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lunedì 26 gennaio 2015

Tsipras, l’Europa e la fine di certe illusioni



Cominciamo col dire che, grazie al popolo greco, e non a Dio, adesso abbiamo finalmente una nuova generazione di politici al potere. Altro chè i giovani Mattei, con Alexi si comincia a discutere di cose serie.

Scrivo questo post dopo aver seguito il dibattito su Arte e poi su FR2: il primo morto, ufficiale, è l’economista. Si era trattata di una figura mitica che negli ultimi 50 anni aveva dominato nei cieli dei paesi del mondo intero. L’economista nasce uomo, by definition. Diventa donna quando proprio non se ne può più, per cui anche un avvocato con un ottimo inglese va bene per dirigere il Fondo Monetario, tanto oramai la professione è in preda al panico.

L’Economista con la E maiuscola è quello che detta le ricette ai paesi. Friedman per esempio dettava ai militari cileni cosa fare, e in caso non fosse sufficiente, c’erano sempre gli armati americani per ricordarlo. Gli anni 80 sono quelli della Milano da bere in casa italiota, mentre sono il decennio perso per molte nazioni latinoamericane distrutte dalla prosopoea degli economisti neoliberali, gli unici ad avere diritto alla parola.

Nasce da quel periodo la mia impresisone che un qualsiasi Marabou africano ne sappia molto di più di questi tristi figuri rinchiusi davanti ai loro computer in cerca dell’elisir magico che trasformi la loro vita in una festa continua. Una parte di loro si ricicla in finanzieri, cioè in banditi d’alto bordo. Gli altri restano a dominare il mondo, spinti dalla sparizione dell’ URSS e dalla caduta del Muro.

Nemmeno il monito del papa sui limiti del capitalismo serve a farli tornare su terra. Grazie a loro la crisi che inizia in terra americana nel 2008 riesce là dove l’Ebola non è mai arrivato: a diventare un problema mondiale.

Distrutti paesi interi, hanno anche la faccia tosta di ripresentarsi come i salvatori del mondo. La formula tre (chi ha i capelli grigi in Italia si ricorda la Formula Tre che suonava e cantava i successi di Mogol-Battisti) diventa così la famosa Troika che riesce nel non invidiabile caso di distruggere l’economia greca più di quanto il duopolio della destra economia e del Pasok, partito socialista come lo era il PSI ai tempi craxiani. 

Era difficile fare peggio ma, come dice la legge di Murphy, se si può fare peggio, lo faremo.

Grazie a loro e alle loro cure, il debito greco passa da 130 al 180% del PIB. Complimenti. Stasera, presi dal panico, si cominciano a buttare cifre, per spaventare l’opinione pubblica e mettere Tsipras nell’angolo. FR2, il telegiornale governativo francese (quello del presidente Hollande e del minsitro dell’economia Moscovici che, a dicembre, era andato in Grecia per sostenere il governo di destra di Samaras) dichiara che la parte del debito pubblico greco in mano alla Francia è di circa 7 miliardi. Nello stesso momento su Arte lo stesso debito pubblico francese diventa di 55 miliardi. Insomma, nessuno sa più dove siamo e soprattutto cosa dire.

Gli econimisti liberali, quelli da un tanto al chilo, dichiarano unanimi che gli accordi firmati vanno rispettati. Anche la nonna di quegli economisti sa che grazie a quegli accordi e a quelle misure la Grecia è diventata quello che è oggi. Quindi, per favore, basta ascoltare questi uccelli del malaugurio e, se proprio volete, chiedete al Mago di Parigi su Radio Italia. Probabilmente ha più possibilità lui di dire delle cose vere.

Gli scenari. La cosa ovvia è che nessuno potrà mai spingere la Grecia fuori dall’Euro. Chiacchiere inutili, perché nessuno può permettersi un altro cancro ai bordi dell’Europa. Abbiamo già l’Ucraina, e ogni giorno dimostriamo di non saper cosa fare. Abbiamo una zona fra Albania, Macedonia e Kossovo, senza parlare della Serbia, che potrebbe scoppiare in qualsiasi momento. Mancherebbe metterci in mezzo anche la Grecia. Impossibile. Quindi la forza di Tsipras è proprio questa. Non lo possono buttra fuori. Secondo elemento, che sarà ricordato domani, Giornata della Memoria: la Germanai ha già avuto quattro interventi nel XIX secolo per ridurre il suo debito. A memoria, cito: 1918, 1929, 1932 e 1953. Senza questi interventi avremmo ancora i Nazi al potere. Se lo abbiamo fatto per i cartofen, lo possiamo fare anche per i greci, in fin dei conti sono il 2% del PIB europeo.

Dice, ma se lo fanno per la Grecia toccherà farlo anche per la Spagna, Portogallo e tutti quanti. E allora? Vogliamo far ripartire l’economia o vogliamo legare le popoilazioni al giogo del debito? Abbiamo dimenticato da dove è venuto fuori il nazismo? Qqualcuno si ricorda le sanzioni inflitte alla Germania dopo la prima guerra?

Quindi la vera paura del Kapitale è che stavolta le carte rischiano di essere dettate dal manovale di turno. Non più il Matteo allegro che non cambia nulla, il Parolaio italiano, ma un greco che rischia di venire a rompere le uova nel paniere.

Stasera siamo tutti Tsipras, non per la Grecia, ma per noi e per i nostri figli. Forza Alexis.

venerdì 23 gennaio 2015

2015 L3: Jo Nesbo- Fantôme






Trois ans après avoir démissionné de la police norvégienne et s'être exilé à Hong Kong, Harry Hole revient à Oslo. Mais, cette fois-ci, l'affaire s'annonce plus difficile que prévue, intime et douloureuse : Oleg, le fils de Rakel, le grand amour de Harry, a été arrêté pour le meurtre d'un dealer avec lequel il s'était acoquiné. Tout semble accabler le jeune homme. Ne manque plus que le mobile.
Très vite, Harry découvre que la victime et Oleg officiaient pour un mystérieux groupe de dealers, dirigé par quelqu'un dont on ne sait pour ainsi dire rien, hormis son nom : Dubaï. L'apparition de Dubaï à Oslo a coïncidé avec celle d'une nouvelle drogue dans les bas-fonds de la ville, la fioline, une substance créant une dépendance très forte mais qui n'est pas aussi destructrice que d'autres stupéfiants comme l'héroïne.
Alors que la corruption semble gangréner les différents échelons du pouvoir politique et de la police locale, Harry met, sans le savoir, les pieds dans une fourmilière criminelle et va très vite devenir la proie des différents malfrats qui oeuvrent dans l'ombre pour le maintien d'un statu quo...

Bel libro ovviamente, ma non sfugge all'impressione che sia scritto per un mercato americano di super eroi a cui succede di tutto, indistruttibili, ma sempre un po' solitari, pieni di problemi, ma che si rialzano da mille ferite e alla fine scoprono sempre tutto con un'intelligenza che, se invece di essere messa al servizio dell'ordine, fosse stata data chenneso,alla ricerca sul cancro, avremmo già vinto la battaglia. Insomma, bello, consigliato, ma consiglierei anche a Jo di restare un po' con i piedi per terra...

giovedì 22 gennaio 2015

January 21, 2015 Rebuilding confidence on Land Issues in Somaliland



Vice Presidente, Ministra dell'Ambiente e molti altri attori, ONG, Parlamento, Camera di Commercio, Banca Mondiale, gruppi di pastori, agenzie UN... andato tutto bene, adesso però ci tocca correre...

mercoledì 21 gennaio 2015

I fiori di Hargeisa




Siamo in Somaliland, un quasi Stato sognato dai nostri leghisti, dato che è sempre più indipendente dal resto della Somalia. Non credo che il riconoscimento internazionale arriverà tanto presto, ma dati i precedenti, ultimo quello del Sudan del Sur, dovrebbero potercela fare. Certo che, vista come sta andando nel Sudan del Sur, con la guerra un giorno sì e l’altro pure, magari ci penseranno due volte a riconoscerli, anche se oramai la strada è aperta.

La zona ad Est del paese è quella che in gergo UN security si chiama una NO GO zone. Non ci si va, perché ci sono troppi conflitti. Indovinate un po’ di che conflitti si parla? Uno a mille che indovinate. Terra, sempre la stessa storia. Terra come sinonimo di risorsa, per cui si dice terra per parlare di acqua…

I conflitti sono con i vicini del Puntland, un altro quasi Stato che Salvini e i suoi adorerebbero. Ma è meglio qui in Somaliland, dato che la situazione è abbastanza tranquilla. Certo abbiamo il coprifuoco alle dieci di sera ma non è che ci siano tanti posti dove andare. In fin dei conti nel 1991 questa cittadina era stata distrutta per cui va detto che hanno fatto passi da gigante.

A bordeggiare le strade ci sono tanti alberi, coperti di polvere buttata su dalle macchine che cercano di farsi largo con un caos calmo che farebbe piacere al Nanni nazionale. Il paesaggio però è dominato da tanti altri piccoli colori che si vedono penzolare dagli alberi. Tanti pezzi di plastica che hanno fatto coniare il nome di Fiori di Hargeisa. La foto ne ritrae uno di questi alberi con i suoi pezzi di plastica che pendono. Non pare sia venuto a nessuno l’idea di organizzare del lavoro comunitario e cominciare a pulire, quartiere per quartiere. 

Mi vien da pensare che alla fine la plastica se la mangino le tante capre che gironzolano tranquille alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti. Così poi la plastica la recuperiamo noi quando ci mangiamo le capre. Chissà se è proprio così. Ddicono che all’aeroporto se ci arrivi con una busta di plastica in mano te la ritirano, come parte della campagna contro la plastica di cui l’agenzia Reuters parlava alcuni anni fa. 
 Vedremo domani pomeriggio quando ci andrò.

L’altro elemento comune del paesaggio è il caro amico Kalas. Ne vedi tantissimi in giro, e ti vien da chiederti a cosa servano dato che non si respira nessuna aria di minaccia. Agli incroci invece dei vigili con un bastoncino colorato, tipo quello che si regala ai bambini piccoli, cercano di dirigere il traffico. Ci mettono impegno, il casino è grande ma a parte un po’ di klaxon, sembra sia tutto normale. Si incrocia un amico e ci si ferma, con le macchine, a salutare. Chi sta dietro strombazza ma poi a sua volta appena ne vede uno, ripete pedissequamente la stessa storia.

Siamo stati a fare un giro al mercato. Non tante cose, e soprattutto quasi tutto viene importato. Dall’ India o dai paesi arabi. Peccato. Sto cercando una specie di coperta che gli uomini si mettono sulle spalle la sera, fa freschino da queste parti, molto bellina… non ci siamo riusciti ma i miei elfi si stanno dando da fare.

Ah, dimenticavo di ricordare che l’amico Kalas è il 47, il fucile.

Cos’altro dire? Pubblicità dappertutto, di una cosa magica che pare un giorno arriverà anche in Italia. Si chiama 4G. So che esiste in molti paesi avanzati, per esempio Francia. Da noi mi hanno detto che esiste in alcune zone privilegiate del paese. Io che abito a Nord di Roma, appena dopo le antenne vaticane, mi sogno a volte anche la 3G. Pazienza.

Oggi abbiamo fatto il lancio del nuovo programma terra. Dal vice presidente in giù, tanti ministri interessati, così come tante ONG e altri attori. Si scopre quanto sia importante il tema per lo sviluppo del paese e in questo caso va detto che il governo lo ha ben capito, mettendolo al centro della sua agenda. Adesso bisognerà vedere quanto riusciamo a far sì che si porti avanti un metodo inclusivo e democratico, centrato sulla gente e non sulla tecnologia. Il Land Grabbing è già arrivato, i pastori perdono le loro terre e la solita storia di sempre si ripete. Ci proviamo, e siccome ci piace complicarci la vita, ci mettiamo anche le questioni di genere e i diritti delle donne sulle terre. Farò sapere in seguito come vanno le cose.

Fra poco è ora di una zuppa al curry con chapati. Peccato che per il vino o una birretta non ci sia spazio…

sabato 17 gennaio 2015

Maasai Mara: siete pregati di spostarvi un po’ più in là



Del territorio che una volta occupavano, è rimasto ben poco. Ci hanno pensato prima gli inglesi, con la loro parlantina e il loro accento oxfordiano, a togliergli gran parte delle terre, che servivano a scopi più importanti: lo Sviluppo, con la esse maiuscola. Di colpo si sono venuti a trovare con troppi animali rispetto alle terre disponibili per cui hanno cominciato ad essere attaccati perché non-ecologici. Ossia, hanno un carico di animali per ettaro troppo grande per cui le terre saranno degradate. Insomma, bisognerebbe che riducessero le loro mandrie. Resta il fatto che comincia a farsi strada, anche fra certe ONG ambientaliste, l’idea che questi Maasai non siano ecologici e che sarebbe meglio metterli fuori dalla grande riserva Maasai Mara, una grande riserva faunistica transfrontaliera tra il Kenya e la Tanzania.

Abbiamo avuto un bel daffare nel cercare di spiegare a queste ONG che sarebbe stato meglio prendere il problema dalle cause e non dagli effetti. Cioè che se si continua a togliergli la terra, ovviamente ci saranno sempre animali in eccesso, e di questo passo non si finirà mai finchè i Maasai non saranno spariti a fare le attrazioni da circo come sono già condannati a fare per sfamare la bramosia fotografica dei bianchi che vogliono sentire il brivido della “loro” Africa.

La sfortuna addizionale di questi ultimi anni, è legata alla presenza della Grande Rift Valley che l’attraversa in pieno. Grazie a una serie di studi condotti dagli anni 50 in poi, si è scoperto un forte potenziale per la produzione di energia geotermica proprio in corrispondenza della Rift Valley. Alcuni (fonti UNEP citate da Misma: http://www.consolata.org/index.php/news/8543-dal-cuore-della-terra-arriva-l-energia-per-la-rift-valle) arrivano a sostenere che ci sia abbastanza energia da soddisfare gran parte delle esigenze energetiche africane.

Il problema è ancora quello: ci stanno i Masaai. Ancora una volta, per portare lo Sviluppo con la esse due volte maiuscola, (adesso sarebbe anche Sostenibile…), bisognerebbe che i Maasai si spostassero un po’ più in là. Scrive un dottorando: According to local elders, ever since the beginning of the exploration processes, they have continually been forced to move to adjacent lands only for them to be moved when a new project phase is initiated (Ben Ole Koissaba; http://www.culturalsurvival.org/news/campaign-update-kenya-maasai-protest-against-new-land-concessions-geothermal-extraction-kenya).

Forse la canzonetta italiana delle Sorelle Bandiera diventerà il loro inno: Fatti più in là … https://www.youtube.com/watch?v=WYvJ95FY6OM

martedì 13 gennaio 2015

2015 L2: Paolo Nori - Siamo buoni se siamo buoni


Marcos y Marcos

Ermanno Baistrocchi si sveglia in un letto d’ospedale e subito salta fuori sua moglie. Eran degli anni, che non la vedeva, e gli vien da pensare, a vederla così, da vicino, che ha tanta di quella pelle. E le dice anche una cosa che forse non avrebbe avuto il coraggio, di dirgliela, se non avesse picchiato la testa, e gli sembra che sia così bella che gli viene da chiedersi «Ma perché, è così bella?»
Poi salta fuori sua figlia, Daguntaj, che ride di fianco al letto intanto che legge un romanzo che ha scritto Ermanno, La banda del formaggio, si intitola, poi salta fuori Cianuro, uno spacciatore romagnolo che deve chiedergli un favore, poi salta fuori la Mirca, l’ufficio stampa della casa editrice che prima era di Ermanno adesso lui l’ha venduta, poi salta fuori Salvarani che ha comperato la casa editrice di Ermanno e si è impegnato a pubblicare il romanzo, La banda del formaggio, solo dopo che Ermanno è morto.
E l’ha pubblicato prima perché i giornalisti davan la morte di Ermanno come un fatto certo e imminente, e quando uno scrive un romanzo e poi muore, è una strategia di marketing vincente, dice Salvarani, e Ermanno è d’accordo.
E quel romanzo che ha scritto, La banda del formaggio, Ermanno l’ha scritto per raccontare la storia del suo migliore amico, Paride, che si è suicidato, e adesso Ermanno si accorge che gli è successa una cosa stranissima che dicon però che succede: una persona scompare, e il mondo si ripopola.
E in questo mondo lui delle volte vorrebbe delle cose che gli vien da pensare che non succederanno mai, ma mai, ma mai mai mai mai mai, e delle altre volte si dice che basta essere buoni per due mesi, e poi per altri due mesi, e poi per altri due mesi, e poi dopo vediamo.

Che ne penso: mi son divertito a leggerlo, ha fatto passare le tante ore bloccato in un micro sedile di Swiss air andando a Nairobi, in un attimo. Resta il ricordo, falsamente ironico, su Walter Veltroni e il suo negare di esser mai stato comunista dopo esser stato dirigente della FGCI, dirigente del partito comunista e avanti così. Con quella storia lì li sistema tutti, da Scalfari ai vari alti e altri personaggi, Chiamparino in primis, che ovviamente saltano tutti la domanda cruciale, al presentare il libro di Veltroni: Ma davvero lei pensa che noi ci abbiamo creduto, quando ha detto di non essere mai stato comunista?.

La congiura dell'ipocrisia, questo avrebbe anche potuto essere un sottotilo.

Per il resto, stile disarmante, lettura da consigliare.

domenica 11 gennaio 2015

2015 L1: Khaled Hosseini - E l'eco rispose

dall'autore di Il cacciatore di aquiloni e Mille splendidi soli
 
Sulla strada che dal piccolo villaggio di Shadbagh porta a Kabul, viaggiano un padre e due bambini. Sono a piedi e il loro unico mezzo di trasporto è un carretto rosso, su cui Sabur, il padre, ha caricato la figlia di tre anni, Pari. Sabur ha cercato in molti modi di rimandare a casa il figlio, Abdullah, senza riuscirci. Il legame tra i due fratelli è troppo forte perché il ragazzino si lasci scoraggiare. Ha deciso che li accompagnerà a Kabul e niente potrà fargli cambiare idea, anche perché c'è qualcosa che lo turba in quel viaggio, qualcosa di non detto e di vagamente minaccioso di cui non sa darsi ragione. Ciò che avviene al loro arrivo è una lacerazione che segnerà le loro vite per sempre. Attraverso generazioni e continenti, in un percorso che ci porta da Kabul a Parigi, da San Francisco all'isola greca di Tinos, Khaled Hosseini esplora con grande profondità i molti modi in cui le persone amano, si feriscono, si tradiscono e si sacrificano l'una per l'altra. 

Verrebbe da pensare che anche la vena artistica di uno scrittore abbia un principio e poi possa afflosciarsi pian piano. Il libro è bello, ma non all'altezza dei precedenti. Stona quell'impressione di voler sfruttare un filone che lo ha reso famoso e quindi di andare avanti finchè tutti i dettagli non saranno stati resi pubblici. Quindi la mia impressione è che questo non sarà l'ultimo, ma che non saremo più all'altezza dei primi due.

giovedì 8 gennaio 2015

La Francia é in lutto. No! E’ in guerra, e non solo lei.



Forse adesso diventerà più chiaro a tutti il senso delle parole di Papa Francesco sul fatto che la Terza Guerra Mondiale sia già cominciata (http://www.repubblica.it/esteri/2014/08/18/news/papa_francesco_terza_guerra_mondiale_kurdistan-94038973/).

C’è voluto lo sguardo lungo dello storico, Eric Hobsbawm, per spiegarci come le due guerre mondiali in realtà fossero solo due tempi dello stesso problema, sorto già dalla fine del ‘800 con il crollo degli ultimi imperi. Di fatto quindi avremmo avuto un periodo di un unico mega conflitto mondiale che è durato quasi settant’anni. Certo se uno avesse chiesto ai cittadini europei a fine ottocento se si sentivano in guerra, avrebbero chiaramente detto di no. Se invece lo guardiamo adesso, rileggendoci gli scritti fondamentali come The Age of Empire, 1987 e Il Secolo Breve, 1994, capiremmo meglio le sequenzialità storiche.

Stiamo vivendo adesso nella parte decadente dell’Impero americano, che pian piano si sta trasformando in qualcosa di diverso, sia per la contemporanea ascesa di altri imperi, come quello cinese, ma anche per gli spazi che sono lasciati liberi e non ancora occupati, dove si infila il tradizionalismo religioso. Il ritiro dell’Impero americano nella forma conosciuta, cioè di un Governo democratico, lascia spazi aperti: da un lato forse più che ritiro dovremmo parlare di trasformazione, in un Impero transnazionale non più rispondente a istituzioni democratiche. Un impero diverso, meno interessato al territorio ma più semplicemente alla nostra borsa, ai soldi, si sta profilando. Nei suoi interstizi prolifera l’integralismo di varie religioni. Ambedue arriveranno a configgere perché alla fine cercano la stessa cosa, cioè il controllo delle menti: da un lato per farci leggere, guardare e comprare quello che il mercato da loro controllato ha deciso, e dall’altro per instillarci una serie di “valori” (fra virgolette), che vanno esattamente contro questo modello. In mezzo, schiacciati tra i due poli, rischiano di trovarsi le libertà di pensiero e i diritti dei cittadini.

Questo è il momento che stiamo vivendo. L’attacco bestiale di ieri ce o rende molto evidente. Non sarà l’ultimo, di questo siamo sicuri perché una volta iniziata la guerra non può facilmente fermarsi. Già avevo scritto che si tratta di una guerra asimmetrica, del tipo tutti contro tutti, dipendendo dai momenti e dagli interessi. Non deve stupirci quindi che ci arrivi anche in casa. Non dobbiamo abbandonarci alla rassegnazione, ma reagire. Se i diritti dei cittadini e la libertà di pensiero finiscono in mezzo a questi schiacciasassi, senza reazione da parte nostra, allora sarà finita per davvero, e per sempre.