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domenica 30 aprile 2017

2017 L16: Jean Luc Mélenchon - De la Vertu


L'Observatoire, 2017

Liberté
Il existe une liberté qui, elle, ne peut ni ne doit subir aucun encadrement, aucune limite, c'est la liberté de conscience. C'est à partir de la liberté de conscience que le reste de la personne va se former.

Egalité
Nous sommes égaux parce que nous sommes semblables. Le sentiment de l'égalité est le résultat de notre similitude.
[...] Le rapport à l'autre n'est plus de l'ordre de la compassion, ni meme de la charité. Il se présente comme un droit politique.

Fraternité
La fraternité est un liant social. Il nous apprend la valeur de l'empathie dans le fonctionnement de la société. 

 « la vertu est une ardente obligation dans l’espace public. Au moment où nos sociétés se remplissent de haine, la vertu est le liant qui nous maintiendra debout et ensemble ».

Libro dell'anno 2017!

sabato 29 aprile 2017

L’avvento inarrestabile dell’Agri-ness

L’asimmetria di potere fra chi comanda e chi sta sotto è oramai arrivata a livelli di non ritorno. La finanza e il business si comprano le classi politiche come le bustine delle figurine Panini: chi c’è dentro c’è dentro, tanto comprano tutto. I velleitari partiti socialisti che annunciavano un futuro diverso, si sono tutti venduti a quei poteri e oramai hanno cessato anche di interessarsi di chi sta sotto. Almeno una volta facevano finta di stare con i più poveri, i derelitti, i dropouts della società; adesso invece, li hanno abbandonati, cercando voti e legittimità nelle classi medie, intellettuali, Bobos e compagnia bella. La loro scommessa era che, in Europa, sarebbe andata a finire come in America e cioè che gli esclusi della vita economica si sarebbero autoescluso anche dalla vita sociale e politica. 
Calcolo sbagliato. Altri movimenti e partiti sono andati in quegli stessi posti dove una volta i partiti comunisti e socialisti prendevano valanghe di voti. Sono di orientamenti tendenzialmente di destra, a volte populisti e a volte dichiaratamente razzisti. 
Ma l’unica risposta che i “progressisti” hanno saputo dare è stato di attaccare chi li rappresentava, invece di attaccarsi ai problemi strutturali che creano questa povertà. Le scuse le abbiamo sentite per anni: l’acronimo in inglese è TINA (There Is No Alternative), non ci sono alternative, questo modello economico, vendutoci dalle classi dirigenti della finanza mondiale e dai loro leccaculi governativi, è l’unico possibile. Soldi per produrre armi, per finanziare progetti ridicoli come il Mose a Venezia, per distruggere l’ambiente dappertutto e, soprattutto, per finanziare le banche che giocano al Risiko con i nostri soldi, ecco, quelli si trovano sempre. 
Solo che adesso cominciano a tremargli le chiappe, perché pian piano il rifiuto della gente comune di queste caste di poveracci al potere, il cui unico scopo è quello di metterci la faccia, su decisioni politiche prese altrove, sta raggiungendo livelli critici e cominciano ad avvicinarsi al potere. Ricordatevi il caso italiano: il nostro arco parlamentare aveva escluso il Movimento Sociale Italiano a causa delle sue evidenti continuità con il fascio littorio. Ottima decisione, se a questa avessero fatto seguito politiche di sviluppo centrate sulle persone e non sulla coppia Agnelli-Pirelli (ladri gemelli, come si diceva giustamente all’epoca). A un certo punto anche l’MSI ha iniziato a cambiare e il cumenda Berlusca decise di “sdoganare” l’Alleanza Nazionale di Fini. Vi ricordate i lai lanciati da quanti dicevano che era uno sproposito politico che questo avrebbe fatto ripiombare l’Italia nel fascismo? AN arrivò al governo, Fini fu Ministro degli Affari Esteri e nulla di traumatico successe, a parte che anche loro, una volta dentro al circo del magna-magna, cominciarono a fare come gli altri: uno a rubare. Più non posso e due a dimenticarsi da dove venivano. Le sinistre e sinistrate decisero che il potere si guadagnava al centro dello schieramento politico, seguendo i suggerimenti che Scalfari dava loro ogni giorno dalla Repubblica, e abbandonarono alloro destino le frange marginali, ma crescenti, di povertà vecchia e nuova.
Oggi è difficile dire in Italia se siano più ladri quelli del PD o quelli di Berlusconi o gli epigoni di Fini. L’unica cosa sicura è che i poveri sono aumentati e le speranze per il futuro sono sparite. L’infelice decisione di creare una unione economico-finanziaria, abbandonando a se stessa l’idea originale di una Europa sociale e politica, ha fatto il resto. 
Il panorama attuale è sempre più simile, da un paese europeo all’altro: cache di ricchezza per le quali si devono inventare prodotti di extra lusso sempre più cari, trasmissioni televisive su come passano il tempo i rampolli di questa casta, e dietro un vuoto crescente e un rimasuglio di classe media sempre più impaurita. Hanno cercato di metterci in mezzo anche la storia dell’immigrazione, una fola anche questa inventata e gonfiata da chi non vuole cambiare modello economico (ricordiamoci che gli immigrati che abbiamo oggi in Europa, messi tutti assieme, non raggiungono la cifra di quelli che il Libano, il Libano!, ospita da solo):la speranza era di dividere, da un lato i paurosi dell’immigrato, che al massimo quindi sarebbero andati con la Lega Nord, e dall’altro i poveri veri che pian piano avrebbero anche cessato di votare.
Calcolo quanto mai erroneo. Oggi questi settori fanno sponda uno con l’altro e ci ritroviamo le destre estreme e populiste all’entrata del Palazzo. 
Ancora una volta, il problema non è di combattere loro, come continuano a dirci in Francia. Quel che si deve fare è combattere chi quel modello ha voluto e sostenuto. 
Nel mio settore lo vedo benissimo cosa abbiano significato queste politiche a favore dell’agricoltura: i piccoli sono spariti, le terre vengono rubate ogni giorno che passa, e i soli a beneficiarne sono i grandi gruppi legati alla finanza. Mangiamo sempre più merda, e siamo contenti apparentemente, dato che continuiamo a votare per quella stessa gente. In Francia, giusto per fare un esempio calzante, hanno eletto a presidente del sindacato contadino più grosso e rappresentativo, uno dei capi dei gruppi agro-industriali maggiori del paese: la volpe a difendere le galline.

L’Agri-ness è il futuro che questi complessi intricati, essenzialmente legati tutti al fondo della finanza, ci stanno preparando. Ricordatevene quando andrete a votare: è il vostro futuro e quello dei vostri figli che è in gioco. Ci distruggono il pianeta, inquinano le acque, bene collettivo, il tutto con la scusa che “creano lavoro”.Mi chiedo allora se il problema siano gli statistici, che continuano a darci dei tassi di disoccupazione enormi. Fossero veri i miracoli dell’agri-ness finanziario dovremmo essere alla ricerca disperata di personale da far venire dall’estero cn tutto sto lavoro che creano.Io vedo solo crescere il disappunto, il malumore e la rabbia. Baciamoci i gomiti finché questa rabbia si limita a votare questi movimenti di destra o populisti alla Grillo, perché il peggio deve ancora venire e il giorno che la gente ne avrà le scatole piene sul serio, ricordatevi sempre che la Francia tranquilla, un po’ plon-plon come dicono loro, è quella che ha inventato la ghigliottina per andare alla radice dei problemi con la loro casta all’epoca (luglio 1789). 

mercoledì 26 aprile 2017

2017 L15: Antonio Fusco - Ogni giorno ha il suo male

Giunti 2015
La sonnacchiosa provincia toscana di Valdenza è improvvisamente scossa dall’omicidio di una donna che viene ritrovata in casa, in una posizione innaturale e con una fascetta stringicavo attorno al collo. Si pensa subito al movente passionale, ma all’occhio esperto di Casabona, il commissario incaricato del caso, qualcosa fin da subito non quadra: troppi elementi diversi sulla scena del crimine, troppi particolari contrastanti.
Schivo, ma con una forte carica umana, reso cinico da troppi anni di mestiere alle spalle, Casabona capisce ben presto che l’omicidio è solo l’inizio di un vortice di morte: un gioco molto pericoloso in cui le regole sono quelle stringenti e folli di un serial killer. E Casabona non può che accettare la sfida. «Chiediti perché e troverai il movente e se troverai il movente sarai vicino all’assassino»: seguendo questa frase come un mantra e con l’aiuto dell’affascinante collega Cristina Belisario, Casabona cercherà di venirne a capo e per farlo sarà obbligato anche a una profonda riflessione sull’impotenza dell’essere umano rispetto alle conseguenze delle proprie azioni.
Devo dire che mi era piaciuto di più il precedente... ha un calo di tensione evidente a metà strada ma poi si riprende... insomma, se non avete di meglio va bene anche questo Fusco....

martedì 25 aprile 2017

Francia: VOTEZ BIEN, VOTEZ RIEN!


Ricapitoliamo: al primo turno vince Macron, seguito dalla Le Pen, qualificati per la finalissima di Top Chef 2017. Restano al palo i partiti storici, e Melenchon fa il triplo dei voti dei socialisti. Abbiamo quindi tre vincitori sicuri.
Emmanuel Macron, prossimo Presidente della Repubblica, non ha nemmeno tempo di essere eletto che le banche cominciamo ad aprire le bottiglie di champagne: ieri in borsa la Société Générale ha guadagnato il 10,3%, il Crédit Agricole 10,5% e la BNP 8,3% (fonte LaTribune.fr). Il candidato delle banche e della continuità col vecchio regime riceve le appiccicose dichiarazioni di voto del Presidente in carica, del suo ex-Primo Ministro, di vari pezzi grossi della destra, un ex-segretario del partito Comunista, insomma una parte importante del vecchiume che cerca di restare a galla. Immagino che anche il nostro Mastella manderà un messaggio di congratulazioni, non si sa mai cosa possa accadere.
Con lui, finalmente, la volpe della finanza è stata posta a sorvegliare il pollaio dell’economia nazionale. Auguri.
Marine Le Pen potrebbe anche andare in ferie invece di far campagna fra i due turni. Diventando una candidata “presentabile” aveva fatto il primo passo; qualificandosi per la finale ne ha fatto un altro e adesso, volente o nolente, Macron dovrà accettare di discutere con lei nel tradizionale faccia a faccia fra i due finalisti che solo una volta, nella storia recente, era saltato: quando suo padre si era trovato a sfidare Chirac. Entrare nell’agone televisivo per il dibattito finale sarà un altro punto a favore per lei. Attualmente i pronostici danno 38 punti alla Le Pen e 62 per Macron. Dovesse riuscire a passare la barra fatidica del 40%, dovrebbe andare in ginocchio fino a Gerusalemme; dico questo con ironia ma penso che potrebbe quasi farcela.
Alcuni amici su FB sono scioccati di questo risultato e inveiscono contro la stampa che avrebbe agito come un utile idiota rafforzando l’immagine di MLP. Dissento completamente da questa analisi. A mio giudizio MLP è il termometro che da parecchi anni segna il disagio crescente di forti porzioni di cittadini d’oltralpe. Quando si ha la febbre, non ci si arrabbia col termometro, ma si cerca di capire le cause, per poi affrontarle. Nel caso in esame le cause sono abbastanza chiare da parecchi anni e l’onestà vuole che si ricordi come nessun governo, di destra come di sinistra, sia riuscito a scalfirle minimamente.
Ripeto che qui non si tratta di esaminare le proposte di MLP; nessun adulto serio pensa mai che le proposte dei candidati alla Presidenza costituiscano sul serio gli impegni futuri una volta eletti. Les promesses n’engagent que ceux qui les écoutent! (dixit Henri Queuille  http://ficanas.blog.lemonde.fr/2012/03/14/les-promesses-nengagent-que-ceux-qui-les-ecoutent/). Basti ricordare Hollande e il famoso discorso del Bourget: “il mio nemico è la finanza”  http://www.latribune.fr/actualites/economie/france/20120122trib000679586/hollande-mon-veritable-adversaire-c-est-le-monde-de-la-finance.html, e poi abbiamo visto come è andata a finire. La questione ce l’aveva già chiarita Giorgio Gaber molti anni fa. La classe operaia era sostenuta politicamente dai partiti socialista e comunista. Con gli anni questi partiti sono diventati forze “ragionevoli”, spostando il loro baricentro verso altre zone dello scacchiere politico nonché altri elettorati, dimenticandosi – o non avendo granché da dire – al loro ex-zoccolo duro. La “classe” operaia si è pian piano disintegrata in una miriade di individui, sempre proletari ma non più classe. Il sentimento di fragilità è rimasto come era prima, anzi si è acuito via via che le crisi si ripetevano. A quel punto le forze fuori sistema si sono avvicinate, con una capacità di empatia nuova, quella stessa che una volta avevano le forze di sinistra. 
Lasciati da soli, pian piano questi individui, i “forgotten” americani, hanno cominciato ad ascoltare queste nuove sirene e pian piano anche a votarle. Noi ne abbiamo un caso eclatante in Italia, dunque perché stupirsi che questo succeda anche altrove? Occhio, che non sto dicendo che queste nuove forze fuori sistema siano necessariamente fasciste; sto solo dicendo che mentre i partitini di estrema sinistra non sono mai riusciti a creare un minimo di empatia al di fuori del circolo ristretto dei loro sostenitori, che valgono lo 0, %, queste altre forze sono riuscite a costruire un immaginario che si vende bene.
Melenchon ha dimostrato che esiste un elettorato abbandonato, e che MLP non è l’unica a poter razzolare in quel cortile. Certo lei ci ha messo anche il tema della sicurezza, della caccia all’immigrato, che in periodi di crisi, quando le grandi forze politiche non hanno nessuna capacità propositiva, diventa un altro fattore coagulante. Resta il fatto che la base dei “forgotten” è molto grande e che, con il modo di far politica attuale, rischia solo di aumentare. Pensare che un prodotto della finanza come Macron possa avere delle soluzioni per loro, vuol dire realmente credere alle favole. La continuazione delle politiche restrittive attuali, che portano soldi alle banche e non ai cittadini, continuerà a colpire molto anche la classe media, cioè una parte di quel 20% che ha votato Fillon, e il 5% che ha votato Nicolas Dupont Aignan.
Quindi, mutatis mutandis, se le forze progressiste, guidate da Melenchon, non riescono a organizzare uno sforzo politico colossale, per reinserirsi in quei territori abbandonati, le elezioni di quest’ano saranno solo l’aperitivo del 2022 quando MLP avrà i pieni poteri.
Per il secondo turno, lo slogan, ripreso da Renaud, è semplice: VOTEZ BIEN, VOTEZ RIEN!

lunedì 24 aprile 2017

Bangkok: caro e dolce supermercato

lasciamo decantare i risultati francesi e andiamo a far la spesa al nostro Tesco: la parte verdure è interessante, lascio a voi farvi un'opinione sulla parte macelleria....








domenica 23 aprile 2017

Francia - si vota: diamo i numeri!

Eccoci arrivati al primo giro della giostra francese: degli 11 candidati, di cui 4 compongono il gruppetto di testa, stasera ne resteranno 2, pronti ad affrontare il secondo turno ai primi di maggio.

Il settore della finanza ha già fatto sapere quale sarebbe il risultato ideale: Macron-Fillon, cioè i due campioni della finanza (Macron) e della destra neoliberale (Fillon). Quindi questo è per noi il peggior risultato: incrociamo le dita e facciamo gli scongiuri perché non succeda.

La destra neoliberale preferirebbe invece un altro risultato: Le Pen contro Fillon. In questo modo salverebbero il partito (i cosiddetti Repubblicani, nome inventato da Sarkozy) ed anche il potere dato che il solito fronte repubblicano eleggerebbe Fillon con una marea di voti. 

La paura dei neoliberali per quanto riguarda la tenuta del loro partito, si deve alla mescolanza di voti di origini diverse che stanno convergendo sul candidato della finanza, Macron. Un tipo senza partito ma con solidissimi appoggi, quelli veri, cioè i finanzieri nazionali ed internazionali. Con quella faccia da angoletto, discorsi al limite del mistico e una capacità di non dire nulla di compromettente, si è tirato dietro una coorte che svaria dal vecchio leader comunista a pezzi importanti del partito socialista, come lo spudorato ex-primo ministro Valls, rinchiuso in casa a mangiarsi le unghie a causa di Macron la persona che più odia ma alla quale ha giurato alleanza e rispetto (come aveva fatto qualche settimana prima al momento delle primarie socialiste). Macron però recuperato appoggi anche dentro la destra e il centro, così rischiando di svuotare, almeno in parte, il bacino elettorale dei Repubblicani. Vincesse Macron, il partito rischierebbe sul serio di spaccarsi, nella migliore delle ipotesi, o addirittura di sparire, inghiottito da Macron.

Questa stessa paura abita il condominio socialista. Il candidato ufficiale, il frondista Hamon, malgrado tutte le promesse e i giuramenti dei partecipanti alle primarie di appoggiare chi di loro le avesse vinte, si è trovato ben presto da solo, con Valls che l’ha abbandonato come un cane, da buon traditore politico come è sempre stato, seguito da vari altri vecchi elefanti socialisti. Il povero Hamon non si aspettava di vincere le primarie e da quel giorno lo si vede andar in giro cercando un discorso che piaccia ai suoi vecchi appoggi di sinistra, un terreno che però era già stato occupato nel frattempo dal candidato della Francia Non Sottomessa, Jean Lui Melenchon, ma anche a quel pubblico che nel 2012 aveva eletto Hollande. Non ci riesce, sia perché l’eredità fallimentare del quinquennio di Hollande pesa come un macigno, ma anche perché la rottura interna al partito fra il gruppo di cui fa parte, i frondisti, e i vecchi elefanti, era già totale: visioni diametralmente opposte su quasi tutto, per cui ogni minimo movimento verso gli elefanti gli fa perdere voti a sinistra. Detto questo, Hamon resta il candidato ufficiale del partito e il segretario nazionale, Cambadelis, ha detto chiaro e tondo (ma non lo ha scritto su nessun statuto) che chi non sostiene il candidato ufficiale e tradisce verso altri, cioè Macron, non sarà candidato alle elezioni politiche successive. Vincesse Macron, il rischio è simmetrico che quello della destra e cioè che il PS sparisca. I sondaggi attuali danno molto meno del 10% al loro candidato il che significherebbe pochissimi posti di deputato da vincere alle elezioni successive. 

Quindi per i socialisti la finale ideale sarebbe la stessa dei repubblicani: Le Pen contro Fillon. In questo modo si eliminerebbe non solo Hamon, che non ha nessuna speranza, ma anche Macron e quindi la ricomposizione interna potrebbe rifarsi lungo l’asse Hollande.

Guardando dalla destra estrema, Marine Le Pen spera essenzialmente di essere al secondo turno. Sembra semplice ma tanti sono stati gli errori dei sondagggisti che lei non ci crede finché non avrà visto i numeri. A partire da lì, più o meno vale tutto. L’ambizione ver non è per queste elezioni ma per le prossime fra 5 anni. Con queste elezioni lei ha già raggiunto il primo obiettivo, di presentarsi come un candidato come un altro, cioè si è resa “presentabile”. Questo conta moltissimo in Francia, perché il consenso repubblicano finora era che il Fronte Nazionale non era come gli altri, più o meno la posizione del MSI prima che Berlusconi lo rimettesse in circolazione. Resasi presentabile, al prossimo giro sarà molto difficile chiamare al fronte repubblicano contro di lei, e le sue chances di vittoria aumenterebbero parecchio anche perché, nel frattempo, avrebbe finalmente un gruppo parlamentare, grazie all’effetto traino che le porterebbe il solo fatto di essere arrivata in finale.

Poi resta l’incognita della finale. Fosse contro Fillon, i due si disputerebbero un elettorato simile, ma con forti possibilità che i numeri e il famoso fronte repubblicano, giochino a favore di Fillon. Quindi per lei la migliore opzione, tra quelle sul tappeto, resta di essere contro Macron. Non essendoci i Repubblicani in finale, lei potrebbe attirare una parte dei voti della destra di quel partito, che non sopporta Macron, per cui potrebbe addirittura giocarsela, perdendo di non molto, cioè passando la barra del 40%, il che sarebbe una bomba innescata per il 2022.

Resta da vedere come la vediamo con gli occhi di sinistra. L’opzione minima sarebbe che passasse Fillon, in modo che il partito socialista non riesca a trasformarsi nella base elettorale di Macron e ritorni a dilaniarsi nelle lotte interne. Scenario simile a quello sperato dai socialisti, almeno a quelli che sperano ancora di riuscire a tenere assieme quel che resta del partito. Con un Melenchon attorno al 19%, un Macron di poco sopra (e sorpassato da Fillon) e un candidato ufficiale (Hamon) ridotto al 8%, Melenchon potrebbe avere le carte giuste per dettare, da fuori, la ricomposizione del partito socialista all’interno di una coalizione progressista più amplia.

Da ultimo, il sogno di essere lui a sfidare la Le Pen. Nessun opinionista crede a questa possibilità, che sembra realmente molto remota. Ambedue temuti dalla finanza, la partita potrebbe essere realmente rivoluzionaria, qualsiasi fosse il risultato finale. Ambedue pongono al centro un ripensamento completo del rapporto con Bruxelles, attraverso la stessa minaccia di abbandonare l’Euro (il che vorrebbe dire automaticamente la sua fine). Hanno proposte politiche diverse e in molti casi opposte, ma pescano in parte nello stesso elettorato proletario o sottoproletario che da anni ha abbandonato i partiti di sinistra per spostarsi a destra. Melenchon sta riuscendo a presentarsi come un candidato credibile per queste forze isolate ma numericamente importanti. Vedremo, al sogno non si pone limiti.

Chiudo dando anch’io le mie cifre: 
Le Pen 24%
Macron 21%
Fillon 20,5%
Melenchon 19,%

Hamon 7,5%

e gli altri a seguire 

mercoledì 19 aprile 2017

Décadas perdidas (para siempre)?

Me tomo una cerveza, pienso a la conmemoración del ano pasado después la caída del gobierno de Dilma Rousseff y, por extension, me pongo a pensar a estas décadas pasadas desde la vuelta a la democracia en America latina. Sera que estoy tomando medicinas por un dolor a la espalda tan fuerte que me dieron algo antidepresivo con un montón de efectos secundarios, lo cierto es que mi moral esta bastante bajo en este momento. Lo digo porque de repente un dia me arrepentiré de lo que voy a escribir, pero por lo menos tendré una buena justificación.

El centro de mi historia es Chile, país martirizado y tan querido, que logro deshacerse de su dictador a través el camino mas democratico que exista, o sea las elecciones. Nosotros nos fuimos a Chile pocas semanas antes que el Pato Aylwin asumiera la presidencia con un acto trascendental en aquel Estadio nacional que tantos sufrimientos vio pasar con Pinocho.

Tuvimos la suerte de acompañar ese periodo, y los sueños de los que volvían a la vida publica. Otros países también lograron pasarse un poco (o tanto) a la izquierda en los años siguientes: Uruguay, Venezuela, Bolivia, Ecuador, Brasil, Paraguay y, quizás, Argentina, aun cuando siempre ha sido complicado para mi entender el peronismo. Recuerdo que el Presidente de Peru Alan Garcia también apareció en el Estadio nacional y todo el mundo aplaudiendo, pensandolo como alguien de izquierda.

Hoy en dia quedan pocos, en Chile sigue la misma Bachelet que aplaudimos como la primera mujer y socialista a llegar a la Presidencia. En Paraguay manda un conocido de la sección antidroga de Estados Unidos, después de un golpe exprés encontrar de Lugo, Evo Morales encanta meno de un tiempo, igual que Correa que acaba de salir dejando poder en manos de un Lenin que podría ser una sorpresa interesante. Hablar de Venezuela es como perder tiempo, por eso termino recordando el camino lento pero al parecer mas seguro de Uruguay.

Sin embargo, cuando miro hacia atrás, un sabor amargo me llena la boca. De repente debe ser la Singha beer que me estoy tomando o, mas en serio, esta sensación que las ocasiones mejores han pasado sin que las fuerzas progresistas hayan sabido aprovechar de ellas.

La escusa (o la justificación, depende de los puntos de vista) es siempre la misma: las relaciones de fuerzas no han permitido hacer mas que eso. Ya me imagino mi compadre Octavio que, al leer este post, estará pensando que soy siempre el mas critico y que, a la diferencia suya, no he tenido que mesurarme con responsabilidades políticas como ha sido su caso. Es cierto, pero nada la quita a la posibilidad de mirar desde afuera, con una cierta lejanía y una cercanía de ideales. 

El punto es que no hemos vistos intentos fuertes para cambiar las reglas del poder y que, al revés, hemos visto sinnúmero casos de politicos que se han acostumbrados a lo que el poder puede ofrecer en términos de prebendas. La gran diferencia etica que el Partido de los Trabajadores presentaba como marco de fabrica unos 30 anos atrás, se ha perdido completamente en el camino y al final es el poder que lo ha transformado en uno de los tantos partidos que se pretenden de izquierda y que en la practica han aprendido bien como ocupar espacios y acaparar prebendas.

Los revolucionarios falidos como los venezolanos solo confirman lo que se dice del Libertador: había que tomar los intelectuales de Colombia, los curas de Ecuador y los militares de Venezuela. Esto es lo que ofrecía el país aparentemente, un caudillo con mucha logorrea y una incapacidad de comprender el funcionamiento d eran sociedad y como cambiarla en serio.

Todos ellos tuvieron el poder, todos en condiciones complicadas, donde era necesario “sentir” por donde iba la historia. Y todos, o casi, se fueron por el camino fácil. Hoy en dia en Chile los indigenas del sur y del norte sufren como antes, los porcentajes de pobreza siguen casi iguales, los jóvenes están hartos de una sociedad cerrada y que no tiene nada que ofrecerle para su futuro, y esto pasa con un gobierno de centro-izquierda desde mucho tiempo. En Brasil la ilusión que la llegada al poder del PT pudiese cambiar algo duro el espacio de un momento. Hasta cuando los precios internacionales de las commodities le permitieron a Lula de ir de rumba, todo el mundo quedo feliz. Cuando la musica termino y pasaron la cuenta, ha sido triste notar que nada de estructural fue cambiado durante 13 anos al poder. Las lamentaciones crecen hoy en dia enconara de una derecha que hace lo que siempre hizo. El punto es que es la izquierda a haber traicionado, a no haber cumplido las promesas que la llevaron al poder.

Esto lo estamos viendo también en nuestras casa europeas, y vemos como le estamos preparando la cama a la ultraderecha, nacionalistas y populistas. 

No podíamos hacer mas! Este debería ser el eslogan que los partidos de izquierda deberían asumir para las próximas eleciones. Y en este caso, debido que casi nada ha cambiado, porque seguir creyéndolos? Una ocasión como la que tuvieron no volverá a pasar pronto. La tuvieron y la perdieron, detrás de luchas de poder personal, de incapacidades, de lejanía creciente del pueblo, olvidándose de donde venían y porque estaba alla donde los habían puestos.

Nacieron piromanos para morirse bomberos. Una pena.  

La incapacidad de “leer” la sociedad, sus dinámicas y sus demandas profundas, sera la “legacy” de esta izquierda (y de la nuestra en europa, por supuesto). Detener el poder y no usarlo, ni siquiera hacer un intento, esto es un pecado que los llevara todos al infierno. 




PS. Le digo de antemano a los amigos Mora-Mora que me limito a la America del Sur y no hablo de la zona central y de la querida CostaRica y esto por dos razones: una porque hace tiempo que no voy por esa tierra y segundo porque quiero solicitar a que nos cuenten como les fue la experiencias políticas de Sonia Marta.

PS 2: con esta compu no logro hacer las eches con facilidad, por eso hay palabras que me salen mal (anos es una...)

domenica 16 aprile 2017

2017 L14: Caryl Férey - Condor



Gallimard, 2016

Condor, C’est l’histoire d’une enquête qui commence dans les bas-fonds de Santiago, submergés par la pauvreté et la drogue, pour s’achever dans le désert minéral d’Atacama…
Condor, c’est une plongé dans l’histoire du Chili, de la dictature répressive des années 1970 au retour d’une démocratie plombée par l’héritage politique et économique de Pinochet…
Condor, c’est surtout une histoire d’amour entre Gabriela, jeune vidéaste mapuche qui porte l’héritage mystique de son peuple, et Esteban, avocat spécialisé dans les causes perdues, portant comme une croix d’être issu d’une grande famille à la fortune controversée…

Bel libro, candidato alla Top.
La descrizione di quanto poco sia stato fatto in Cile dopo la fine della dittatura, in particolare per i diritti dei popoli indigeni del sud del nord, mi ha fatto pensare a quanto poco serva una democrazia senza vero potere per cambiare le cose. Capisco meglio chi decide quindi di prendere le armi per cambiare questo mondo. 

lunedì 10 aprile 2017

Kakistocrazia: ci siamo dentro fino al collo

Qualche giorno di riposo, nella quiete di Formelluzzo, permettono di rinfrescare la mente, guardarsi attorno con occhi nuovi e continuare l’incessante processo di cercar di capire il mondo in cui viviamo.

La parola del giorno è kakistocrazia, ovvero il governo dei peggiori. Che si guardi al sud o al nord del mondo, dentro e fuori i governi, l’impressione crescente è che siamo oramai in mano a una casta di poveracci incompetenti, il che non può presagire nulla di buono per il futuro.

Viene da chiedersi il perché ci siamo ridotti a questo e se sia stato un cammino inevitabile.

Abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni i segni di un impoverimento globale, economico, ecologico, sociale e culturale, che tocca noi tutti esseri umani. L’ultima goccia per me è stato l’eccellente docu-film passato su da Sky intitolato Baraccopolis, di Sergio Ramazzotti e Andrea Monzani. L’ennesima conferma che oramai i tempi d’oro delle nostre democrazie occidentali sono alle spalle, e che il futuro che ci aspetta assomiglierà sempre di più a quello del terzo mondo.

Da anni sono convinto che si sia capito poco delle ragioni che hanno permesso ai paesi occidentali di diventare delle oasi di benessere per quasi mezzo secolo. E il non capire le cause ovviamente produce una incapacità di capirne gli effetti attuali e futuri.

Ricordiamo brevemente che quando siamo usciti dalla seconda guerra, noi europei eravamo ridotti alla fame, con i nostri paesi distrutti nelle infrastrutture di base. Come ricostruire tutto questo e, soprattutto, che modello di stato si voleva ricostruire, è stato oggetto di parecchie discussioni. Da un lato il modello capitalista, oramai impostosi negli Stati Uniti, potenza egemone dell’occidente, aveva una visione semplice, cioè di continuare la sua espansione nell’Europa occidentale che rimaneva sotto la sua tutela. Al contempo, era chiaro a tutti che se la guerra era stata vinta lo si doveva allo sforzo immane fatto dall’Unione Sovietica di Stalin, mostrando una capacità di resilienza e di produzione di armamenti insospettata. Del funzionamento reale di quell’economia si conosceva ancora poco, ed è per questa ragione che molti economisti americani pensavano seriamente che il modello sovietico potesse diventare una vera alternativa per gli europei, e di conseguenza non bisognava sottovalutarlo. Il fatto poi che in alcuni paesi occidentali ci fossero partiti comunisti molto forti, di fatto consigliò di adattare un modello di capitalismo meno sfrenato. La paura comunista permise che le lotte sindacali, anche se violente, rimanessero dentro l’alveo costituzionale, con risultati positivi in termini di miglioramento del potere d’acquisto della classe operaia e non solo. 
L’assenza di competizione produttiva, ha fatto sì che il legame diretto fra produzione europea ed espansione del mercato interno (italiano ed europeo) andassero di pari passo. I profitti crescevano per gli industriali, ma nello stesso tempo emergeva una classe media con potere d’acquisto sufficiente. La spirale positiva è durata parecchio tempo, sopportata anche da una crescita culturale del paese dovuta a un sistema educativo pubblico che si diffuse nel secondo dopoguerra. La paura che gli “altri” prendessero il potere ha ovviamente limitato lo spazio d’azione delle opposizioni comuniste, di fatto cooptando nel cerchio di potere anche una parte della feccia fascista, sempre pronta a riciclarsi pur di restare al potere. Margini ridotti ma comunque esistenti.

Il giochino si è rotto negli anni 70 e per due ragioni: da un lato la decisione unilaterale degli USA di rompere la parità monetaria del dollaro con l‘oro (1969) e poi l’emergere di forze intellettuali estremiste nel campo liberale. Era oramai chiaro che i sovietici non sarebbero mai stati una alternativa viabile, per cui oramai l’agenda vera era come spingere le forze del mercato libero ad occuparsi tutti gli spazi disponibili, senza preoccuparsi più degli pelli “sociali” che avevano costretto ad una minima ripartizione dei benefici fra tutti i partecipanti.

L’arrivo dei neoliberali al potere in America e Gran Bretagna segna il cambio di paradigma. Da quel momento in poi inizia la distruzione progressiva di tutti i mattoni della democrazia, e il capitale inizia a staccarsi dall’aspetto meramente produttivo per iniziare il cammino che lo porterà alla specializzazione finanziaria.

La rottura progressiva delle istituzioni democratiche è iniziata dalla periferia, attraverso i programmi di aggiustamento strutturale nei paesi del sud del mondo, in Africa in particolare. Noi li abbiamo visti, li abbiamo lasciati fare e invece di renderci conto che poi sarebbe arrivato il nostro turno, ci siamo innamorati della tavoletta che grazie a quelle ricette il miracolo sarebbe ritornato.

Dagli anni 70 in poi il refrain governativo, italiano ed europeo, è stato quello della crisi. Tagliare di qua e tagliare di là, mentre pian piano le grosse industrie sparivano, o all’estero oppure semplicemente mangiate nel gioco della competizione asimmetrica indotta dal capitalismo americano.

L’ipotesi fondante del nuovo corso era abbastanza semplice: a mano a mano che si spingeva sui bisogni individuali e non più collettivi, l’uomo veniva posto al centro della società (il sogno della dama di ferro), e quindi si riducevano le energie per lotte organizzate. A quel punto si poteva spingere sull’acceleratore della speculazione (e concentrazione della ricchezza) perché tanto il popolino non sarebbe più stato capace di organizzarsi, come nei decenni precedenti, per controffensive collettive.

Un cambio di cultura, con effetti che non riuscimmo a vedere bene. L’agenda dei “diritti” cominciava ad apparire, ma erano diritti per lo più individuali, e così facendo anche queste lotte, “progressiste”, di fatto portavano acqua al mulino della individualizzazione della società.

La speculazione finanziaria oramai domina, i meccanismi di organizzazione delle lotte collettive, partiti, movimenti, sono quasi allo stremo, e le classi politiche messe al governo, sono diventate tutte figlie dello stesso stampino: destra e sinistra tutte a fare gli elogi delle politiche restrittive e degli aggiustamenti strutturali che ci vengono imposti.

Abbiamo creato uno spazio economico e di mercato sovranazionale, l’Europa, essenzialmente perché il capitale produttivo e finanziario aveva bisogno di spazi più grandi per espandersi. Così come si era inventato il concetto di Stato-Nazione alla fine del XIX secolo, per soddisfare i bisogni crescenti dei mercanti nazionali, adesso bisognava passare alla scala superiore. Ecco perché il SI all’Europa dell’Euro ma i NO ripetuti a una Europa politica e sociale. Quest’ultima non serve e non fa parte dell’agenda del capitale internazionale, ed ecco perché non si farà.

Un modello di sviluppo di questo genere, lo sappiamo da anni, concentra le ricchezze in mani sempre più ridotte, cancella il lavoro manuale, non compensato neanche minimamente dell'offerta di lavoro intellettuale. Quindi siamo di fronte a una forbice: da un lato cala l’offerta di lavoro e dall’altro aumenta la ricchezza in poche mani.

Per evitare che questo provochi delle sommosse di massa bisogna agire su molti livelli: uno, ovvio, è il controllo dell’offerta culturale, per cui i magnati come Murdoch sono elementi chiave nella costruzione di un idearlo collettivo che non intacchi i privilegi dei pochi. Pane e circense, quindi sport a tutto spiano, telenovelas e bla-bla. Ma anche questo ovviamente non basta, anche perché i bisogni del Leviatano continuano a crescere. Il capitale vuole pronti crescenti, e non lo zero percento che ti da la tua banca quando porti i tuoi risparmi. 

Ecco quindi l’attacco alla natura, trasformarla in beni commerciabili e sui quali poter speculare. Anche questo lo sappiamo, e malgrado i timidissimi tentativi di controllare questa forza, da parte di governi sempre più deboli, lo spettro avanza.

Resistenze locali si sono mosse, a partire dall’unica forza che il capitale non riesce ancora a controllare completamente, la religione. Parte del lavoro è stato fatto, stimolando la crescita di sette di tutti i tipi che operassero per non far vedere i malefatti di quelle classi politiche messe lì dal capitale. Altre chiese sono state ridotte al silenzio, ed altre ancora sono rimaste fuori dal controllo. Il caso tipico riguarda i vari movimenti dell’estremismo islamico, un ottimo modo per distogliere l’attenzione dai problemi veri che assillano la nostra società. Se non ci fossero, bisognerebbe inventarli questi “terroristi”. 

Per chi è cresciuto all’epoca delle BR, rimane sempre quello stesso sapore di amaro in bocca che molte volte ci fece pensare a una eterodirezione delle BR (ed altri movimenti), sempre pronte ad entrare in azione quando la società si avvicinava a possibili cambi di direzione democratica. Noi adesso abbiamo l’ISIS, Boko Haram, AlQaida e quant’altro, ottimi diversivi, e ottimo volano per spingere ancora una volta l’agenda della sicurezza, delle spese militari e della necessità di controllare i movimenti di tutti. Ovviamente che siamo tutti a favore di queste misure, prese per il nostro bene. E intanto il vero problema avanza: la distruzione del lavoro è uno di quei temi che i rimasugli di partiti politici italiani ed europei, non considerano degno di studio (a parte qualche rara eccezione, vedi Melenchon in Francia). Negare l’importanza di questo problema vuol dire avere già interiorizzato il fatto che la nostra Repubblica (fondata sul lavoro, art. 1 della Costituzione) è già pronta per la sepoltura. 


Siamo dei morti che camminano, guidati da una banda di incapaci e ignoranti, messi lì per coprire i veri burattinai i cui nomi sono conosciuti e venerati da tanti. Basta prendere una copia della lista stilata dal giornale Forbes, è gli zii Paperoni sono tutti lì. Loro ingrassano, noi affondiamo e andiamo alla deriva verso una società che non sarà una società del futuro, ma quella del medio evo, da cui tanto ci è costato venir fuori. 

giovedì 6 aprile 2017

2017 L13: Karim Miské - Arab Jazz


Vivian Hamy, 2015

Dans le 19e arrondissement de Paris toutes les communautés, religieuses et ethniques, se côtoient au quotidien. Sushis casher, kebabs, restaurant turc - point de ralliement de tous les jeunes du coin -, librairie d'occasion farcie de romans policiers jusqu'au plafond, coiffeur juif...Seul Ahmed Taroudant - qui a l'horrible privilège de découvrir le corps sanguinolent de sa voisine et amie, Laura Vignola, suspendu au-dessus de son balcon - se tient à distance de cette population cosmopolite : prisonnier d'une histoire personnelle traumatisante, rêveur, lecteur fou de polars... Il constitue le coupable idéal de ce crime abominable. Sa découverte l'oblige à sortir de sa torpeur et à collaborer avec le duo de la Crim' désigné par le commissaire Mercator pour mener l'enquête sur le meurtre : le flamboyant lieutenant Rachel Kufstein et le torturé lieutenant Jean Hamelot, fils d'un Breton communiste rationaliste, quelque peu égaré dans la capitale. Ensemble, ils ont toutes les cartes pour décrypter les signes et symboles de cette mort ignoble. S'agit-il d'un meurtre symbolique exécuté par un fou de Dieu issu des communautés loubavitch ou salafiste ? Qu'en est-il de l'étrange famille de Laura, originaire de Niort, qui étend son influence jusqu'à New York ? Et de l'apparition dans le quartier du "Godzwill" une nouvelle drogue redoutable ? La collaboration des meilleures amies de la victime, Bintou et Aïcha (les soeurs des caïds du quartier), Rebecca - partie à Brooklyn dans l'intention d'épouser un Juif orthodoxe -, avec les lieutenants Kupferstein et Hamelot se révélera indispensable pour reconstituer la toile d'araignée gigantesque qui, de Paris à New York, tire ses fils entre réseaux de trafics de drogue et communautés religieuses...Arab Jazz, foisonnant, pétri de sons, de musiques et de parfums, est le premier roman de l'auteur : il en a fait un coup de maître.

Interessante ma forse troppe cose, personaggi e casini vari.... non so che dire... proverò a leggerne altri... sembra uno studente modello che vuol far vedere quanto bravo è.... cosa che non si discute...

mercoledì 5 aprile 2017

Bangkok:The New Theory

Chi l'avrebbe detto che un giorno mi sarei trovato d'accordo con l'autore di queste riflessioni.... a voi indovinare... pago il solito caffè (Massimo, attento stavolta... )

Economic development must be done step by step. It should begin with the strengthening of our economic foundation, by assuring that the majority of our population has enough to live on…Once reasonable progress has been achieved, we should then embark on the next steps, by pursuing more advanced levels of economic development.”
Modern development has caused changes in all aspects of society. The positive impacts of the development are economic growth, progress of material and public utilities, modern communication systems, and improvement and expansion of education. However, few of these results have reached rural areas or the underprivileged in the society.
On the other hand, rapid economic growth and the rise of consumerism has led to a state of economic dependence and deterioration of natural resources as well as the dissolution of existing kinship and traditional groups to manage them. The traditional knowledge and wisdom that have been employed to solve problems and accumulated in the past are forgotten and have started to disappear.
Significantly, what has dissipated is the people’s ability to rely on themselves and conduct their lives and pursue their destiny with dignity. For many countries recent economic crisis served as a costly lesson of unbalanced and unstable growth, partly due to the improper economic and social development process, in which the economy relied heavily on foreign capital inflows and external markets.
The New Theory (of sufficiency economy) is a method of development based on moderation, prudence, and social immunity, one that uses knowledge and virtue as guidelines in living. Significantly, there must be intelligence and perseverance, which will lead to real happiness in leading one’s life.
The Three Pillars
-   Moderation: Sufficiency at a level of not doing something too little or too much at the expense of oneself or others, for example, producing and consuming at a moderate level.
-  Reasonableness: The decision concerning the level of sufficiency must be made rationally with consideration of the factors involved and careful anticipation of the outcomes that may be expected from such action.
-  Risk Management: The preparation to cope with the likely impact and changes in various aspects by considering the probability of future situations.
Decisions and activities must be carried out at a sufficient level depending on two conditions:
Knowledge, comprising all-round knowledge in the relevant fields and prudence in bringing this knowledge into consideration to understand the relationship among the field so as to use them to aid in the planning and ensure carefulness in the operation.
Virtue to be promoted, comprising the awareness of honesty, patience, perseverance, and intelligence in leading one’s life.
This does not mean that one must constantly be frugal. A person can indulge him/herself in luxury once in a while, provided that it is within his/her capacity to do so. But the majority of the country’s population often overspends beyond their means. Sufficiency Economy can lead to the goal of establishing economic stability.
“I may add that full sufficiency is impossible.  If a family or even a village wants to employ a full sufficiency economy, it would be like returning to the Stone Age…This sufficiency means to have enough to live on. Sufficiency means to lead a reasonably comfortable life, without excess, or overindulgence in luxury, but enough. Some things may seem to be extravagant, but if it brings happiness, it is permissible as long as it is within the means of the individual…”

lunedì 3 aprile 2017

Recette Charlotte: Tian



Pour 4-5 adultes                                 Per 4-5 adulti

Ingrédients                                         Ingredienti

4 tomates                                           4 pomodori
2 gros oignons rouges                       2 cipolle grosse rosse
4 courgettes                                       4 zucchine
2 poivrons petits                                 2 peperoni piccoli

et/ou                                                   e
Aubergines                                         melanzane

2 citrons jaunes                                  2 limoni 
Thym                                                  Timo
Huile d'olive                                        Olio d'oliva

Préparation

Couper tous les légumes en fines tranches et disposer dans un plat au four
Arroser avec le jus d'un citron et assaisonner + ajouter le thym

Cuire à 180 degré (190 pour les petits fours à convection) pendant 1h environ. A mi-cuisson arroser de jus de citron 

Preparazione

Tagliare tutte le verdure a lamelle fine e disporle su un piatto da forno
Spargere il succo di limone e condire + aggiungere il timo

Cottura a 180 gradi (190 per i forni piccoli a convenzione) per un'ora circa. A metà cottura aspergere ancora con il succo di limone

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Charlotte Groppo

domenica 2 aprile 2017

Quel poco che abbiamo visto di Bangkok










Il canale delle prime foto si trova nel nostro quartiere, per andare al supermercato. Non è Venezia ma, con tanta fantasia... quello grande invece è in Chao Phraya, il Canal Grande di Bangkok, con quello che si vede quando mi capita, raramente adesso, di andare in ufficio in barca. Il nostro ufficio, come mostra la foto, è proprio sul fiume, comodo, anche per prendersi un caffè e sentire la risacca delle acque.

I grandi magazzini delle foto sono il Paragon a Siam e il MBK. In ambedue rischi di perderti da quanto grandi sono; nel secondo trovi di tutto e di più, mentre nel primo sali di livello e trovi le stesse cose dei magazzini tipo Galeries Lafayette, Rinascente etc.

In mezzo ho messo un paio di foto di posti vicino casa, il caffè Lapin, dove andiamo a prenderci un ottimo cappuccino, proprio sotto l'entrata del BTS, e il ristorante Kobe, cucina giapponese e thai proprio sotto casa.

A presto, paolo

sabato 1 aprile 2017

Bangkok: eat & meet - la zona dei "fancazzisti"





Davanti all'ufficio nostro si trova la zona dei saccopelisti, backpacker o fancazzisti che si voglia dire. Data la modesta qualità della nostra caffetteria, spesso esco per pranzare in questi ristoranti, nonché per andare dal panettiere giapponese che si trova all'altra estremità del quartiere.

Sono interessanti da guardare questi giovani, in particolare il loro modo di vestirsi, contrastando con le forme e le mode Thai.  Nell'occidentale, giovane o meno, domina il vestirsi alla buona, stile "alternativi" di alcuni decenni fa. Ne vedi passare alcuni, arrivati oramai alla sessantina, che devono essere partiti a fare il loro viaggio iniziatico nel mitico oriente una quarantina di anni fa e non sono mai tornati. Occhio mezzo spento, cicca in bocca, e birra stretta nella mano. Il capello, quando c'è, è spesso arrangiato in un codino come andava di moda anni fa da noi. Il pantalone varia dal mezzo ginocchio, stile Afrikaner, al fricchettone lungo, colori sgargianti. Tutti tranquilli, nessuno chiede elemosina a nessun altro, anche perché quelli a cui potrebbero chiedere sono i loro stessi compaesani per cui la storia finisce lì.

Le ragazze sembrano venire dai freddi nordici a giudicare dalle chiome bionde slavate e dal bisogno fisico di esporre la pelle a quel sole che tanto deve mancar loro. Obbligatori i pantaloncini cortissimi, canotte e ciabattine. Pronte per la spiaggia, anche loro con la birra stretta in mano.

Sembra che l'attività principale veneto qui sia appunto di sedersi al bar, chiacchierare su quanto bella sia la Thailandia vista dalla terrazza di un bar con una birretta fresca in mano o addirittura un caffè Illy. Molti si avventurano a farsi fare un massaggio, quello ai piedi sembra il più in voga.

Parlandone un giorno con una delle colleghe dell'amministrazione nostra, giovane Thai, mi diceva che per loro è uno shock vedere queste giovani andare in giro vestite così, dato il pudore tradizionale della loro cultura. Due mondi che non si parlano, i turisti al bar a parlare di un paese e una cultura che visibilmente non li interessa, e i Thai a guardarli e servirli sperando almeno di portare a casa qualche dollaro.

L'assalto dei Tuk-tuk arriva alla fine della strada: per due soldi ti portano a respirare il fumo delle macchine dove vuoi. Dati i tettucci bassi, i tuk-tuk non servono a nulla per vedere il paesaggio, ma fanno parte del paesaggio loro stessi, per cui prima o dopo un giretto lo facciamo tutti.

Si mangia con pochi soldi, la qualità è buona anche se alla fine ti stufi dato che non variano granché. I più coraggiosi si siedono negli spazi rubati ai marciapiedi assaggiando lo street food di cui ho già parlato.

Un caldo bestia, ma tanto l'essenziale è star lì con gli amici e, come diceva Giorgio Gaber, rifare il mondo (con la birra che intanto si scalda): al bar Casablanca... (ascoltate la canzone https://www.youtube.com/watch?v=Re7mzbvFY-w)