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domenica 31 dicembre 2017

Auguri seletti per il nuovo anno


Non si può sempre essere sempre buoni e augurare il meglio a tutti. Arrivando alla fine di questo anno che mi ha imposto dei cambiamenti profondi, voglio augurare il meglio a quegli amici e amiche con cui ho condiviso tempo, ricordi, esperienze e sane discussioni, il tutto condito dall’ancora presente voglia di andare avanti e lottare per un mondo diverso e migliore.

Allo stesso tempo voglio augurare un pessimo anno nuovo a una serie di persone che non meritano nemmeno di essere citate, tanto chi mi conosce sa benissimo a chi mi riferisco. Ma voglio aggiungere a questa lista di “méchants” anche tutti quelli che, avendo potuto fare qualcosa, anche piccola o piccolissima, hanno preferito rinchiudersi nei loro spazi personali, pensando che ci possa essere soluzione per questo mondo malato rintanandosi in casa. Ovviamente più si sale nella scala gerarchica e più aumentano responsabilità e le colpe di chi, avendo potuto, non ha fatto nulla. Ma ciò non ci esime, ai nostri livelli personali, di fare qualcosa, e non solo criticare gli altri.

Un anno è passato e l’unico dato che voglio ricordare è che il numero di persone che soffrono la fame ha ricominciato a crescere. Questo di per sé dovrebbe essere un segnale d’allarme sufficiente, ma apparentemente così non è. Aggiungiamoci poi la questione delle migrazioni forzate, decine e decine di milioni di persone cacciate da casa loro per le più svariate ragioni e messe su una strada. Poi basta girare per le nostre città del nord del mondo per rendersi conto di come la povertà aumenti, e che abbia facce sempre più giovani e facce simili a noi.Non è più solo la povertà del sud del mondo, oramai ci siamo dentro fino al collo mentre non sentiamo né leggiamo uno straccio di analisi sincera sulle cause profonde, strutturali, che ci stanno portando all’autodistruzione.

Non posso quindi essere felice e di cuor leggero per augurare un buon 2018. Anche ai più stretti amici voglio ricordare che dovremo fare ancora di più, in spite of i capi che ci troviamo ad avere, le resistenze politiche e istituzionali. 


La lotta continua, la vittoria oramai non fa più parte degli scenari possibili, giochiamo almeno per un pareggio … 

La sporca dozzina del 2017


Eccoci qui, solito appuntamento di fine anno; scelte personali ovviamente, in puro ordine sparso:

David Van Reybrouck - Congo
Bernard Minier - Glacé
Leïla Slimani - Chanson douce
Franck Bouysse - Grossir le ciel
Caryl Férey - Condor
Antonio Pennacchi - Canale Mussolini parte seconda
Bernard Mathieu - Carmelita
Maylis de Kerangal - Riparare i viventi
Sophie Hénaff - Rester groupés
Fred Vargas - Quando sort la recluse
Sebastiano Vassalli - Terre selvagge
Michela Murgia - Il mondo deve sapere

domenica 17 dicembre 2017

La corsa verso l’inevitabile



L’estrema destra è tornata al potere in Austria. Aggiungendosi così agli ungheresi, polacchi e quant’altro cerchi risposte nazionaliste ai problemi posti dalla globalizzazione.

L’ignoranza dominante e l’insipienza di quelle forze politiche che furono di sinistra apre autostrade in cui possono infilarsi tutti quei movimenti e partiti il cui denominatore comune è, per l’appunto, l’ignoranza e la paura.

Che queste forze, una volta arrivate al governo, riescano a dare risposte ai problemi attuali, è come credere a Babbo Natale sposato con la Befana. Non possono averne, per la semplice ragione che sono figli (economici) di quella classe sociale (che conta) che ha spinto per la globalizzazione, per la riduzione dello stato (meno tasse, senza ricordare però che questo significa meno servizi per cui abbandono delle aree e dei temi meno centrali). Hanno alle loro spalle le forze economiche liberali e la finanza nazionale e internazionale. La loro matrice è, che gli piaccia o meno, a favore della globalizzazione, quella stessa che distrugge lavoro, che concentra ricchezze in poche mani e che spande miseria e povertà dappertutto, con ovvie preferenze per le zone del sud del mondo più sfigato. Poi prendono i voti da una classe sociale mista, basso proletariato e classe media in difficoltà paurosi degli effetti di quei fenomeni che chi comanda nei loro partiti sta proponendo come soluzione alle difficoltà attuali. Il limite di queste forze è che, nella confusione attuale, possono arrivare al potere, anche da noi, ma poi non possono fare nulla perché chi li sta teleguidando, non glielo permette (sempre e quando fossero capaci di pensarle, il che è tutto da dimostrare).

Forze politiche che riecheggiano i tristi anni trenta, ma con una differenza non da poco - tolta di mezzo qualsiasi remora filosofica: in quel periodo il lavoro era centrale, per cui accaparrarsi mano d’opera a buon mercato, magari anche schiava, serviva a mandare avanti la baracca a casa propria. Ecco quindi le destre propense a tutte le avventure militari, noi in primis col nostro impero da barzelletta, poi i tedeschi e tanti altri. Si andava alla conquista perché bisognava prendersi le materie prime (cosa che poi abbiamo imparato a fare con mezzi più “dolci”) e per prenderci la mano d’opera locale. Quello era il disegno della “grandeur” fascista e nazista: sottomettere gli altri per pagare il conto del nostro viver bene.

Adesso funziona esattamente al contrario. Le destre vanno al potere contro gli altri. Ne hanno paura e sono coscienti che non serve a nulla prendere la loro mano d’opera, anche a bassissimo costo, perché il lavoro lo sta distruggendo quel modello capitalistico finanziario che i loro controllori stanno imponendo. Quindi vanno al potere per non fare nulla. Pensare di ricacciare a casa gli immigranti (senza ricordare che noi italiani siamo adesso netti esportatori di mano d’opera - qualificata - rispetto a quella che entra in casa) vuol dire non capire che il meccanismo che crea quella mano d’opera a basso costo, gli immigrati, è quello stesso che sta alla base del loro successo. Se cominciassero a criticare alle radici il modello capitalista-finanziario, primo non avrebbero soldi per le loro campagne elettorali, ma poi verrebbero tacciati di pericolosi comunisti, quindi sarebbero cacciati dai loro stessi partiti.

Lo scopo ultimo è prendere il potere, non fare qualcosa di utile per i cittadini e l’umanità. Tutte le previsioni serie danno il fenomeno delle migrazioni in netto aumento negli anni a venire. Banalità, ovvietà, dato che nessuno osa criticare il sistema economico che ci sta dietro. Magari uno penserebbe che la sinistra si faccia carico di questa critica, poi però legge cosa scrivono e cosa dicono i loro leader, e allora capisce che i dadi sono gettati. Vincerà la destra, come ha vinto in Austria e come è giusto che sia. Abbiamo lasciato Berlusconi risettare il mentale degli taliani, partendo dai giovanissimi, oltre trenta anni fa: pian piano sono diventati adulti, e stupidi, per cui hanno ripagato il loro benefattore votandolo. I più paurosi sono andati alla Liga-Lega e i nostalgici con i vari nipotini di Benito. 

Che vinca il peggiore, tanto non cambierà nulla, perché chi tira le file sta a livelli ben superiori e per loro non conta nulla che ci sia Renzi, Berlusconi o Grillo al potere. Nessuno di questi contesta seriamente il modello, quindi è tempo perso seguire le loro chiacchiere.


Fra poco sarà ora di rispolverare i vecchi campi di concentramento per parcheggiare gli immigrati clandestini. Troppo cari da rimandare indietro, difficile ammazzarli tutti in mare - anche se si fanno progressi in quel campo, come insegna la nostra Marina Militare, la soluzione che verrà proposta sarà il parcheggio. Abbiamo già visto che la mite Australia ci ha provato, ma le critiche sono enormi a livello mondiale. Ci proveranno lo stesso perché non sanno cosa fare. Non hanno uno straccio di idea sul come “svilupparli a casa loro”, slogan che andava ripetendo il vecchio Bossi, (a dire il vero nemmeno l’Unione Europea ha una mezza idea su questo), per cui ci aspettano tempi duri, come cantava anni fa il giovane Cristiano de Andrè.

Ricetta Xuor: Lingua di vitello in salsa verde


Difficile trovare una carne meno grassa della lingua, dato che è solo muscolo. Un piatto che a me piace molto che da oltre un anno non facevamo causa trasloco forzato.

Usare la lingua di vitello e non quella di bue o vacca.


Farla bollire a lungo (non come dicono certe ricette di scottarla cinque minuti); un’ora come minimo, noi l’abbiamo lasciata per un’ora e venti. Per vedere se è pronta, basta tirarla fuori e provare a togliere la pelle. Se non si stacca rimettere il tutto a bollire.


A questo punto, meglio mettersi dei guanti e comunque non temere troppo il caldo. La pelle va tolta con pazienza e costanza. La nostra è venuta via abbastanza bene direi, per essere la mia prima esperienza. 


Si riparte sul fuoco. Acqua fredda, carota tagliata in quattro e échalotte. Fuoco bassino, il che comporta ancora tempi lunghi, almeno una mezz’oretta. Col coltello fare una prova per vedere se affonda, a quel punto è pronta (la potete anche lasciare lì dentro).


Attacchiamo la salsa; ingredienti di base: prezzemolo, aceto di vino e olio di girasole, un po’ di senape, pepe, sale grosso e una aggiustata finale del brodo dove si è cotta la lingua.



Il mortaio è fondamentale: mettere il prezzemolo, una presa di sale grosso e cominciare a pestare. 



Aggiungere la senape e passare a un movimento non per pestare ma per amalgamare.





Aggiungere la miscela Leone (come la chiamava mio padre: tre cucchiai d’olio e uno di aceto), il pepe e un po’ del brodo per allungare la salsa. 



A questo punt estrarre la lingua raffreddata (volendo si può fare anche quando è calda), e tagliarla fettine sottili.




Servire le fettine con un po’ di salsa sopra e il resto a tavola.



sabato 16 dicembre 2017

Ricetta Opporg: Gnocchi di patate


Erano anni, per non dire decenni, che la ricetta degli gnocchi di patate era lì a tormentarmi. Quando mi trasferii a Parigi, nel mio anelito per conquistare Christiane decisi di sorprenderla con un piatto che mi pareva molto semplice. Fu un disastro totale e da allora solo una volta, quest’anno, finché ero nella prigione dorata di Bangkok, ho ritrovato la voglia di provare.

L’esito di Bangkok non era stato malvagio, anche se ancora lontano dai ricordi d’infanzia, per cui alcuni giorni fa, trovando da comprare delle vere patate da gnocchi, mi sono deciso a riprovare.

Allora la questione centrale riguarda le patate, che più vecchie sono meglio è.

Non ci sono vere e proprie dosi, io ne ho prese tre e le messe a bollire, mettendole in acqua fredda e poi un 30 minuti una volta a ebollizione. Il solito sistema della punta del coltello ti dice se sono cotte abbastanza.

A quel punto vanno pelate subito, cercando di non maledire troppo gli dei dell’Olimpo.

Una volta finito, e finché sono ancora calde, passarle al pelapatate e spremerle a fondo.

(foto 1)
 

Aggiungere un po’ di sale e della farina quanto basta - dipende sempre dal tipo di patata, come regola generale diciamo un terzo del peso delle patate (io avevo solo della farina 0 biologica, e sono venuti bene lo stesso anche se le ricette sul net dicono sempre la 00). Alcune ricette indicano che basta questo per legare l’impasto. Io ci ho provato ma non veniva bene per cui ho aggiunto anche un tuorlo. Lavorarla non troppo. La consistenza finale deve essere simile a quella della crostata.
(foto 2) 

Adesso bisogna tagliare dei pezzi e cominciare a stenderli come da foto sotto: non troppo grossi ma nemmeno troppo sottili.
(foto 3)



Tagliare dei pezzettini da 2 cm circa e col retro delle forchetta passarli col dito indice. Cospargerli anche di un po’ di farina altrimenti tendono ad attaccare.
(foto 4)


A lato avevo preparato una salsa di pomodoro, facendo soffriggere cipolla e aglio, poi un po’ di timo, sale e pepe e polpa di pomodoro. Venti minuti buoni e il gioco è fatto.

Far bollire l’aqua, salarla come per la pasta e metterei gi gnocchi. Ioli metto uno a uno perché avevo paura che si attaccassero. Vengono su nel giro di un paio di minuti, nel dubbio io li ho lasciati un altro minutino. Poi li ho tirati fuori, messi direttamente sul piatto con la sala e formaggio grattugiato. Buoni!!!

(foto 5)



venerdì 15 dicembre 2017

Ho conosciuto un medico ….


Dice Silvio Garattini, fondatore nel 1963 e direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”, una delle massime autorità mondiali in farmacologia etc.: “(se potessi) su circa 12 mila farmaci oggi in commercio ne eliminerei almeno il 50 percento”. 

Vari sociologi hanno scritto sul tema della medicalizzazione della società (Pierre Aiach, Peter Conrad), ma il potere di Big Pharma è così pervasivo che non si muove un capello contro i loro interessi.

Io ho conosciuto un medico, che lavora fuori Parigi, a un’ora di macchina circa, dove inizia l’area di produzione dello Champagne, una zona agricola con abitanti sparsi, età media tendente verso l’alto e, da quanto mi racconta, tante persone con una lista infinita di farmaci da prendere. Che sia in Francia o in Italia, la legislazione esistente non richiede nessuna spiegazione e/o giustificazione sul valore aggiunto eventuale di un farmaco quando sia preso assieme a tutto un pacco di altre sostanze. Basta che individualmente possieda caratteristiche di qualità, efficacia e sicurezza e a quel punto basta spingere sui medici condotti e giù ricette a tutto spiano.

Lui, lo chiameremo Giuseppe per comodità, si è dato un compito, degno di quello che spingeva i massi in salita e poi gli ricadevano sempre giù: alfabetizzare i suoi pazienti per ridurre la farmaco dipendenza e trovare forme diverse per curarsi. Giuseppe ha una pazienza grande, quasi infinita direi, e va avanti così giorno dopo giorno; prende la moto e va a trovare i pazienti a casa, parla con loro, li ascolta e conosce meglio l’ambiente in cui vivono e invecchiano. Cose dell'altro mondo. 

Qualcuno lo ringrazia portandogli un po’ di frutta e verdura, qualcun altro invece ha pensato di mandargli un segnale trasversale, bruciandogli la macchina sotto casa. Lui però continua, certo che si capisce meglio cosa voglia dire il potere di Big Pharma….


Forza Giuseppe, continua con i tuoi miracoli…

2017 L50: Michela Murgia - Il mondo deve sapere




Einaudi 2017

Nel 2006 Michela Murgia viene assunta nel call center della multinazionale americana Kirby, produttrice del «mostro», l'oggetto di culto e devozione di una squadra di centinaia di telefoniste e venditori: un aspirapolvere da tremila euro. Mentre per trenta interminabili giorni si specializza nelle tecniche della persuasione occulta, l'autrice apre un blog, dove riporta in presa diretta l'inferno del telemarketing con le sue tecniche di condizionamento, le riunioni motivazionali, le premiazioni e i raggiri psicologici, i salari e i castighi aziendali. Divertente come una sitcom e vero come una profezia, Il mondo deve sapere riesce nel miracolo di indignare e far ridere. Perché a dieci anni di distanza dalla sua prima pubblicazione tutti devono sapere che, nel tritacarne del mondo del lavoro, poco o niente è cambiato.

Divorato in un paio d'ore. Senza dubbio nella top dell'anno. Assolutamente da leggere...

martedì 12 dicembre 2017

Ultima notte a Maiduguri



Dopo una cena a base di nulla, condita da sanissima Coca Cola per festeggiare una consulente vegetariana che se ne andava, ci siamo fatti un paio di birre e a nanna. Ho messo un film sul computer e mi sono messo a letto a guardarlo.

Dalla direzione della stanza vicina venivano rumori che, a orecchio, sembravano come di una persona che si fa la doccia serale. Dopo un po’ che duravano e che cominciavano a sovrastare anche il suono del film ho deciso di mettere in pausa e andare a sentire da vicino cosa stesse succedendo. Non si sa mai, metti un attacco sorpresa di Boko Haram nell’hotel, oppure un avvelenamento del vicino oppure chissà cosa… 

Ed ecco invece saltar fuori un topo che veloce come la luce è andato a rifugiarsi sotto il letto. Incazzato come una iena sono andato alla Reception (che qui sarebbe meglio chiamare Deception) e ho spiegato la situascion… 

Immediatamente (con calma) hanno mandato lo specialista delle pulizie, un tipo che non ha mai avuto la fortuna di mangiar proteine in vita sua quindi, una volta entrati nella camera mi chiede dove sia il topo. Forse pensava che glielo presentassi per far due chiacchiere. Gli ho detto che l’avevo visto scappare sotto il letto, per cui ha iniziato a disfare il letto, via coperta, lenzuolo e poi materasso. Sotto c’erano due catoni di compensato grosso al posto della rete, che impedivano di vedere il pavimento. Con un po’ di sforzi è riuscito nell’impresa e…. guardate le foto sotto…




Anche il topo era scappato dopo aver visto il livello di sporcizia. Penso che da quando è caduto il muro di Berlino non abbiano mai più pulito. 

Incazzato come due iene (quella di prima più la seconda a causa del topo) sono tornato alla Deception chiedendo di cambiar stanza. Ovviamente non ne avevano, così mi son trovato a rompere le balle al mio collega (e amico per fortuna) Francisco per condividere il lettone matrimoniale. 

A letto. Notte… o quasi… dato che due solerti colleghi UN si erano messi a fare quattro chiacchiere stile bar proprio davanti alla nostra porta e senza nessuna intenzione di andarsene via.

Dopo aver consigliato loro di andare a rompere i c.. altrove, finalmente siamo riusciti a dormire. Ovviamente con incubi, addirittura il mio ex capo servizio inglese, Peut Mieux Faire (PMF dalle iniziali del nome), un viscido servo del capitale e dell’aristocrazia inglese venuto a disturbare i miei sogni.


Vabbè, adesso aeroporto e poi domani… casa

lunedì 11 dicembre 2017

2017 L49: Massimo Montanari - La fame e l'abbondanza


Laterza

Un grande libro di storia dall'impianto estremamente originale: il cibo e i comportamenti alimentari diventano la chiave di lettura per un approccio globale alla storia d'Europa dal III sec. d.C. sino alle soglie dell'oggi.

Un Montanari fa sempre bene!

Ma è proprio FICO (Fabbrica Italiana Contadina)?

Ma è proprio FICO?

Ci siamo andati un po’ per caso, dato che passavamo per Bologna. La curiosità era ovviamente molta date le ambizioni del progetto (si parla di stime di milioni di turisti l’anno a regime); che Farinetti faccia business va bene, che poi questo piaccia agli italiani e agli stranieri, è tutto da vedere.

Noi abbiamo fatto un giro di un po’ meno di due ore. La stazza dell’edificio ti fa pensare a una grande Fiera, e lo stesso il mega ingresso dove delle biciclette sono lì da affittare per chi avesse voglia di fare un giro completo. 

Avere una mappa è fondamentale date le dimensioni anche se poi la struttura alla fine è una grande L per cui una volta passata la prima paura si va.

Come annunciato è tutto a pagamento, a parte il girare nei lunghi decumani. Tutto costa un po’ di più, come nella tradizione di Eataly, e ogni negozio cerca di attirati per venderti i loro prodotti. Vien da pensare che per stare lì dentro devono aver pagato fior di quattrini, per cui la storia delle eccellenze va intesa come una scelta di quelle che possono pagare, e cioè non proprio tutte….


A me ha lasciato un sapore misto, mi piace l’idea di primo acchito, ma poi ti chiedi cosa ci vai a fare in un mega store come quello dat che solo per arrivarci devi spendere un botto. Per cui alla fine penso che italiani, passata la curiosità iniziale, non ci torneranno, lasciando quindi ai turisti stranieri il compito di renderlo economicamente profittevole. Ma resto alla fine perplesso su un’operazione che cerca di vendere l’idea della biodiversità, ma nella realtà vende marche di prodotti (poi cosa ci stia a fare la Lamborghini non mi pare chiaro). Insomma una figata per ricchi che però poi andranno nei ristoranti super chic per parlare di esser stati a FICO e aver comprato un sacco di patate e un chilo di pomodori. 



Il nostro premier Gentiloni sostiene che "qui c'è l'Italia", quello he è certo è che non ci sono i contadini, ma di sicuro quelli che fanno i soldi sulle spalle dei contadini trasformando (a volte anche in maniera eccellente) i loro prodotti.

Ricordo che quando lo si cerca sul web, si trova subito l'assonanza con la Disney del cibo. Non proprio il massimo direi come idea. 


Boh. Io non ci torno.

sabato 9 dicembre 2017

Maiduguri - visita a terreno



Eccoci finalmente partiti con la super macchina blindata per andare a visitare una delle comunità dove stiamo testando l’approccio detto Land CAPP; sempre robe di terra, per dirigere meglio gli interventi emergenziali cercando di capire cosa ci sia sotto a proposito delle dinamiche di accesso e controllo delle risorse naturali, terra in primis.

Per ovvie ragioni di sicurezza non siamo potuti andare oltre i 10 km dalla capitale. Il giorno precedente avevamo fatto una lunga discussione con una serie di professori dell’università locale con i quali lavoriamo, in modo da chiarirci bene cosa vogliamo ottenere con questa operazione pilota e come portare avanti il lavoro.

Il principio base è di ricordarsi sempre che quando si va a visitare qualcuno bisognoso, questo genera sempre delle aspettative, Genuine, legittime o meno che siano, manipolate o spontanee, bisogna sapere che funziona così, per cui non possiamo accontentarci delle prime risposte, soprattutto quando vengono dalle autorità costituite e da riunioni di gruppo dove si mescolano tutti, vecchi e giovani, ricchi e poveri, uomini e donne… insomma dove i rischi di manipolazione sono molto elevati e le fregature sempre dietro l’angolo.

Questi metodi “rapidi” e (falsamente) “partecipativi” in genere piacciono molto a tutto il circo della cooperazione, sia essa di emergenza o meno. Far presto, far presto e poi ancora far presto. Non vale il proverbio della gatta frettolosa che fece i gattini ciechi. Ma succede, spesso e volentieri, proprio così. A forza di voler fare presto, con la scusa di fare di più e assistere tanta gente, alla fine non si sa mai bene cosa si distribuisca, a chi, e per farne cosa. Che poi molti degli aiuti si ritrovino in vendita sui mercati locali non dovrebbe stupire. Effetti collaterali, dicono, minimi, accettabili… Boh, a me pare una gran fregnaccia. 

Quindi dopo aver discusso a lungo, siamo partiti. Inutile dire che anche qui siamo stati accolti da una marea di persone con tutte le autorità possibili e, in men che non si dica, è cominciata la litania senza fine dei bisogni urgenti e urgentissimi. Malgrado i nostri insegnamenti, i professori hanno bevuto come oro colato tutta questa lunga lista di “bisogni”, senza mai criticarne né approfondendone uno. Possiamo mettere in conto che, essendo la prima volta che li stimolavamo a una attitudine critica, forse non erano abituati.

Tutto acqua e zucchero, una armonia di facciata che piacerebbe a tante organizzazioni. Poi, quasi per sbaglio, un rappresentante del governatore (chissà come mai), tira fuori la storia che fra agricoltori e allevatori i rapporti sono assai tesi e che ci sono parecchi conflitti. Non potendo entrare nei dettagli oggi, abbiamo deciso di rivederci domani. Nel frattempo, dopo ore di melassa, ci invitano a visitare le due dighe che testimoniano del loro problema con l’acqua.

Nelle foto che vedete sotto si vede la prima, con acqua - poca - usata sia per animali (vedi i ciuchini in attesa delle taniche) e anche per gli esseri umani. Diga vecchia, con oltre 50 anni di buoni e onesti servizi. 




Siamo andati poi a vedere l’altra e lì, sorpresa, si vede più acqua e anche di un miglior colore. Gli animali sono pochi e non arrivano alle rive, ma si abbeverano in un fontanile poco lontano. 

Una cosa attira la nostra attenzione: un campo di agli in piena produzione, irrigato con acqua proveniente dalla diga via una lunga tubatura in PVC. 


Domanda ovvia: dato che avete continuato a dirci che vi manca l’acqua, chi è che sta usando la vostra acqua per irrigare questa produzione di ortaggi? Ovviamente a nessuno dei professori è venuta in mente. La risposta ci ha lasciati molto perplessi: un signore, probabilmente originario della comunità, ma che adesso vive in città, è proprietario di tutta la produzione, fa lavorare un po’ di giovani e si prende tutta l’acqua che vuole senza pagare un soldo. Tipico esempio di capitalismo ladro: privatizzare i benefici (delle vendita, per lui) e socializzare i costi (sempre meno acqua a disposizione per la comunità).

La domanda insistente delle autorità è di costruire un’altra diga e un pozzo acqua per aiutare sia gli allevatori, con una diga per loro, sia i contadini e le famiglie, col pozzo.

Ecco cosa intendevo la scorsa volta di cercare di evitare di diventare parte del problema. Questa sarebbe una ottima soluzione per formalizzare la ruberia degli attori potenti nei confronti delle famiglie povere della comunità. Quindi ci fermiamo, anche a costo che i nostri amici delle emergenze diventino nervosi. 

Ne discuteremo di più, torneremo a studiare meglio la cosa e poi vedremo se e cosa si potrà fare. 


Morale della storia: trappole come questa ne abbiamo tutti i giorni; imparare ad evitarle costa tempo e energia. Meditate gente, meditate.

venerdì 8 dicembre 2017

Nigeria - Maiduguri Security Level 5: collateral damages (da evitare)

Security Level 5: collateral damages (da evitare)

Ed eccoci qui, con l’Harmattan che soffia e che ritarda i voli in arrivo partenza. Maiduguri, se non fosse per il “problemino” di Boko Haram e Isis, dicono tutti sarebbe una città ideale dove vivere. Strade ben asfaltate, gente cortese, ristoranti, acqua calda negli hotel, un po’ di traffico nelle ore di punta ma tanta gente in giro a piedi, in bicicletta o con le migliaia di Tuk tuk gialli, sempre sorridenti.

Il governo centrale ha mandato qui varie migliaia di soldati per cercare di controllare gli “insurgents”, ma il territorio è molto grande e non è affatto facile. Le capacità di infiltrarsi sono molte, e così gli attentati suicidare continuano, a ritmo irregolare, ma sempre totalmente imprevedibili. 

Anche i mezzi UN sono diventati un target, per cui adesso non siamo nemmeno protetti completamente dall’immunità diplomatica. L’anno scorso fummo fermati da una pattuglia dell’esercito, ma l’autista spiegò loro, gridando da dentro il veicolo, che non potevamo uscire e loro non potevano entrare. Dopo lunghi minuti ci lasciarono andare. Adesso non è più così ovvio, dato che alcuni veicoli sono stati rubati e trasformati per fare degli attacchi suicidi riempiendoli di esplosivo. Quindi se ci fermano e ci chiedono di ispezionare il veicolo, dobbiamo uscire e sperare siano veri soldati.

Le misure di sicurezza sembrano ben aumentate rispetto all’anno scorso, questo perché ci si aspetta un aumento degli insorgenti di ritorno dalla Siria che si sommano a quelli che vanno. Vengono dalla Libia (siamo a meno di una giornata di macchina dal confine libico). Ci dicono che più che una guerra religiosa questa è mafia. Questi insorgenti sono trafficanti e il loro scopo, al di là della tanto dichiarata guerra santa resta quello di fare soldi.

Comunque il lavoro va avanti, e siamo soddisfatti delle lunghe discussioni con i colleghi dell’università. Domani vedremo come funziona sul terreno. Lo scopo ultimo del nostro lavoro è di migliorare gli strumenti metodologici che ci permettano di catturare meglio la complessità delle dinamiche locali, con particolare riferimento all’accesso e uso delle risorse naturali, terra e acqua in primis, in modo da dirigere meglio gli interventi. In due parole: evitare, se possibile, di diventare parte del problema (cosa che succede quando si realizzano interventi un po’ a caso, cosa molto comune fra gli operatori delle Emergenze, Ong incluse) e riuscire ad essere parte delle soluzioni. La complicazione deriva dal fatto che bisogna cominciare a entrare ad analizzare le dinamiche di potere, anche a livello di comunità, cosa che in generale tutto il mondo dei Cooperanti, evitare di fare. Questo perché è difficile, e si pensa che non interessi ai donatori. Noi partiamo dall’ipotesi opposta e cioè che se vogliamo far qualcosa che serva, e soprattutto evitare di creare più casini, dobbiamo capire a cosa stiamo giocando (come direbbe il vecchio Mazoyer), chi sono questi attori, visibili e nascosti, e anticipare quello che può succedere nel momento in cui mettiamo qualcosa a disposizione, siano sementi, attrezzi agricoli, piccoli animali, pompe per l’acqua o simili.

Vogliamo anche far capire ai nostri Partners che lavoriamo col dubbio in testa. Che non abbiamo soluzioni miracolose da proporre, che queste devono venire parte di un processo di dialogo e negoziazione che parta dal capire le stratificazioni sociali, culturali esistenti. Insomma, vogliamo rompere le tradizionali metodologie di lavoro e introdurre qualcosa di nuovo. Stamattina abbiamo avuto quasi tre ore di discussione che, iniziata molto prudentemente, ha pian piano permesso di rompere il ghiaccio e alla fine ne siamo usciti tutti con un sentimento liberatorio. Speriamo bene. Domani la controprova.

Detto questo, se per caso ci troviamo in mezzo a uno scontro a fuoco, adesso sappiamo cosa fare: tutti giù per terra. Mentre se ci attaccano qui in ufficio, sappiamo dov’è la stanza protetta, che però così protetta non è perché potrebbero bruciare tutto e noi dentro, quindi meglio non pensarci e andare avanti.

Siamo a livello 5, su un massimo di 6. Quindi può sempre andare peggio.


PS. Non fidarsi dei bambini che magari vogliono venire a stringerti la mano o a sorriderti. Sono loro les “cibles” preferite dai terroristi per mettergli le cinture di esplosivo.A presto.

martedì 5 dicembre 2017

a forza di leggere Tex - Aquila della Notte ...

mi capita di vedere delle aquile anche di giorno ... questa era ieri a Trevignano ...


lunedì 4 dicembre 2017

2017 L48: Primo Levi - Il sistema periodico


Einaudi

Azoto, carbonio, idrogeno, oro, arsenico... Sono ventuno gli elementi chimici che dànno il titolo ai racconti di questo libro, e ventuno i capitoli di un'autobiografia che per affinità e accostamenti corre sul filo di una storia personale e collettiva, affondando le radici nell'oscura qualità della materia, raccontando le storie di un mestiere «che è poi un caso particolare, una versione piú strenua del mestiere di vivere». È questo il gigantesco minuscolo gioco che lega osservazione, memoria, scrittura: ne esce ricostruita la vicenda di una formazione maturata negli anni del fascismo, poi nelle drammatiche vicende della guerra: di chi, partendo dalla concretezza del lavoro, impara a capire le cose e gli uomini, a prendere posizione, a misurarsi con ironia e autoironia. Un De rerum natura metafora dell'esistenza, in cui emergono, nel volgersi del racconto, stranezze, fallimenti e riuscite imprevedibili. 

Gran bel libro per capire meglio la complessa figura di Primo Levi. Consigliato. Certo poi che se uno avesse una buona cultura chimica riuscirebbe a seguirlo meglio, ma resta una lettura piacevole. L'incontro con Mueller, il tedesco del campo di prigionia di Levi, vale da solo tutto il libro.

Ricettina semplice: Seppie con piselli



Ricetta semplice semplice, ma siccome non l’avevo mai fatta, ho deciso di metterla qui. Gli anni passano e la memoria non aumenterà, per cui .. a buon intenditore…

Una porzione di seppie (nere) pulite e lavate
Cipolla
Un bicchiere scarso di vino bianco
Un po’ di piselli (anche congelati)
Salsa di pomodoro (altri usano il brodo vegetale ma col pomodoro viene meglio)

Tagliare la cipolla (essendo grossa ne ho preso solo la metà). Io ho usato quelle bianche (foto 1).

Per evitare il bruciore agli occhi ho messo l’apparecchiatura da professionisti (foto 2)

Tagliate le serie a strisce (foto 3) e dopo aver fatto soffriggere la cipolla mettetele nella pentola.

Sfumare col vino bianco e una volta partito l’alcol aggiungere la salsa di pomodoro e poi i piselli (foto 4).


Lasciate cuocere una mezz’oretta e poi a tavola.