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lunedì 30 ottobre 2017

Sabato pomeriggio



Cari,

per me e christiane sabato è stato un momento bello, da ricordare anche negli anni a venire. Non avevo previsto lo sfogo che Djedjé ha anche registrato (e a chi chiedo di non mandarlo in giro dato che vorrei restasse una cosa nostra, una specie di lascito per il futuro).

Come vi dicevo, l’importanza di fare gruppo, in orizzontale piuttosto che in verticale, è stato uno dei tratti fondamentali per me fin da quando ho iniziato a lavorare. Se vogliamo cercare di cambiare qualcosa in questo mondo, in meglio ovviamente, dobbiamo arrenderci all’evidenza che da soli non potremo fare nulla. Si, potremo far carriera, ma alla fine quando si arriva lassù, non ci si rende nemmeno più conto di quanto si sia lasciato per strada, e che si arriva nudi alla meta: forse ci sarà il potere ma sicuramente non c’è più il volere (cambiare il mondo). Ma tra la coscienza dell’importanza del fare gruppo al riuscirci, ce ne passa. 

Dopo oltre 30 anni di impegno sul tema dello sviluppo, mi rendo conto che la verticalità resta ancora l’asse centrale per gran parte di chi ci lavora. Verticalità di rapporti che fanno sì che non si capisca fino in fondo quando fondamentale sia l’investimento negli e con gli altri. Il “perdere tempo” con gli altri (come mi disse un giorno un mio ex-Direttore) è fondamentale per tessere una rete nella diversità, per restare aperti ad altre visioni, magari opposte, e quindi imparare a costruire a partire dall’altro.

Ci riprovo con voi come nucleo duro, forse l’ultimo, e vedremo se pian piano riusciremo ad aggiungere altre persone che condividano nei fatti questa stessa volontà. Alcuni di loro già li conosco, avendoci lavorato assieme in questi anni, ma non essendo fisicamente a Roma non potevo invitarli a stare con noi sabato. 

Ricordiamoci che al di là dei nostri piccoli e grandi problemi, abbiamo scelto di dedicarci a qualcosa di più grande di noi, che necessita una mente aperta e capace di andare al di là del “noi”. Se vogliamo provare a far sì che questa maionese prenda, questa volta, ci vuole un po’ di impegno da parte di tutti, fantasia tanta per pensare il come e il quando costruire un gruppo solido e aperto. Se una cosa l’ho imparata in questi anni è proprio questa: assieme possiamo sognare di cambiare qualcosa, se non altro staremo meglio noi, allineando di più quello che diciamo voler fare e quello che facciamo poi sul serio. Cambiare il mondo necessita che ci cambiamo noi, dal di dentro.  Io di energia ne ho ancora un po’, e come vi ho detto sono disposto a giocarmela. Vi aspetto l’anno prossimo a fine maggio, con il diritto di invitare qualcun altro, chi sembrerà giusto a voi… 


Ciao

Cose da fare l'anno prossimo: una ricetta Platinum

OEUFS MEURETTES
(pour 2 personnes)
4 oeufs; trois quart de litre de vin rouge (corsé) de bonne qualité; une carotte; un onion; deux feuilles de laurier; des lardons (150 gr environ); 50 gr de champignon de Paris; 4 tranches de pain carré; beurre; farine

Première chose à faire: cuire le vin! Mettre le vin dans une casserole avec la carotte coupée en bâtonnets, l’onion coupé en rondelles fines et les deux feuilles de laurier ainsi que 3 graines de poivre (facultatif). 
Cuisson: très long feux doux, au moins 40 minutes
Faire toster le pain carré. Faire revenir les lardons pour qu’ils perdent le gras. Faire cuire les champignons de Pairs, dans une casserole, 20 minutes pour faire perdre l’eau.
Passer le vin dans une passoire pour enlever carotte et le reste.
Dans le vin (bouillant, sur le feu), faire cuire les oeufs mollets (prendre une louche, casser l’oeuf, faire un movement tournant dans le vin et plonger l’oeuf dans le vin. Le mouvement de faire tourner le vin sert pour que le blanc de l’oeuf enrobe le jaune. 3 minutes, pas plus. Prendre l’oeuf et le faire égoutter sur un torchon. Chaque oeuf séparément.
Prendre une autre casserole. 40 gr de beurre, les faire fonder; ajouter une cuillère et demi de farine (faire un ROUX), bien mélanger, cela donne presque une pate. Verser le vin (filtré, parce que il y a les reste de blanc d’oeuf dedans) petit à petit sur le melange. Cela donne une sauce onctueuse. Y verser les lardons et les champignons. Cela donne la sauce finale.
Dresser le plat: prendre le pain carré tosté. Sur chaque tranche poser un oeuf et verser la sauce.
Facultatif: un peu de persil frais coupé dessus.
Difficulté : il faut aller très vite dans chaque moment.

Assez difficile à faire.

Ricetta Xuor Elite: BLANQUETTE DE POISSON façon Christiane

Ritrovata per caso in un vecchio computer

Ingredients
2 confections de morue (merluzzo) congelé
1 confection de palourdes (vongole) congelées
1 oignon
1 carotte
1 feuille de laurier
Vin blanc – beurre – farine
Dans la cocotte faire un court-bouillon, moitié eau moitié vin blanc (QB). Couper la carotte et l’oignon en rondelles. Mettre le tout dans une cocotte, ajouter la feuille de laurier et faire cuire pendant 40 minutes.
Prendre les confections de morue et palourdes : les faire pocher (congelées) jusqu’à décongélation et cuisson du poisson (faire attention!! C’est pas long)
Une fois cuit, passer le tout dans une passoire et récupérer le bouillon dans un recipient.
Reprendre la cocotte: 50 gr de beurre (faire fondre) et quand il est fondu ajouter 2 cuillères de farine (cela s’appelle faire un ROUX). Mélanger le tout; rajouter petit à petit le court-bouillon jusqu’à faire une sauce un peu dense mais liquide (comme une blanquette)
Saler et poivrer.
Emietter le poisson et le rajouter, ainsi que les palourdes. Faire cuire pendant 5 minutes, en ajoutant une cuillerée de crème et le jus d’une moitié de citron.
Servir avec un riz creole.

Au choix on peut ajouter une boite de champignons de Paris

giovedì 26 ottobre 2017

2017 L43: Sebastiano Vassalli - Terre selvagge

Rizzoli, 2014

Era maggio. Il mese più bello dell’anno. Era il settimo giorno del mese: le nonae. C’era sole. C’erano i fiori sugli alberi e nei prati, c’erano, a chiudere l’orizzonte, le grandi montagne: le Alpi, ancora bianche di neve…. La gente scappava. Da tre, quattro giorni: per la strada che attraversava il villaggio di Proh venendo da Novara e dagli altri borghi della pianura si snodava una processione ininterrotta di uomini e di donne curvi sotto i peso delle cose che dovevano assolutamente essere portate in salvo e che i più ricchi avevano potuto caricare se un asino, su un cavallo o addirittura su un carro…» Così inizia il primo capitolo di Terre selvagge, il nuovo romanzo di Sebastiano Vassalli. È un ritorno al romanzo storico di ampio respiro e ciò che conta è la qualità della scrittura capace di illuminare un momento storico dimenticato che tuttavia ha fatto epoca. Si tratta della battaglia dei Campi Raudii del 101 a.C. che ha meritato anche un dipinto di Tiepolo dal titolo La battaglia di Vercelli: in effetti il luogo dello scontro tra Romani e Cimbri è nella pianura tra Vercelli e Novara, dove lo scrittore vive e ha ambientato alcuni dei suoi maggiori romanzi, fin dal ‘’600 della Chimera, long seller entrato tra i libri più letti nei licei accanto ai Promessi sposi. Anche quest’ultimo libro ha le carte in regola per diventare una lettura amata dai giovani attratti dall’antica civiltà romana.
Scrive Vassalli: «la pianura del Po è una lavagna su cui sono state scritte infinite storie che poi il tempo si è incaricato i cancellare per scriverne delle altre; e così deve anche essere successo con la madre di tutte le storie, cioè questa».
Dunque un grande narratore e la grande storia. Vassalli racconta una battaglia che ha cambiato la Storia: Terre selvaggeè un viaggio nel tempo, in un’Italia ancora misteriosa, così vicina e così lontana da quella che conosciamo. Un romanzo che è una lettura da consigliare per capire la storia antica e la storia attuale. Dal risvolto di copertina: «Ai piedi del monte Rosa, impassibile nella sua armatura di ghiacci, dimora degli dei, centro del mondo conosciuto, si estende una pianura fitta di boschi e pericoli. In questa terra a sud delle Alpi, disabitata e talmente inospitale che nel 101 a.C. non ha ancora un nome, sono schierati uno di fronte all’altro, su una superficie lunga chilometri, i due eserciti più grandi del continente. Duecentomila uomini pronti a combattere corpo a corpo, a massacrarsi fino allo stremo: a fare la guerra nel modo in cui la guerra veniva fatta oltre due millenni fa. Da una parte un popolo di invasori, anzi di “diavoli”, che ha percorso l’Europa in lungo e in largo, portando distruzione ovunque, ed è dilagato nella valle del Po saccheggiando città e villaggi, mettendo in fuga gli abitanti. È il popolo dei Cimbri, invincibile da vent’anni e deciso, forse, ad attaccare persino Roma. Dall’altra parte c’è il console Caio Mario, l’uomo nuovo della politica, con il suo esercito di plebei ed ex schiavi, l’ultimo in difesa dell’Urbe. Quella che stanno per affrontare non è una battaglia, è lo scontro tra due civiltà al bivio cruciale della sopravvivenza, è un evento destinato a cambiare la Storia. Terre selvagge è un viaggio nel tempo, in un’Italia ancora misteriosa, così vicina e così lontana da quella che conosciamo. È il racconto di una pagina drammatica della vicenda umana, finora avvolta da incertezze, falsità e malintesi. È, soprattutto, un maestoso mosaico di ambizioni e di paure, nel quale è custodita la chiave per capire molte cose anche del presente”».

Che dire... a me Vassalli è sempre piaciuto.. poi quando racconta dei Cimbri, gli abitanti del nostro altopiano di Asiago... consigliato

PS. Interessante, alla fine, l'accenno al problema dell'accaparramento delle terre dei vinti... 21 secoli e siamo sempre lì...

lunedì 23 ottobre 2017

2017 L42: Victor Hugo - Le dernier jour d'un condamné

Victor Hugo a vingt-six ans quand il écrit, en deux mois et demi, Le Dernier Jour d'un Condamné, roman qui constitue sans doute le réquisitoire le plus véhément jamais prononcé contre la peine de mort.
Nous ne saurons pas qui est le Condamné, nous ne saurons rien du crime qu'il a commis. Car le propos de l'auteur n'est pas d'entrer dans un débat mais d'exhiber l'horreur et l'absurdité de la situation dans laquelle se trouve n'importe quel homme à qui l'on va trancher le cou dans quelques heures.
Ce roman - aux accents souvent étrangement modernes - a une telle puissance de suggestion que le lecteur finit par s'identifier au narrateur dont il partage tour à tour l'angoisse et les vaines espérances. Jusqu'aux dernières lignes du livre, le génie de Victor Hugo nous fait participer à une attente effarée : celle du bruit grinçant que fera le couperet se précipitant dans les rails de la guillotine.
Quiconque aura lu ce livre n'oubliera plus jamais cette saisissante leçon d'écriture et d'humanité.

Non credo ci sia nulla da aggiungere a questa breve descrizione. Senza parole!

giovedì 19 ottobre 2017

Lontani dalla Thailandia


Un mese è passato e pian piano comincio a riemergere dalle brume thailandesi. Ci vorrà del tempo dato che l’esilio forzato è stato (e ancora è) difficile da digerire.

In tanti mi hanno ripetuto in questi giorni che in fin dei conti non era poi così male. Ovviamente è tutta una questione di aspettative e di percezioni. Nel mio caso sconto le illusioni politiche di molti anni, il credere che il campo progressista sia fatto di uomini e donne per un certo verso migliori degli altri, con maggior empatia, capacità e volontà di capire gli altri, andare verso di loro e di non essere così schiavi del potere come una qualsiasi persona di destra.

Ho creduto a tutto questo durante molti anni, mi ero illuso fin dal lontanissimo 1983, primo viaggio in Nicaragua e l’incontro con una rivoluzione che diceva di voler essere diversa dalle altre, vicina alla gente e bla bla bla. Daniel Ortega era il nostro mito, per finire oggi a far parte di quel Pantheon al rovescio, così ben riempito di tanti cosiddetti “progressisti”.  Erano anche gli anni d’oro di Mitterand all’Eliseo, e il mio cantante francese preferito, Renaud, cantava di essere diventato un anarco-mitterandista (chiedendosi anche, in rima, se ciò esista). Con gli anni arrivammo a detestare quell’uomo, la sua arroganza e sete di potere, il nulla fatto politica. Più vicini a noi furono gli anni dei progressisti al potere in America Latina: oggi li troviamo praticamente tutti invischiati in storie di corruzione, Panama papers, Odebrecht e compagnia, da far vergognare qualsiasi persona di buonsenso che ancora voglia ricordarli. 

Nel mio lavoro mi sono ritrovato esattamente con questo tipo di capi, ai piani alti: latinoamericani di “sinistra” che oggi in molti consideriamo come “sinistri”. Tante belle parole ma fatti che hanno dimostrato di che pasta erano realmente fatti. Il non accettare il dialogo, il confronto anche su posizioni diverse, l’assoluta cecità che avvolge chi arriva ai piani alti del potere e che non può ammettere che qualcuno giù in cantina dica, su basi vere, di terreno come diciamo noi, delle verità diverse. Ecco quindi che l’esilio diventa la soluzione: sbarazzarsi di chi rompe le scatole e questo nel momento stesso in cui sei costretto, tu, al piano di sopra, di ammettere che l’insistenza di quello giù in cantina nel ricordare che bisognava occuparsi di più anche di certi temi era corretta. Per cui ti mandano via quando hai raggiunto lo scopo principale, e cioè far sì che la tua organizzazione dichiari di volersi impegnare seriamente e secondo quei principi di dialogo e negoziazione che difendevo da quindici anni. 

Bangkok diventa quindi una prigione dorata, nella quale mi si autorizza a continuare a lavorare sui paesi in conflitto… in Africa. Elementare Watson.

Thailandia, un paese dove non hai diritto di dire una parola che ti ritrovi in prigione. Nessuno dei miei colleghi nazionali o internazionali può permettersi di parlare o di proporre di studiare le politiche agricole messe in atto dal governo di Yingluck Shinawatra, la sorella di quel Thaksin dipinto in occidente come il Berlusconi locali, e il cui governo è stato spazzato via dal golpe militare nel 2014. Non possiamo quindi studiare quelle misure che noi, FAO, da anni proponiamo, e cioè di politiche a favore dei piccoli contadini, dei prezzi pagati che permettano loro non solo di sopravvivere ma anche di accumulare qualcosa. Questo era stato il cuore dell’azione politica di quel governo, spazzato via dai militari con tutte le politiche positive che avevano messo in atto. Il maggior trasferimento di risorse dai ricchi ai poveri che la Thailandia avesse conosciuto da molti decenni. Adesso la povertà è tornata a salire, noi non possiamo dire nulla se non dare consigli su come migliorare la qualità dei suoli agricoli, come fosse quello il problema per i contadini.

Thailandia, un paese dove non può andare a visitare quelle regioni contadine del nord ancora favorevoli ai Shinawatra, e questo per ragioni di sicurezza. Una volta tanto che un governo faceva qualcosa di serio per aiutare i più deboli, ecco come è finita. Stare lì è stata quindi una sospensione temporale. Gli altri colleghi devono restarci di più, e ognuno deve trovare il proprio equilibrio, ma per me resta difficile capire come possiamo combinare i valori che difendiamo con la politica della bocca chiusa. Io non l’ho mai fatto, e per questo non ho fatto carriera e ho collezionato tanti nemici ai piani alti. Ma sotto, giù in cantina, sono in tanti a vedere in me un esempio. La speranza è che, adesso che me ne vado in pensione, altri osino continuare a tenere alta la testa. Ci sono prezzi da pagare, ma ci sono cose per cui bisogna lottare, altrimenti te ne vai dalle nazioni unite e vai a lavorare in altri settori. Io ho sempre considerato un grande onore il poter servire quegli ideali di fratellanza, rispetto promossi dalle nazioni unite. Sono sempre stato anche cosciente dei limiti, e non confondo il mondo NNUU con quello di piccole organizzazioni partigiane. Siamo cosa diversa, con possibilità e doveri diversi. A noi tocca il compito di osare lassù dove volano le aquile, dove gli altri non possono arrivare, e quindi usare quei meccanismi che abbiamo per poter dire certe verità che fanno male, a certi governi, a certe imprese e anche agli altri attori. Questo non perché pensiamo di avere la scienza infusa e la verità in tasca, ma semplicemente perché in un mondo dominato dalla paura, qualcuno deve fare un primo passo. 


Tocca a voi ragazzi, io sarò sempre al vostro fianco.  

2017 L41: Fred Vargas - Quando sort la recluse

Flammarion 2017

« - Trois morts, c'est exact, dit Danglard. Mais cela regarde les médecins, les épidémiologistes, les zoologues. Nous, en aucun cas. Ce n'est pas de notre compétence. 
- Ce qu'il serait bon de vérifier, dit Adamsberg. J'ai donc rendez-vous demain au Muséum d'Histoire naturelle. 
- Je ne veux pas y croire, je ne veux pas y croire. Revenez-nous, commissaire. Bon sang mais dans quelles brumes avez-vous perdu la vue ? 
- Je vois très bien dans les brumes, dit Adamsberg un peu sèchement, en posant ses deux mains à plat sur la table. Je vais donc être net. Je crois que ces trois hommes ont été assassinés. 
- Assassinés, répéta le commandant Danglard. Par l'araignée recluse ? »

Voilà il libro dell'anno. Il precedente mi aveva lasciato molto perplesso, ma qui ritroviamo la scrittura envoutante di Vargas che ci porta via a sognare... Bello.. consigliassimo.

2017 L40: Leonardo Padura - Hérétiques

Points, 2016

Lancé sur la piste d'un mystérieux tableau de Rembrandt, disparu dans le port de La Havane en 1939 et retrouvé comme par magie des décennies plus tard dans une vente aux enchères à Londres, Mario Conde, ex-policier reconverti dans le commerce de livres anciens, nous entraîne dans une enquête trépidante qui tutoie souvent la grande histoire. On y fréquente les juifs de la capitale cubaine, dans les années prérévolutionnaires, tiraillés entre le respect des traditions et les charmes d'un mode de vie plus tropical ; des adolescents tourmentés d'aujourd'hui, dont les piercings et scarifications semblent crier au vu et au su de tous leur rejet de l'Homme Nouveau et des carcans faussement révolutionnaires ; mais aussi les copains du Conde, chaleureux et bienveillants, toujours prêts à trinquer à la moindre occasion avec une bonne bouteille de rhum. On y fait même un détour par Amsterdam, en plein XVIIᵉ siècle, à l'heure des excommunications religieuses et des audaces picturales, en compagnie d'un jeune juif qui décide d'apprendre l'art de la peinture, contre toutes les lois de sa religion.

Allora, il libro sembra essere piaciuto molto a giudicare dai commenti sui siti francesi. Anche mia moglie lo ha amato molto. A me invece mi ha lasciato molto perplesso. Ho trovato che l'autore si sia lanciato in una serie di storie molto complicate e legate fra loro in modo molto ma molto debole, quasi volesse mostrarci di aver studiato il tema per alcuni anni e capace di restituircelo in modo chiaro e comprensivo. Secondo me non è incasso e il libro affonda in un pointillisme inutile e falloso che ti fa venire molte voglie il desiderio di finirla lì.