por modalidad directa con personal del IAN y con empresas privadas contratadas. El régimen de contratación de empresas era limitado por no resultar siempre fidedignos los datos. Los problemas detectados en el sistema catastral eran: cuadro técnico reducido, falta de equipos técnicos y lentitud del sistema de automatización;

(ix) Escasa y casi inexistente asistencia técnica, la elevada centralización de los técnicos hacía que estuviesen cada día más lejos de los productores;

(x) La inexistencia, en la práctica, de organizaciones de productores, que resultan indispensables para fortalecer la presencia de los productores en la toma de decisiones en los diferentes espacios institucionales, políticos y técnicos.

2. Las acciones del gobierno

En virtud de esta situación, para 1999 el Gobierno Nacional decretó la agricultura como un sector prioritario, en el marco de las políticas públicas orientadas hacia el rescate del aparato productivo del país. La primera acción se refiere a la elaboración y aprobación de la Constitución bolivariana que en el artículo 305 se refiere específicamente al tema de la seguridad alimentaria; y en el artículo 307 al derecho de propiedad para los campesinos.

En particular, el 305 establece: “El Estado promoverá la agricultura sostenible como base estratégica del desarrollo rural integral a fin de garantizar la seguridad alimentaria de la población; entendida como la disponibilidad suficiente y estable de alimentos en el ámbito nacional y el acceso oportuno y permanente a éstos por parte del público consumidor. La seguridad alimentaria se alcanzará desarrollando y privilegiando la producción agropecuaria interna, entendiéndose como tal la proveniente de las actividades agrícola, pecuaria, pesquera y acuícola. La producción de alimentos es de interés nacional y fundamental para el desarrollo económico y social de la Nación. A tales fines, el Estado dictará las medidas de orden financiero, comercial, transferencia de tecnológica, tenencia de la tierra, infraestructura, capacitación de mano de obra y otras que fueren necesarias para alcanzar niveles estratégicos”.

Mientras que el 307 dice: “el régimen latifundista es contrario al interés social. La ley dispondrá lo conducente en materia tributaria, para gravar las tierras ociosas y establecerá las medidas necesarias para su transformación en unidades económicas productivas, rescatando igualmente las tierras de vocación agrícola. Los campesinos y campesinas y demás productores agropecuarios y productoras agropecuarias, tienen derecho a la propiedad de la tierra, en los casos y formas especificados en la ley respectiva. El Estado protegerá y promoverá las formas asociativas y particulares de propiedad para garantizar la producción agrícola. El Estado velara por la ordenación sustentable de las tierras de vocación agrícola para asegurar su potencial agroalimentario. Excepcionalmente, se crearan contribuciones parafiscales con el fin de facilitar fondos para financiamiento, investigación, asistencia técnica, transferencia tecnológica y otras actividades que promuevan la productividad y competitividad del sector agrícola. La Ley regulara lo conducente a esta materia”

Bajo este marco, se elaboró de un Plan Nacional de Desarrollo Agrícola y de Alimentación, cuyo alcance se proyectó en tres horizontes de desarrollo: corto (2000), mediano (2001-2007) y largo plazo (2000-2018); que se fundamentó en tres grandes directrices de política sectorial, las cuales a su vez constituían un mandato constitucional:

1) Rescatar, transformar y dinamizar las cadenas agro-productivas, propiciando la competitividad y el desarrollo sustentable;

2) Promover el desarrollo del medio rural fundamentalmente en los ejes estratégicos del país, definidos como áreas de desarrollo de proyectos bandera del gobierno, en las que se expresan las ideas de diversificación de la economía, con un alto componente estratégico y geopolítico. Persigue una ocupación más racional del territorio venezolano y un mejor aprovechamiento de sus recursos que en ellos se encuentran. Se localizan tres ejes en el país, a saber:

. Eje Orinoco – Apure: Se extiende desde San Cristóbal hasta Tucupita, y abarca total o parcialmente trece estados con 67 municipios, de los cuales 50 son municipios agrícolas.
. Eje Occidental: Se extiende desde Maracaibo hasta Guasdualito y comprende 4 estados: Mérida, Táchira, Trujillo y Zulia, con todos sus municipios, de los cuales un total de 62 son agrícolas.
. Eje Oriental: Esta ubicado hacia el extremo oriental del país a ambos márgenes del río Orinoco, desde la isla de Margarita pasando por ciudad Guayana y su gran área de influencia económica, hasta Santa Elena de Uairen, en el límite entre Venezuela y Brasil. Abarca 5 Estados y 68 municipios, de los cuales 33 son agrícolas.

3) Garantizar la seguridad alimentaria y el abastecimiento de fibras de origen biológico, derivados de la actividad agrícola, con la diversificación de la producción agrícola mediante el diseño, formulación e implementación de programas orientados a elevar la productividad y competitividad del sector, especialmente en aquellos rubros líderes en los ejes estratégicos del país, rubros considerados por el gobierno nacional como prioritarios dentro de sus políticas, tales son: rubros bandera (palma aceitera africana, arroz, caña de azúcar, café, cacao, ganadería doble propósito, pesca y acuicultura); y rubros estratégicos (maíz blanco, sorgo, granos leguminosos, algodón, raíces y tubérculos, frutales, hortalizas y cerdos, aves y huevos).
Sumada a la importancia de los ejes de desconcentración, se encuentran las Zonas Especiales de Desarrollo Sustentable (ZEDES)(i), orientadas a dinamizar el desarrollo integral y sustentadas sobre la base del concepto de la descentralización desconcentrada del país, en sus dimensiones territorial, económica, social, ambiental, institucional, e internacional. Esta definición se fundamenta en la necesidad de fortalecer las regiones, vinculando los requerimientos locales y permitiendo la activación inmediata de la economía Así mismo va dirigido a fortalecer a las regiones vinculando a lo local con la activación inmediata de la economía; estas zedes se corresponden en la actualidad con las Poligonales rurales inmersas en la LTDA, según se puede constatar en anexo.

En el ultimo año, se decretaron las leyes contenidas en la Habilitante, sobre:  la demarcación de hábitat indígenas, la Ley de Tierras y Desarrollo Agrario y la Ley de Pesca y Acuicultura y la propuesta de Ley sobre la regularización de tierras urbanas (llamada de Ley de Barrios).

(a) Ley de demarcación y garantía del hábitat y tierras de los pueblos indígenas (ii)

La ley tiene por objeto regular la formulación, coordinación y ejecución de las políticas y planes relativos a la demarcación del hábitat de los pueblos y comunidades indígenas, a los fines de garantizar los derechos a las propiedades colectivas de sus tierras consagradas en la Constitución Nacional. En el contexto de esa Ley, el artículo 8 establece que a los fines de garantizar la demarcación del hábitat y tierras indígenas, se llevará a cabo un proceso participativo de diagnóstico y consulta de los pueblos y comunidades indígenas, considerando las realidades y circunstancias locales, particularmente lo concerniente a las condiciones físicas, políticas, económicas y sociales, incluyendo aspectos históricos de ocupación, uso ancestral y tradicional de sus hábitat y sus tierras.

Es importante destacar que en materia de pueblos y comunidades indígenas, existe un marco jurídico más amplio que se precisa revisar (actualmente la Asamblea Nacional está estudiando la aprobación de dos proyectos de ley inherentes a la materia).

Por lo observado hasta ahora no se han producidos reacciones en contra a la ley, aun cuando no se señalan todavía casos importantes de aplicación de la Ley.

(b) La Ley de Barrios

Según las principales fuentes informativas del país, las propuestas de Ley de Barrios (iii) constituyen una de las leyes más revolucionarias del ordenamiento jurídico venezolano.
Las dos propuestas se inspiran en las ideas de Hernando de Soto(iv). Las casas y ranchos están en tierras ocupadas ilegalmente desde hace décadas y sobre las cuales no tienen la propiedad legal. Acabar con este limbo y sincerar la tenencia de la tierra es un paso vital para incorporar al circuito económico ese capital muerto. 

Aunque la Ley todavía esté en proceso de discusión, algunas municipalidades ya se están organizando para su futura implementación. Si la posición favorable de los grandes medios de comunicación y prácticamente de la totalidad de los partidos es evidente, lo mismo no se puede decir, con anterioridad, de los ocupantes de aquellas propiedades, desde el momento en que eso implica tener un domicilio fiscal y de pago de servicios públicos (costos de la formalidad). 

También, su futura implementación conllevará una serie de problemas técnicos que necesitaran soluciones ad-hoc; el caso más evidente es el catastro. Levantar un catastro de la propiedad de la tierra en estos barrios donde las casas están montadas unas sobre otras exigirá buscar fórmulas originales de fraccionamiento de la propiedad. También se pondrá el problema de la regularización de las propiedades construidas en tierras privadas: esto porque si la regularización de los ranchos constituidos en tierras públicas puede ser solucionado por el Estado, no es evidente la aceptación por parte de los dueños de las tierras de su cesión definitiva a los ocupantes actuales. Finalmente, la titularización de la tierra es una condición necesaria para que ésta pueda darse en garantía, pero el crédito sólo fluirá si las tasas de interés son accesibles y el sistema judicial tiene la capacidad para hacer cumplir los contratos y sentencias.

Así que podemos decir que el Ejecutivo, al apropiarse de esta iniciativa de la oposición, ha demostrado una flexibilidad y un espíritu de abertura que pocos observadores le acreditaban.

También es importante notar como el principio de la plena propiedad es central en esta propuesta. Lo mismo no ocurre con la LTDA, lo que es justificado por el Ejecutivo por la excepcionalidad del sector agrícola.

(c) La Ley de Tierras y Desarrollo Agrario (LTDA)

La LTDA, en su exposición de motivos, hace énfasis en la agricultura como base estratégica de un desarrollo rural sostenible, se acoge a la Constitución para garantizar la seguridad alimentaria de la población, haciendo referencia a un Plan Nacional de Seguridad Alimentaria focalizando acciones de desarrollo en las 10 (podrían llegar a 11) Poligonales Rurales, de las cuales 4 han sido ya decretadas: Sur del Lago, Miranda, Barinas – Apure, y Portuguesa – Cojedes.

La exposición de motivos de la LTDA plantea en consonancia con lo establecido en el Art. 307 de la Constitución Nacional, la procura de una distribución justa de la riqueza y una planificación estratégica, democrática y participativa en cuanto a la tenencia de la tierra y desarrollo rural.

La posición del gobierno puede ser resumida usando las frases del propio Presidente del INTI, Sr. A. Chavez, hermano del Presidente de la República:

"La intención fundamental de la novísima Ley de Tierras y Desarrollo Agrario es la de crear las bases del desarrollo rural integral y sustentable. Para ello establece, entre otras cosas, la adjudicación permanente de la tierra a 'todos los venezolanos y venezolanas que hayan optado por el trabajo rural y, especialmente, la producción agraria como oficio u ocupación principal' (artículo 13 de la ley). Acá es pertinente destacar que el régimen de evaluación del uso de las tierras y la adjudicación de las mismas, constituye el núcleo del nuevo régimen agrario, siendo la productividad de las tierras con vocación agraria, el valor fundamental. De la misma manera, se plantea la necesidad de eliminar el latifundio, por ser este un sistema contrario a la justicia, al interés general y a la paz social en el campo. Para lograrlo se debe aplicar, según lo establece la propia ley, una estrategia democrática y participativa en lo relativo a la tenencia de la tierra y al desarrollo de toda la actividad agraria, para atender de manera eficiente y efectiva la demanda alimentaria de la población nacional. Es decir, lograr el desarrollo sustentable que permita el crecimiento económico y social, que incida positivamente en la calidad de vida de los venezolanos; de las presentes y futuras generaciones, a través de la potenciación de la producción agraria. Una producción agraria que vaya más allá de los fines meramente económicos, colocando por encima de éstos, los valores fundamentales del ser humano. 

Por otra parte, la Ley de Tierras y Desarrollo Agrario establece, en su artículo 2, la afectación del uso de todas las tierras con altas potencialidades para el desarrollo agroalimentario, sean públicas o privadas. Es de resaltar que esta afectación no constituye ningún tipo de gravamen, sino que se refiere a la ubicación del uso de estas tierras dentro de un marco jurídico distinto al del derecho común, enmarcado dentro de las contribuciones, restricciones y obligaciones con fines de utilidad pública o interés general de origen legal, a los que la propiedad se encuentra sometida por definición en el artículo 115 de la Constitución Nacional.

En este sentido, la referida ley establece tres niveles de productividad: finca ociosa o inculta, que es la que no cumple con los requisitos mínimos de producción, y que puede ser objeto de intervención o expropiación agraria y gravada con un tributo; finca mejorable, es aquella que permite al propietario contar con plazos para adecuar su producción a las necesidades generales de la economía regional o nacional, según el tipo de tierra que posea y; finca productiva es la que está dentro de los parámetros de productividad establecidos por el Ejecutivo Nacional.

Así, tenemos que las tierras propiedad del Estado o, previa expropiación, las tierras propiedad de particulares que se encuentren improductivas, podrán ser otorgadas en adjudicación a aquellas personas dedicadas a la actividad agraria rural que demuestren aptitud para transformarlas en fundos productivos. Es de resaltar, que esta ley beneficia a las mujeres cabeza de familia que se comprometan a trabajar una parcela para manutención de su grupo familiar e incorporación al desarrollo de la nación.

Se puede afirmar entonces, que el nuevo marco legal que regula lo relativo al uso y redistribución de las tierras, contiene un ambicioso proyecto, que una vez desarrollado, contribuirá sin lugar a dudas, a cumplir con el mandato contenido en el artículo 305 de la Constitución de la República Bolivariana de Venezuela, el cual es garantizar la seguridad alimentaria de la población, entendida ésta como la disponibilidad suficiente y estable de alimentos en el ámbito nacional y el acceso oportuno y permanente a éstos por parte del público consumidor".

(d) Ley de Pesca y Acuicultura

Al igual que la Ley de Tierras, fue aprobada en fecha 13 de noviembre del año pasado. Corresponde, el marco jurídico que recoge los conceptos y principios universalmente utilizados para la conservación y aprovechamiento sostenido de los recursos pesqueros. Es un instrumento legal de equilibrio, dando una importancia especial al rescate del pescador artesanal (FAO, 2002). La ley contempla la creación del Instituto Nacional de Pesca y la Acuicultura como el ente ejecutor de la política pesquera y acuícola y actividades conexas.

3. La percepción por parte de los actores sobre la LTDA

Cuáles son las críticas?

Resumiendo, podemos dividir las críticas en dos grupos:

(i) criticas generales sobre la constitucionalidad de la Ley (lo que repercute sobre su existencia), que podrían llevar directamente a la eliminación pura y simple de la Ley, y el agro regresaría a ser regido por la Leyes anteriores, entre ellas la LRA. Se incluyen aquí las críticas sobre supuestas violaciones de los siguientes artículos (en orden de importancia) de la Constitución de la República Bolivariana: 115 (sobre medidas de expropiación y el derecho de propiedad); 116 (sobre confiscación de bienes); 112 (sobre la libertad de empresa); 49 (sobre el debido proceso a todas las actuaciones judiciales y administrativas); 55 (sobre derecho a la protección de la integridad física); 179 (impuesto a las tierras). Los detalles de las argumentaciones que sustentan estos pedidos ya han sido circulados en el país, por lo cual, de ser necesario se anexaran al presenta documento.

(ii) criticas particulares a ciertos aspectos/artículos de la Ley (lo que repercute sobre su implementabilidad y/o impacto), referidas a aspectos ligados a la implementación de la Ley. Varias instancias han manifestado dudas de varia naturaleza sobre aspectos conceptuales y metodológicos que aparecen en la redacción de la ley y que, según ellos, difícilmente podrían ser saneados en el reglamento. Ahora bien, este segundo grupo, aun cuando parecería apuntar al mismo objetivo de eliminar la ley, en realidad abre una ventana de posibles negociaciones sobre el cómo y el cuanto de su implementación.

Por las entrevistas realizadas a diversos sectores (Universidades, Agraristas, Consultoría Jurídica del MAT, Consultoría Jurídica Fedeagro, federaciones productores sur del Lago, Presidente y Directiva INTI, líder campesino Sur del Lago, Directores Regionales Palmaven, funcionarios oficina INTI Sur del Lago)  se deduce el primer grupo de críticas se identifica más con sectores empresariales, activamente insertados en la economía agrícola nacional y particularmente preocupados por los efectos negativos que esta ley podría tener sobre la economía agrícola. Los mismos son apoyados por los partidos de la oposición y por la mayoría de los medios de comunicación. Por su parte, en el segundo grupo encontramos sectores universitarios y técnicos, probablemente ampliamente minoritarios en el país.

La impresión general por parte del sector empresarial y de la oposición política, es que exista una identificación muy grande, entre la LTDA y el Presidente de la República y que, en la actual coyuntura de resurgencia de iniciativas políticas en contra del régimen estos sectores estén apuntando a una radicalización del enfrentamiento, apostando más sobre la eliminación pura y simple de la LTDA que sobre su eventual modificación. En caso de ganar, la brecha política que se abriría podría tener repercusiones dramáticas en el gobierno del Presidente, pudiendo incluso significar su salida del poder. Este comportamiento es especular, dada la rigidez mostrada por el Presidente en las alocuciones públicas sobre este tema, lo que lleva a un clima de progresiva y acelerada radicalización de las partes.

En este escenario, las cifras avanzadas por parte del sector empresarial, para cuantificar los daños que esta Ley produciría en el campo, deben ser tomadas con cierta precaución. Estas se refieren a la Zona del Sur del Lago, (una de las más críticas por ser tierras del estado y de una alta incidencia sobre la producción de carne y leche del país): un 30% de los productores ganaderos desaparecería por imposibilidad de acceder al crédito (debido a la imposibilidad de utilizar las tierras-bienhechurías como aval), y un otro 40% se encontrarían en posiciones muy difíciles. En cuanto a la producción, en ciertos rubros las estimaciones mencionan hasta un 60% de pérdidas.

Una evaluación externa

Identificadas las tendencias que quedan expresadas en la LTDA, así como en los discursos por parte de las autoridades oficiales en torno al tema tierra, y analizados los grandes rasgos de las posiciones a favor o en contra de la actuación del gobierno; es apropiado para su evaluación externa, la consideración de los aspectos de los problemas históricos que son tocados por la Ley y cuales quedan pendientes.

A pesar del potencial de desarrollo de la agricultura venezolana, el uso efectivo de la tierra en materia de disponibilidad se ubica en unos 34,5 millones de has, estando por debajo de un 30% lo que corresponde al uso vegetal, y el uso pecuario representa aproximadamente el 40%. Los expertos declaran que solamente un 4% del total de la superficie cultivable es de alto potencial, ese 4% estará localizado en las Poligonales Rurales.

La exposición de motivos de la LTDA plantea en consonancia con lo establecido en el Art. 307 de la Constitución Nacional, la procura de una distribución justa de la riqueza y una planificación estratégica, democrática y participativa en cuanto a la tenencia de la tierra y desarrollo de toda la actividad agraria, en consonancia, se pretende eliminar el Latifundismo, como sistema contrario al interés general y a la paz social en el campo; tal como fue establecido en la LRA del 1.960, cuya función primordial era también eliminar el latifundio; solo que la LRA afectó solo tierras públicas y la LTDA afectará el uso tanto de públicas como privadas con vocación para el desarrollo agroalimentario; la adjudicación es transmisible a los sucesores del adjudicatario, no gozando el beneficiario de atributo de disponibilidad plena.

La LTDA establece una productividad agraria (definido como el patrón de medición de la adecuación que exista entre la tierra objeto de propiedad y su función social) que determinará los tres niveles de productividad de las fincas: ociosa o inculta, mejorable y productiva; las ociosas serán aquellas que no cumplan con los requisitos mínimos de producción pudiendo en consecuencia ser objeto de expropiación o intervención agraria, y serán gravadas con un tributo, el impuesto a la ociosidad (infraproductividad) con la intención de que sean puestas en producción; la mejorable es aquella que puede ser puesta en producción llevándose a los niveles de productividad considerados idóneos; la productiva es aquella que se encuentra dentro de los parámetros de productividad establecidos por el Ejecutivo Nacional.

Enfatiza la nueva LTDA sobre la estructuración del fundo colectivo para la producción, privilegiando el sistema cooperativo, colectivo y comunitario; así mismo las actividades de mecanización, recolección, transporte, transformación y mercadeo de productos agrarios, se establecerán a través de organizaciones colectivas (cooperativas).

- Problemas que la Ley tiende a corregir

(i) La importancia del sector agrícola ha venido reduciéndose a lo largo de los años. El desempeño de las instituciones del agro, particularmente de ejecución de la reforma agraria ha sido cada día más cuestionada y el tema de la reestructuración institucional (IAN) se consideraba necesaria, aun cuando no fuese en absoluto clara la visión estratégica. Al respecto, la LTDA ha sido causal de discusiones, reuniones y foros, que han permitido retomar la problemática de la tenencia de tierra y del sector agrario en el país, con reestructuración no-solo de la tierra sino también de las instituciones que guardan relación con el medio rural en un intento por desarrollar el sector. Aun cuando las instituciones propuestas no sean necesariamente las mejores, sin embargo se trata de un proceso que era necesario y cuya construcción no ha acabado aún, lo que deja abierto espacio de mejoramiento.

(ii) Altos niveles de pobreza en el sector rural, donde las familias generalmente no cubren sus necesidades básicas con los ingresos generados por la actividad agrícola. Al respecto, la LTDA tiene toda la mejor intención y se plantea en forma general el mejoramiento de la calidad de vida en el campo, dirigiendo las mejoras de condiciones de infraestructura rural a través de planes que ejecutara el INDER; el saneamiento de la tenencia de la tierra a través del INTI, que además deberá ejecutar planes de desarrollo rurales integrales. Si la confusión institucional parece un poco evidente al analizar las tareas de cada institución, sin embargo el problema principal en este punto será el de los fondos necesarios para traducir estas buenas intenciones en realidad.

(iii) En la diversidad de tipologías de productores /as y hasta sin tierras, existentes en el medio rural.  La Ley demuestra una marcada tendencia a proteger a las tipologías más pobres, señalando adjudicaciones de tierras para los trabajadores rurales sin tierra, a través de fundos estructurados.

iv) Alto grado de precariedad existente en cuanto a la propiedad de la tierra, con consecuencias en una minifundizaciónes y concentraciones de la propiedad; la Ley es precisa en cuanto a este tema, e interviene directamente a solucionar este problema a través de permitir por un lado la posibilidad de ampliar la frontera en casos de minifundismo, y controlando las concentraciones de propiedad a través de entre otros, los impuestos a la ociosidad.

(v) Deficiente infraestructura física en los espacios rurales, así como servicios de salud, educación, transferencia de tecnología, organización, capacitación y asistencia; la ley designa al INDER como ejecutor de infraestructura necesaria para el medio rural, así como para la capacitación y asistencia técnica. Como se decía al punto (ii), las intenciones parecen muy buenas, lo que no queda evidente son los recursos.

(vi) Un sistema de catastro descentralizado e integrado.  La idea parece potencialmente viable, aunque todavía necesitaría ser desglosada. El problema principal, como se explica en otra parte del informe, es que la implementación no conflictiva de esta medida solo parece posible cuando exista una solución aceptada por las partes sociales en torno a qué hacer con las tierras públicas ocupadas por los latifundistas – empresarios.

(vii) La organización de los productores ha sido un esfuerzo infructuoso; al respecto la LTDA reitera en diversos artículos sobre la necesidad de la organización de los productores en cooperativas o asociaciones de producción, transformación, servicios, mercadeo y comercialización; a ello contribuirá el INDER. Aun cuando las referencias a modelos colectivos de los medios de producción hace pensar en referencias que nunca han funcionado en el campo, sin embargo, sin estas exageraciones, se levanta un problema existente. La duda se refiere a los modelos organizativos que se implementarán realmente y con qué recursos.

- Problemas que la ley toca superficialmente

(i) Ausencia de la equidad de género en los programas administrados por las diversas instituciones; al respecto la Ley da prioridad a la mujer (cabeza de familia) como sujeto de reforma agraria, pero no orienta su participación en especial hacia otros planes y programas de desarrollo.

(ii) Falta de coordinación e integración entre las diversas instituciones del sector, generando una consecuente dispersión de esfuerzos como resultado de la disgregación de los actores del desarrollo rural; al respecto la Ley designa las funciones específicas para cada nueva institución: INDER para promover, dirigir, coordinar y ejecutar programas y proyectos interinstitucionales e interdisciplinarios para autogestión y cogestión de la población rural, además de fortalecer las relaciones de cooperación con organismos técnicos o científicos vinculados con las áreas de competencia; el INTI deberá hacer los planes de mejoramiento a las tierras adjudicadas y llevar registros de tierras y aguas; y la CVA que tiene por objeto la parte comercial (holding). Existe un riesgo agudo que a la descoordinación institucional que existía anteriormente, cuando había solo una encargada de la LRA, se sustituya una confusión mayor ahora debido a la falta de mecanismos claros de coordinación entre ellas y con las demás instituciones, particularmente en el ámbito de los Estados.

(iii) Evidentes deficiencias en los procesos involucrados en las cadenas de producción y distribución de los productos generados en las actividades agrícolas, con una notoria distorsión en la comercialización y mercadeo de los productos agrícolas; la ley intenta solucionar el problema a través de la creación de cooperativas de producción, servicios, mercadeo y comercialización; que ya en el país han tenido experiencias negativas, pero que podrían actuar solo como paliativos en algunos casos, a no ser que se realicen estudios especiales locales y nacionales de los circuitos para determinar las soluciones adecuadas.

(iv) Escasa y casi inexistente asistencia técnica; se contempla dentro de la nueva ley, que el INDER contribuirá con el desarrollo rural en materia de capacitación y extensión, lo que a su vez indica que promoverá el adiestramiento y la capacitación técnica de los pobladores del medio rural. No hay más especificaciones, lo que deja esta gran interrogante abierta, sobre todo después de las malas evaluaciones que los productores hacen de los modelos pasados de asistencia técnica / extensión rural.

- Problemas que no encuentran respuestas en la Ley

(i) La crítica situación en el medio rural, origina una dispersión de la mano de obra hacia otras áreas más competitivas, así como un proceso migratorio hacia los centros urbanos; a este respecto, la Ley plantea en forma general el mejoramiento de las condiciones existentes en el medio rural, lo que requerirá además de grandes inversiones referidas desde infraestructura hasta facilitar los recursos económicos para la producción, lo cual evidentemente con las tasas de interés existentes (poco atractivas) no podrá dar respuestas en el corto plazo, escasamente se creara empleo rural, por lo tanto difícilmente la agricultura no podrá competir con los salarios de otras áreas (industria) para evitar la fuga de mano de obra agrícola. 

(ii) Falta de participación de los productores (as) en los programas y planes de desarrollo local, con una implementación en una orientación de arriba hacia abajo, con el consecuente fracaso por la forma impositiva de aplicación; al respecto la nueva LTDA no plantea ningún cambio, ya que, primeramente la misma no es producto del consenso general entre los interesados del sector; en segundo lugar menciona un Plan Nacional de Seguridad Agroalimentario, que por los momentos es inexistente y tanto productores como campesinos desconocen totalmente la forma en que será elaborado; en tercer lugar, las nuevas adjudicaciones se harán a través de fundos colectivos con orientación a cooperativas de producción, de servicios y comercialización, para lo que debería igualmente existir el consenso y aceptación de los campesinos, como beneficiarios y ejecutores, considerando los fracasos en colectivismo de producción existentes en Venezuela y el mundo.. 

(iii) El sistema de crédito. Tanto los grandes como los pequeños productores sufren de las altas tasas y de la dificultad de acceder al crédito. A esto se le suma la ineficiencia del sistema bancario. 

En resumen, las condiciones para crear unidades productivas viables económicamente y sostenibles socialmente y ambientalmente no están claramente dadas, particularmente en lo que se refiere a los aspectos críticos detectados por el proyecto que FAO realizó recientemente: asistencia técnica, crédito, problemas de organización para fines de mercadeo y comercialización. Son todos aspectos que quedan poco claros, lo que permite de ver el problema de la seguridad de la tenencia bajo otro ángulo; la seguridad que el Ejecutivo pretende darle a los más pobres y a los nuevos asignatarios, a través la imposibilidad de enajenar las tierras, de poco sirve si no hay condiciones para su consolidación económica.

En el pasado ya se dieron intensos mercados informales de tierras, a pesar de su prohibición. Es posible avanzar la hipótesis que, en ausencia de condiciones favorables para su consolidación, estas parcelas pasen a seguir el mismo camino por el cual ya pasaron las anteriores, volviendo a continuar la reconstitución del latifundio, contra el cual la LTDA pretende actuar.

4. Cuales problemas podrían aparecer como resultado de la nueva legislación

La nueva LTDA promueve la continuidad de un proceso de reforma agraria, a través del cambio de la estructura agraria, pero como consecuencia de un Plan Nacional de Seguridad Alimentario, en la búsqueda de la seguridad agroalimentaria de la población, para ello regula el acceso y uso de las tierras privadas y públicas, y por ende a todas las tipologías de productores existentes en el medio rural, con especial énfasis en las zonas de mejores suelos agrícolas donde se localizan los focos de acción en los denominados Polígonos Rurales, transformando no solo la tenencia de la tierra sino también la productividad; en consecuencia es una Ley con alto contenido impositivo y poco de participativo; los resultados de la implementación y las dificultades para la aplicación de la ley podrían resultar en:

(i) Aumento del conflicto en el campo (como ya se observa en ciertas zonas, particularmente la occidental-Sur del Lago); siendo más protegidos los invasores que los invadidos, esto puede dar impulso a reacciones fuertes por parte de los empresarios – latifundistas. En la zona de sur del lago, existen declaraciones recientes que hacen pensar sobre la hipótesis de una resistencia armada a las invasiones (ya hay señales de incidentes, con muertos, referidos en diarios de circulación nacional).

(ii) Reducción de la producción agrícola, debido a: a) disminución de superficie de siembra ocasionado por las invasiones generalmente a fincas altamente  productivas, o por las ventas de fincas por la inseguridad generada en el sector; b) mayor dificultad de acceder al crédito (sobre todo este año, cuando se suma la transición institucional, el conflicto por el contenido de la nueva Ley y el atraso de los Bancos a colocar crédito en el sistema) cuanto a una posible estrategia de sabotaje de la misma por parte de sectores intencionados en resistir al gobierno; c) la percepción de mayor inseguridad de tenencia por parte de los grandes productores, aunado a las expresiones fuertes pronunciadas por sus gremios. 

Así que el escenario no es si habrá reducción, sino de cuánto. Sobre este punto parece difícil adelantarse mucho porque no hemos tenido todavía posibilidad de ir más allá de las especulaciones de los ganaderos (que están en primera fila entre los resistentes) y cuyos datos hemos mencionados anteriormente. En la segunda parte de la misión intentaremos completar este escenario con las hipótesis del gobierno.

Notas
(i) Zonas Económicas Especiales. Versión Preliminar. MPD. 2001
(ii) Gaceta Oficial N. 37.118 de fecha 12/01/01
(iii) es correcto señalar que la primera propuesta de Ley fue avanzada por el grupo de la oposición Primero Justicia; sin embargo, la propuesta elaborada actualmente por el gobierno es considerada como muy similar a la de la oposición, para lo cual no se prevén mayores obstáculos parlamentarios para su aprobación