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giovedì 30 aprile 2020

2020 L21: Dacia Maraini - La lunga vita di Marianna Ucrìa


Rizzoli 1990

Sicilia, prima metà del 1700. Le famiglie nobili conducono le loro confortevoli esistenze tra la ricca città di Palermo ‒ in cui si susseguono roghi e impiccagioni di eretici ‒ e i possedimenti nelle terre intorno a Bagheria. La piccola Marianna, figlia del duca Signoretto Ucrìa di Fontanasalsa, ha solo sette anni quando il padre la conduce di fronte al patibolo, per assistere all’impiccagione di un ragazzino. La bimba è sordomuta e la speranza del genitore è che il trauma la scuota al punto da costringerla a parlare. Non accade. Gli anni passano e le speranze per questa fanciulla dalla “gola di pietra” scemano, per quanto bella coi suoi occhi azzurri e la morbida chioma bionda, che dote potrà garantire a una figlia così “difettosa”? Nessuno la vorrà. Mentre i piani per la sistemazione degli altri figli prendono forma, tra matrimoni d’interesse e consacrazioni monacali, anche per Marianna arriva la soluzione. Appena tredicenne viene data in moglie al fratello di sua madre, il duca Pietro, uno zio severo e schivo che di anni ne ha 46. Nonostante l’opposizione della ragazzina prima delle nozze e la fuga in seguito allo stupro da parte del marito, Marianna viene costretta ad accettare il suo destino. Non può aspettarsi di più, non può gettare la famiglia nello scandalo, deve obbedire a chi ha scelto per lei la soluzione migliore. Consapevole di non avere scampo, la ragazza comincia a vivere la sua nuova vita, fatta di parti, languori, piccoli trionfi e grandi struggimenti…

Non è mai troppo tardi. Ritrovato questo vecchio romanzo in casa, che non avevo mai letto prima. Ottima lettura.

2020 L20: Jo Nesbo - Les cafards


Gallimard, 2006

Un somptueux couteau thaïlandais enduit de graisse norvégienne est retrouvé planté dans le dos d'un ambassadeur scandinave. L'homme est mort dans une chambre de passe à Bangkok. Près de lui, une valise au contenu sulfureux : de quoi nuire, de quoi faire très mal... 

À peine revenu d'Australie, Harry Hole repart pour l'Asie, ses usages millénaires, ses secrets et sa criminalité dont il ignore tout. Toujours aussi cynique, intimement blessé, l'inspecteur venu d'Oslo va se heurter de plein fouet à cette culture ancestrale en pleine mutation

. Un tueur local monstrueux le traque sans relâche. L'affaire se complique au-delà de la raison. Bangkok reste une ville à part. 

Un mystère pour celui qui s'y arrête. Hole ira jusqu'au bout, au plus profond du cœur d'un homme, jusqu'à l'invraisemblable...

Il solito complicatissimo Nesbo. Stavolta spediscono Harry Hole a conoscere la splendida Bangkok. Strano che ci siamo dimenticati di leggerlo prima di andarci. Comunque, per chi ama il genere, bello.

martedì 21 aprile 2020

2020 L19: Il mondo di Gianni Mura


La Repubblica, aprile 2020

Gianni Mura: un grande! Moltissime le interviste e gli articoli da rileggere con piacere. Una nota speciale alle pagine dedicate a Veronelli, anarco-enologo!!!


lunedì 20 aprile 2020

2020 L18: Daniela Comastri Montanari - Saturnalia



Hobby & Work Publishing, 2002

Roma, anno 46 d. C. Il senatore Publio Aurelio Stazio è appena tornato dalla Gallia, giusto in tempo per celebrare il rito dei Saturnalia, l'equivalente latino dell'odierno carnevale. Nel corso dei Saturnalia i padroni si trasformano in schiavi e gli schiavi in padroni. Ma cosa succede quando qualcuno, approfittando del capovolgimento di ruoli, decide di attuare una feroce catena di omicidi, apparentemente scollegati ma in realtà connessi da sottilissimi fili? A Publio Aurelio non rimarrà altro da fare che calarsi per l'ennesima volta nei panni investigativi che da sempre lo accompagnano e lanciarsi nell'inchiesta più pericolosa della sua carriera.

Interessante questo tuffo nel passato. Il libro mi è piaciuto!

mercoledì 15 aprile 2020

Mestiere difficile fare il giornalista, caro Ludovico Mori

Sul Venerdì della Repubblica di questa settimana appare una intervista a Evo Morales da parte di Ludovico Mori. Dato che era un po' di tempo che non si sentiva il caro Evo, mi è sembrato interessante leggerla. Ovviamente speravo che il giornalista, dopo aver certamente letto e conosciuto tutte le questioni aperte della lunga presidenza Morales, che riporto qui sotto per chi avesse voglia di saperne di più, lo interrogasse, da buon giornalista e non da leccaculo qualsiasi. Ho perso il mio tempo. Una intervista ai limiti del ridicolo che fa pensare quanto il giornalismo italiano abbia ancora tanta strada da fare prima di poter cimentarsi con quello che succede nel mondo.

Evo Morales, come spesso i vari leader di sinistra, si è presentato ammantato di sogni e belle speranze. Tutte puntualmente deluse. Noi avemmo modo di avere una anteprima quando organizzammo la Conferenza Internazionale sulla Riforma Agraria e lo Sviluppo Rurale nel 2006 in Brasile, a due ore da casa sua. Era già Presidente e già allora parlava dei diritti degli indigeni e tutto il resto. Ci sembrò quindi ovvio invitarlo, sperando che potesse giocare un ruolo di primo piano su questi temi a livello mondiale. Non si degnò nemmeno di rispondere, eppure non ero io a chiederglielo e nemmeno il mio direttore, ma l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'agricoltura e l'Alimentazione, insomma la FAO. Zero virgola zero.

Con gli anni, seguendolo da vicino grazie a amici boliviani, abbiamo visto cosa ha fato in realtà per gli indigeni, vedi il caso del Tipni, dei cocaleros e tutto quanto varie testate internazionali hanno riportato. 

Nulla di questo ha meritato la benché minima domanda da parte del nostro giornalista. Vergogna!

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“Morales, como presidente de Bolivia, es responsable de la violación sistemática de los derechos fundamentales que viven día sí y día también tantísimas comunidades indígenas en Bolivia”, dice a Euronews Laura de Luis de Survival International, quien critica los modelos económicos promovidos por el mandatario boliviano basados en el agronegocio y la ganadería.
Amnistía Internacional (AI) también expresa preocupación en torno a la garantía de los derechos humanos de los pueblos indígenas en Bolivia. Maria Jose Veramendi de AI señala el caso del pueblo indígena Tacana II, en aislamiento voluntario en la Amazonía boliviana. La Comisión Interamericana de Derechos Humanos (CIDH) recibió en 2016 una solicitud de medidas cautelares para proteger a esta comunidad, cuya supervivencia se vería afectada por la exploración petrolífera en su territorio. A día de hoy, esta petición aún no ha sido resuelta.
Otro ejemplo que cita Veramendi es cuando Morales anunció en 2011 la construcción de una carretera que cruzaría el Territorio Indígena y Parque Nacional Isiboro-Sécure (TIPNIS), una de las principales reservas de agua del país y donde vivían aproximadamente 14.000 personas, la mayoría de ellas de comunidades indígenas. A pesar de las manifestaciones en contra del proyecto y del rechazo de las comunidades indígenas de la zona, el Gobierno no dio marcha atrás.
Reynaldo Flores Díaz, defensor de los Derechos Humanos, fue uno de los líderes de este movimiento y asegura a Euronews que al encontrar resistencia, el Estado boliviano “compró algunos líderes indígenas”.
Estos supuestos sobornos se enmarcan en uno de los mayores casos de corrupción de la historia reciente de Bolivia. Más de 200 personas están siendo procesadas por presunta corrupción del Fondo Indígena, por el que millones de dólares destinados al desarrollo de zonas indígenas acabaron en cuentas particulares, utilizados según el activista, para “comprar líderes” y así fragmentar y dividir la Amazonía.

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En Bolivia, los indígenas están divididos entre los que apoyan al presidente Evo Morales y los que rompieron su relación con el Gobierno. Esto ocurre tanto en tierras altas, donde habitan los aymaras y los quechuas, y en tierras bajas, donde se ubican las otras 34 nacionalidades nativas reconocidas por la Constitución.
Lo propio ocurre con los productores de coca, que en la primera etapa del Gobierno de Morales respaldaban en bloque las políticas del mandatario, pero en la actualidad están confrontados en dos bandos. Los cocaleros son también indígenas.
Un día antes de asumir el mando constitucional, el 21 de enero de 2006, Morales fue ungido como líder de los pueblos indígenas de Bolivia y de América en una ceremonia ancestral cargada de simbolismo en las ruinas de Tiwanacu.
Una vez en el poder, impulsó una nueva Constitución en la que amplió los derechos de los pueblos indígenas y reconoció las 36 nacionalidades. En paralelo, el Gobierno impulsó la enseñanza de los idiomas nativos en las escuelas y la administración pública.
En declaraciones a France 24, el canciller de Bolivia, el quechua Diego Pary, destacó que Morales, en su condición de líder de los pueblos indígenas de la región, "ha encabezado en el mundo la promoción de los derechos de los pueblos indígenas".
Recuerda que se ha logrado la Declaración Americana sobre los Derechos de los Pueblos Indígenas en la OEA y que se ha incorporado a la Constitución la Declaración Universal de los derechos de los pueblos indígenas de la ONU, instrumento que, además, se ha convertido en ley de cumplimiento obligatorio.
El Tipnis marca un antes y un después
Pero, los más de 13 años en el poder desgastaron la relación y terminaron por fracturar al movimiento indígena.El punto culminante de esta fractura fue la marcha en 2011 de los habitantes del Territorio Indígena del Parque Nacional Isiboro Sécure (Tipnis) que se opusieron a la construcción de una carretera por mitad de esa reserva natural. En su afán de llegar a La Paz con su protesta, los indígenas fueron reprimidos en un punto denominado Chaparina.
Líderes indígenas, dirigentes de clase media e incluso algunos cuadros del oficialismo rompieron con el Gobierno y se convirtieron en los más duros opositores poniendo en duda que el de Morales sea un gobierno indígena y ecologista porque la consulta que los pueblos indígenas reclamaban para avalar la construcción de la carretera había sido tardía y manipulada.
Tras esos hechos, las organizaciones indígenas fueron tomadas por dirigentes afines al oficialismo y los dirigentes que rompieron terminaron conformando otras organizaciones. Ahí radica la división que existe hasta la actualidad.
El dirigente de los campesinos contrarios a Morales, Felipe Quispe, afirmó a France 24 que los indígenas son perseguidos por el Gobierno, por lo que la organización que dirige no puede ni siquiera conseguir personería jurídica.
"Nosotros, con mucho respeto, hemos visto su rostro, porque su rostro también es nuestro rostro, su nariz ligeramente curvada es pues de nuestra raza aymara, pero desgraciadamente nos habíamos equivocado, había sido nuestro verdugo", lamenta Quispe, un exguerrillero que fue compañero de lucha del ahora vicepresidente Álvaro García Linera.
Cocaleros del Chapare y cocaleros de los Yungas
Algo parecido ocurrió con los cocaleros, aunque por motivos diferentes. Evo Morales, además de ser presidente del país, es el máximo dirigente de los cocaleros del Chapare, del departamento de Cochabamba, por lo que los productores de coca de los Yungas, del departamento de La Paz, lo acusan de favorecer únicamente a su sector.
La mayor parte de la coca de Los Yungas era legal y estaba destinada a usos tradicionales. A la inversa, la mayor parte de la coca del Chapare era ilegal y, según Naciones Unidas, más del 90% de esa producción no pasaba por los mercados tradicionales.
En marzo de 2017, Morales aprobó la controvertida Ley de la Coca, que legaliza los cultivos del Chapare, lo que fue rechazado por los cocaleros de los Yungas. Ellos consideran que son los verdaderos productores de la coca tradicional por lo que pedían la ampliación de sus parcelas, en cambio, sostienen que la producción del chapare va al narcotráfico.
Tras este hito, se desató una fuerte pugna de los cocaleros de Yungas en contra del gobierno de Morales, que ha derivado en el encarcelamiento de sus dos principales dirigentes, Franclin Gutiérrez y Sergio Pampa, acusados de delitos que ellos niegan.
El dirigente cocalero yungueño, Teodomiro Meneses, explica a France 24 que "al inicio del Gobierno de Evo Morales todo estaba bien, porque el discurso era que iba a exportar y a industrializar la coca, pero ha dado el favoritismo a su sector y no al sector originario ancestral de los Yungas".
Tanto Quispe como Meneses aseguran que los presos son muchos más y que todos ellos son perseguidos del gobierno de Evo Morales.

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En Bolivia, la base indígena le retira su apoyo a Evo Morales

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CARMEN DEL EMERO, Bolivia — En este remoto poblado indígena boliviano se aplica la misma regla desde hace generaciones: los líderes pueden reelegirse solo una vez. Después deben permitir que alguien más asuma el poder.
Así que a Nelo Yarari, líder de Carmen del Emero, una comunidad de indígenas tacanas de la Amazonía boliviana, le sorprendió que el presidente Evo Morales anunciara su candidatura para contender por un cuarto periodo al frente del país a partir del próximo mes.
La constitución de Bolivia le prohíbe hacerlo y Morales perdió hace dos años un referendo que podría haberle permitido postularse de nuevo. En vez de darse por vencido, recurrió a los tribunales, que se encargaron de desechar los límites establecidos para el mandato presidencial en ese país.
Un aspecto en especial enfadó a Yarari: cuando se convirtió en el primer dirigente de origen indígena de Bolivia, Morales se comprometió a defender los valores de los pueblos nativos desde el palacio presidencial.
Al pretender participar en la contienda para asegurar un cuarto mandato, Morales contraviene un principio básico de los tacanas: compartir el poder. Además, ha promovido la extracción de petróleo y gas en áreas protegidas y ha propuesto presas hidroeléctricas que requerirían desplazar a algunas comunidades nativas.
“Aquí no lo consideramos indígena”, afirmó Yarari. “Nos ha dado la espalda”.
Con elecciones programadas para el 2019, la posibilidad de una presidencia sin límites ha causado mayor inquietud en América Latina, donde cada vez más factores parecen amenazar a la democracia.
En Venezuela, el presidente Nicolás Maduro ahora gobierna como un autócrata, después de ampliar su mandato este año mediante elecciones que muchos consideraron amañadas. Más de trescientas personas murieron en Nicaragua durante manifestaciones para ponerle fin al tercer mandato de Daniel Ortega.
Además, algunos consideran que el apoyo expresado por Morales a las acciones represivas de Maduro y Ortega, así como su propio historial de ataques en contra de los medios y designaciones de jueces leales a él, son una expresión de sus tendencias autócratas.
“Evo ahora se pregunta: ‘¿Qué puedo hacer para permanecer en el poder?’”, señaló Marcelo Arequipa, profesor de Ciencias Políticas de la Universidad Católica de Bolivia en La Paz. “Este tema ahora es tan importante que puede involucrar medidas para eludir las disposiciones de la constitución”.
Morales, exlíder sindical de los cocaleros, resultó electo por primera vez en 2005, con un amplio apoyo de la mayoría indígena del país y reorientó las políticas de una forma nunca antes vista desde la conquista española de Bolivia. Convocó la elaboración de una nueva constitución, prometió revertir siglos de racismo y se rehusó a utilizar trajes de estilo occidental, sustituyéndolos por vestimenta con diseños indígenas.
En un principio, muchos residentes de Carmen del Emero, que se encuentra a dos días de viaje por el cauce del río desde el pueblo de Rurrenabaque y a más de 400 kilómetros al norte de la capital, vieron a Morales como la antítesis de una larga cadena de líderes que no habían representado sus intereses.
Su predecesor, Gonzalo Sánchez de Lozada (conocido como el Gringo porque se crió en Estados Unidos y hablaba español con acento estadounidense), aumentó los impuestos a los pobres y dirigió la matanza de manifestantes indígenas aimaras antes de exiliarse en Washington en 2003.

Morales prometió algo diferente. Proclamó la inclusión de los grupos indígenas, cortó vínculos con los programas estadounidenses de erradicación de la coca que afectaban a los productores y aprovechó la riqueza del Estado para reducir la tasa de pobreza a la mitad en 2012.

Sin embargo, doce años después de su ascenso a la presidencia, muchos grupos indígenas cuestionan las motivaciones de Morales para aferrarse a la presidencia, pues creen que en vez de ser los intereses de las comunidades son sus propias ambiciones políticas las que lo guían.
El pueblo pesquero de los urus, asentado en el altiplano boliviano, vio desaparecer su lago y con él su forma de vida durante el mandato de Morales, debido a los efectos del cambio climático y a que el gobierno decidió desviar agua para subsidiar a grandes granjas.
Los tacanas se han opuesto desde hace años a Morales, quien desempolvó ciertos planes de un gobierno anterior de construir una presa hidroeléctrica cerca del Parque Nacional Madidi, un área en la que viven muchos miembros de ese grupo.
“Seremos los primeros desplazados a causa de este plan”, se lamentó Felcin Cartagena, residente de San Miguel, un pueblo río abajo del sitio de la presa.
Incluso algunos productores indígenas de coca, la base del presidente en los primeros años, lo han abandonado. En octubre, un sindicato de cocaleros de la región Yungas expresó su respaldo al expresidente Carlos Mesa –el principal rival de Morales en la contienda– tras el arresto de uno de los líderes sindicales, a quien se acusó de haber planeado una emboscada en la que murió un soldado. El grupo afirmó que Morales intentaba acabar con el sindicato mediante acusaciones falsas en contra de su líder.
Morales se ha esforzado mucho para permanecer en el cargo, incluso convocó una asamblea constitucional durante su primer mandato que le permitió postularse dos veces más e impulsar el referendo de 2016 que le podría haber autorizado a presentar su candidatura para un cuarto periodo presidencial.
Después de que esa estrategia fracasó por un ligero margen, el Tribunal Constitucional, en su mayoría leal a Morales, resolvió el año pasado que el presidente podía postularse de nuevo. El fundamento residía en la afirmación de que imponer límites a la cantidad de mandatos era equiparable a una violación de los derechos humanos.
Adriana Salvatierra, legisladora del partido de Morales, Movimiento al Socialismo (MAS), indicó que el presidente no había incurrido en ninguna violación a la constitución ni había perdido el apoyo de los grupos nativos. Su presidencia los empodera, subrayó, porque muestra “al campesino indígena como una potencia revolucionaria”.
Opinó que, básicamente, Morales debe permanecer en el poder como un contrapeso a los líderes conservadores que van en ascenso en los países vecinos de Brasil y Chile, pues afirmó que su intención es eliminar los avances logrados por los pobres.
“Evo Morales es el único capaz de garantizar crecimiento económico, estabilidad y fuentes de trabajo”, dijo.
De hecho, Morales ha tenido muchos logros en esos temas y ha logrado mantener a flote la economía boliviana a pesar de que Brasil y otras naciones de la región se sumieron en una recesión tras el desplome de los precios de las materias primas. No obstante, estos motivos no son suficientes, ni siquiera para muchos de los antiguos partidarios de Morales.

“Nuestro presidente ha violado la constitución; independientemente de que haya tenido o no un buen desempeño, se trata de la constitución”, aseveró Yarari, líder de Carmen del Emero.
Los tacanas tomaron la noticia de la primera elección de Morales como una victoria propia y como una prueba de que, por fin, el gobierno nacional comenzaría a tener presencia en ese distante pueblo, enfatizó. Muy pronto, el gobierno comenzó a recaudar impuestos en Carmen del Emero. Los tacanas deben pagar por los caimanes que cazan y la madera que recolectan.
Por desgracia, nunca recibieron servicios del gobierno. La escuela del pueblo se construyó hace cuarenta años y el centro de salud tiene treinta años de antigüedad, pero ninguno ha recibido mantenimiento, señaló Yarari. Cuando las inundaciones afectaron al poblado en 2014 y lo dejaron cubierto de lodo durante meses, quien vino a ayudar fue la Cruz Roja, dijo el líder.
Río arriba del cauce del Beni se encuentra San Miguel, que se manifestó en contra de Morales por las presas hidroeléctricas propuestas. Si se construyen, podrían inundar regiones cercanas al Parque Nacional Madidi, al noroeste de Bolivia, considerado uno de los lugares más importantes del mundo en cuanto a biodiversidad.
Los tacanas se enfrentaron durante años a los gobiernos anteriores por este proyecto, y quedaron sorprendidos cuando Morales comenzó a promoverlo. En junio, el grupo indígena envió una pequeña flota de canoas río arriba para bloquear el río, con la intención de mantener a los ingenieros fuera del sitio.
El propósito del proyecto de presas es abastecer de electricidad a Brasil, pero no a los pueblos de esa área de la Amazonía, como San Luis Grande. Esto hizo enojar a Triniti Tayo Cori, líder del pueblo tsimané.

“Gracias a nuestro propio esfuerzo, el pueblo ahora tiene luz: compramos un generador, compramos cables, compramos focos”, dijo Tayo Cori al describir algunas acciones recientes para instalar alumbrado público tras varios años de pedirle al gobierno que lo hiciera.
Yerko Ilijic, abogado y politólogo boliviano, comentó que Morales basa sus cálculos en los votos: los grupos pequeños, como los tacanas y los tsimanés, no son prioridad.
“Cuando eres político, ¿con quién negocias?”, preguntó Ilijic. “Negocias con quien tenga las cifras más grandes”.
Ilijic explicó que, al parecer, Morales se ha aliado con algunos de los intereses de los terratenientes que antes combatió. En septiembre autorizó una ley que permite emplear bioetanol como aditivo en la gasolina boliviana, lo que fue visto como un favor para la industria azucarera. Las granjas que producen bioetanol desde hace tiempo han generado enojo entre los grupos indígenas porque contribuyen a la deforestación.
Algunos creen que las votaciones del próximo mes presentarán una elección difícil entre dos candidatos nada satisfactorios: Morales y Mesa. Carlos Mesa, por cierto, fungió como vicepresidente durante el gobierno de Sánchez de Lozada, el presidente acusado de ordenar la matanza de aimaras que contribuyó al ascenso de Morales al poder.
Rodrigo Quinallata, un activista aimara de la ciudad de El Alto, cerca de La Paz, promovió una campaña para impedir que Morales compitiera en más ocasiones. Quinallata asegura que continuará la lucha.
“Debemos admitir que, a fin de cuentas, alguien que viste un poncho puede ser tan corrupto como alguien que usa corbata”, sentenció.


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En Bolivia, los indígenas marchan contra la política medioambiental de Evo Morales

Primera modificación: 17/10/2019 - 00:23
Santa Cruz de la Sierra (Bolivia) (AFP)
En la entrada de Santa Cruz, punto de llegada de una marcha indígena contra el presidente Evo Morales, candidato el próximo domingo a un cuarto mandato en Bolivia, la poderosa cacica Beatriz Tapanache llora de rabia.
"Estoy preocupada porque no puede ser que nos dejen sin territorios a las generaciones que vienen. Eso no es justo. (Evo Morales) dice ser un gobernante indígena, sin embargo es un dictador", lanza Beatriz Tapanache, de 64 años y gran cacica de la región de la Chiquitania, donde viven unas 80.000 personas, duramente golpeada por recientes incendios.
Los gigantescos incendios que en agosto y septiembre quemaron en Bolivia una zona casi del tamaño de Suiza provocaron indignación en comunidades indígenas que acusan a Morales de haber traicionado a la Pachamama, Madre Tierra en quechua, en favor de ampliar territorios para la explotación de soja y ganado.
Los incendios, que arrasaron desde agosto 4,1 millones de hectáreas de bosques y pastizales, también redujeron a cenizas áreas vírgenes, las que llaman "bosque nativo", en un centenar de hectáreas de la reserva de Tucavaca, también en el departamento de Santa Cruz.
- Deforestación -
Los defensores del medioambiente reprochan al gobierno de Morales de haber aprobado recientemente una ley que autoriza un aumento de cinco a 20 hectáreas la deforestación con fuego para actividades agrícolas.
El gobierno atribuyó los incendios a la sequía, los fuertes vientos y la deforestación ilegal en el país.
"Esto se le fue de las manos al gobierno cuando personas que no saben del bosque, de la selva, de la Chiquitania (la región quemada en el este del país) y eso fue un descontrol terrible", dijo a la AFP Adolfo Chávez, líder indígena de la cuenca amazónica.
"La nación chiquitana es la más afectada, la más golpeada porque vive del día a día de la selva. Vive de la recolecta, de la fruta, de la caza, la pesca, de lo que se siembra", indicó en referencia a esta extensa llanura ubicada en el este de Bolivia, entre el Gran Chaco y la Amazonia.
Adolfo, que marcha en la larga ruta de dos vías a Santa Cruz, la capital del este del país, participó en caminatas anteriores indígenas. Como señal de la gravedad de la situación, la última movilización de aborígenes se realizó en 2012. 
Cientos de ellos marcharon contra el proyecto de carretera estatal a través de "Tipnis", un parque natural de un territorio ancestral de un millón de hectáreas donde viven 50.000 indígenas. 
Esta vez, muchos nativos no pudieron hacer el viaje, ya que la situación es difícil en ese lugar.
"¿Quién va a mantener a nuestros hermanos en los próximos seis meses? Ya no hay para hacer lo que se hace. Las viviendas se han quemado, no está la palma, (…) no están los palos que deberían estar para construir una vivienda", lamentó.
- Tierras altas, tierras bajas -
Más allá del número de participantes en esta marcha, un centenar al comienzo, luego un poco más y que espera sume al final de la tarde, lo que cuenta es lo que significa para el presidente Morales, líder aymara.
Los indígenas del Altiplano, las tierras altas, de donde proviene Morales, vinieron a apoyar a sus hermanos de las llanuras, las tierras bajas. 
Juan Jaita Aro, de 53 años, es uno de ellos. Sombrero y poncho rojo tradicional, porta, como muchos otros manifestantes, un brote de árbol en su mano. Es el Lapacho o árbol sagrado de los incas y de flores rosa, llamado "Tajibo" en Bolivia y muy presente en la Chiquitania.
Además del bosque, "también han sido calcinados los animales y contaminado el medio ambiente, por eso es que nosotros hemos venido a apoyar a nuestros hermanos indígenas de tierras bajas", dice Juan, del departamento de Potosí (oeste-oeste).
"Nosotros nunca hemos estado con Evo Morales porque también nosotros de tierras altas hemos sido vulnerados, también hemos sido avasallados, ancestralmente (...) No lo consideramos como indígena, lo consideramos como colonizador de coca del Chaparé, porque él no habla aymara, tampoco no habla quechua", cerró.

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Los piratas de la tierra: Corrupción, ilegalidad y manejo político de las tierras en Santa Cruz durante el gobierno de Evo Morales 

·       Publicado el 22/03/2020 a las 0h00 
Esta investigación fue realizada por Nathalie Iriarte y Rolando Aparicio en alianza con Connectas, con apoyo del ICFJ (International Center for Journalists), dentro de la Iniciativa para el Periodismo de Investigación en las Américas. Los Piratas de la Tierra se publica en Página Siete, El Día y Los Tiempos.
·       También puede acceder al especial multimedia de Connectas.
En 2006, cuando asumió como el primer presidente indígena de Bolivia, Evo Morales anunció una Revolución Agraria, que “beneficiaría a los campesinos e indígenas del país que necesitaran tierras para trabajar” y que “aseguraría la soberanía alimentaria”. Catorce años después, el presidente de la Pachamama, quien juraba que su programa de gobierno favorecería a los pueblos indígenas, preservaría y fortalecería su relación con la madre tierra, no solo les quedó debiendo, sino que los utilizó para fortalecer su proyecto político. Se cuestiona que se entregaron tierras a personas de zonas como Cochabamba y no así a campesinos e indígenas locales, como manda la ley. Esto se ve agravado por decenas de testimonios que aseguran que los dirigentes sindicales y las exautoridades se llenaron los bolsillos con cobros ilegales a costa del sueño de que la tierra sería para quien la trabajara.
Luego de ocho años de fallidos arranques, esta revolución explotó en 2014, cuando en el departamento de Santa Cruz, el más extenso y motor de la agroindustria en Bolivia, se cuadruplicó la entrega de tierras en relación con los años anteriores. Durante la presidencia de Evo Morales, solo en Santa Cruz se entregaron 1,7 millones de hectáreas de tierras estatales a nuevos comunarios. El equivalente a una superficie superior a toda la isla de Jamaica.
Pero lejos de ser una medida que favoreció a los sectores más pobres, dicha revolución agraria, en Santa Cruz y la región conocida como la Chiquitania, se convirtió en uno de los temas más polémicos del gobierno de Morales, puesto que las autorizaciones incumplieron los procesos de ley y sus fundamentos básicos: los beneficiarios no fueron los campesinos e indígenas sin tierra, sino que miembros de una sola organización campesina (la CSUTCB) se llevaron más del 70 % de toda la tierra a través de dirigentes que, según numerosas denuncias que hoy están siendo investigadas por el gobierno de transición, conformaron mafias para extorsionar a dueños legítimos, generar comunidades fantasmas, realizar cobros ilegales por los trámites y crear asentamientos que destruyen reservas naturales.
El Instituto Nacional de Reforma Agraria (INRA), un ente desdibujado por señalamientos de corrupción y casi 10 años de directores interinos, se convirtió en la instancia que, de manera unilateral, decidía todo: la cantidad, el lugar y los beneficiarios de entrega de tierras, pasando por encima de los controles y actores estipulados por la ley. Esto devino en autorizaciones irregulares que causaron enfrentamientos entre comunidades y cambios ilegales de uso de suelo (de manejo forestal a uso agrario), además de viciar de nulidad la mayoría de las autorizaciones de nuevas comunidades.
Los campesinos e indígenas beneficiados con las tierras son en su mayoría (70 %) migrantes de poblaciones urbanas que intentan ‘recampesinizarse’ por un pedazo de tierra y que hoy son llamados colonos en estas nuevas comunidades. Algunos de ellos tuvieron que trasladarse miles de kilómetros a lugares apartados para vivir sin acceso a agua potable ni servicios básicos, sufrir el maltrato de las instituciones gubernamentales, los cobros y abusos de dirigentes y la estigmatización por parte de las poblaciones locales en los lugares a donde llegaban (por la falta de políticas de integración). A otros les bastó afiliarse a un partido político para lograr poder y beneficios dentro de sus comunidades. Todos fueron utilizados como fichas de esta política de colonización territorial de Evo Morales. Es por eso que esta investigación los llama Los piratas de la tierra.
Esta investigación fue realizada en alianza con CONNECTAS, con apoyo del ICFJ (International Center for Journalists), dentro de la Iniciativa para el Periodismo de Investigación en las Américas. Durante cuatro meses, visitamos más de una docena de comunidades en toda la Chiquitania y otros territorios de Santa Cruz. Además, revisamos con detalle los datos de la dotación de tierras entregadas por el Ministerio de Desarrollo Rural y Tierras, y entrevistamos a expertos, instituciones, autoridades y organizaciones campesinas e indígenas. Las exautoridades protagonistas de las irregularidades que este reportaje revela —excepto Teodoro Mamani, el líder nacional de la CSUTCB— se mantuvieron en silencio sin contestar preguntas ni recibir a los periodistas.