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lunedì 23 novembre 2015

Palestine: Status od Land Tenure, Planning and Management in WB and GS


This is the result of a study undertaken by FAO and just published by the local office. This is the pro-active FAO I am proud of. The issue is extremely complicate as everyone can imagine, but it is a proof that the UN can do something, a drop into the Ocean, to move ahead this endless conflict based on the control of natural resources.


domenica 22 novembre 2015

Povera patria


Povera Patria cantava anni fa Franco Battiato. Leggo gli articoli sui giornali, ascolto i tanti commentatori sulle reti italiane, francesi e latinoamericane e trovo sempre la stessa analisi. Hanno colpito i nostri valori e la Francia in quanto simbolo di questi valori. Mi sembra incredibile non leggere o ascltare nessuna analisi che parta dalla duplice costatazione di cosa siano diventati i “nostri” di valori e cosa sia diventata la vita per la metà dell’umanità. I nostri valori hanno smesso da tempo di essere quelli di libertà, uguaglianza e fratellanza, per diventare i valori di borsa, il MIB, il CAC40 e simili. Siamo diventati una società di rapaci dove pochi riescono a mettersi in tasca somme enormi delle quali non sanno nemmeno cosa fare, e il resto sopravvive in una transizione verso il terzo mondo che abbiamo davanti e che oramai è venuto da noi. Inutile chiuderci gli occhi e cercare le gocce nel mare. Ci sono. Non dico di no, ma sono gocce nel mare di una finanza di ladri, in mezzo a una crisi ecologica dalla quale non vogliamo venirne fuori per non toccare i soliti noti della finanza mondiale. Le nostre istituzioni sono carta straccia, trovare un sindaco o un presidente di regione che sia persona sana e onesta sembra quasi missione impossibile. Spingiamo sempre più verso una società di consumi che oramai non possiamo più permetterci, ed ecco che la crisi arriva anche da noi. Le nostre pubblicità ci spigono a cambiare la macchina ogni due per quattro, il telefono prima ancora di sapere usarlo, i vestiti almeno due volte al giorno, profumi, giocattoli e tutto il resto, con il condimento finale che se per caso vi restano due lire in tasca andate a giocarvele a ste macchinette fregasoldi.

Siamo risuciti a distruggere anche l’unico sogno che ci teneva assieme, noi più grandi e le generazioni Erasmus, quello di un’Europa unita ed aperta. Oramai meglio chiamarla FEU, Former European Union, dato che siamo tornati indietro di 50 anni.

Alcuni mi dicono: stai sempre a criticare, ma cosa si potrebbe fare? Da anni vado in giro a ripetere che le imposizioni dei programmi di aggiustamento strutturale che la Banca Mondiale e l’FMI hanno imposto ai paesi del sud, tagliando educazione, salute e servizi agli agricoltori, hanno preparato il terreno ai problemi attuali, così come le insensate sovvenzioni che continuiamo a dare alle nostre agricolture del nord. Basta fare il contrario di tutto ciò. Spendere e spandere per educazione, salute e agricoltura familiare, e allora comincieremmo a discutere. I soldi? I soldi ci sono, lo sanno benissimo i nostri politici. I soldi sono o messi dentro il buco nero delle spese militari, che sarebbero sufficienti, se eliminate del tutto, a risolvere i problemi del mondo e rinforzare una classe media dappertutto, oppure i soldi, come ben sanno i maghi della finanza, ed anche il nostro Draghi, si inventano. La massa monetaria attuale è composta per lo più di moneta virtuale, creata dal nulla dai maghi della finanza. Comunque, anche senza andare a creare moneta virtuale, basterebbe quella vera. Se per caso sentite uno dei politici, al governo o all’opposizione, dire una cosa del genere, fatemi un fischio.

sabato 21 novembre 2015

2015 L49: Peine perdue - Olivier Adam

 
J'ai lu 2015
 
Les touristes ont déserté les lieux, la ville est calme, les plages à l'abandon. Pourtant, en quelques jours, deux événements vont secouer cette station balnéaire de la Côte d'Azur: la sauvage agression d'Antoine, jeune homme instable et gloire locale du football amateur, qu'on a laissé pour mort devant l'hôpital, et une tempête inattendue qui ravage le littoral, provoquant une étrange série de noyades et de disparitions.

Familles des victimes, personnel hospitalier, retraités en villégiature, barmaids, saisonniers, petits mafieux, ils sont vingt-deux personnages à se succéder dans une ronde étourdissante. Vingt-deux hommes et femmes aux prises avec leur propre histoire, emportés par les drames qui agitent la côte.

Avec Peine perdue, Olivier Adam signe un livre d'une densité romanesque inédite, aux allures de roman noir, et dresse le portrait d'une communauté désemparée, reflet d'un pays en crise.
Ce livre fait partie du tiercé final du prix des libraires 2015.

Un libro nero, una serie di ritratti di difficile digestione, una periferia di quelle che ti verrebbe da lasciar perdere... non ne trovi uno di positivo... paumés, questo sono, leggerlo in un periodo nero come questo ti fa venire voglia di passare ad altro...

venerdì 20 novembre 2015

Linguine alle vongole

Poi capita che uno abbia una figlia che ci abita in quel quartiere di Parigi dove è successo di tutto. E sei lì a dirti che hai avuto fortuna che proprio quel giorno stesse viaggiando per tornare in Italia a salutare un po’ di amici ed anche noi, i genitori.

Lasciava là il suo ragazzo, che ha scelto di barricarsi in casa in quei primi giorni di cui ricorderemo per lungo tempo le foto, le grida e le parole di un Presidente dichiarare, per la prima volta dal 1945, che eravamo in guerra.

Una settimana dopo, serate con amici, a Milano e a Roma, aperitivi, cene, discussioni, partite a carte e poi tutto il gruppo che abbiamo visto crescere in questi quindici anni, a ritrovarsi a casa nostra ieri sera. Momenti di relax per non pensare all’oggi, a quel volo che la sta riportando a casa, in quella città dove è nata.

Una giornata di riunioni per me, interessanti o meno, legate alle tante cose che sto cercando di portare avanti. Tutto con serietà, con quella professionalità che si richiede nel lavoro, soprattutto quando lavori per combattere la povertà nel sud del mondo.

Poi arriva una proposta, per condividere un piatto di linguine alle vongole con tua figlia, e allora non esiti. Il mestiere del padre è anche questo, esserci in questi momenti di stress per noi tutti, per lei che torna a Parigi, per noi genitori … Mandi all’aria le riunioni, cambi priorità, perché, come diceva una volta un caro amico vicentino, altre sono le cose importanti della vita. Caro Roberto, che dicesti quella frase rimasta misteriosa per noi compagni di università, ecco oggi quella frase ha preso tutto il suo significato. Un piatto di linguine con tua figlia non ha prezzo.

 

giovedì 19 novembre 2015

La Via Campesina: cari amici, come dicono a Roma "nun t'allargà"



Ieri ho sentito una cifra che mi sembrava spropositata da parte di un paio di portavoci della Via Campesina, organizzazione lider nel mondo dei movimenti sociali contadini. Parlavano di 300 milioni di persone che sarebbero rappresentate da loro.

Ho deciso di andare a dare un occhio sulla rete, per capire meglio il valzer dei numeri, ed ecco cosa ho trovato, con relativi links:

(Alegría - primo Presidente della VC - representa a 64 millones de personas de más de 200 ONG´s de los cinco continentes)" http://www.cronica.com.mx/notas/2003/84516.html (2003)

La Vía Campesina de hoy se compone de más de 150 grupos y más de 150 millones de afiliados (Paul Nicholson) http://www.revistapueblos.org/old/spip.php?article1292 2004

La organización internacional Vía Campesina, que representa a más de 160 millones

La Vía Campesina Internacional [e]stá integrada por 150 organizaciones nacionales y regionales de todos los continentes y representa a 200 millones de campesinos/as.

It would be fair to say the La Vıa Campesina organisations represent some 500 million rural families worldwide (P. Rossett)  http://www.tandfonline.com/doi/pdf/10.1080/03066150903498804   (2010)

Una crescita incredibile, devo ammettere.. quindi forse adesso la cifra di 300 milioni é un primo passo verso il ritorno alla realtá?

domenica 15 novembre 2015

I pezzi del puzzle

Cerchiamo di mettere ordine, dopo l’emozione di questi primi momenti. Gli elementi che dobbiamo considerare, a mio giudizio, sono i seguenti: il substrato molle in permanente crescita, chi ci mette la faccia e chi ci mette i soldi, il tutto condito dalla solita domanda: perchè lo fanno.

Io continuo ad interrogarmi sul primo livello, lo stagno dove nuotano ed anzi crescono i pesci che poi passano all’azione.

La questione del gap nord-sud non è più solo un gap economico (poveri e ricchi), ma è anche un gap culturale in senso lato. Il gap economico, malgrado quello che provano a dirci, continua a aumentare. Qui non si tratta solo di chi soffre la fame o la malnutrizione, ma di quanti non arrivano a mettere assieme meno di due dollari al giorno, cioè la metà dell’umanità. La massa potenziale quindi è enorme. Gran parte di questi hanno un livello di educazione formale bassissimo e l’unica risposta che trovano ai loro problemi è quella di incamminarsi verso nord, cioè verso luoghi dove ci siano maggiori possibilità di lavoro. Questo nord non è esattamente il Nord come lo immaginiamo, sono tanti nord che diventano tali quando rappresentano una fonte di vita migliore dell’esistente. Quindi il Sudafrica rappresenta un nord per molti mozambicani che vanno lì a cercar lavoro nelle miniere. L’Angola sta diventando un nord anche per il suo ex paese colonizzatore, il Portogallo, perchè fino a qualche tempo fa l’economia petrolifera dell’Angola cresceva molto di più, per cui erano i portoghesi a cercare di ottenere visti per andar a lavorare laggiù. Noi europei o, per aprire maggiormente i cancelli, noi paesi OCSE, rappresentiamo globalmente un nord di ricchezza, o almeno percepita come tale, ma anche una regione del mondo dove non ci sono così tanti conflitti come nei paesi del sud. Quindi una prima risposta alla mancanza di lavoro, di educazione, di salute, insomma di avvenire, consiste nel mettersi in cammino. E’ ovvio che le ragioni che spingono ad avventure come quelle che vediamo quotidianamente, ad affrontare quelle violenze e quei pericoli devono essere molto ma molto forti, e finchè non saremo intervenuti sul serio su quelle cause, il flusso non potrà far altro che continuare, che ci piaccia o meno.

Da quel flusso di poveri, può saltar fuori una avanguardia molto più arrabbiata. Gli africani neri per il momento si sono dimostrati più interessati a un livello locale o al massimo regionale di conflitti e guerre. Ai nostri venditori d’armi andava bene così. Diamanti, petrolio, risorse minerali rare contro armi e appoggio politico hanno fatto prosperare una casta locale a cui tutto è permesso e dall’altra parte hanno ingrossato i flussi finanziari verso le nostre banche.

Forse agli africani neri mancava il collante, un qualcosa che potesse trasformare le querelle locali in qualcosa di più grande, una vera rivolta contro chi li aveva colonizzati e, dall’indipendenza in poi, li teneva sotto scacco in modo più sottile ma non certo meno efficace. Negli anni sessanta i movimenti di ispirazione socialista ci avevano provato, lo stesso Che Guevara era andato a far proseliti in Africa ma senza successo. La dimensione tribale ed etnica limitava il raggio d’azione di questi attori e i loro interessi.

Lo scontro con le popolazioni arabe del nord era limitato, per via della presenza dei deserti. Gli arabi avevano a disposizione una serie di elementi che erano e sono meno presenti nella parte nera del continente. Innanzitutto una tradizione scolastica, universitaria presente da moltissimi secoli, che fa delle loro elite una parte integrante dell’elite mediterranea e mondiale. C’era, e c’è, una classe media non solo mediamente ricca in beni materiali, ma anche partecipe alle grandi correnti di pensiero. La differenza è che mentre da noi il secondo dopoguerra vede la nostra classe media e l’intelletualità entrare nel giro del potere e capace quindi di influenzare l’evoluzione delle nostre società (lo sbocciare della tematica dei diritti è un frutto tipico di questa primavera intellettuale, ostacolata dalle forze conservatrici, religiose, militari o economiche). In questo movimento si inserisce il rafforzamento del sindacalismo operaio, uscito dal modello delle Gilde corporative fasciste per prendere parte attiva nella difesa di una classe in transizione dalla campagna alla città. A tutto ciò si somma una presenza forte e organizzata di partiti politici che, pur nelle loro diversità e nei loro scontri continui, portano avanti un disegno che è certamente più democratico delle società europee dell’anteguerra.

Questo non succede aldilà del mediterraneo o in medio oriente. Le decolonizzazioni, fortemente volute da questa nuova classe media che non accetta più il mondo arcaico precedente (e questo senza essere necessariamente di sinistra), restano comunque degli spazi di libertà limitati e, come dicevo ieri, la casta che viene messa al potere deve rispondere innanzitutto ai precedenti interessi coloniali. Non si arricchisce una classe media e non si integrano gli intellettuali nei circoli di potere. Restano ai margini oppure emigrano da noi, per scrivere, cantare, dipingere e raccontarci la vita dall’altra parte del mare come fossimo fratelli. Ma non lo siamo, il gap inizia ad aumentare. Da noi le battaglie per diritti accellerano su vari fronti, tipico l’esempio della legge sull’aborto in Francia portata avanti da una donna ministro di un governo di destra. Questo gap culturale lo troviamo oggi di fronte a noi. Da noi miglioravano le condizioni medie del cittadino lambda, da loro non succedeva. Le frustrazioni aumentavano, soprattutto in società ancora molto maschiliste che difficilmente potevano assistere alla “liberazione della donna” come succedeva al nord. Se questi erano i segnali della modernità, chi controllava quelle società non aveva nessun interesse a farli propri, con il rischio di perdere il controllo. D’altronde non c’erano forze sociali organizzate, come lo erano da noi i partiti, i sindacati e pian piano i movimenti ribelli e antagonisti. Da loro eravamo ancora fermi al sindacati corporativi, creati dal governo per assicurare la stabilità del governo. Lo stesso per i partiti politici e la pseudo democrazia. La società veniva imballata, e i giovani erano i primi a pagarne il prezzo.

Il collante arriva con la religione, meglio con una interpretazione manicheista e estremista dell’islam. Ma ricordiamoci che la colla prende se si sono delle superfici pronte all’uso. In Algeria è quello che succede con il GIA. Alle prime elezioni libere, il ras-le-bol dei giovani porta alla vittoria l’unico partito nuovo e diverso, gli islamisti. La reazione occidentale è di stupore e subito dopo di paura. Gli estremisti islamici al potere in un paese che interessa a noi, questo era impossibile. Pertanto i militari vengono pregati di fare il lavoro sporco, a cambio del mantenimento dei loro privilegi. Lo stesso schema succedutosi in Egitto poco tempo fa. I Fratelli Mussulmani, da sempre tenuti in carcere da Mubarak e i precedenti Rais, alla prima occasione vincono democraticamente le elezioni. Anche questo è inaccettabile. Per cui si richiamano i militari, con l’appoggio di tutto l’occidente, e i fratelli mussulmani e il loro presidente si ritrovano o in galera o fatti fuori.

Non ricordo manifestazioni nelle piazze europee per difendere i risultati delle elezioni libere in quei paesi. La politica dello struzzo continuava.

In fin dei conti ci dicevamo che queste erano battaglie interne fra sciiti e sunniti, quel casino che in medio oriente significa una guerra dietro l’altra che a noi interessano molto poco. L’importante è che non tocchino i nostri affari. Questo fu l’errore dell’amico Saddam il quale non avesse deciso di andarsi a prednere il petrolio con le armi in Kuwait, paese amico degli americani e di noi europei, sarebbe ancora qui a giocare il ruolo di pacificatore. La guerra contro di lui permise di mostrare che non avevamo capito niente di quella regione e nemmeno della regione tibetano-himalayana. Abbiamo iniziato delle guerre che non riusciremo mai a vincere, mostrando così che al di là delle chiacchiere, i nostri eserciti sono battibili, basta volerlo.

Capito che la supremazia occidentale stava poggiando su basi di vetro, che l’antico potere sovietico era troppo preso dai problemi interni per poter occuparsi del resto del mondo, e che le nuove potenze BRICS quella parte del mondo era terra incognita, qualcuno ha deciso di provare a giocre la partita.

Lo scontento sociale era ed è crescente, dall’Africa al medio oriente e continua verso est nella fascia dei paesi tibeto-himalayani e anche più a sud. La religione islamica è quella che può fare da collante, sempre che si riesca una operazione di indottrinamento accellerato. Per le armi non ci sono problemi perchè i mercanti di armi sono da sempre amici con chi ha i soldi per comprare. L’intellettualità repressa, quella che ha deciso di non accettare l’evoluzione del nostro mondo sempre più complesso, dove a fianco della dominazione dei finanzieri ci sono spazi di libertà individuale inconcepibili in contesti di società ancora patriarcali, quell’intellettualità dicevo si mette a disposizione, in particolare nelle uniche scuole che i piani di aggiustamento strutturali, l’arma fatale usata dal Nord per distruggere quelle economie, non sono riusciti a toccare: le Madras, le scuole coraniche. Ed è così che si cominciano ad allevare milioni di giovani studenti il cui unico libro preso in mano sarà il Corano, interpretato non da insegnanti delle scuole pubbliche e laiche, ma da teologi sciolti, molti dei quali sono facilmente recrutabili per avventure come le attuali.

La storia delle torri gemelle con gran parte degli attentatori aventi passaporto saudita, non ci ha fatto cambiare politica. Siccome sono ricchi, continuiamo a fare affari con loro, pur sapendo che il loro credo politico religioso è quanto di più conservatore ci sia al mondo. Al confronto l’Iran di Khomeini fa quasi figura di debosciato. Ma siccome noi occidentali abbiamo bisogno del petrolio saudita, allora i sauditi sono i nostri amici e gli iraniani (essendo sciiti, contro i primi che sono sunniti) diventano i nostri nemici.

Le evidenze che i soldi per il terrorismo arrivino da quella parte del mondo non riesce proprio a smuoverci. Loro hanno dietro un bacino di reclutamento in forte espansione, oramai le nostre periferie ne fanno parte da quando quelle zone sono Res Nullius, terra di nessuno dove lo Stato non osa più avventurarsi. Povertà, miseria economica e culturale, ne fanno un brodo di cottura dove i predicatori estremisti hanno vita facile, come gli spacciatori di droga alle Vele di Scampia a Napoli.

Il perchè questo succeda è, come spesso succede, materia opinabile. Io penso che ci siano una serie di fattori, alcuni strutturali ed altri più casuali storicamente. Fra questi ultimi metterei proprio l’evidenza che noi del nord non abbiamo più voglia di fare la guerra e non vogliamo vedere i nostri figli morire in guerra e quindi quando dobbiamo andarci siamo poco preparati e quindi battibili. Un altro mondo, multipolare, diventa quindi possibile, ma non quello sognato dai movimenti, un mondo di macroregioni dove varie potenze, espressione di inteerssi vari, possono avere un ruolo egemonico. Lasciamo l’Asia alla Cina, l’America Latina agli americani, ma qui nel nordafrica (e magari anche nell’Africa nera) e nel medio oriente (e chissà fin dove si possa arrivare nella parte bassa dell’Asia, magari potremmo prnderci l’Indonesia, il paese mussulmano più grande al mondo). Ecco come devono pensare questi sceicchi ultraconseratori. Il nostro modello può farcela a prendersi in mano questa fetta del mondo, agli europei lasceremo l’altra sponda del mediterraneo, purchè sia chiaro che alla prima cazzata che fanno, gli mandiamo una serie di attentatori suicidi per scatenare l’opinione pubblica. Penso sul serio che sia a questo che puntano. E per questo hanno bisogno di portare la sfida da noi, per impaurirci e farci capire che è meglio pensare agli affari nostri e basta. Dall’altro lato hanno il problema della divisione con gli sciiti, e su questo la partita è ancora aperta. Certo che se non vincono contro gli sciiti, cioè contro l’Iran, tutto il piano rischia di venir giù.

In tutto questo l’elemento che secondo me sottovalutano maggiormente riguarda la loro capacità di controllare il bacino di reclutamento. Le ragioni per cui i giovani se ne vanno a combattere, prima di essere di tipo religioso, cioè una attrazione per qualcosa che conoscono solo superficialmente, è la forza che li spinge via da casa loro, cioè la crisi economica, ecologica e sociale. Tatticamente in questo momento possono far parte delle brigate di Daech, ma al fondo del problema resta che la degradazione dei loro territori, il depredamento delle loro risorse, la mancanza di scuole, ospedali, cinema e teatri, fa sì che la massa di incazzati aumenti, ed è una massa anarchica. Se fosse solo una questione di supremazia regionale con le potenze del golfo, un accordo alla fine si troverebbe, dato che anche loro hanno bisogno di noi così come noi di loro. Ma io credo che vada ben al di là di questo, che il vulcano che si sta scaldando sia molto più complicato, potenzialmente alleabile con chi in un certo momento può essere utile, una Idra dalle tante teste che non si lascerà ricondurre facilmente alla ragione.

La vera questione è saper quando cominceremo a fare il contrario di quanto facciamo da oltre trent’anni, e cioè politiche pubbliche di sviluppo, rispetto degli altri paesi e ricerca di collaborazione economica reale e non basata sulla sopraffazione, mettere sotto stretto controllo finanze e banche perchè sia chiaro che la mano pubblica deve riprendere il comando delle operazioni. Tagli drastici ai budget militari e investimenti massicci, anche in deficit, sul sociale, partendo proprio dalle zone più deficitarie, nel sud come da noi. Solo così potremo difendere sul serio i “diritti”  di cui i nostri politici si riempiono la bocca.

 

sabato 14 novembre 2015

Parigi 13 novembre 2015: A mente fredda

Innanzitutto un momento di silenzio per tutte le vittime di ieri sera che, molto probabilmente, saranno solo alcune delle tante che verranno.

Di fronte a questi atti, che sembrano inumani, come dice il Papa, abbiamo il dovere di porci le domande giuste se vogliamo capire cosa sta succedendo e cosa si prepara.

Noi del Nord siamo cresciuti in un mondo che ci ha convinti di essere dalla parte del giusto, portatori di valori morali e di risultati economici e sociali che hanno fatto di tutti noi, anche involontariamente, degli ambasciatori del “giusto”. Chi fa come noi avrà gli stessi risultati, basta impegnarsi, quante volte l’abbiamo sentito dire a casa nostra o attorno a noi. Il modello importato dagli americani nel dopoguerra ha funzionato in Europa. Ricordo che eravamo usciti dalla guerra come dei morti di fame e i nostri paesi erano deficitari in alimenti di base. Il rischio che potessimo cadere sotto la propaganda sovietica, comunista, era forte. Ed ecco che il Piano Marshall ci riempie di soldi ma, ancor più importante, le novità agricole arrivano da noi. Motomeccanizzazione, chimizzazione e varietà migliorate hanno fatto si che, in una quindicina d’anni, l’ovest europeo diventasse esportare netto di derrate alimentare. Dagli anni sessanta cominciamo ad avere i noti problemi di sovraproduzione e di distruzione di cibo, frutta e tutto il resto.

Si tratta di un modello che funziona perchè siamo nelle stesse condizioni agroclimatiche, le istituzioni esistono e l’educazione basica dei contadini è sufficente per fare il salto. Tanti di loro usciranno dal settore agricolo, ma siccome siamo ancora in un modello economico basato sul lavoro manuale, la manovalanza agricola si sposta: dal Veneto alla Lombardia, dal Sud a Torino.

Le forze sociali si organizzano, e grazie ai sindacati le condizioni materiali di miglioni di italiani migliorano in modo strutturale. Fosse stato per gli Agnelli e i Pirelli, saremmo continuati ad essere degli schiavi alla catena di montaggio, ricordiamocelo.

Lo stesso modello proposto al sud del mondo non funziona. Non ha funzionato mai, da nessuna parte. Le ragioni sono molteplici, ne ricordo alcune. Le condizioni agroclimatiche sono diverse, per cui sarebbe stato necessario uno sforzo di ricerca in agricoltura per mettere a punto le varietà possibili su quei climi e su quei suoli. Ma questo significava rafforzare istituzioni pubbliche. I paesi nati dalla decolonizzazione al contrario non hanno mai avuto la vera possibilità di scegliere. Quando dei capi di Stato visionari hanno provato a cercare strade nuove, sono stati semplicemente ammazzati (da Ben Barka a Sankara la strada è lunga). Gli stessi limiti geografici dei nuovi Stati non rispondevano che ai nostri interessi occidentali. Abbiamo messo dei fantocci al governo, con una serie di esperti nostri a tenerli a bada. Hanno fatto le nostre politiche ma non andava ancora bene. Negli anni 80 le nostre istituzioni finanziarie li hanno costretti a degli “aggiustamenti strutturali”, centrati su tre temi chiave: tagli alla salute pubblica, all’educazione e ai servizi agli agricoltori. Li abbiamo messi in ginocchio.

Non contenti, abbiamo continuato a mostrare le nostre ricchezze, permettendo solo alla loro casta al governo di venire a spendere i soldi rubati al popolo nelle nostre boutique, in modo che almeno loro potessero condividere il nostro sogno di sviluppo giusto. L’importante era che i soldi rubati li mettessero nelle nostre banche, da cui non sarebbero mai tornati ai legittimi proprietari, i popoli africani e arabi.

Non ci siamo resi conto che l’andare a braccetto fra l’economia e la finanza di rapina e il nostro clero stava cominciando a far bollire un fuoco primordiale pericoloso. Noi facevamo i soldi, avevamo sempre più “libertà”, loro si travano ogni giorno di più la cinghia ma cominciavano a pensare.

Abbiamo avuto un primo segnale dell’eruzione vulcanica che si sta preparando, quando il GIA vinse democraticamente le elezioni in Algeria. Il risveglio fu brutale: lasciare in mano a degli estremisti uno dei più ricchi paesi del mediterraneo? Giammai. Ordine fu dato ai militari algerni che a prezzo di più di diecimila vittime eliminarono il GIA e si mantennero al potere.

Nemmeno quello fu però sufficente a capire cosa bolliva in pentola. Mi ricordo in quegli anni spiegare ai miei giovani consulenti che il gioco è lo stesso di quando siamo bambini. Quelli più forti dettano le regole, si gioca e vincono sempre loro. A un certo punto, il calimero dice “basta, non gioco più” e se ne va. Questo è successo già allora. Il GIA rifiutava in toto il nostro modello, economico, finanziario, culturale e religioso, per loro tutto si teneva. La povertà e la crisi delle loro società tradizionali erano il frutto dello stesso movimento di occidentalizzazione.  Hanno perso in Algeria, e noi siamo stati contnti di celebrare.

Quando sono tornati con la faccia di Bin Laden, in tanti ci siamo detti che tanto era un problema con gli americani. Abbiamo assistio, e partecipato, alla crociata per portare la nostra democrazia a casa loro, non capendo che era esattamente contro quello che lottavano.

Nel frattempo abbiamo fatto sprofondare ulteriormente le condizioni di vita di milioni di poveri del sud, distruggendo i loro territori, deprendando le loro risorse e quanto altro.

Da anni avevano cominciato a dircelo in faccia, diventando specialisti nell’unica arte che sembra contare davvero: la comunicazione. Verremo anche da voi, non sentitevi al sicuro.

Hanno cominciato ad arruolare nelle nostre periferie, e ancora una volta non abbiamo capito che siamo noi all’origine del male, col nostro modello che si crede oramai superiore anche a Dio, comanda la natura con i Deriviati finanziari, dove dieci Corporations decidono cosa dobbiamo seminare nei nostri campi e cosa mangiare, dove ci dicono come vestirci, che film vedere e che musica ascoltare, il tutto contrabbandandolo come democrazia e libertà.

Non vogliono nulla di tutto questo, e il problema è che hanno fatto di tutta l’erba un fascio. Si mescolano progressi innegabili dell’umanità, in particolare per le donne, ma anche questo è un affronto per loro, perchè spingiamo per cambiamenti accellerati dello loro società, e non sono pronti per questo. Le nostre nonne avevano tutte il velo nero in testa, estate e inverno, ma non ricordo marce o manifestazioni di piazza per la libertà delle nonne. C’è voluto del tempo, e battaglie, vinte e perse, tutto ciò che neghiamo a loro. Li neghiamo da decenni nel loro essere. Noi, dall’alto della nostra superiorità non accettiamo più l’altro. L’alterità è un concetto che non si studia più. Siamo noi e basta, gli altri devono adattarsi (t’a d’adattà, come dicono a Roma).

Peccato che questo modello non funzioni più. E’ finita. Adesso sono pronti a rispondere colpo su colpo. Guerra asimmetrica, ma sempre guerra è. Noi bombardiamo (convinti di aver ragione) a casa loro, e loro vengono a metterci le bombe o a sparare a casa nostra. Occhio che oramai hanno truppe già qui, le stiamo nutrendo ogni giorno che passa nelle nostre periferie degradate. Quando dei governi di sinistra o dei movimenti hanno provato a criticare queste politiche che ci stanno portando in maniera accellerata alla terza guerra mondiale (già iniziata, come ha detto anche il Papa), vengono trattai come si trattavano i paesi africani.

Eppure i soldi ci sono, spesi male, ma ci sono. La massa di soldi spesi in armamenti è 5 volte più grande (ogni anno) di quanto ci vorrebbe per debellare la fame nel mondo e creare dinamiche di sviluppo. Quindi se non vogliamo cambiare modello, so cazzi nostri. Ma ricordiamoci che, come hanno annunciato ieri sera, il prossimo attacco sarà qui a Roma e a Londra. E non avremo nulla per fermarli, perchè in realtà li stiamo incitando ogni giorno che passa.  

venerdì 13 novembre 2015

2015 L48: Les italiens - Enrico Pandiani


Instar Libri, 2009
 
Una gragnuola di proiettili sparati attraverso la finestra devasta un ufficio della Brigata Criminale di Parigi straziando le persone che si trovano all'interno. Tre agenti e una donna rimangono sul pavimento in un lago di sangue. La squadra de «les italiens» viene decimata prima ancora di cominciare le indagini. Il commissario che la dirige, poliziotto disincantato e un po' indolente, assieme ai suoi flic di origine italiana si trova ben presto coinvolto in una feroce caccia all'uomo. È costretto a fuggire attraverso una Parigi assolata braccato da un gruppo di sicari senza scrupoli che non si fermano davanti a nulla pur di eliminare lui e la bellissima pittrice transessuale che si trova tra i piedi. Suo malgrado, tra litigi e malumori, deve proteggere e salvare quella giovane donna piena di sorprese. Un viaggio infernale che li porta lentamente a scoprirsi spingendoli l'uno verso l'altra, cambiando la loro prospettiva e rimettendo in gioco le loro convinzioni. 

Ottimo per il treno. Si legge in un attimo. La storia sembra un po' esagerata ma comunque fila via bene.

martedì 10 novembre 2015

Trent’anni bussando con il Re quarto



Penso ai vecchi amici dell’università e ai nostri viaggi  e le interminabili partite a tressette, mattina e pomeriggio… Il nostro amico Oboe, agronomo fattosi frate poi chissà, forse sposato e felice da qualche parte, che giocava a occhio: “mi la meto lí” diceva mettendo giù una carta senza che si capisse a cosa stava giocando. E chi giocava con lui diventava matto… Io trovai in un vecchio libro a casa, eredità di mia madre, le vecchie regole del Chitarrella, praticamente il vangelo per i giocatori di tressette. Imparai così a giocare di rimessa, provando ad attaccare anche quando le carte non erano granché. Da lì viene la storia del busso col Re quarto, che chi ha giocato a tressette sa essere una carta rischiosa, soprattutto se il tuo compare ha l’asso ma non abbastanza coperto.

Tutta sta trafila per spiegare come mi sento in questi giorni. Di fatto, tirando le somme dopo l’ennesima bastonata ricevuta, mi è venuta chiara la similitudine con la storia del Re quarto. Una carriera, se di carriera posso parlare, dove ho giocato praticamente sempre attaccando col Re quarto. Mai che avessi una Napoli o un bongioco in mano, sempre sto maledetto Re quarto che mi ha fatto perdere tante partite ma anche, a volte, a portare a casa qualche punticino insperato.

Alla fine uno però si stanca, e io sono come quella sottile linea rossa che pian piano si sta assottigliando sempre più e la cui resistenza può venir meno in qualsiasi momento. L’ultima partita che ho perso l’avevo iniziata oltre vent’anni fa; all’inizio non sembrava una cosa che dovesse andare per le lunghe ma pian piano mi sono reso conto di aver messo il dito in un punto critico e più si andava avanti a giocare più aumentavano le complicazioni. Gli altri giocavano con Napoli e bon gioco, io col mio Reuccio che a malapena sopravviveva ma che, pian piano, era riuscito a trovare il modo di portare a casa quei pezzi di punto, una figura di qua, un’altra di là che sembrava far basculare il punteggio finale verso una vittoria attesa per tanti anni.

Ma è solo nei libri che vincono i più deboli, nella vita vera vince il più forte e basta. Ed eccomi qui, svuotato dentro, non trovo più stimoli per andare avanti perché questa era la madre di una filosofia di lavoro che portavo avanti da sempre: inclusione, condivisione, trasparenza, mettere assieme le nostre piccole forze per osare attaccare i castelli più difficili.

La delusione è grande e non riesce ad uscir fuori per evacuarla. Non sto bene, proprio no.

domenica 8 novembre 2015

Precisazioni ulteriori per i ragazzi a cui vado spiegando le origini dei conflitti legati alla terra e altre risorse naturali


Per chi avesse bisogno di ulteriori fonti che certificassero quanto vo dicendo sulle origini lontane della crisi attuale, legate al calo progressivo del saggio di profitto a mano a mano che la ricostruzione del dopoguerra andava avanti, e quindi la necessità per il gran capitale di trovare altre vie per rimettersi a far soldi, tanti e subito, invito a leggere quanto da anni scrive Luciano Gallino. Qui sotto un paio di citazioni interessanti a mio modo di vedere:


Vi è stato in questi ultimi trent’anni un enorme sviluppo del sistema finanziario a paragone dello sviluppo del sistema dell’“economia reale”: se all’inizio degli anni ottanta il volume degli attivi finanziari corrispondeva al Pil mondiale, al momento della crisi ammontava a oltre quattro volte il Pil. Il mondo è stato radicalmente trasformato da un processo patologico.

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Peraltro questo processo, lei lo mette in chiaro molto bene nel libro, è stato determinato dalle scelte della politica, contrariamente alla vulgata proposta e introiettata dalla politica stessa che si è dipinta come passiva e impotente di fronte ad esso.
Non è stato per nulla un processo naturale. E’ stato invece un grande progetto ideologico, culturale e politico avviato dagli anni cinquanta e che ha preso piede a partire dagli anni ottanta. Non è vero che la politica è stata sopraffatta dalla finanza: l’assoluta libertà di agire che ha acquisito la finanza è stata un’operazione politica, iniziata peraltro in Europa. Si parla, a questo di proposito, di un “consenso di Parigi” che ha preceduto il “consenso di Washington”. La crisi ha dimostrato l’assoluta falsità della tesi ideologica dell’autoregolazione del mercato, eppure essa continua a presentarsi come l’unica possibile. E questo lo verifichiamo anche nella continuità delle persone: il consiglio economico di Obama, ad esempio, è composto da banchieri che hanno avuto parte importante nella deregulation fatta sotto Reagan e Bush.

La ricerca di maggiori e nuovi profitti (che avrebbe portato alla finanziarizzazione della natura) si è scontrata negli anni sessanta con una resistenza operaia e sindacale molto forte nel paesi del Nord, che aveva permesso di spostare una massa rilevante di base monetaria dal capitale al lavoro, di fatto permettendo l’emergere di una classe media di cui siamo tutti (o quasi) figli nei paesi OCDE. Questo però non è durato molto e i risultati della riscossa capitalista, guidata dai neoliberali, Reagan e Thatcher, riuscì a rispostare il pendolo nella direzione del capitale:


«Nei maggiori paesi Ocse, nel periodo 1976-2006, la quota salari sul Pil è scesa in media di 10 punti, i quali sono passati alla quota profitti dando origine a diseguaglianze di reddito e ricchezza mai viste dopo il Medioevo

In questo periodo non solo si impoveriscono i lavoratori ma si cooptano dal di dentro le principali forze di opposizione di sinistra che, col tempo, finiscono per accettare i precetti economici neoliberali, tanto che, alla fine, diventa sempre più difficile capire chi sia di sinistra e chi sia di destra. Se questo avvenisse in un periodo di conclamata crescita economica per tutti, saremmo tutti lì a gioire. Al contrario questo avviene quando i primi segnali della crisi attuale si fanno sentire per cui noi, classe media, entriamo nella crisi apertasi ufficialmente nel 2008, già più poveri, globalmente, degli anni settanta ma soprattutto senza più riferimenti politici affidabili. La sfera economica, sempre più in mano alle corporations e alla finanza, non subisce più controlli dalla sfera democratica, anzi, riesce sempre più a metterla ai suoi ordini. In mezzo cresce quella che chiamo la sfera della mancata fiducia, dove tutte le avventure politiche sono possibili:

Questo sotto viene da un articolo sulle controdemocrazie di Ilvo Diamanti del 5 novembre: http://www.repubblica.it/politica/2015/11/03/news/titolo_non_esportato_da_hermes_-_id_articolo_1682479-126511352/

Perfino la fiducia verso lo Stato oggi non supera il 15% (Sondaggi Demos). Cioè: la metà rispetto al 2010. Mentre la fiducia nei partiti - lo abbiamo ripetuto spesso - è ormai scesa al 3%.

Ecco perchè la situazione attuale è ben peggiore di quanto abbiamo conosciuto fin’ora. Non è solo crisi economica, mancanza di lavoro e di prospettive, è anche e soprattutto la resa di istituzioni sempre più  subordinate al capitale che non riescono più a dire nulla di positivo al cittadino comune. Se quest’ultimo punto non entra prepotentemente nell’agenda politica, si preannunciano orizzonti molto foschi a breve termine.

2015 L47: Sempre caro - Marcello Fois

Nuoro, fine Ottocento. Bustianu Satta, al secolo Sebastiano Satta (1867-1914), un giovane avvocato e poeta, accetta di difendere Zenobi Sanna, un pastore accusato di furto di bestiame. Il giovane, inspiegabilmente, non solo si è dato alla latitanza ma pare voglia distruggere le possibili prove a suo favore complicando la vicenda che inizialmente appare di facile soluzione. In una narrazione a tre voci, "con una sapiente, calcolatissima commistione tra lingua e dialetto", come scrive Andrea Camilleri nella sua Prefazione, Fois immerge il lettore in una oscura e delittuosa storia che costringerà l'avvocato, tra reticenze, patrimoni contesi, lettere e fotografie misteriose, a improvvisarsi investigatore per risolvere il caso. "Dice che l'avevano visto pensieroso, come sempre quando aveva una causa difficile. Che tutto si poteva dire di lui, ma non che non prendesse sul serio il suo lavoro".

Bello, nella sua semplicità. Probabile candidato alla Top

martedì 3 novembre 2015

Chi ha paura erige muri



L’ultimo (in ordine di tempo) è quello austriaco. Oramai abbiamo perso i conti dei tanti, troppi muri fisici che si stanno ricostruendo, nella vana speranza di contenere la fiumana umana che dal sud economico viene a condividere il “benessere” percepito che esisterebbe al nord.

La storia sembra non aver insegnato nulla. Il muro che avevamo conosciuto nel dopoguerra è crollato 26 anni fa, e tutti ci rallegrammo di quella che sembrava la fine di un’epoca. Purtroppo invece il Muro con la M maiuscola ha lasciato in eredità tanti muretti dove non vanno i giovani per sedersi e fare quattro chiacchiere, ma muri che dividono e che, soprattutto, muri che mostrano la paura di chi si chiude dentro.

Quanto sembrano lontani quegli anni disgraziati quando un soggetto poco raccomandabile eletto con truffa alla presidenza degli Stati Uniti andava cianciando di esportare la nostra “democrazia”. Noi eravamo più forti e gli altri, arretrati, dovevano capirlo. Arrivò il “meticcio” franco-ungherese, quello sempre incazzato, che arrivò a blaterare che l’Africa non era ancora entrata nella storia … adesso forse siamo noi che stiamo uscendo dalla storia… ne stiamo uscendo perché non riusciamo più a capire come vada il mondo, il nostro ruolo come parte di un tutt’uno e crediamo che l’avvenire sia fatto dal ritorno al medioevo. Ma i muri fisici sono solo la parte emersa di un iceberg la cui parte sommersa è costituita dai muri mentali che ci stiamo costruendo attorno. Lo vediamo nei luoghi di lavoro, nella politica, nelle istituzioni, nazionali e internazionali … chiudiamo gli spazi agli altri, abbiamo paura di confrontarci, di essere messi in discussione e allora ciò che ci divide diventa argomento per costruire effimere piattaforme elettorali. La paura ha già vinto in Ungheria, con i due terzi degli ungheresi ad appoggiare partiti di ispirazione fascista. Lo stesso sta accadendo in Polonia, quindi perché stupirci se la Turchia prende la stessa direzione? Domani magari sarà la Francia, insomma la paura diventa una moneta spendibilissima.

Nel comune vicino casa mia, Cesano di Roma, sobborgo che fa parte dell’agglomerato della Capitale, da qualche settimana sono apparsi dei cartelloni di fantomatici cittadini “residenti-attenti”, insomma le ronde di leghista memoria. Oramai il virus ci sta infettando, e noi guardiamo altrove. Nel mio piccolo, a parte cercare di scrivere queste cose, ogni volta che ne ho la possibilità vado nelle Università o negli incontri pubblici organizzati da gruppi di varia ispirazione per spiegare loro la centralità dell’alterità nel patto sociale che ci tiene tutti assieme. L’evoluzione degli approcci metodologici che usiamo nei nostri programmi di terreno, ci sta portando verso due frontiere che vanno tenute assieme: partivamo dai principi del dialogo e la negoziazione, per cercare di arrivare a dei patti socio-territoriali; ecco adesso diventa strutturale anche la dimensione della biodiversità ambientale, cercare un equilibrio tra noi umani e madre natura, attaccando le crescenti asimmetrie di potere che fanno sì che il “sud” economico ed ecologico sia sempre più tagliato fuori dai meccanismi di scelta sull’avvenire. Ma a questo aggiungiamo una riflessione centrale sul necessario  cammino verso gli altri, che diventa un cammino verso il più profondo di noi stessi. Andare verso gli altri è difficile, poco capito, anche dai giovani che si mettono a far politica. Anni fa proposi a un gruppetto di giovani simpatici ed attivi che entravano nell’agone politico di Anguillara, di provare a stimolare una riflessione cittadina, con mezzi semplici e partendo dalle scuole, sul concetto di “chi è il mio altro?”. Vinsero le elezioni, sono stati eletti come assessori di qua e di là, gli anni sono passati e nulla è stato fatto. Non ho comunque perso la speranza, e malgrado l’assoluta mancanza di risposte dai non più giovani “anguillarini”, ho proposto l’iniziativa ad una piccola organizzazione che lavora negli altri due comuni del lago. Le ultime notizie dicono che se ne stia parlando a Bracciano. Ringrazio l’amico Alberto Tabellini che ci sta provando. Un muretto da abbattere, prima che diventi troppo grande.